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Autore: LaMicheCoria    07/03/2012    0 recensioni

11 Febbraio 2006.
Io, Shota Iizuka, sono tornato a vivere a Tokyo.
Oggi mi sono rivisto allo specchio.
Genere: Angst, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi di Wild Adapter non mi appartengono

Ma sono di proprietà di Kazuya Minekura ©.

Se fosse il contrario, non si sarebbe fermi

Al numero sei.

 

 

 

 

Ps: se cliccate sul titolo, parte la canzone di sottofondo!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Rota, che mi ha fatto conoscere

Questo fantastico manga ~

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.: Kotodama :.

 

11 Febbraio 2006.
Io, Shota Iizuka, sono tornato a vivere a Tokyo.
Oggi mi sono rivisto allo specchio.

 

Tokyo è pigra, incoronata dai lampioni asettici sotto il cielo plumbeo. Fa freddo e in giro, a quell’ora –saranno le due, le tre del mattino al massimo- non c’è nessuno.
Le viuzze sono dedali scuri di un labirinto, le finestre ancora accese tasselli di mosaico su pietre squadrate e nere come l’inchiostro. Il brulichio ronzante della Tokyo notturna è così lontana da essere appena un filo di luce al di là dei tetti bui, una foschia che si disperde fumosa lungo la linea dell’orizzonte.

 

Uno specchio difficile da interpretare, che se gli parli ti dà una risposta: un po’ come quello di Biancaneve, solo che non parla in rima. Ma è incomprensibile uguale.

 

Il piccolo parco giochi ha il suono cigolante della ruggine: una delle altalene è spezzata e il sedile pende sghembo dentro la polvere ed il fango. Le catene sono un intreccio metallico di ragnatele e il legno delle assi portanti, rosicchiato dagli insetti e dai graffiti, dà l’impressione di non poter reggere oltre il loro peso.
Lo scivolo fa pietà, così sporco e cadente.
Un gatto una volta ci si era rifugiato ed era rimasto lì, a soffiare contro il dolore, digrignando i denti e strusciando la testa sulle assi, fino a quando un bambino non l’aveva trovato. E il gatto non aveva trovato una famiglia.

 

Non pensavo di trovare di nuovo quello specchio.

 

Non c’è nessun gatto, stavolta. Ma ci sono due ombre: due grumi di colore, impastati del tono squallido e marcescente di quella notte. Uno –il più alto, che sembra avere la testa rivolta al cielo, anche se il cielo non si vede da sopra il tettuccio dello scivolo- tiene una sigaretta in mano ed un volto in grembo. Un volto tanto pallido da sembrare biacca, tanto candido da sembrare la luna strappata alla notte.
La sigaretta è ormai spenta –c’è solo un po’ cenere fumante e un ultimo, morente sfrigolio rossastro- e forse anche l’uomo è spento, solo che non lo dà a vedere.

 

Mi fa strano osservarmi di nuovo riflesso, perché è come se lo specchio non mi vedesse: la sua superficie, che ora sembra piegata verso di me- è venata, percorsa da rivoli rossi ed esplode di una luce innaturalmente bianca ai suoi piedi, dove, sotto tanti frammenti che sembrano dita, se ne sta qualcosa di indefinito, raggomitolato e immobile.
Quando ho visto quello specchio così crepato, mi si è stretto il cuore: lo pensavo tanto forte da essere infrangibile.

 

-Stai ancora disegnando quel manga?-
Deve essersi mosso, il più alto, perché il buio si è accartocciato all’improvviso, facendo lampeggiare una macchia scarlatta proprio sul suo petto. La figura raggomitolata non ha reazioni: rimane immobile col volto di biacca affondato tra le pieghe viscose e rosse del maglione. Lui non ne è macchiato, però. Ma è così bianco e pallido che sembra che qualcuno –il rosso, il caldo, il colore- glielo abbia portato via.
-Te lo ricordi quel bambino?- chiede il tipo, e la voce gorgoglia in modo strano, come se qualcosa ribollisse dentro la gola e raschiasse e riempisse e impastasse le parole, facendole scivolare l’una contro l’altra fino a renderle incomprensibili –E’ cresciuto, sai. E quella cosa preziosa, anche se gli ha dato problemi, è cresciuta con lui- c’è un attimo di silenzio –Ma la cosa era tanto preziosa che altri la volevano. La cercavano e la cercavano, la strappavano dalle mani del bambino, cercando di capire cosa ci fosse di così prezioso in quella cosa. E il bambino andava sempre a riprendere quella cosa. Ma non smettevano di cercare e per ogni brutto ceffo che spariva, un altro compariva. Fino a quando non è arrivato il ceffo più brutto di tutti e il bambino è andato riprendersi la sua cosa, a costo di farsi prendere a schiaffi dal ceffo più brutto di tutti.-

 

Ho fatto una domanda allo specchio.

 

Si sporge appena col viso, inarcando le sopracciglia e strizzando gli occhi per vedere oltre il buio. Cerca di scorgere un movimento, un barlume di coscienza dietro le lenti degli occhiali spessi, un sospiro dalle labbra esangui di quel volto così innaturalmente pallido. Un suono, un sussurro appena, non chiede molto; gli andrebbe bene persino veder muoversi quella mano, quelle dita pelose che gli spaccavano sempre il joystick.
Ma la sigaretta è spenta e la luna dorme.
-Com’ è finita?- chiede.
Perché ogni storia deve avere una fine: le sue, quelle dei due eroi, finivano sempre bene, perché sperava che il kotodama avesse effetto anche –e soprattutto- su di loro.
-Com’è finita?-

 

Ma non ha risposto.

 

Tokyo è pigra, incoronata da la lampioni asettici sotto il cielo plumbeo. Fa freddo e in giro, a quell’ora –saranno le due, le tre del mattino al massimo- le viuzze sono dedali scuri di un labirinto, le finestre ancora accese tasselli di mosaico su pietre squadrate e nere come l’inchiostro. Il brulichio ronzante della Tokyo notturna è così lontana da essere appena un filo di luce al di là dei tetti bui, una foschia che si disperde fumosa lungo la linea dell’orizzonte.
Al parco giochi è rimasto solo il silenzio.

 

 

Non avrebbe risposto mai più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali

Oddio. Prima fan fiction su Wild Adapter e cosa succede? Angst, mi sembra ovvio. Eh, che ci volete fare? Sono fatta male, mi sa. Molto, molto male.

Comunque…! A me, il personaggio di Shota piace. Tanto. Non so come mai, ma mi ispira particolarmente! Bambocetto adorabile…

Qualche spiegazione sarebbe d’uopo, vero? Perché lo specchio? Per due motivi: quello più terra è che lo specchio altro non è che il paio di occhiali di Kubota. Il secondo è che Kubota mi fa pensare ad uno specchio: riflette le persone che gli stanno attorno ed esse vedono riflesse la propria immagine guardandolo. Ma nessuno, nessuno sa cosa lo specchio riflette di stesso. E quindi c’è anche questa continua contrapposizione di movimenti/aspetto tra le due cose. Spero si capisca e di non essere stata troppo criptica!

Che roba complicata, eh?

Quello del Kotodama è un concetto espresso nel numero quattro.

E’ una What if..? comunque. Perché se il manga continuasse, me lo sento che finirebbe in tragedia.

Eh.

 

 

   
 
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