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Autore: SAranel    08/03/2012    8 recensioni
Durante una delle noiosissime feste di Scotland Yard, Sherlock nota uno strano comportamento dell'insopportabile Anderson nei confronti di John. Cosa sarà mai? E come deciderà di intervenire?
“E si può sapere a te cosa importa, genio? Cosa c’è nel mio comportamento verso John che ti irrita così tanto?” alluse, e John piantò lo sguardo verso Sherlock, improvvisamente totalmente interessato. Il cuore di Sherlock saltò un battito.
“Tengo alla salute mentale. Non oso pensare come potrebbe tornare a casa dopo due ore in tua compagnia”
“Oh certo, è un interesse puramente intellettuale”
“Per l’appunto”[...]
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie ancora a tutti, non mi stancherò mai di dirlo, per leggere e recensire le mie fanfiction. Siete fantastici e vi ringrazio un mondo, uno ad uno!
Era un po’ che non scrivevo, ma in questi giorni ho ripreso in mano la penna (o meglio, la tastiera) e ho buttato giù questa storia… mi mancava, scrivere dei nostri due beniamini!
Protagonisti, si capisce, i nostri Sherlock e John ovviamente!
Spero vi piaccia e di non aver fatto troppo male, al solito!

Buona Lettura!

S.

 

Breaking the rules

*

 

 

Sherlock avrebbe odiato quelle feste di Scotland Yard fino alla fine dei suoi giorni. Anche se, e questo lo sperava vivamente, avrebbe voluto con tutto il cuore che quella ricorrenza venisse abolita per un motivo o per l’altro decisamente molto prima.

John lo raggiunse al tavolo del buffet, con un sorriso incoraggiante. Era straordinaria la sua capacità di leggere lo stato d’animo di Sherlock da una sola occhiata: per Sherlock era qualcosa di totalmente nuovo, dato che la maggior parte della gente cercava di non soffermarsi troppo in sua compagnia, figurarsi fermarsi a osservarlo quanto bastava per interpretarlo.

“Dai, Sherlock, sopporta ancora un po’, so che puoi farcela” lo spronò John, sfiorandogli il braccio con un gomito. Sherlock sbuffò.
“Sai qual è la cosa che mi irrita di più? Il fatto che qui sia pieno di gente che mal mi sopporta, anche se la cosa è più che reciproca, e che Lestrade continui comunque ad invitarmi quando potrei impiegare il mio tempo in maniera decisamente più fruttuosa” sussurrò, con la sua voce ugualmente profonda. John storse il naso, senza rispondere, prendendo un altro sorso del qualcosa che aveva nel bicchiere.
“Vogliono solo essere gentili, Sherlock. Dopotutto risolvi la metà dei loro casi”
“Mi farebbero la gentilezza più grande lasciandomi sul mio divano”

John represse una risata.
“Per sentirti lamentarti tutto il giorno per la noia? Per quando detesti anch’io questa festa la preferisco di gran lunga al tuo berciare di quando ti annoi”

Sherlock lo fissò a lungo, come se stesse cercando di trasmettergli una qualche muta minaccia. Lo sguardo sembrò sortire l’effetto desiderato e John spostò gli occhi in basso, fissandosi i piedi.

“E poi c’è Anderson, John” disse Sherlock puntando lo sguardo sull’uomo all’angolo della sala, che sembrava non voler staccare loro gli occhi di dosso “oggi è più irritante del solito. Ci sta fissando da quando siamo arrivati qui. Prova a farmi una domanda, John. Il suo sguardo su di me è nocivo, me lo sento”

John lo guardò, boccheggiando, senza sapere cosa dire.
“Pensi che il fatto che ti stia guardando sia… nocivo? Cos’è, ha una specie di sguardo laser che ti rende stupido appena di punta?”
Sherlock fissò ancora Anderson che ancora se ne stava lì con quel suo sorrisetto simile ad una smorfia sul viso appuntito, senza demordere dall’osservarli.
“Diciamo che la tua è una pittoresca interpretazione del mio pensiero” gli abbuonò “forza, fammi una domanda”

“E che razza di domanda dovrei farti?” John era allibito. E dire che pensava di esserci abituato ormai.

“Una qualunque.”
John alzò gli occhi al cielo, pensoso. Poggiò il bicchiere sul tavolo e prese a tamburellarvi le dita della mano destra.
“Ehm…il numero atomico dell’Iridio” optò.
Sherlock sbuffò.
“Settantasei” rispose Sherlock, sicuro.
John sbarrò gli occhi, allibito.

“E’ settantasette” lo corresse John, guardando il suo amico come se fosse un alieno. Sherlock strinse le labbra e batté un pugno sul tavolo.
“Avevo ragione. La sola aura negativa di quell’uomo inibisce le mie capacità” affermò sicuro, scambiandosi con Anderson occhiate acide. Se si fossero ritrovati in un cartone animato, chi avesse cercato di attraversare la linea immaginaria tra lui e Anderson si sarebbe trovato davanti una interminabile, spessissima lastra di ghiaccio.
John scosse la testa, indeciso tra l’essere esasperato o divertito.
“Pensala come vuoi, Sherlock. Vado a prendere qualcos’altro da bere” John si congedò dal coinquilino che lo osservò irritato, come fosse un soldato che abbandona un commilitone nel pieno di una battaglia.
La realtà, la vera e ineluttabile verità era però che Sherlock aveva tutt’altri piani per quella sera. Si era preparato per sette lunghi giorni; aveva pensato a cosa dire, alle parole giuste, alla situazione appropriata ad una confessione come quella. Per poi vedersi rovinare tutto quanto dalla telefonata di Lestrade che lo avvisava che la tradizionale festa della Polizia era stata spostata a quel sabato. Sherlock, mai come in quel momento, avrebbe voluto poter viaggiare attraverso il filo del telefono e lanciare qualcosa dietro all’Ispettore. Per fargli male, molto male.
Per il detective era stato difficile persino ammetterlo, rendersi conto che lui, proprio Sherlock Holmes, il freddo Consulente Investigativo privo di qualsivoglia sentimento era irrimediabilmente attratto dal suo migliore amico e coinquilino. Perché si, lo era, e solo la sera prima si era costretto a ripeterselo come un mantra davanti allo specchio, come se così la cosa diventasse ufficiale e reale a tutti gli effetti.

Sono innamorato di John. Sherlock Holmes e John Watson. Sherlock innamorato di John.

Si sentiva sopraffatto, per la prima volta nella sua vita, da qualcosa di molto più grande di lui. Quel sentimento lo spaventava e allo stesso tempo gli faceva provare qualcosa di mai sentito, diverso e –per quanto gli pesasse dirlo- piacevole. Aveva cominciato a dimenticarsi completamente del suo lavoro quando John era con lui. Aveva imparato… quasi a chiudere la mente in certi  momenti. Ed era terrorizzato da quel particolare. Nonostante questo però aveva cercato la vicinanza di John, aveva cercato di compiacerlo, per quanto gli riusciva, in tutto quello che cercava, che desiderava.
Sherlock si sentiva come in preda ad una strana frenesia. L’amore, per lui, era sempre stata una distrazione, una malattia. E adesso che lui l’aveva presa, non aveva la minima intenzione di cercare una cura. O meglio, per un uomo pratico come lui, l’unica cura possibile era l’azione, l’agire. E Lestrade aveva stravolto ogni piano.

Come se non bastasse Anderson aveva smesso di fissarlo, e le sue moleste attenzioni adesso erano rivolte al medico, intento a riempirsi un bicchiere. Sherlock lo vide avvicinarsi a John rivolgendogli un cenno di saluto e appoggiandosi con la schiena al tavolo, senza staccargli gli occhi di dosso. Sembrava decisamente diverso dal solito.

Una sorta di furia assassina si impadronì di lui in quel preciso momento. Era li ad annoiarsi a morte, ed era anche costretto a vedere quell’uomo insopportabile girare intorno al suo amico. Strinse i denti e fermò Donovan, di passaggio al tavolo, bloccandola con un braccio.
Lei mi rivolse un’occhiata acida ma curiosa e mise le mani sui fianchi, come una maestrina in procinto di punire un alunno capriccioso.
“Che vuoi, geniaccio?” domandò, impaziente.
“Che diavolo succede ad Anderson?” domandò Sherlock, senza curarsi del fatto che lei fosse decisamente impaziente di andar via.
Sally spostò lo sguardo verso il soggetto delle attenzioni di Sherlock e sul suo viso comparve un sorriso beffardo.
“Fossi in te starei attenta a lui, geniaccio. Sembra decisamente interessato al tuo John”

Sherlock strabuzzò gli occhi,sentendo il sangue gelarglisi nelle vene. Una strana rabbia si impossessò del suo cervello che immediatamente si mise a lavorare senza sosta.
“Anderson è sposato. E… e ci sei anche tu” Sherlock la guardò attentamente.
Ginocchia sane/vecchio profumo/trucco diverso

“Ti sei perso qualcosa, allora. E’ uno spirito libero adesso, ed è meglio così per tutti. E oltretutto ha scoperto… nuovi orizzonti, se capisci l’allusione” si liberò dal suo braccio, e sventolando una mano con ancora quel sorrisetto compiaciuto in volto, se ne andò.
Sherlock non sapeva cosa pensare. Quello che riusciva a fare era stare fermo li, imbambolato come una statua di cera a guardarli parlare, senza fare o dire nulla. Si sentiva montare dentro un calore che non riusciva a spiegare, come lava che ribolle nella pancia di un vulcano. Solo una parola riusciva a venirgli in mente. Gelosia.

Sospirò, cercando di fare spazio nella sua testa, per elaborare un nuovo piano d’azione.

 

§

John non riusciva a spiegarsi quell’eccessiva dose di attenzioni da parte di Anderson. Si erano a malapena scambiati due parole da quando si erano conosciuti e adesso quell’uomo tanto detestato da Sherlock sembrava per un qualche motivo a lui ignoto, interessatissimo alla sua vita. Si sporgeva verso di lui per osservarlo meglio, quasi come se stesse ascoltando un discorso talmente interessante da non poter perdere neppure una parola. John cominciava a sentirsi a disagio con il fiato di quell’uomo sul collo. Oltretutto quella smorfia sulla sua faccia non lo rassicurava più di tanto; sapeva che Sherlock esasperava il suo essere terribilmente irritante ma John cominciava a pensare che un fondo di verità nei continui punzecchiamenti del detective ci fosse, effettivamente.
“Interessante… quindi ti hanno sparato… doveva essere talmente difficile li, così lontano da casa, in quelle condizioni tanto difficili…” esclamò Anderson in risposta al racconto di John, avvicinandosi ancora. John si scostò lentamente cercando di farlo sembrare un movimento involontario. Sorrise, non sapendo cosa dire.
“Eppure sei rimasto, hai combattuto…Oh John, vorrei avere il tuo coraggio” lo adulò, e a quel punto, nella mente di John scattò la molla del dubbio. Osservò Sherlock poco lontano, che a sua volta fissava loro con un espressione indecifrabile sul volto. Il cuore di John fece un salto quando si ritrovò a sperare che fosse geloso, in fondo in fondo, anche se quella parola e il suo relativo significato erano completamente inesistenti sul vocabolario di Sherlock Holmes. In cuor suo una scenata di gelosia con i fiocchi, come in quei vecchi film in bianco e nero che davano sulla BBC il sabato sera, sarebbe stato il culmine della sua vita.

Perché John era stanco di nascondere la verità. Desiderava Sherlock con tutto se stesso, per quanto ogni volta si rendesse conto di essere un pazzo. Un ex medico dell’esercito, adesso medico d’ambulatorio , innamorato del suo intelligentissimo, sociopatico, asessuato e strambo coinquilino, che si vantava di essere l’unico e solo Consulente Investigativo al mondo. Sarebbe stata la trama perfetta per una sit-com.

Scosse la testa, allontanando quei pensieri.

“Ti ringrazio Anderson. Mi fa piacere che lo pensi” optò per una risposta semplice e diplomatica, che il suo interlocutore sembrò gradire particolarmente.
“Oh figurati. Sai, credo che qualche ora lontana dal tuo disadattato coinquilino ti farebbe bene. Ti va di andare a bere qualcosa…domani, magari?”

John ebbe la conferma delle sue supposizioni in nove semplici, ineluttabili parole. Guardò l’uomo di fronte a lui boccheggiando, alla disperata ricerca delle parole adatte per respingere l’invito senza offenderlo. Cosa che però, e John era terrorizzato, non gli era assolutamente facile.
“Ecco…io…” farfugliò, osservandosi le punte delle scarpe “io…credo di avere un altro impegno. Improrogabile” si morse la lingua, e pregò mentalmente di essere stato abbastanza convincente.
Anderson lo guardò inarcando un sopracciglio e sbuffando, con aria di chi la sa lunga.
“Credi che al tuo amico non piacerebbe, eh? Sicuramente vorrà tenerti con te per uno dei suoi esperimenti sconclusionati. O forse per il semplice gusto di negarti un divertimento, dato che non ne conosce il significato”

John scosse la testa, cominciando a sentirsi quasi offeso, nonostante non stesse parlando di lui ma di Sherlock. John se ne preoccupò, ma decise di accantonare il pensiero.
“Tu non lo conosci bene quanto me. Lui non lo fa per cattiveria…”
Anderson ridacchiò, sarcastico.
“Oh si, certo, ne sono sicuro” bisbigliò, prima di avvicinarsi ancora di più, quasi annullando le distanze fra loro due. John si trattenne al tavolo, afferrando un bicchiere in caso di necessità.
“Io però non ti farei certo rimpiangere la sua compagnia. Conosco tante cose che potremmo fare, insieme per…ecco, divertirci appieno” sussurrò con un’espressione languida che era lungi dall’essere sensuale o ammiccante.
John sospirò, in cerca di un modo per scappare via da li.

§


Era troppo vicino. Aveva varcato il limite invalicabile, superato la barriera, entrato in campo minato senza permesso. Nell’esatto momento in cui la distanza fra i loro visi era diventata meno dei già preoccupanti quindici centimetri Sherlock era esploso. Il bicchiere che aveva in mano si era accartocciato malamente nella sua stretta, agonizzante, e la povera tovaglia di stoffa del buffet avrebbe avuto bisogno di un rattoppamento generale.

Sapeva leggere le labbra, anche se non bene, ma Anderson aveva il vizio di muovere la bocca fin troppo, ed emettendo anche fin troppi suoni inopportuni.

E quello che aveva detto era una violazione di una delle dieci basilari regole per convivere pacificamente con Sherlock Holmes:

 

-Non fare proposte di nessun tipo a John H. Watson a una distanza di almeno dieci kilometri da me.

 

Sherlock si incamminò verso i due, che si voltarono simultaneamente a guardarlo. L’espressione di Anderson vagava tra l’esasperato e il disinteressato, mentre quella di John era solo palesemente preoccupata. Per non dire terribilmente tesa.

Quando fu di fronte a loro, fulminò immediatamente Anderson con il solo ausilio degli occhi. Se fossero stati in un cartone animato, questa volta le scintille lanciate da quello sguardo sarebbero bastate ad illuminare tutta la sala.
“Non hai nulla di meglio da fare che importunare gente che non ha nessuna voglia di passare del tempo con te?”

Anderson non sembrò minimamente toccato dalla provocazione di Sherlock, ma si scostò dal tavolo per andare a pararsi avanti a lui, con aria di sfida.
“E chi lo dice, che non ha voglia, genio? Mi sembra che fosse più che felice di chiacchierare un po’ con me, prima che tu venissi a interrompere, come tuo solito” sibilò. Sherlock strinse i pugni, reprimendo dentro di se la malsana voglia di prendere a pugni quella faccia strafottente. Doveva assolutamente evitare il contatto fisico con quella persona.
“E’ vero, John?” domandò al suo amico che visibilmente combattuto vagava con lo sguardo dall’uno all’altro, senza sapere cosa dire.
“Silenzio è assenso, Sherlock” disse Anderson, tra i denti.
“Ho sempre odiato questo modo di dire, è talmente infondato” Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Silenzio non vuol dire assolutamente nulla. Silenzio magari vuol dire che non ha idea di cosa rispondere per non urtare la tua sensibilità. La gente comune è fatta così”

Anderson schioccò le ossa della mano destra, e Sherlock comprese che la voglia di arrivare alle mani era pienamente condivisa anche dal suo avversario. Un sorrisetto divertito e elusivo comparve sul volto di Anderson.
“E si può sapere a te cosa importa, genio? Cosa c’è nel mio comportamento verso John che ti irrita così tanto?” alluse, e John piantò lo sguardo verso Sherlock, improvvisamente totalmente interessato. Il cuore di Sherlock saltò un battito.
“Tengo alla salute mentale. Non oso pensare come potrebbe tornare a casa dopo due ore in tua compagnia”

“Oh certo, è un interesse puramente intellettuale”
“Per l’appunto”

 

John si sentiva come lo spettatore di una fin troppo rapida partita di ping pong. Guardava Sherlock e poi Anderson seguendo il ritmo frenetico dei loro botta e risposta senza riuscire a comprendere nulla della situazione. O meglio, mille domande ricorrevano nella sua mente, tartassandola. Perché Sherlock aveva tutto quell’interesse che lui non passasse del tempo con quell’uomo? Stava davvero stringendo le mani in quel modo per resistere all’impulso di picchiarlo? Era davvero un’espressione furiosa quella di Sherlock verso Anderson? E…perché tutto quello che stava succedendo… stava succedendo?

L’ipotesi ‘gelosia’ stuzzicò l’immaginazione di John come un fulmine a ciel sereno, questa volta però decisamente meno irreale di come gli era sembrata poco prima. Il suo cuore prese a battere con la velocità di un razzo e tornò ad interessarsi alla conversazione, sperando di riuscire a carpire qualche altro indizio.

Anderson adesso rideva di gusto, con le braccia conserte, sbeffeggiandolo.
“Oh ma guardatelo, che carino. Si preoccupa per il suo amichetto. Teme che frequenti cattive compagnie…sono commosso

“Se voi non ve ne foste accorti, io sono qui…” John attirò l’attenzione, sentendosi improvvisamente come la ricca ricompensa fra due agguerriti sfidanti. Anche se non aveva ancora capito su che piano si basava, quella sfida.

“Zitto, John” Sherlock lo guardò di sfuggita “è un mio affare. Con lui”
John lo fissò ad occhi sbarrati.
“Ma state parlando di me!”

Sherlock lo guardò, eloquente, sperando con tutto il cuore che non ci fosse bisogno di spiegare con ulteriori parole. Annuì.
“Appunto. E’ affar mio

John rimase impietrito, paralizzato sul posto. Una marea di sentimenti sconclusionati, emozioni contrastanti e intense si rincorrevano dentro di lui lottando per uscire.
“Oh mio Dio” fu tutto quello che riuscì a dire. Sherlock non rispose e Anderson ancora lo guardava come si guarda una scena del crimine piuttosto cruenta.
“John è adulto, Sherlock, e può fare quello che vuole. Non sei la sua baby-sitter e se vuole accettare un mio invito può farlo, con la sua testa. Non c’entri, sei fuori, non hai autorità su di lui”

A quella frase, qualcosa scattò nella mente di John. E se avesse fatto anche lui il suo gioco, facendo credere a Sherlock di essere seriamente interessato ad Anderson –anche se in realtà era l’ultimo dei suoi pensieri- e capire in questo modo le sue intenzioni? John sorrise sommessamente e tirò un sospiro, per incoraggiarsi.
“Anderson ha ragione, Sherlock. Sono capace di pensare con la mia testa” disse, velocemente, cercando di togliersi subito il dente dolente. L’espressione di Sherlock fu esattamente quella che si era aspettato. Si vedeva benissimo che era combattuto e le sue sopracciglia inarcate tradivano il suo sbigottimento per l’essere stato abbandonato all’improvviso nella missione. Certamente si era aspettato l’appoggio del coinquilino, senza pensare alla tattica che aveva deciso di adottare.
“John, hai bevuto”
“Oh no, Sherlock. Sono perfettamente sobrio”
Dalla bocca di Anderson uscì un suono soddisfatto, che Sherlock troncò con un’occhiata furiosa.

“Per l’amor del Cielo, John! Ti sto aiutando!” gridò Sherlock, basito “Io sto cercando di…proteggerti!” Sherlock mise particolare enfasi su quell’ultima parola, muovendo le labbra come per abituarsi ad un suono nuovo, quasi mai utilizzato. Il cuore del dottore fece un balzo. Era certo che una frase simile non fosse mai uscita dalla bocca di Sherlock.

Oh Dio pensò questa potrebbe essere una grandiosa serata.

“Sono lusingato Sherlock, ma credo di potermela cavarmela da solo” rispose ancora, anche se cominciava a sentirsi decisamente in colpa, vista la reazione sconcertata dell’altro.
Anderson posò una mano sulla sua spalla, e John trasalì quando i suoi occhi vi si posarono per poi passare allo sguardo di Sherlock, spiritato. Doveva assolutamente dare una svolta alla faccenda, che si stava facendo decisamente calda.
Sherlock sembrò pensoso, per un secondo, e John lo vide mordersi il labbro inferiore nervosamente. Lo fissava, e allo stesso tempo sembrava non metterlo a fuoco, come se fosse solo una pallida ombra di se stesso da cui si poteva guardare attraverso. Alla fine, dopo secondi lunghissimi, con la presa di Anderson sempre più salda sulla sua spalla, qualcosa nell’espressione del detective cambiò.

 

§

 

Sherlock era sbigottito dall’atteggiamento di John. Si era ritrovato a combattere da solo una battaglia che credeva fosse pienamente condivisa dal medico, che gli sarebbe servita a mettersi sotto una luce diversa, ancora migliore agli occhi di lui…e invece, la situazione gli stava sfuggendo completamente di mano.

Guardò John, dopo la sua ultima affermazione, sperando di riuscire a leggere qualcosa in quegli occhi grandi e profondi, qualcosa che lo aiutasse a capire che cosa stava succedendo. Era sicuro che John non apprezzasse le avance spudorate di Anderson, lo aveva visto, aveva visto il modo in cui aveva contratto i muscoli, a disagio… e allora?
Lo fissò e John mantenne il suo sguardo, coraggiosamente. E finalmente, o almeno così sperava con tutto il cuore, la situazione sembrò chiarirsi, tutto un tratto.
John aveva una strategia, lo sapeva, riusciva a sentire chiaramente le sue intenzioni. Voleva testare la sua resistenza, spingerlo al limite per vedere fin dove sarebbe arrivato, pur di proteggerlo. John voleva sapere fin dove si sarebbe spinto per lui.

Si sentì improvvisamente…acceso, non c’era termine più adatto. Si sentì iperattivo, spronato, incoraggiato. John lo voleva.

Oh, grandioso pensò Sherlock ti farò vedere io, amico mio.

Sherlock sorrise, e si rivolse nuovamente ad Anderson, con voce fintamente rassegnata.
“Oh beh. Davanti ad un così esplicito invito a farmi gli affari miei, posso solo tacere” disse e Anderson gli sorrise di rimando, sgradevole come al solito.

John sembrava preoccupato. Si era arreso così in fretta? Sherlock godette dell’espressione corrucciata del suo viso.
Anderson poi si avvicinò a Sherlock, costringendolo a voltarsi, e gli rivolse un’occhiata di sfida, strafottente.
“E certamente potrà passare il tempo in maniera molto più fruttuosa che con te. Ho già in mente due o tre cosine divertenti per il tuo dottore… riesci a immaginarle, genio?” disse ad alta voce per non farsi sentire da John, che comunque comprese tutto. Trattenne il respiro. Sherlock strinse i pugni ancora più forte, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani mentre sentiva qualcosa di sconosciuto, rabbia si, ma mista a qualcosa di diverso e ancora più forte, salirgli fino alla punta dei capelli.

Aveva saputo reggere il gioco, aveva cercato di rendere a John pan per focaccia ma adesso, quelle parole lo avevano letteralmente mandato fuori controllo. Il pacato, razionale, intellettuale Sherlock Holmes perse completamente il controllo di sè, quella sera, davanti a cento membri della polizia di Scotland Yard, e soprattutto davanti a John.
“Ripeti. Quello. Che. Hai. Detto” scandì ogni parola, come se dovesse inciderla a fuoco nel suo cervello.
“Ho detto che ho intenzione di spassarmela con il tuo dolce dottorino. Come tu non avrai mai il coraggio di fare” ripeté l’altro con flemma, così che potesse comprendere bene. E Sherlock aveva capito più che bene.
Spense il cervello, in quel preciso istante. La mente vagò verso lidi sconosciuti, la sua razionalità scomparve miseramente nel momento in cui il suo pugno stretto e saldo colpì con straordinaria precisione la guancia destra di Anderson, che fece un sonoro crac preoccupante che fece voltare tutti i presenti.

“Sherlock!” gridò John shockato, guardando i due avvinghiarsi in una sorta di rissa improvvisata sul tavolo delle bevande. Non aveva il coraggio di infilarsi nella faccenda nonostante fosse praticamente il motivo principale di quello scontro. Era talmente allibito che non sapeva se sentirsi euforico, sconvolto o terribilmente lusingato.
“Maledetto!” urlò Anderson massaggiandosi la mascella e attirando Sherlock a sé per la collottola del cappotto. Gli sferrò un pugno a sua volta che colpì Sherlock sul labbro, che con un gemito strozzato ricambiò stringendogli il braccio in una morsa saldissima.
“Lasciami andare!” gridò la povera vittima mentre Sherlock rinforzava ancora la presa. Anderson riuscì a liberarsi lo stesso e lo colpì sulla spalla con una delle brocche del punch, colma fino all’orlo, inzuppandolo dal collo in giù.
Sherlock sembrava totalmente sconvolto.
“Oggi hai rasentato il limite Anderson. Credevo che non potessi scendere più in basso di come già sei!” ruggì, colpendolo di nuovo in un continuo scambio di botte e pugni più o meno ben assestati. Anderson ormai gettava in aria mani e piedi alla cieca pur di parare i colpi.
“Hai mancato di rispetto a John” gridò “e al mio cappotto!” aggiunse come se si fosse appena trovato davanti ad un oltraggio alla Corona. John era ancora li imbambolato, senza avere la forza di reagire, completamente assorbito da quella situazione tanto strana quanto gratificante. Con un po’ d’imbarazzo tornò a pensare al desiderio che aveva espresso neanche tanto tempo prima, sulla scenata di gelosia, sui vecchi film e tutto il resto. Fuori era una statua ma dentro di sé una belva ruggiva trionfante.
“Ragazzi…calma, calma per favore!” intervenne Lestrade poco lontano, trattenendo una risata con scarsi risultati. Guardò John, e appena incontrato il suo sguardo non poterono fare a meno di scoppiare a ridere di fronte a quella situazione.

Alla fine, riuscirono a separarli, in un modo o nell’altro.
Sherlock aveva ridotto Anderson ad un ammasso dolorante di lividi e graffi, come se l’uomo fosse stato buttato in una fossa piena di felini affamati. Sherlock dal canto suo se l’era cavata decisamente meglio ma anche lui aveva la sua buona razione di botte più o meno visibili sul viso e un taglio vistoso e sanguinante sul labbro.
Il detective era ancora in piedi mentre Anderson si reggeva al tavolo semidistrutto, barcollante. Rivolse a Sherlock un’ occhiata piena di risentimento e tentennò sui suoi stessi piedi come se volesse riprendere la rissa da un momento all’altro, ma alla fine, rinunciò.
“Oh, andate al diavolo! Il dottorino non vale tutta questa pena!” sibilò un’ultima volta. Sherlock aprì la bocca incredulo, e sembrò sul punto di volerglisi di nuovo avventare contro, ma fu prontamente bloccato da Lestrade.
“Auguri e felicitazioni!” disse ancora una volta, sarcastico mentre veniva portato via da due colleghi piegati in due dalle risate.
Sherlock si riassettò, sistemandosi il cappotto zuppo come meglio poteva, come se non fosse malconcio e dolorante ma spigliato e soddisfatto come qualcuno che esce a prendere una boccata d’aria dopo ore in mezzo ad una folla. John gli si avvicinò, finalmente riappropriatosi delle proprie facoltà motorie.
Sherlock incrociò lo sguardo con il suo, e un sorriso bonario e divertito comparve sul volto di John e di conseguenza Sherlock ricambiò, con un sorriso aperto, pieno di calore. John adorava quando sorrideva in quel modo, anche se accadeva raramente. Era come assistere ad un’eclissi di sole, ad un’alba in riva al mare o alla prima nevicata della stagione. Era qualcosa che accadeva di rado ma che quando succedeva ti riempiva di gioia.

“Beh, Sherlock. Hai scelto un modo originale per ravvivare la serata” esclamò, come se parlasse del tempo. Sherlock aggrottò le sopracciglia.
“Tu non mi hai aiutato neppure un po’ però. Che razza di assistente saresti?”
“Oh perdonami. Ero troppo impegnato a guardare il mio migliore amico gettarsi in una rissa con un uomo perché mi aveva chiesto un appuntamento” rispose John “era uno spettacolo troppo unico perché potessi perdermi anche solo un secondo”.

Sherlock sorrise ancora e si guardò intorno, dove tutti gli sguardi degli invitati erano inevitabilmente puntati verso di loro.
“Forse dovremmo continuare la conversazione altrove. Mi sento fin troppo osservato”

 

§


All’esterno, una pioggerellina sottile scendeva copiosa ma rinfrescante e John aveva davvero bisogno di quella frescura sul viso, dopo le emozioni di nemmeno un quarto d’ora prima. Lui e Sherlock erano in piedi, alla balconata, in silenzio senza dire una parola dopo la chiacchierata goliardica di poco prima. John sapeva che qualcosa sarebbe dovuto accadere inevitabilmente, dopo tutto quello che c’era stato, che Sherlock gli avrebbe dovuto una spiegazione, dato che certamente aveva capito che John aveva capito.

John sospirò, cercando mentalmente qualcosa da dire. Alla fine decise di non starci a pensare troppo: era qualcosa che doveva venir fuori naturalmente, senza macchinazioni o piani programmati.
“Comunque grazie” fu tutto quello che disse, dopo quel silenzio pieno d’attesa. “è stata la cosa più… bella che qualcuno abbia mai fatto per me”

Sherlock lo guardò, i suoi begli occhi chiari che sembravano parlare, pieni di qualcosa che John non riusciva a decifrare.
“Dovere, John. Dovevo salvarti in qualche modo. Forse è stato un tantino plateale ma dopotutto mi rinfacci sempre di esserlo fin troppo”
“Già”
“E pensavo…” cominciò nuovamente Sherlock per poi bloccarsi, guardandosi le mani poggiate sul parapetto del balcone “e pensavo che ti sarebbe piaciuto. Che ti avrebbe fatto piacere. Una cosa come in quei film che guardi il sabato sulla BBC”
John trattenne una risata, quando sentì quella frase. Guardò il suo amico con espressione grata e riconoscente. Il cuore batteva, forte, intenso. Guardò il viso di Sherlock ancora rivolto verso il suo in attesa di qualcosa che neanche lui sapeva. Le parole salirono alla bocca di John senza che nemmeno se ne accorgesse.
“In quei film accade sempre qualcosa dopo quelle spettacolari scenate di gelosia” esordì John abbassando poi lo sguardo sentendosi avvampare “sai, il momento clou”
Sherlock guardò in cielo, come se non riuscisse a ricordare.
“Uhm…non credo di capire a cosa ti riferisci” affermò. Si spostò leggermente, avvicinandosi a John e arrivando pericolosamente con il suo viso a pochi centimetri da quello del dottore.
“Potrei aiutarti a ricordare con una dimostrazione pratica, Sherlock” propose il medico, ormai con la mente completamente spenta, eccitato, euforico, fuori dal mondo.
“Oh, si. Sai quanto amo le dimostrazioni pratiche, dottore” rispose Sherlock con un sorriso appena accennato, annullando completamente le distanze fra lui e John e lasciando che quest’ultimo posasse le sue labbra sulle proprie, con dolcezza.

Sherlock era inesperto, ma uno studente terribilmente veloce e quel bacio timido, appena accennato, si trasformò in qualcosa di meraviglioso, appassionato, pieno d’amore solo qualche secondo dopo. John non si era mai, mai sentito in quel modo in tutta la sua vita. Era una sensazione fortissima che non aveva mai provato ma che amava, adorava, che avrebbe voluto provare per tutto il resto della sua vita. Strinse ancora Sherlock a sè, attirandolo ancora più vicino con la sciarpa.

Quando si separarono, Sherlock lo guardò come se stesse guardando un gioiello raro e meraviglioso.
“E’ stata una dimostrazione convincente. Sei promosso” disse con tono d’approvazione. John scoppiò a ridere.
“Si sono d’accordo. La mia dimostrazione più riuscita” affermò. Non riusciva a smettere di guardarlo.
“Però ti conviene darti una ripulita… anche se hai addosso un gradevole sapore di fragola che non è male”

Sherlock sorrise, felice, completamente sereno per la prima volta nella vita. Si sentiva realizzato, arrivato. Completo. Ed era una sensazione che trascendeva qualunque altra avesse mai provato.

“E’ il sapore della vittoria, John. Della mia vittoria su di te, e per l’amor del Cielo della mia schiacciante vittoria su Anderson” assaporò le parole come fossero solide, e guardò nel vuoto, probabilmente ricordando l’avventura di poco prima. John rise di nuovo.

“E guai a te se avrai ancora da ridire su quanto siano noiose le feste di Scotland Yard!”

*

 

 



 

 

 

 

 

 


 

 



 

  
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