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Autore: ignorance    08/03/2012    7 recensioni
"Sambuca, fragole e panna" [...] "Un modo originale per ubriacarsi, non c'è che dire".
Wolfstar. Angst!
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Commenti dell'autrice: qui, putroppo, i miei commenti servono sul serio. Perché è un Angst, per prima cosa, perché è Lemon/Lime - è accennato abbastanza crudamente, ecco, è piuttosto abbozzato - e perché era nata come una stupidissima Demenziale.
Ci sono un paio di precisazioni da fare, tra le altre cose: Sirius è Sirius. Non lo posso odiare, nessuno può (111!!!11!!unoundicicentoventuno!1). E, nonostante tutto, io credo che, sempre e comunque, i sentimenti per la propria madre, oltre alla rabbia cieca e alla disperazione, non cambino. Mai. Ed è per questo che non metterò l'avvertimento OOC, che, sinceramente, trovo una presa in giro (aperta e chiusa parentesi). Non è OOC il dolore, neanche un po'.
Volevo anche sincerarmi che non mi odiaste troppo. È un Angst, perdio, e non so come mi sia uscita fuori. È così, è frettolosa e particolarmente brutta, ma è un lembo di un patchwork che secondo me vale la pena di essere scrutato. Magari non da me, ecco, ma tant'è.
Ricorderei, inoltre, che le recensioni sono estremamente gradite. Penso non smetterò mai di ripetermi, quando dico che lo scrittore - be', fanwriter, forse è meglio - ha bisogno di pareri esterni per non perdersi d'animo.
(Oh, e date un'occhiata alla mia Pagina Facebook. Non è faiga, ma ci prova).
Disclaimers: i personaggi non mi appartengono. Come già detto, il mio avvocato ci sta ancora lavorando. *ride*

Attenzione! Ignora i fatti dopo il Settimo Anno di Hogwarts dei Malandrini!



***



"Sambuca, fragole e panna", confermò Sirius, facendo girellare il cucchiaino nella sua tazza rossa. In senso orario, due volte, poi antiorario, una, e ancora due in orario, e via dicendo.

Remus gli scoccò uno sguardo ch'era tutto un programma. Il suo sopracciglio scattò su, le sue labbra si tesero in quello che era un sorriso almeno quanto non lo era, e i suoi occhi brillarono di divertimento. "Tu non sei normale" chiarì, con un cenno, intrecciando le dita sul tavolo.

Black si tese un po' sul legno, di fronte a lui, e lo scricchiolìo della sedia piuttosto scadente si fece sentire. Fu come spezzare un incantesimo; il cucchiaino si bloccò a metà del secondo giro orario, e la risata roca di Sirius, ruvida e spessa come una coperta di lana, avvolse l'ambiente familiare della cucina.

Lui e Sirius condividevano quell'appartamento da un paio d'anni, ora che ci pensava. Era semplice, anche troppo, forse, pensare che la loro destinazione fosse esattamente quella. Innamorarsi, semplice. Be', mica tanto. Dopo il settimo anno, il loro sentimento, banalmente, avrebbe dovuto sfiorire come un bocciolo tenuto troppo a lungo sotto ad una campana. Ma Sirius era troppo ostinato e cocciuto per capirlo, e Remus non aveva avuto pena di dirglielo - non avrebbe potuto, non voleva farlo. Era stato uno sviluppo piuttosto naturale, a dir la verità. Lui stava cercando casa, e Sirius aveva raccattato armi e bagagli non appena ne aveva avuta l'occasione, fuggendo dalla casa che troppo aveva odiato e che anche ora odiava con tutto se stesso. E poi, diciamocela tutta, Remus non aveva uno straccio di lavoro, e non l'avrebbe mai neanche trovato.

"Moony". Remus si era distratto. Bastava poco, in realtà, perché si distraesse - aveva sempre avuto la tendenza, peraltro piuttosto fastidiosa, di badare alle cose banali più che a tutto il resto. Ed è per questo che notò che Sirius aveva il naso rosso, e i suoi occhi si erano fatti leggermente più scuri, tinti di nervoso divertimento.

"Dicevamo", rispose, riscuotendosi. "Sambuca, fragole e panna?"

"Sambuca, fragole e panna", mormorò Black, scoccandogli un largo, brillo sorriso.

"Un modo originale per ubriacarsi, non c'è che dire", commentò Remus, d'un tratto. E Sirius si scrollò nelle spalle, ridacchiando, come se quello bastasse.

In effetti, era così. Il cucchiaino riprese a tintinnare rumorosamente nella tazza, seguito a vista da entrambi. Non c'era imbarazzo, non più. Era solo un silenzio intimo, di quelli in cui, sempre più banalmente, pensò Remus, le parole non hanno alcuna utilità. Di che utilità poteva essere dire cose sciocche, ridere, anche, se entrambi sapevano che era una di quelle sere, quelle in cui Sirius sembrava davvero una coperta patchwork, morbida e un po' ruvida, davvero, e calda, ma le cui cuciture non tenevano, non più, non per molto ancora?

Che utilità aveva, si chiese, se sapere che le cuciture avrebbero mostrato i brandelli di qualcosa troppo grande da affrontare, soprattutto per lui, che non aveva mai saputo usare neanche un ago per riattaccare i bottoni delle camicie?

Rise comunque, pensando che a volte, stupidamente, affrontare le cose di petto è la cosa peggiore che si possa fare. E Sirius rise con lui, la sambuca partecipe, e risero senza sapere assolutamente perché mai, stessero ridendo così forte, così scioccamente.

Le lacrime di Sirius erano d'ilarità, ecco, così come anche le sue, ma Sirius caracollò avanti, gettando a terra la sedia, e gli prese il viso tra le mani. Erano calde, e callose, e suo il respiro sapeva terribilmente di sambuca. E, come si farebbe con una coperta di patchwork, Remus non poté far altro che arricciare le dita sul lembo del suo maglione e stringere forte.

Sirius sapeva che quelle lacrime erano lacrime buone - secondo la distinzione fatta in un delirio studentesco, sotto effetti alcolici e non, a casa di James, secondo cui vi erano due categorie di lacrime, quelle buone e quelle cattive -, ma gliele portò via con la punta della lingua e gli si strinse contro come se non lo fossero. Non voleva saperlo, non voleva immaginare che in effetti non lo erano, così come le sue, che erano solo scie salate e cuciture che si strappano, che lacerano vilmente il silenzio per fare a pezzi anche quello, in una perversa, totalmente erronea legge del contrappasso.

Remus sentì il respiro di Sirius, la sua lingua che gli portava via tutto, che avrebbe potuto strappargli la carne - e non se ne sarebbe accorto, mai - e le ciglia lunghe che gli solleticavano il viso. E la sambuca. Un odore forte, mischiato con quello di fragole, non precisamente buono, ma particolare, e forse piacevole.

Rimasero così, stretti l'uno contro l'altro - Sirius gli aveva posato la testa sulla spalla, ma neanche se n'era accorto -, mentre il languore emanato dai loro corpi, il calore, si fondeva, e forse i loro brandelli si cucivano insieme, e chi l'avrebbe mai detto, forse Remus aveva un certo talento per il cucito, doveva provare.

Passarono pochi minuti, o magari un'ora, chi avrebbe potuto dirlo, l'orologio sulla mensola era andato da due mesi, e ancora segnava le sette e trentacinque, bloccato in un'impasse da cui nessuno l'avrebbe tirato mai fuori - a meno che Sirius si decidesse, per una buona volta, ad andare al supermercato e comprare un paio di pile, ché gli orologi magici non li poteva proprio vedere, e chissà perché, poi.

Remus prese a ridacchiare piano, contro i capelli di Sirius. "Sambuca, fragole e panna", borbottò, divertito, e Black lo guardò, tirando su la testa, incredulo. "Ti amo, Sirius", disse, e lo scintillìo dei suoi occhi era bellissimo. "Anche se è un accostamento terribile, lascia che te lo dica".

Sirius sorrise e basta, e poi rise forte, singhiozzandogli contro la spalla un confuso e rapido "Lo so".



***



La porta sbatté forte. Non aveva mai capito come diavolo facesse Sirius ad avere tutta quella forza nascosta, ecco, ché di attività fisica non ne faceva da anni ed era di una magrezza spaventosa, sottile come un giunco, ma incredibilmente- Oh.

Remus si precipitò fuori dalla cucina, per vedere Black, con gli occhi febbrili e una smorfia sul volto terreo, caracollargli incontro come se ne dipendesse della sua stessa vita. "Sir-", tentò, sopreso, ma sbatté a terra, e il fiato svaporò in un attimo, scacciato via dal corpo di Sirius, che si era aggrappato alla sua maglietta cattivamente, piantandogli le unghie nella carne e sovrastandolo pesantemente. "È morta", sibilò solo.



Faceva male. Faceva male, dannatamente. Le dita lunghe di Sirius gli martoriavano la pelle, mentre lo svestiva rudemente e non lo guardava, non poteva farlo, mentre gli sbottonava i pantaloni e gli sfilava via la maglietta, scoprendo la pelle pallida e graffiandola tutte le volte, lunghi graffi rossi, e non lo guardava mentre gli allargava le gambe e senza ritegno entrava dentro di lui, spaccandolo in due, strappandogli via lembi di carne e dignità, azzannando tutto quello che gli veniva offerto, mentre Remus piangeva silenziosamente, premuto contro di lui, e capiva, aveva già capito.

E continuava ad offrirsi, consenziente, e a farsi depredare, spingendosi contro Sirius, incontrando tutto il dolore possibile per rubarlo a lui, perché alla fine quello veramente depredato non fosse lui, ma Sirius, l'unico sconfitto dei due, che razziava e non sapeva di essere razziato silenziosamente a sua volta, meticolosamente e impietosamente.

Quando il ringhio di Black gli riempì l'orecchio, Remus accolse con un gemito tutta la rabbia, tutta la ferocia, e mosse i fianchi per prendere tutto, tutto quello che poteva esser preso, e Sirius gli si accasciò contro, e solo allora lo guardò, solo adesso, e senza una parola scoppiò a piangere, leccandogli via le lacrime dal viso, e lo strinse forte, ancora una volta, prima di alzarsi e lasciarlo lì, tra i suoi vestiti lacerati.



***



Sirius non lo guardava. Non lo faceva da giorni, e non parlava.

Remus entrò in cucina, e Sirius era lì, accasciato sul tavolo come un corpo morto, ma con gli stessi occhi febbrili di pochi giorni prima, che brillavano come fuochi fatui, terribili e orribilmente consapevoli.

Semplicemente, posò la lettera sul tavolo, vicino a lui, e strinse le labbra, aspettandosi il solito silenzio, quell'orribile cappa di assoluto nulla che gli stringea il petto in una morsa dolorosa e inevitabile.

"Quando?"

Gli occhi di Remus saettarono lungo la figura di Sirius, che si era raddrizzato e non lo guardava, non lo guardava. La sua voce era roca, un gracchiare cacofonico e stridente, ma non disse nient'altro, se non quel quando?, che pesava più di qualsiasi altra cosa.

"Tra due giorni", mormorò Remus, gli spinse la lettera contro con la mano e se ne andò.



Sirius era appena tornato dal funerale. Si era messo un vecchio abito, classico e nero, e la cravatta gli stringeva orribilmente. Era stato salvato, fortunatamente, dal dover fare un discorso in memoria della deceduta - Regulus si era accollato quell'onore, che detto sinceramente era più un onere, ecco, salvandolo da una penosa situazione senza accorgersene. Non avrebbe avuto delle belle parole, da dire. Non aveva mai avuto belle parole, per sua madre, e mai le avrebbe avute, come mai lei le aveva avute per lui. Ma c'era qualcosa, qualcosa di fondamentale che gli si era sfalsato sotto i piedi, una botola che si era spalancata ad inghiottirlo, e lui, dannazione, non sapeva nemmeno perché.

La cerimonia era stata brutta e patetica. Remus non era venuto.

Non poteva più guardarlo negli occhi. Non ce la faceva, era più forte di lui. Ogni volta che lo vedeva, l'impulso di autocruciarsi più e più volte si faceva impellente, tanto da costringerlo a fuggire. Era patetico. Un patetico vigliacco.

Si allentò la cravatta ed entrò silenziosamente dalla porta d'ingresso, facendo in modo che non emettesse alcun rumore. Era capace di farlo, sì. Si tolse le scarpe, lasciandole in corridoio, e avanzò silenziosamente per dirigersi verso il bagno. Ma nel tragitto, s'imbatté in un suono orribile, un suono spezzato e misero, proveniente dalla cucina.

Quasi rischiò di correre, e d'inciampare miseramente, ma il peggio fu sapere, fu l'aver già capito, che non era altro che Remus. Remus che, accasciato sul lavello con una tazza in mano, singhiozzava forte. Quando lo vide, distolse lo sguardo. Incrociò i suoi occhi per un solo, stupidissimo istante, e poi distolse lo sguardo. "Non mi guardare", stridette, pateticamente. "Non osare guardarmi"

"Remus", implorò Sirius, facendosi avanti. Implorando neanche lui sapeva cosa, ma non gli interessava affatto. "Remus, ti prego", ripeté, e Remus singhiozzò più forte.

Lo guardò di nuovo, questa volta per davvero. "Perché mi guardi?", gemette stancamente Remus, coprendosi gli occhi con una mano. "Perché, Sirius? Non mi guardi da una settimana, una dannatissima settimana!"

"Quella tazza è mia", fece Sirius, stupidamente. Si maledisse mentalmente, ma Remus tolse la mano e annuì. Non aveva altro da dargli. Non aveva spiegazioni, non poteva averle.

"Sambuca, fragole e panna", ripeté meccanicamente Remus, indirizzandogli un rapido sguardo confuso.

Sirius ridacchiò. Era tutto così stupido. Senza neanche accorgersene, si spinse tra le braccia di Remus, schivando la tazza con noncuranza, e premendogli il naso contro il collo. "Mi spiace", sussurrò, pianissimo, ma Remus lo sentì comunque, e pianse.

Si aggrappò alle spalle di Sirius e pianse rumorosamente, strappò via il silenzio, lo lacerò coi suoi singhiozzi e si arricciò contro di lui, perché non era bravo, dopotutto, a cucire, aveva provato e faceva decisamente pena, ma i fili dei loro stracci, quegli orribili pezzi colorati e luridi, si unirono comunque - e quel patchwork era decisamente una cosa patetica, uno scherzo della natura, ma era caldo e morbido, e puzzava anche un po', forse, di sambuca; nonostante tutto, pensò scioccamente Remus, era comunque schifosamente piacevole; e ancora, nonostante tutto, forse l'abbinamento "sambuca, fragole e panna" non era poi così malvagio.



***



Ecco. Lo confesso, bevo roba del genere. Non sambuca, però, non la gradisco molto, ed in effetti è un accostamento orribile. A onor del vero, io stavo bevendo vino rosso, fragole e panna. Un SACCO di vino rosso, e una spruzzata di limone. Può sembrare assurdo, ma provatelo, è delizioso.
(Ho messo l'Avvertimento Non per Stomaci Delicati. Penso sia una cosa idiota, ma non dubito che qualcuno possa non gradire, nonostante la cosa sia appena accennata. E il rating è Arancione, chiaramente).


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