Grazie ancora a tutti, non
mi stancherò mai di dirlo, per leggere e recensire le mie
fanfiction. Siete
fantastici e vi ringrazio un mondo, uno ad uno!
Era un po’ che non scrivevo, ma in questi giorni ho ripreso
in mano la penna (o
meglio, la tastiera) e ho buttato giù questa
storia… mi mancava, scrivere dei
nostri due beniamini!
Protagonisti, si capisce, i nostri Sherlock e John ovviamente!
Spero vi piaccia e di non aver
fatto troppo male, al
solito!
Buona Lettura!
S.
Breaking
the rules
*
Sherlock avrebbe odiato
quelle feste di Scotland Yard fino alla fine dei suoi giorni. Anche se,
e
questo lo sperava vivamente, avrebbe voluto con tutto il cuore che
quella
ricorrenza venisse abolita per un motivo o per l’altro
decisamente molto prima.
John lo raggiunse al
tavolo del buffet, con un sorriso incoraggiante. Era straordinaria la
sua
capacità di leggere lo stato d’animo di Sherlock
da una sola occhiata: per
Sherlock era qualcosa di totalmente nuovo, dato che la maggior parte
della
gente cercava di non soffermarsi troppo in sua compagnia, figurarsi
fermarsi a
osservarlo quanto bastava per interpretarlo.
“Dai, Sherlock,
sopporta
ancora un po’, so che puoi farcela” lo
spronò John, sfiorandogli il braccio con
un gomito. Sherlock sbuffò.
“Sai qual è la cosa che mi irrita di
più? Il fatto che qui sia pieno di gente
che mal mi sopporta, anche se la cosa è più che
reciproca, e che Lestrade
continui comunque ad invitarmi quando potrei impiegare il mio tempo in
maniera
decisamente più fruttuosa” sussurrò,
con la sua voce ugualmente profonda. John
storse il naso, senza rispondere, prendendo un altro sorso del qualcosa
che
aveva nel bicchiere.
“Vogliono solo essere gentili, Sherlock. Dopotutto risolvi la
metà dei loro
casi”
“Mi farebbero la gentilezza più grande lasciandomi
sul mio divano”
John represse una risata.
“Per sentirti lamentarti tutto il giorno per la noia? Per
quando detesti
anch’io questa festa la preferisco di gran lunga al tuo
berciare di quando ti
annoi”
Sherlock lo fissò a
lungo,
come se stesse cercando di trasmettergli una qualche muta minaccia. Lo
sguardo
sembrò sortire l’effetto desiderato e John
spostò gli occhi in basso,
fissandosi i piedi.
“E poi
c’è Anderson, John”
disse Sherlock puntando lo sguardo sull’uomo
all’angolo della sala, che
sembrava non voler staccare loro gli occhi di dosso “oggi
è più irritante del
solito. Ci sta fissando da quando siamo arrivati qui. Prova a farmi una
domanda, John. Il suo sguardo su di me è nocivo, me lo
sento”
John lo guardò,
boccheggiando, senza sapere cosa dire.
“Pensi che il fatto che ti stia guardando sia…
nocivo? Cos’è, ha una specie di
sguardo laser che ti rende stupido appena di punta?”
Sherlock fissò ancora Anderson che ancora se ne stava
lì con quel suo
sorrisetto simile ad una smorfia sul viso appuntito, senza demordere
dall’osservarli.
“Diciamo che la tua è una pittoresca
interpretazione del mio pensiero” gli
abbuonò “forza, fammi una domanda”
“E che razza di
domanda
dovrei farti?” John era allibito. E dire che pensava di
esserci abituato ormai.
“Una
qualunque.”
John alzò gli occhi al cielo, pensoso. Poggiò il
bicchiere sul tavolo e prese a
tamburellarvi le dita della mano destra.
“Ehm…il numero atomico
dell’Iridio” optò.
Sherlock sbuffò.
“Settantasei” rispose Sherlock, sicuro.
John sbarrò gli occhi, allibito.
“E’
settantasette” lo
corresse John, guardando il suo amico come se fosse un alieno. Sherlock
strinse
le labbra e batté un pugno sul tavolo.
“Avevo ragione. La sola aura negativa di quell’uomo
inibisce le mie capacità” affermò
sicuro, scambiandosi con Anderson occhiate acide. Se si fossero
ritrovati in un
cartone animato, chi avesse cercato di attraversare la linea
immaginaria tra
lui e Anderson si sarebbe trovato davanti una interminabile,
spessissima lastra
di ghiaccio.
John scosse la testa, indeciso tra l’essere esasperato o
divertito.
“Pensala come vuoi, Sherlock. Vado a prendere
qualcos’altro da bere” John si
congedò dal coinquilino che lo osservò irritato,
come fosse un soldato che
abbandona un commilitone nel pieno di una battaglia.
La realtà, la vera e ineluttabile verità era
però che Sherlock aveva tutt’altri
piani per quella sera. Si era preparato per sette lunghi giorni; aveva
pensato
a cosa dire, alle parole giuste, alla situazione appropriata ad una
confessione
come quella. Per poi vedersi rovinare tutto quanto dalla telefonata di
Lestrade
che lo avvisava che la tradizionale festa della Polizia era stata
spostata a
quel sabato. Sherlock, mai come in quel momento, avrebbe voluto poter
viaggiare
attraverso il filo del telefono e lanciare qualcosa dietro
all’Ispettore. Per
fargli male, molto male.
Per il detective era stato difficile persino ammetterlo, rendersi conto
che
lui, proprio Sherlock Holmes, il freddo Consulente Investigativo privo
di
qualsivoglia sentimento era irrimediabilmente attratto dal suo migliore
amico e
coinquilino. Perché si, lo era, e solo la sera prima si era
costretto a
ripeterselo come un mantra davanti allo specchio, come se
così la cosa
diventasse ufficiale e reale a tutti gli effetti.
Sono innamorato di John.
Sherlock Holmes e John
Watson. Sherlock innamorato di John.
Si sentiva sopraffatto,
per la prima volta nella sua vita, da qualcosa di molto più
grande di lui. Quel
sentimento lo spaventava e allo stesso tempo gli faceva provare
qualcosa di mai
sentito, diverso e –per quanto gli pesasse dirlo- piacevole. Aveva cominciato a
dimenticarsi completamente del suo
lavoro quando John era con lui. Aveva imparato… quasi a
chiudere la mente in
certi momenti. Ed
era terrorizzato da
quel particolare. Nonostante questo però aveva cercato la
vicinanza di John,
aveva cercato di compiacerlo, per quanto gli riusciva, in tutto quello
che
cercava, che desiderava.
Sherlock si sentiva come in preda ad una strana frenesia.
L’amore, per lui, era
sempre stata una distrazione, una malattia. E adesso che lui
l’aveva presa, non
aveva la minima intenzione di cercare una cura. O meglio, per un uomo
pratico
come lui, l’unica cura possibile era l’azione,
l’agire. E Lestrade aveva
stravolto ogni piano.
Come se non bastasse
Anderson aveva smesso di fissarlo, e le sue moleste attenzioni adesso
erano
rivolte al medico, intento a riempirsi un bicchiere. Sherlock lo vide
avvicinarsi a John rivolgendogli un cenno di saluto e appoggiandosi con
la
schiena al tavolo, senza staccargli gli occhi di dosso. Sembrava
decisamente
diverso dal solito.
Una sorta di furia
assassina si impadronì di lui in quel preciso momento. Era
li ad annoiarsi a
morte, ed era anche costretto a vedere quell’uomo
insopportabile girare intorno
al suo amico. Strinse i denti e fermò Donovan, di passaggio
al tavolo,
bloccandola con un braccio.
Lei mi rivolse un’occhiata acida ma curiosa e mise le mani
sui fianchi, come
una maestrina in procinto di punire un alunno capriccioso.
“Che vuoi, geniaccio?” domandò,
impaziente.
“Che diavolo succede ad Anderson?”
domandò Sherlock, senza curarsi del fatto
che lei fosse decisamente impaziente di andar via.
Sally spostò lo sguardo verso il soggetto delle attenzioni
di Sherlock e sul
suo viso comparve un sorriso beffardo.
“Fossi in te starei attenta a lui, geniaccio. Sembra
decisamente interessato al
tuo John”
Sherlock strabuzzò
gli
occhi,sentendo il sangue gelarglisi nelle vene. Una strana rabbia si
impossessò
del suo cervello che immediatamente si mise a lavorare senza sosta.
“Anderson è sposato. E… e ci sei anche
tu” Sherlock la guardò attentamente.
Ginocchia sane/vecchio profumo/trucco
diverso
“Ti sei perso
qualcosa,
allora. E’ uno spirito libero adesso, ed è meglio
così per tutti. E oltretutto
ha scoperto… nuovi orizzonti,
se
capisci l’allusione” si liberò dal suo
braccio, e sventolando una mano con
ancora quel sorrisetto compiaciuto in volto, se ne andò.
Sherlock non sapeva cosa pensare. Quello che riusciva a fare era stare
fermo
li, imbambolato come una statua di cera a guardarli parlare, senza fare
o dire
nulla. Si sentiva montare dentro un calore che non riusciva a spiegare,
come
lava che ribolle nella pancia di un vulcano. Solo una parola riusciva a
venirgli in mente. Gelosia.
Sospirò, cercando
di fare
spazio nella sua testa, per elaborare un nuovo piano d’azione.
§
John non riusciva a
spiegarsi quell’eccessiva dose di attenzioni da parte di
Anderson. Si erano a malapena
scambiati due parole da quando si erano conosciuti e adesso
quell’uomo tanto
detestato da Sherlock sembrava per un qualche motivo a lui ignoto,
interessatissimo alla sua vita. Si sporgeva verso di lui per osservarlo
meglio,
quasi come se stesse ascoltando un discorso talmente interessante da
non poter
perdere neppure una parola. John cominciava a sentirsi a disagio con il
fiato
di quell’uomo sul collo. Oltretutto quella smorfia sulla sua
faccia non lo
rassicurava più di tanto; sapeva che Sherlock esasperava il
suo essere
terribilmente irritante ma John cominciava a pensare che un fondo di
verità nei
continui punzecchiamenti del detective ci fosse, effettivamente.
“Interessante… quindi ti hanno sparato…
doveva essere talmente difficile li,
così lontano da casa, in quelle condizioni tanto
difficili…” esclamò Anderson
in risposta al racconto di John, avvicinandosi ancora. John si
scostò lentamente
cercando di farlo sembrare un movimento involontario. Sorrise, non
sapendo cosa
dire.
“Eppure sei rimasto, hai combattuto…Oh John,
vorrei avere il tuo coraggio” lo
adulò, e a quel punto, nella mente di John scattò
la molla del dubbio. Osservò
Sherlock poco lontano, che a sua volta fissava loro con un espressione
indecifrabile sul volto. Il cuore di John fece un salto quando si
ritrovò a
sperare che fosse geloso, in fondo in fondo, anche se quella parola e
il suo
relativo significato erano completamente inesistenti sul vocabolario di
Sherlock Holmes. In cuor suo una scenata di gelosia con i fiocchi, come
in quei
vecchi film in bianco e nero che davano sulla BBC il sabato sera,
sarebbe stato
il culmine della sua vita.
Perché John era
stanco di nascondere
la verità. Desiderava Sherlock con tutto se stesso, per
quanto ogni volta si
rendesse conto di essere un pazzo. Un ex medico
dell’esercito, adesso medico
d’ambulatorio , innamorato del suo intelligentissimo,
sociopatico, asessuato e
strambo coinquilino, che si vantava di essere l’unico e solo
Consulente
Investigativo al mondo. Sarebbe stata la trama perfetta per una sit-com.
Scosse la testa,
allontanando quei pensieri.
“Ti ringrazio
Anderson. Mi
fa piacere che lo pensi” optò per una risposta
semplice e diplomatica, che il
suo interlocutore sembrò gradire particolarmente.
“Oh figurati. Sai, credo che qualche ora lontana dal tuo
disadattato
coinquilino ti farebbe bene. Ti va di andare a bere
qualcosa…domani, magari?”
John ebbe la conferma
delle sue supposizioni in nove semplici, ineluttabili parole.
Guardò l’uomo di
fronte a lui boccheggiando, alla disperata ricerca delle parole adatte
per
respingere l’invito senza offenderlo. Cosa che
però, e John era terrorizzato,
non gli era assolutamente facile.
“Ecco…io…”
farfugliò, osservandosi le punte delle scarpe
“io…credo di avere un
altro impegno. Improrogabile” si morse la lingua, e
pregò mentalmente di essere
stato abbastanza convincente.
Anderson lo guardò inarcando un sopracciglio e sbuffando,
con aria di chi la sa
lunga.
“Credi che al tuo amico non piacerebbe, eh? Sicuramente
vorrà tenerti con te
per uno dei suoi esperimenti sconclusionati. O forse per il semplice
gusto di
negarti un divertimento, dato che non ne conosce il
significato”
John scosse la testa,
cominciando
a sentirsi quasi offeso, nonostante non stesse parlando di lui ma di
Sherlock.
John se ne preoccupò, ma decise di accantonare il pensiero.
“Tu non lo conosci bene quanto me. Lui non lo fa per
cattiveria…”
Anderson ridacchiò, sarcastico.
“Oh si, certo, ne sono sicuro”
bisbigliò, prima di avvicinarsi ancora di più,
quasi annullando le distanze fra loro due. John si trattenne al tavolo,
afferrando un bicchiere in caso di necessità.
“Io però non ti farei certo rimpiangere la sua
compagnia. Conosco tante cose
che potremmo fare, insieme per…ecco, divertirci
appieno” sussurrò con
un’espressione languida che era lungi dall’essere
sensuale o ammiccante.
John sospirò, in cerca di un modo per scappare via da li.
§
Era troppo vicino. Aveva varcato il limite invalicabile, superato la
barriera,
entrato in campo minato senza permesso. Nell’esatto momento
in cui la distanza
fra i loro visi era diventata meno dei già preoccupanti
quindici centimetri
Sherlock era esploso. Il bicchiere che aveva in mano si era
accartocciato
malamente nella sua stretta, agonizzante, e la povera tovaglia di
stoffa del
buffet avrebbe avuto bisogno di un rattoppamento generale.
Sapeva leggere le labbra,
anche se non bene, ma Anderson aveva il vizio di muovere la bocca fin
troppo,
ed emettendo anche fin troppi suoni inopportuni.
E quello che aveva detto
era una violazione di una delle dieci basilari regole per convivere
pacificamente
con Sherlock Holmes:
-Non fare proposte di nessun
tipo a John H. Watson
a una distanza di almeno dieci kilometri da me.
Sherlock si
incamminò
verso i due, che si voltarono simultaneamente a guardarlo.
L’espressione di
Anderson vagava tra l’esasperato e il disinteressato, mentre
quella di John era
solo palesemente preoccupata. Per non dire terribilmente tesa.
Quando fu di fronte a
loro, fulminò immediatamente Anderson con il solo ausilio
degli occhi. Se
fossero stati in un cartone animato, questa volta le scintille lanciate
da
quello sguardo sarebbero bastate ad illuminare tutta la sala.
“Non hai nulla di meglio da fare che importunare gente che
non ha nessuna
voglia di passare del tempo con te?”
Anderson non sembrò
minimamente toccato dalla provocazione di Sherlock, ma si
scostò dal tavolo per
andare a pararsi avanti a lui, con aria di sfida.
“E chi lo dice, che non ha voglia, genio? Mi sembra che fosse
più che felice di
chiacchierare un po’ con me, prima che tu venissi a
interrompere, come tuo
solito” sibilò. Sherlock strinse i pugni,
reprimendo dentro di se la malsana
voglia di prendere a pugni quella faccia strafottente. Doveva
assolutamente
evitare il contatto fisico con quella persona.
“E’ vero, John?” domandò al
suo amico che visibilmente combattuto vagava con lo
sguardo dall’uno all’altro, senza sapere cosa dire.
“Silenzio è assenso, Sherlock” disse
Anderson, tra i denti.
“Ho sempre odiato questo modo di dire, è talmente
infondato” Sherlock alzò gli
occhi al cielo. “Silenzio non vuol dire assolutamente nulla.
Silenzio magari
vuol dire che non ha idea di cosa rispondere per non urtare la tua
sensibilità.
La gente comune è fatta così”
Anderson schioccò
le ossa
della mano destra, e Sherlock comprese che la voglia di arrivare alle
mani era
pienamente condivisa anche dal suo avversario. Un sorrisetto divertito
e
elusivo comparve sul volto di Anderson.
“E si può sapere a te cosa importa, genio? Cosa
c’è nel mio comportamento verso
John che ti irrita così tanto?” alluse, e John
piantò lo sguardo verso
Sherlock, improvvisamente totalmente interessato. Il cuore di Sherlock
saltò un
battito.
“Tengo alla salute mentale. Non oso pensare come potrebbe
tornare a casa dopo
due ore in tua compagnia”
“Oh certo,
è un interesse
puramente intellettuale”
“Per l’appunto”
John si sentiva come lo
spettatore di una fin troppo rapida partita di ping pong. Guardava
Sherlock e
poi Anderson seguendo il ritmo frenetico dei loro botta e risposta
senza
riuscire a comprendere nulla della situazione. O meglio, mille domande
ricorrevano nella sua mente, tartassandola. Perché Sherlock
aveva tutto
quell’interesse che lui non passasse del tempo con
quell’uomo? Stava davvero
stringendo le mani in quel modo per resistere all’impulso di
picchiarlo? Era
davvero un’espressione furiosa quella di Sherlock verso
Anderson? E…perché tutto
quello che stava succedendo…
stava succedendo?
L’ipotesi
‘gelosia’ stuzzicò
l’immaginazione di John come un fulmine a ciel sereno, questa
volta però
decisamente meno irreale di come gli era sembrata poco prima. Il suo
cuore
prese a battere con la velocità di un razzo e
tornò ad interessarsi alla
conversazione, sperando di riuscire a carpire qualche altro indizio.
Anderson adesso rideva di
gusto, con le braccia conserte, sbeffeggiandolo.
“Oh ma guardatelo, che carino. Si preoccupa per il suo
amichetto. Teme che
frequenti cattive compagnie…sono commosso”
“Se voi non ve ne
foste
accorti, io sono qui…” John attirò
l’attenzione, sentendosi improvvisamente
come la ricca ricompensa fra due agguerriti sfidanti. Anche se non
aveva ancora
capito su che piano si basava, quella sfida.
“Zitto,
John” Sherlock lo
guardò di sfuggita “è un mio affare.
Con lui”
John lo fissò ad occhi sbarrati.
“Ma state parlando di me!”
Sherlock lo guardò,
eloquente, sperando con tutto il cuore che non ci fosse bisogno di
spiegare con
ulteriori parole. Annuì.
“Appunto. E’ affar mio”
John rimase impietrito,
paralizzato sul posto. Una marea di sentimenti sconclusionati, emozioni
contrastanti e intense si rincorrevano dentro di lui lottando per
uscire.
“Oh mio Dio” fu tutto quello che riuscì
a dire. Sherlock non rispose e Anderson
ancora lo guardava come si guarda una scena del crimine piuttosto
cruenta.
“John è adulto, Sherlock, e può fare
quello che vuole. Non sei la sua
baby-sitter e se vuole accettare un mio invito può farlo,
con la sua testa. Non
c’entri, sei fuori, non hai autorità su di
lui”
A quella frase, qualcosa
scattò nella mente di John. E se avesse fatto anche lui il
suo gioco, facendo
credere a Sherlock di essere seriamente interessato ad Anderson
–anche se in
realtà era l’ultimo dei suoi pensieri- e capire in
questo modo le sue
intenzioni? John sorrise sommessamente e tirò un sospiro,
per incoraggiarsi.
“Anderson ha ragione, Sherlock. Sono capace di pensare con la
mia testa” disse,
velocemente, cercando di togliersi subito il dente dolente.
L’espressione di
Sherlock fu esattamente quella che si era aspettato. Si vedeva
benissimo che
era combattuto e le sue sopracciglia inarcate tradivano il suo
sbigottimento
per l’essere stato abbandonato all’improvviso nella
missione. Certamente si era
aspettato l’appoggio del coinquilino, senza pensare alla
tattica che aveva
deciso di adottare.
“John, hai bevuto”
“Oh no, Sherlock. Sono perfettamente sobrio”
Dalla bocca di Anderson uscì un suono soddisfatto, che
Sherlock troncò con
un’occhiata furiosa.
“Per
l’amor del Cielo,
John! Ti sto aiutando!” gridò Sherlock, basito
“Io sto cercando di…proteggerti!”
Sherlock mise particolare
enfasi su quell’ultima parola, muovendo le labbra come per
abituarsi ad un
suono nuovo, quasi mai utilizzato. Il cuore del dottore fece un balzo.
Era
certo che una frase simile non fosse mai uscita dalla bocca di Sherlock.
Oh Dio
pensò questa potrebbe essere una
grandiosa serata.
“Sono lusingato
Sherlock,
ma credo di potermela cavarmela da solo” rispose ancora,
anche se cominciava a
sentirsi decisamente in colpa, vista la reazione sconcertata
dell’altro.
Anderson posò una mano sulla sua spalla, e John
trasalì quando i suoi occhi vi
si posarono per poi passare allo sguardo di Sherlock, spiritato. Doveva
assolutamente dare una svolta alla faccenda, che si stava facendo
decisamente
calda.
Sherlock sembrò pensoso, per un secondo, e John lo vide
mordersi il labbro
inferiore nervosamente. Lo fissava, e allo stesso tempo sembrava non
metterlo a
fuoco, come se fosse solo una pallida ombra di se stesso da cui si
poteva
guardare attraverso. Alla fine, dopo secondi lunghissimi, con la presa
di
Anderson sempre più salda sulla sua spalla, qualcosa
nell’espressione del
detective cambiò.
§
Sherlock era sbigottito
dall’atteggiamento di John. Si era ritrovato a combattere da
solo una battaglia
che credeva fosse pienamente condivisa dal medico, che gli sarebbe
servita a
mettersi sotto una luce diversa, ancora migliore agli occhi di
lui…e invece, la
situazione gli stava sfuggendo completamente di mano.
Guardò John, dopo
la sua
ultima affermazione, sperando di riuscire a leggere qualcosa in quegli
occhi
grandi e profondi, qualcosa che lo aiutasse a capire che cosa stava
succedendo.
Era sicuro che John non apprezzasse le avance spudorate di Anderson, lo
aveva
visto, aveva visto il modo in cui aveva contratto i muscoli, a
disagio… e
allora?
Lo fissò e John mantenne il suo sguardo, coraggiosamente. E
finalmente, o
almeno così sperava con tutto il cuore, la situazione
sembrò chiarirsi, tutto
un tratto.
John aveva una strategia, lo sapeva, riusciva a sentire chiaramente le
sue
intenzioni. Voleva testare la sua resistenza, spingerlo al limite per
vedere
fin dove sarebbe arrivato, pur di proteggerlo. John voleva sapere fin
dove si
sarebbe spinto per lui.
Si sentì
improvvisamente…acceso,
non c’era termine più adatto. Si
sentì iperattivo, spronato, incoraggiato. John lo voleva.
Oh, grandioso pensò Sherlock ti farò vedere
io, amico mio.
Sherlock sorrise, e si
rivolse nuovamente ad Anderson, con voce fintamente rassegnata.
“Oh beh. Davanti ad un così esplicito invito a
farmi gli affari miei, posso
solo tacere” disse e Anderson gli sorrise di rimando,
sgradevole come al
solito.
John sembrava preoccupato.
Si era arreso così in fretta?
Sherlock godette dell’espressione corrucciata del suo viso.
Anderson poi si avvicinò a Sherlock, costringendolo a
voltarsi, e gli rivolse
un’occhiata di sfida, strafottente.
“E certamente potrà passare il tempo in maniera
molto più fruttuosa che con te.
Ho già in mente due o tre cosine divertenti per il tuo
dottore… riesci a
immaginarle, genio?” disse ad alta voce per non farsi sentire
da John, che
comunque comprese tutto. Trattenne il respiro. Sherlock strinse i pugni
ancora
più forte, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani
mentre sentiva qualcosa
di sconosciuto, rabbia si, ma mista a qualcosa di diverso e ancora
più forte,
salirgli fino alla punta dei capelli.
Aveva saputo reggere il
gioco, aveva cercato di rendere a John pan per focaccia ma adesso,
quelle
parole lo avevano letteralmente mandato fuori controllo. Il pacato,
razionale,
intellettuale Sherlock Holmes perse completamente il controllo di
sè, quella
sera, davanti a cento membri della polizia di Scotland Yard, e
soprattutto
davanti a John.
“Ripeti. Quello. Che. Hai. Detto” scandì
ogni parola, come se dovesse inciderla
a fuoco nel suo cervello.
“Ho detto che ho intenzione di spassarmela con il tuo dolce
dottorino. Come tu
non avrai mai il coraggio di fare” ripeté
l’altro con flemma, così che potesse
comprendere bene. E Sherlock aveva capito più
che bene.
Spense il cervello, in quel preciso istante. La mente vagò
verso lidi
sconosciuti, la sua razionalità scomparve miseramente nel
momento in cui il suo
pugno stretto e saldo colpì con straordinaria precisione la
guancia destra di
Anderson, che fece un sonoro crac preoccupante che fece voltare tutti i
presenti.
“Sherlock!”
gridò John
shockato, guardando i due avvinghiarsi in una sorta di rissa
improvvisata sul
tavolo delle bevande. Non aveva il coraggio di infilarsi nella faccenda
nonostante fosse praticamente il motivo principale di quello scontro.
Era
talmente allibito che non sapeva se sentirsi euforico, sconvolto o
terribilmente lusingato.
“Maledetto!” urlò Anderson
massaggiandosi la mascella e attirando Sherlock a sé
per la collottola del cappotto. Gli sferrò un pugno a sua
volta che colpì Sherlock
sul labbro, che con un gemito strozzato ricambiò
stringendogli il braccio in
una morsa saldissima.
“Lasciami andare!” gridò la povera
vittima mentre Sherlock rinforzava ancora la
presa. Anderson riuscì a liberarsi lo stesso e lo
colpì sulla spalla con una
delle brocche del punch, colma fino all’orlo, inzuppandolo
dal collo in giù.
Sherlock sembrava totalmente sconvolto.
“Oggi hai rasentato il limite Anderson. Credevo che non
potessi scendere più in
basso di come già sei!” ruggì,
colpendolo di nuovo in un continuo scambio di
botte e pugni più o meno ben assestati. Anderson ormai
gettava in aria mani e
piedi alla cieca pur di parare i colpi.
“Hai mancato di rispetto a John” gridò
“e al mio cappotto!” aggiunse come se si
fosse appena trovato davanti ad un oltraggio alla Corona. John era
ancora li
imbambolato, senza avere la forza di reagire, completamente assorbito
da quella
situazione tanto strana quanto gratificante. Con un po’
d’imbarazzo tornò a
pensare al desiderio che aveva espresso neanche tanto tempo prima,
sulla
scenata di gelosia, sui vecchi film e tutto il resto. Fuori era una
statua ma
dentro di sé una belva ruggiva trionfante.
“Ragazzi…calma, calma per favore!”
intervenne Lestrade poco lontano,
trattenendo una risata con scarsi risultati. Guardò John, e
appena incontrato
il suo sguardo non poterono fare a meno di scoppiare a ridere di fronte
a
quella situazione.
Alla fine, riuscirono a
separarli, in un modo o nell’altro.
Sherlock aveva ridotto Anderson ad un ammasso dolorante di lividi e
graffi,
come se l’uomo fosse stato buttato in una fossa piena di
felini affamati.
Sherlock dal canto suo se l’era cavata decisamente meglio ma
anche lui aveva la
sua buona razione di botte più o meno visibili sul viso e un
taglio vistoso e
sanguinante sul labbro.
Il detective era ancora in piedi mentre Anderson si reggeva al tavolo
semidistrutto, barcollante. Rivolse a Sherlock un’ occhiata
piena di
risentimento e tentennò sui suoi stessi piedi come se
volesse riprendere la
rissa da un momento all’altro, ma alla fine,
rinunciò.
“Oh, andate al diavolo! Il dottorino non vale tutta questa
pena!” sibilò
un’ultima volta. Sherlock aprì la bocca incredulo,
e sembrò sul punto di
volerglisi di nuovo avventare contro, ma fu prontamente bloccato da
Lestrade.
“Auguri e felicitazioni!” disse ancora una volta,
sarcastico mentre veniva
portato via da due colleghi piegati in due dalle risate.
Sherlock si riassettò, sistemandosi il cappotto zuppo come
meglio poteva, come
se non fosse malconcio e dolorante ma spigliato e soddisfatto come
qualcuno che
esce a prendere una boccata d’aria dopo ore in mezzo ad una
folla. John gli si
avvicinò, finalmente riappropriatosi delle proprie
facoltà motorie.
Sherlock incrociò lo sguardo con il suo, e un sorriso
bonario e divertito
comparve sul volto di John e di conseguenza Sherlock
ricambiò, con un sorriso
aperto, pieno di calore. John adorava quando sorrideva in quel modo,
anche se
accadeva raramente. Era come assistere ad un’eclissi di sole,
ad un’alba in
riva al mare o alla prima nevicata della stagione. Era qualcosa che
accadeva di
rado ma che quando succedeva ti riempiva di gioia.
“Beh, Sherlock. Hai
scelto
un modo originale per ravvivare la serata”
esclamò, come se parlasse del tempo.
Sherlock aggrottò le sopracciglia.
“Tu non mi hai aiutato neppure un po’
però. Che razza di assistente saresti?”
“Oh perdonami. Ero troppo impegnato a guardare il mio
migliore amico gettarsi
in una rissa con un uomo perché mi aveva chiesto un
appuntamento” rispose John
“era uno spettacolo troppo unico perché potessi
perdermi anche solo un secondo”.
Sherlock sorrise ancora e
si guardò intorno, dove tutti gli sguardi degli invitati
erano inevitabilmente
puntati verso di loro.
“Forse dovremmo continuare la conversazione altrove. Mi sento
fin troppo
osservato”
§
All’esterno, una pioggerellina sottile scendeva copiosa ma
rinfrescante e John
aveva davvero bisogno di quella frescura sul viso, dopo le emozioni di
nemmeno
un quarto d’ora prima. Lui e Sherlock erano in piedi, alla
balconata, in
silenzio senza dire una parola dopo la chiacchierata goliardica di poco
prima.
John sapeva che qualcosa sarebbe dovuto accadere inevitabilmente, dopo
tutto
quello che c’era stato, che Sherlock gli avrebbe dovuto una
spiegazione, dato
che certamente aveva capito che
John aveva capito.
John sospirò,
cercando
mentalmente qualcosa da dire. Alla fine decise di non starci a pensare
troppo:
era qualcosa che doveva venir fuori naturalmente, senza macchinazioni o
piani
programmati.
“Comunque grazie” fu tutto quello che disse, dopo
quel silenzio pieno d’attesa.
“è stata la cosa più… bella
che qualcuno abbia mai fatto per me”
Sherlock lo guardò,
i suoi
begli occhi chiari che sembravano parlare, pieni di qualcosa che John
non
riusciva a decifrare.
“Dovere, John. Dovevo salvarti in qualche modo. Forse
è stato un tantino
plateale ma dopotutto mi rinfacci sempre di esserlo fin
troppo”
“Già”
“E pensavo…” cominciò
nuovamente Sherlock per poi bloccarsi, guardandosi le
mani poggiate sul parapetto del balcone “e pensavo che ti
sarebbe piaciuto. Che
ti avrebbe fatto piacere. Una cosa come in quei film che guardi il
sabato sulla
BBC”
John trattenne una risata, quando sentì quella frase.
Guardò il suo amico con
espressione grata e riconoscente. Il cuore batteva, forte, intenso.
Guardò il
viso di Sherlock ancora rivolto verso il suo in attesa di qualcosa che
neanche
lui sapeva. Le parole salirono alla bocca di John senza che nemmeno se
ne
accorgesse.
“In quei film accade sempre qualcosa dopo quelle spettacolari
scenate di
gelosia” esordì John abbassando poi lo sguardo
sentendosi avvampare “sai, il
momento clou”
Sherlock guardò in cielo, come se non riuscisse a ricordare.
“Uhm…non credo di capire a cosa ti
riferisci” affermò. Si spostò
leggermente,
avvicinandosi a John e arrivando pericolosamente con il suo viso a
pochi
centimetri da quello del dottore.
“Potrei aiutarti a ricordare con una dimostrazione pratica,
Sherlock” propose
il medico, ormai con la mente completamente spenta, eccitato, euforico,
fuori
dal mondo.
“Oh, si. Sai quanto amo le dimostrazioni pratiche,
dottore” rispose Sherlock
con un sorriso appena accennato, annullando completamente le distanze
fra lui e
John e lasciando che quest’ultimo posasse le sue labbra sulle
proprie, con
dolcezza.
Sherlock era inesperto, ma
uno studente terribilmente veloce e quel bacio timido, appena
accennato, si
trasformò in qualcosa di meraviglioso, appassionato, pieno
d’amore solo qualche
secondo dopo. John non si era mai, mai sentito in quel modo in tutta la
sua
vita. Era una sensazione fortissima che non aveva mai provato ma che
amava,
adorava, che avrebbe voluto provare per tutto il resto della sua vita.
Strinse
ancora Sherlock a sè, attirandolo ancora più
vicino con la sciarpa.
Quando si separarono,
Sherlock lo guardò come se stesse guardando un gioiello raro
e meraviglioso.
“E’ stata una dimostrazione convincente. Sei
promosso” disse con tono
d’approvazione. John scoppiò a ridere.
“Si sono d’accordo. La mia dimostrazione
più riuscita” affermò. Non riusciva a
smettere di guardarlo.
“Però ti conviene darti una ripulita…
anche se hai addosso un gradevole sapore
di fragola che non è male”
Sherlock sorrise, felice,
completamente sereno per la prima volta nella vita. Si sentiva
realizzato,
arrivato. Completo. Ed era una
sensazione che trascendeva qualunque
altra avesse mai provato.
“E’ il
sapore della
vittoria, John. Della mia vittoria
su
di te, e per l’amor del Cielo della mia schiacciante vittoria
su Anderson”
assaporò le parole come
fossero solide, e guardò nel vuoto, probabilmente ricordando
l’avventura di
poco prima. John rise di nuovo.
“E guai a te se avrai ancora da ridire su quanto siano noiose le feste di Scotland Yard!”
*