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Autore: Flaqui    08/03/2012    9 recensioni
Albus non è una persona eccezionale.
È un ragazzo normale, con due migliori amici che litigano in continuazione, una sorellina più piccola che si dedica alle predizioni, un fratello più grande che ama mettergli i bastoni fra le ruote e una famiglia di pazzi.
Non è brillante come Rose, affascinante come Scorpius, determinato come Lily, desiderato come James.
E proprio per questo che, dopo un orribile giornata in cui tutto sembra andare storto esprime quel piccolo, assurdo desiderio che gli cambierà l'esistenza.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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ANGOLO AUTRICE (IMPORTANTISSIMO, LEGGETE TUTTO VI PREGO)

Visto che sono riuscita ad aggiornare in tempi più o meno decenti?
Non vi dico in tempi rapidi perchè non mi sento in grado di dirlo, insomma sono passate comunque due settimane, tipo, ma almeno, rispetto al mio record di mese l'aggiornamento è ancora valutabile come passabile, no?
Comunque, innanzitutto grazie perchè esistono ancora persone che mi recensiscono e non mancano mai di donarmi il loro appoggio...
Cii terrei perticolarmente che poteste dirmi cosa ne pensate di questo capitolo perchè, per il momento, è uno dei più importanti, impegnativi e assolutamente assurdi che abbia mai scritto... capirete sin da subito che tratta argomenti completamente diversi da quelli trattati in precedenza... In verità non so nemmeno come sia uscito.. Ho iniziato a scrivere ed è venuto fuori!
Bisogna precisare che è deliberatamente e spudoratamente ispirato alla meravigliosa storia di "Ab umbra lunem" di Dira_Real, probabilmente una delle migliori storie che io abbbia mai letto e che riesce a farmi emozionare moltissimo per la sua originalità, veridicità e scintillante perfezione! Grazie Dira perchè senza di te non esisterebbe la MIA Lily, non esisterebbero tante piccole sfumature e io sarei rimasta a scrivere di Mary Sue perfette e splendide...
Nelle vostre recensioni ho letto molto spesso che vi piace Mary perchè è un personaggio vero, perchè riuscite ad immedesimarvi in lei, così come in Al, o in Lily... questa è forse una delle cose più belle che io possa aver mai sentito. Come autrice, per me, è il massimo sapere di essere riuscita anche se di poco ad ottenere una storia vera e libera da inutili fronzoli...
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento e scusate per le note chilometriche!
Certe cose vanno dette!
Fra

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Lily non era mai stata quel genere di ragazza che amava alzarsi presto. La sua testa era occupato da un gigantesco e vago “perché?” quando si sedette a tavola per colazione, i capelli perfettamente ordinati e la pelle del viso resa liscia dall’applicazione di crema giornaliera. La verità era che non era riuscita a chiudere occhio, quella notte, con tutte quelle sensazioni che la scombussolavano dentro, come non avevano mai fatto prima.
Ma sono solo sensazioni, giusto?
Si, peccato che tu ci vivi di sensazioni...
In ogni modo, anche se era Sabato e questo significava che, finalmente, quella terribile seconda settimana di scuola stava per finire, l’unica cosa che voleva fare era tornarsene nel suo dormitorio, gettarsi sul suo comodo letto e farsi uno dei suoi lunghissimi sonnellini di bellezza.
Hugo, accanto a lei, non era messo meglio e la sua testa stava ciondolando pericolosamente sulla tazza dei cereali.
Mary, invece, era sparita. Probabilmente a prepararsi.
Alla fine, i Provini per la squadra di Quidditch, erano stati rimandati a quel pomeriggio, nonostante le proteste dei Grifondoro che avevano vivamente fatto notare come le altre squadre fossero già state formate e questa mancanza di prontezza potesse destabilizzare il loro record di vittorie.
Prima c’era stato il problema del campo che era stato affittato per l’intera settimana dai ragazzi della Squadra di Gobbaglie per i loro allenamenti mattutini. I pomeriggi della settimana precedente erano stati riservati alle selezioni delle altre case e, alla fine, l’unico momento libero per i provini della sua squadra era stato quello stesso pomeriggio.
In ogni modo, Mary, che aveva avuto la insana idea di provarci anche lei, a fare le selezioni, era dispersa da qualche parte alla ricerca del coraggio e, perché no, del talento che le sarebbero serviti per affrontare tale prova.
Lily aveva scosso la testa.
Non che Mary non fosse brava, certo. In effetti, però, Lily non ne capiva molto di Quidditch e il suo esprimersi con espressioni del tipo “il tizio che colpisce la palla rossa e grossa con una mazza”, soprattutto visto come tutta la sua famiglia idolatrasse quello sport non l’aveva aiutata a prendere particolarmente coscienza di quanto fosse importante per la scuola quello stupido Campionato.
Molly, seduta davanti a lei, allungò la mano per afferrare la brocca di succo di zucca, mentre masticava placida una fetta di pane imburrata. Era di ottimo umore e, ovviamente c’era un motivo. Un motivo riconducibile alla spilla di Caposcuola appuntata sulla sua divisa perfettamente sistemata all’altezza del petto. Mentre, quando aveva ricevuto la sua spilla da prefetto si era lagnata per giorni delle responsabilità di cui non si sentiva degno, questa volta, quando le era stata recapitata la spilla, si era limitata a sorridere.
O, forse, conoscendone la natura ambiziosa, era probabile che fingesse di non importarsene per evitare che lo zio Percy le facesse una seconda volta una predica sull’onore ricevuto.
Lily aggrottò la fronte, al ricordo. Quel fatidico giorno aveva fatto l’incommensurabile errore di andare a fare visita a Lucy e si era dovuta sorbire anche lei le cinque ore di discorso.
Ad un certo punto, allo scoccare della quarta ora, Molly aveva un’aria così vacua che faceva suggerire avesse semplicemente staccato il cervello.
-Io non capisco perché dobbiamo alzarci presto se i provini sono questo pomeriggio!- il mugolio di protesta di Frank la distolse da tali cupi pensieri –Non ho nemmeno lezione prima delle dieci!-
Lanciò un occhiata veloce al ragazzo che aveva un’aria giustamente disperata e si stava massaggiando le tempie e intervallava occhiate stanche a Fred e James, seduti accanto a lui, a sguardi speranzosi al tavolo dei Tassorosso, probabilmente alla ricerca di Stephanie.
-Perché sei circondato da idioti, ecco perché!- esclamò, con forza. Non sapeva bene perché aveva reagito così, evidentemente non era proprio il caso, soprattutto visto che tutti la stavano fissando. Ma sentiva l’inesorabilmente grande voglia di prendersela con qualcuno e sfogare quel grande senso di fastidio che la attanagliava.
Per evitare gli sguardi perplessi di Molly, cercò di concentrarsi sul suo caffè.
Odiava il the.
Probabilmente questo l’avrebbe resa strana agli occhi di un qualsiasi inglese ma lo trovava davvero disgustoso, troppo dolce e zuccherato. E aveva anche un colore strano.
Non mi è mai piaciuto il giallognolo.
-No, è perché siete un secchione e una ragazzina!- grugnì Fred, con molta sorpresa di Lily che si ritrovò a chiedersi perché non avesse ribattuto James, che invece si limitava a guardare con una strana espressione concentrata – Quando io però sarò un giocatore professionista e multimiliardario vedrete! Ovviamente però fate pure… se preferite il cervello ai muscoli…-
-E tu dove pensi di finire visto che non hai né l’uno, né gli altri?- ribattè lei a muso duro, ricevendo un sorriso da Frank che le diede il cinque e una smorfia da parte del cugino che non trovò nulla di particolarmente intelligente da dire.
Lily sorrise appena, poi, come una candela accesa sottoposta alle intemperie, il sorriso andò scemando e nascose una piccola smorfia dietro un tovagliolo. Nessuno sembrò accorgersene, tranne Hugo che le lanciò un’occhiata in tralice a cui si affrettò a rispondere con un cenno sbrigativo del capo.
Hugo non sembrò molto convinto e continuò a fissarla di sottecchi. La ragazza si maledisse per aver fatto trasparire così tanto del suo stato d’animo, anche se si trattava di Hugo che la capiva senza nemmeno guardarla e ringraziò mentalmente l’amico Tassorosso del cugino di cui non ricordava mai il nome che era arrivato a distrarlo.
Quando però un altro paio di occhi si posarono sulla sua fronte, quelli di James, per la precisione, si costrinse a rimettere il suo sorriso di circostanza sulle labbra e a salutare con tono fintamente allegro tutti i presenti.
–Molly, Frank, non diventate più intelligenti di quanto già siete, Freddie, Jamie, Hugie non diventate più stupidi di quanto già siete, anche se so che sarà difficile e… ehm…- rimase un attimo in imbarazzante silenzio davanti all’amico di Hugo di cui non ricordava il nome che la stava fissando con grande aspettativa.
-Tony. Tony Moriarti- le venne in aiuto lui, il labbro che tremava, evidentemente dispiaciuto.
Uhm, Tassorosso. Davvero senza spiana dorsale.
-Ehm, giusto Tony… tu.. non cambiare, okey?- sorrise abbagliante, cercando di distogliere l’attenzione dalla sua svista.
Ovviamente lui parve subito dimenticarsene perché annuì con aria sognante, come se gli avesse appena confessato di amarlo.
Lily sorrise di nuovo e guadagnò velocemente l’uscita, il cuore che le martellava nel petto, cercando di ignorare la presenza di un certo Corvonero che era causa del suo nervosismo da un bel po’ di giorni.
Dormitorio, ora. Non me ne frega niente se a quest ora ci sono un scacco di ragazzi carini. Ho bisogno di dormire.
E di non vedere più nessun Corvonero fino alla fine dell’anno.
 
Mary era piuttosto preoccupata.
Conosceva Lily da quando avevano undici anni. Il che, considerando che ormai di anni ne erano passati quattro, era davvero un lasso di tempo piuttosto elevato. In ogni modo, comunque, poteva ritenersi una delle poche persone con cui Lily mostrava, mai del tutto, certo, ma almeno in parte, il suo vero carattere, la vera sé stessa.
Mary si era sempre sentita onorata, per questo.
In ogni modo, quando era tornata dalla Sala Grande, dove Hugo stava consolando un povero Tassorosso di cui si scordava sempre il nome, aveva trovato Lily nascosta sotto il guanciale, completamente vestita e truccata.
Non era normale. Inoltre, tre giorni prima, quando Lily era tornata dal suo ripasso in biblioteca in vista del compito di Trasfigurazione, lei aveva capito subito che c’era qualcosa che le frullava nella mente.
Era molto simile a James, sotto certi aspetti.
Avevano entrambi, per esempio, una forte inclinazione ad infrangere le regole, ma, se quando James progettava qualcosa se ne accorgevano tutti, quando era la piccola Lilian ad avere in mente qualcosa nessuno sembrava rendersene conto e il pensiero del suo lieve cambiamento di atteggiamento veniva collegato solo in seguito, quando lo scherzo o l’impresa era stata conclusa.
In ogni modo, lei, ormai, aveva sviluppato un certo sesto senso nel comprendere quando questo stava per avvenire.
Il principale campanello di allarme era che, quando qualcosa le frullava nella mente, non parlava molto ma si limitava ad ascoltare, anche più di quanto non facesse normalmente.
Per esempio, quando martedì sera era tornata nel Dormitorio, era riuscita a raccontarle tutta la sua giornata, persino come avesse cercato di abbordare suo fratello senza che la interrompesse nemmeno una volta.
-Noi scendiamo a fare un giretto nel parco, voi venite?- chiese Jane, saltellando con un piede infilato nello stivaletto e l’altro ancora nudo. Erin le fissò dalla porta con la sua aria perennemente scocciata, controllandosi le unghie smaltate.
-Arriviamo subito!- Lily fece un sorriso troppo smagliante, di quelli che rivolgeva solo ai ragazzi carini e non alle sue scorbutiche compagne di dormitorio di prima mattina.
Si, stava architettando qualcosa.
Lily aspettò che la porta della stanza si richiudesse e con fare fintamente ingenuo prese a giocherellare con il bordo della sua coperta, sbattendo le ciglia.
-Lily-
Mary aveva paura quando faceva quell’espressione.
Aveva sentito molto parlare del nonno di Lily, uno dei più casinisti combina guai della storia di Hogwarts. Bhe, quel tizio e James non erano nulla, nulla al confronto, se paragonati alla spaventosa espressione fintamente innocente di Lily che prevedeva solo una cosa: guai, guai grossi.
-Cosa, c’è?- Lily si rialzò, dandole le spalle con una finta naturalezza che, se non l’avesse conosciuta come le sue tasche, non avrebbe mai distinto.
Sarebbe capace di far saltare in aria il Tower Bridge, se volesse, e nessuno se ne accorgerebbe. Potrebbe persino intrufolarsi nello spogliatoio dei Tornados, farsi una foto con l’intera squadra in boxer e tornarsene a scuola come se nulla fosse.
Se Lily vuole una cosa, la ottiene.
Come era quella cosa che dice mia madre?
Ah, si. L’acqua cheta distrugge i ponti.
-Ti senti bene?-
Lily spalancò gli occhi, evitandone lo sguardo.
Mary corrucciò la fronte, perplessa. Di solito, quando stava per fare una cazzata, e ne era sicura, i sintomi erano quelli, aveva il brutto vizio di guardarti negli occhi, spalancandoli al massimo con quel suo faccino angelico, come se non avesse nulla da nascondere.
Dopotutto, come si suol dire, se devi nascondere una cosa a qualcuna, mettigliela sotto il naso e non la noterà.
-Certo che si, perché non dovrei?-
Perché non mi stai guardando negli occhi.
Sembrava quasi che non volesse farsi vedere, che avesse paura di non poter reggere il suo sguardo. Ma allora perché quando Jane le aveva invitate a scendere l’aveva trattenuta di nascosto per il braccio, pregandola silenziosamente di rimanere con lei, come se avesse voluto finalmente metterla da parte al suo segreto.
Così non va… è come se… se si… vergognasse.
Ma Lils non si vergogna mai.
Insomma, non si è mai…
Mary spalancò gli occhi, di botto.
Perché si, una volta Lily si era davvero vergognata. Con tanto di orecchie e guance rosse alla Weasley e balbettii alla Potter.
Ma avevano solo dodici anni, all’epoca e lui era un prefetto di Serpeverde davvero troppo carino.
-Ma cosa dici! Certo che siete proprio paranoici!-
-Paranoici?-
Allora anche qualcun altro aveva notato il suo strano comportamento. Probabilmente Hugo, visto che, da bravo ragazzo quale era negli ultimi giorni aveva cercato di essere il più invisibile e meno fastidioso possibile.
-Io devo andare!- esclamò precipitosamente Lily. Mary, troppo scioccata anche solo per provare a fermarla, rimase in silenzio a fissare il rosso scuro con cui erano dipinte le pareti, alla disperata ricerca di un senso a quella storia.
Il rumore della porta del corridoio che sbatteva la fece risvegliare da quella trance temporanea e, con un sospiro stanco, si sedette sul letto ancora sfatto.
Lily era strana.
Nascondeva qualcosa? Si.
Stava per fare una cazzata? Probabilmente.
Avrebbe dovuto seguirla e accertarsi che non facesse saltare in aria niente e nessuno? Magari evitando pure un attentato alla squadra dei Tornados? Si, avrebbe dovuto.
La cosa migliore da fare sarebbe stato aspettare che si calmasse e estorcerle con l’inganno il problema, vero? Oggettivamente parlando, si.
Lei avrebbe dovuto allenarsi per i provini per non fare una brutta figura davanti all’amore della sua vita, non è così? Ding-Ding! Risposta esatta.
Lanciò un’occhiata disperata alla sua scopa, l’ultimo modello della Nimbus che le era stata regalata per il suo compleanno, quell’estate.
Poi ne lanciò una ancora più disperata alla porta chiusa dove Lily era scomparsa appena pochi secondi prima.
Sospirò, di nuovo e pesantemente.
Doveva trovare Lily.
Subito.
 
Lily sbuffò sonoramente.
Si sentiva braccata, ecco.
Non che qualcuno la stesse davvero inseguendo, certo.
Ma era come avere alle calcagna una muta di cani feroci sempre pronti a sbranare ogni piccolo attimo di leggerezza.
Ok, oggettivamente parlando sapeva che non era così.
E sapeva che, se proprio bisognava parlare di comportamenti strani, lei sarebbe dovuta rimanere in silenzio e in un angolino.
Cattiva bambina!
Certo, nonostante la tempra morale di cui era dotata -perché si, aveva anche lei una tempra morale e si, sapeva che cosa fosse- riconosceva di aver avuto un atteggiamento piuttosto altalenante nell’ultimo periodo.
Aveva evitato di parlare con Mary di quella cosa e si sentiva davvero a disagio. Perché, per un solo attimo, quando quella mattina le aveva chiesto quale era il problema, aveva avuto l’immenso terrore di rivelarle un qualsiasi dettaglio.
Poco importava che poi, di quella storia, ci fosse davvero poco da dire. Si era sentita fottutamente a disagio.
E dire che, tutto, era iniziato per un semplice ripasso in vista del compito di Trasfigurazione, che si sarebbe tenuto il lunedì seguente. Imprecando contro la professoressa Zinker si era seduta ad uno dei tavolini della biblioteca, facendo ben attenzione a lasciare la sedia accanto alla propria libera, nel caso qualche aitante studente più grande, attratto dalla sua superiore bellezza, o, più facilmente, impietosito dalla sua totale incapacità in quella materia, avesse deciso di sedersi lì con lei.
Ma la biblioteca era completamente vuota e lei, il viso corrucciato dallo sforzo, non aveva avuto altre alternative se non mettersi sotto e studiare. Dopo aver letto da cima a fondo il capitolo tre e aver realizzato sconfitta che bisognava davvero leggere i primi e due che le erano stati assegnati per le vacanze e che aveva allegramente ignorato, aveva fatto vagare lo sguardo per lo stanzone.
Non sapeva proprio cosa ci trovavano gli altri in quel posto. Era freddo, incorporeo, privo di quella sensazione che aveva sempre attribuito alla magia. Non faceva per lei, ecco.
La finestra, poi, era davvero troppo in alto e troppo stretta, era soffocante. Forse sono claustrofobica.
L’anno prima, quando James, che aveva appena passato il suo esame di Materializzazione, aveva voluto farle vedere quanto era bravo e aveva deciso di portarla al luna-park, aveva sbagliato qualcosa e si erano ritrovati in una cella di un carcere babbano.
Bhe, quella stupida biblioteca le ricordava proprio quel posto.
Mi sento in trappola.
Ok, forse è un pochino esagerato, ma odio essere limitata.
Comunque, mentre era persa nel riflettere su quanto orribile fosse quel posto, si era accorta di non essere completamente sola. Seduto al tavolo di fronte al suo c’era un ragazzo. Lily non riusciva a distinguere bene la figura visto che era tutto piegato su una pergamena, ma potè distinguere dal colore del cravattino, che era un Corvonero. In ogni modo stava scrivendo febbrilmente, come se ne dipendesse tutta la sua vita.
Dovrei farlo anche io, forse.
Anche perché se vado male al compito mamma metterà fine alla mia, di vita…
Lanciò un’occhiata alla pergamena.
Copierò da Mary.
Giunta a questa brillante conclusione avrebbe potuto benissimo affrettarsi all’uscita, magari andare in Sala Comune, visto che ci sarebbe voluta una mezzora buona prima della cena, e avrebbe persino potuto farsi una passeggiatina giù al Lago con Hugo.
Ma era troppo stanca, troppo per alzarsi e compiere quei pochi metri che la separavano dalla porta. Perciò, con l’intenzione di rimandare al giorno seguente i suoi propositi di conquista del mondo, rimase lì, ferma, gli occhi puntati sulla testa chinata del ragazzo Corvonero.
Aveva i capelli scurissimi. Erano neri, di un nero vagamente inquietante. Lily non riusciva a vederlo in faccia ma, dalle mani, notando il colorito pallido e chiaro, evinse che non facevano certo un bel contrasto con la pelle.
Aveva delle belle mani, però. Erano lunghe e stranamente curate per essere quelle di un ragazzo e stringevano la piuma delicatamente, ma con decisione.
Non era nemmeno troppo muscoloso, a dirla tutta. Anzi era piuttosto magro, ma, se il suo istinto non si sbagliava, -e lo faceva davvero di rado- doveva essere piuttosto alto.
Circa quanto James, se non qualche centimetro di più.
Era ancora persa nella contemplazione dei polsini della sua camicia bianca, ripiegati con cura, quando lui, all’improvviso, smise di scrivere e drizzò il capo.
Poi, lui l’aveva guardata.
Lily scosse la testa, cercando di ricacciare il ricordo e tutto ciò che portava con sé in un angolino della sua mente e cercò di concentrarsi sul sentierino di ghiaia. Cercando di non perdere l’equilibrio e di non inciampare, cosa piuttosto facile visto che indossava i suoi stivaletti di pelle di drago con il tacco, prese un grosso respiro.
Non aveva fatto niente, lui non aveva fatto niente, alla fine. Eppure si sentiva parecchio scombussolata ed irritata.
Perché non aveva fatto niente?
Perché non riusciva nemmeno ad accennare questa storia a Mary?
Non era poi così difficile, da dire.
Non era niente, da dire.
Ehi, Mary, ho conosciuto un tizio in biblioteca. O, meglio, ho spiato un tizio nemmeno carino che non mi si è filato per niente.
E mi sento una cogliona perché mi da fastidio.
E la cosa che mi fa sentire ancora più cogliona è che non so nemmeno perché mi da fastidio.
E sto parlando da sola.
Di nuovo.
Si prese la testa fra le mani, sconsolata.
Aveva bisogno di un attimo di tranquillità, di smettere di pensare anche solo per un secondo, di poter tornare ad essere la finta Lily, quella spensierata e allegra che non si preoccupa se un tizio, nemmeno carino, poi, non l’ha considerata.
Aveva bisogno di Hugo.
 
Respirare.
Inspirare e espirare.
Era tutto lì in fondo.
Hugo se ne stava seduto sulla panchina al limitare del campo da Quidditch e fissava con insistenza la schiena di Ethan Green, capitano della squadra di Grifondoro, la casacca con i colori della Casa che svolazzava leggermente mossa da una brezza lieve.
Il cielo era così limpido e terso che sembrava essere stato dipinto con degli acquarelli e, in lontananza, si potevano già intravedere i colori rosati del tramonto.
Hugo dovette prendere un altro respiro profondo, perché, miseriaccia!, non poteva davvero essere così agitato per un semplice provino, ma lo era. Perché, per la prima volta, entrava in gioco.
Lui, in prima persona, scendeva in campo. Per dimostrare che lui meritava di essere acclamato, per il suo talento, perché sarebbe diventato il miglior Battitore della scuola oppure, al contrario, sarebbe finito per essere solo uno di quegli imbarazzanti soggetti che cercano di cambiare il sistema e rimangono fottuti.
La sua divisa gli sembrava una lucente armatura e la sua mazza da Battitore una spada.
Mi sento un fottuto cavaliere, cazzo!
E potrebbero anche non prendermi!
Ethan fischiò e i ragazzi che avevano provato per il ruolo di Portiere scesero di quota atterrando. Non riuscì nemmeno a ridere dell’espressione terrorizzata di un bambinetto del secondo anno che, evidentemente credendo di riuscire a passare le selezioni, aveva provato ad ambire il ruolo.
I Cacciatori scesero in campo e fra loro Hugo potè distinguere con facilità la sagoma arruffata e vagamente curva di James che stava tirando una pacca sulla schiena del suo amico. Era strano che non stesse saltellando per il Campo.
Era venerdì, dopo tutto.
Ma forse il pensiero di non essere più capitano della squadra, certo vederlo picchiare a sangue Roger Jordan era stato fottutamente divino ma gli era valso il ruolo di leader, aveva contribuito a quell’espressione mogia.
-Hmpf!- Lily si lasciò cadere accanto a lui, scalciando la sua borsa e facendogli un breve segno con il capo, che interpretò come un “Ciao Hugo, sono contenta di vederti. Guarda, non avere paura, sono sicura che andrai benissimo!”. Ma era Lily, non avrebbe mai detto nulla del genere.
-Te la stai facendo sotto, vero?-
Ecco, quella era più una cosa da Lily.
Eppure, lo sapeva, lei lo capiva. Capiva come era sentirsi sempre sotto pressione, sempre paragonato a qualcun altro, sempre considerati in modo diverso. Era snervante.
Sin da piccoli era sempre stato così. Sempre visti in funzione delle parentele, e questo non portava di certo a fidarsi delle persone in generale. Forse era quello il motivo che l’avevo spinto a partecipare alle selezioni, in effetti.
Dimostrare che c’era del vero.
-Hugh, lo sai vero?- Lily non lo stava guardando, ma non lo faceva mai quando diceva qualcosa di particolarmente importante o che le stava a cuore. Le dava fastidio essere osservata, letta, quando metteva a nudo le sue intenzioni o i suoi desideri –Può finire di merda, ma può finire anche alla grande-
Hugo annuì. Quella era la sua battaglia, e non si trattava solo di ottenere quel dannatissimo posto nella squadra, ma di ottenere quello stradannatissimo posto nel mondo, nel suo mondo. E doveva combatterla da solo. Per far vedere a tutti che si poteva andare oltre alle apparenze, oltre al passato e al cognome.
Era questo quello che voleva dire a Lily. Ma non lo disse, perché anche lei lo sapeva, perché era la sua stramaledettissima migliore amica e se non si capivano loro due, allora nessuno avrebbe mai potuto capire un cavolo.
-Mica da niente, eh?- si limitò però a sussurrare.
-I BATTITORI QUI!- Ethan prese ad urlare, agitando la scopa come se fosse stata un razzo segnalatore –I BATTITOR… POTTER SCENDI DA QUEGLI ANELLI, SUBITO! WEASLEY TOGLITI QUELLE DUE PLUFFE DA SOTTO LA MAGLIA, ORA! DOVE SONO I MIEI BATTITORI?!-
-Forse è meglio che vado…-
-In bocca al Dissennatore!- esclamò lei, perdendo la sua smorfia riflessiva e sostituendola con il suo solito sorriso smagliante.
-Crepa. Tu e il Dissennatore, Lils-
 
Poi lui la guardò. Anzi, le piantò gli occhi sul viso, e, per la prima volta Lily sentì qualcosa stringerle forte lo stomaco, come una morsa ferrea che le impediva di respirare normalmente.
Erano gli occhi, si.
Erano quelli che la facevano sentire così strana. Erano troppo neri. Un nero senza sfumature, piacevole quanto lo può essere l’oblio, ma allo stesso tempo, così travolgenti, così colmi di un qualcosa che non riusciva a comprendere. Assomigliavano molto a quella tonalità di… niente, ecco. Come quando, mentre cerchi di addormentarti, chiudi gli occhi e cerchi di abituarti al buio sotto le tue palpebre.
Non era esattamente certa che fosse una sensazione gradevole. Di certo non era sgradevole. Ma, era… strana.
Lui non ricambiò il sorriso che si era premurato di fargli, anzi, distolse lo sguardo e continuò a leggere il suo libro.
Se fosse stata nel pieno delle sue facoltà mentali, Lily l’avrebbe mandato a quel paese.
Stupido secchione, come pensi di poter resistere alla magnifica me?
Ma, in quel momento, gli occhi che lottavano per rimanere aperti, la luce del tramonto che si intravedeva dalla finestra e dava alla stanza una sfumatura di luce quasi idilliaca, le sue mani affusolate che sfioravano il dorso del libro… era una sensazione… diversa.
Diversa da cosa, poi?
 

***

 
Harry Potter non era sempre stato un tipo mattiniero.
Ai tempi della scuola neanche la prospettiva di un mago oscuro alle sue calcagna, di un’interrogazione con Piton in pozioni, di una passeggiata al Lago con Ginny, della partita decisiva con Serpeverde a Quidditch, sarebbe riuscito a scollarlo dal suo lettuccio caldo.
Ma, ormai, i tempi della scuola, delle passeggiate, del Quidditch e di Voldemort stesso erano passati. E lui aveva imparato a svegliarsi presto quando gli si presentava un caso particolarmente difficile o complicato. Come quello a cui lui e la sua squadra stavano lavorando in quel momento.
Derek Dellev, promettente pozionista di origini americane, trasferitosi in Inghilterra due anni prima, era stato ritrovato morto nel suo appartamento nella Londra babbana. Il corpo era stato rinvenuto solo due giorni dopo, il lunedì pomeriggio, dal capo del settore del Ministero dove il giovane lavorava, che, in assenza di sue notizie, era andato a fare un controllo.
La morte, avevano però definito gli Indicibili, allertati sul momento, era avvenuta parecchie ore prima, probabilmente il sabato pomeriggio tardi, o la sera dello stesso giorno. L’ipotesi era stata poi accreditata dai Medimaghi che avevano esaminato il cadavere.
Le indagini erano iniziate il giorno dopo. Harry e la sua squadra avevano interrogato amici e vicini, ma niente. Il suo coinquilino, un certo Zane Torry, un ragazzo di colore con dei rasta lunghi fino al fondoschiena, era, al momento dell’omicidio, in vacanza con la sua ragazza. I vicini, di sabato sera, stavano dando una festa e, neanche volendo, avrebbero potuto accorgersi di niente.
Timbrò il suo cartellino e entrò a grandi passi nell’enorme stanzone, sgombro e silenzioso. Percorse velocemente il lungo corridoio che portava al suo studio. Sorrise a Effie, la sua giovane segretaria, l’unica presente in quell’area del Ministero. Lei ricambiò con un sorriso incerto e timido, quasi come se si stesse scusando di qualcosa. Effie dava sempre questa espressione.
Era timida per natura e totalmente in soggezione con la sua fama di eroe del mondo magico e suo capo. Se non altro era efficiente e discreta, lavorava che era una meraviglia e aveva l’illuminante pregio di apparire sempre al momento giusto.
Aprì la porta del suo studio e si lasciò cadere sulla sua poltrona in pelle. Si tolse gli occhiali e si massaggiò la sella del naso, e ciò, di per sé, non era mai un buon segno.
Afferrò l’ingombrante documento che Effie gli aveva lasciato sulla scrivania e prese ad esaminarlo con cura. Una volta che ebbe compreso che si trattava delle foto che aveva richiesto a Quincy dell’Ufficio Misteri, il giorno prima.
Le foto che venivano usate per queste situazioni erano magiche, ma, a differenza di quelle utilizzate normalmente, non si muovevano. Con una piccola pressione delle dita, però, era possibile ingrandirle ed avere una visione ottica migliore delle ferite.
Qualcuno bussò alla porta e, dopo un suo assenso la testa di Effie comparse, un’espressione dispiaciuta in volto.
-Mi dispiace disturbarla, signore- commentò, mentre faceva dondolare i suoi orecchini –Ma c’è qui una donna che vuole vederla. Dice di non avere un appuntamento, ma che deve parlarle urgentemente-
Harry corrugò la fronte, perplesso.
–È straniera. Ha insistito per accomodarsi in sala d’aspetto e non credo che se ne andrà molto presto- Effie, quasi a comprendere la sua incertezza gli venne incontro, aggiungendo con un altro sorrisino di scuse incerto –Se vuole le dico di ritor…-
-No, no. Falla entrare, sentiamo cosa vuole- esclamò, interrompendola, mentre già un idea sull’identità della sconosciuta gli si faceva largo nella mente.
Derek Dellev era americano e, per quanto vivesse e lavorasse in Inghilterra da molto tempo, gli americani volevano avere tutto sotto controllo. Soprattutto visto l’importanza e l’intelligenza del giovane defunto che, in America, era famoso per le sue innumerevoli scoperte nel campo della Medimagia e dell’Alchimia. Evidentemente la donna se, come aveva evinto Effie, era davvero una straniera, e, americana, allora sarebbe di sicuro stata un agente di collocamento statunitense.
Soffocò un sospiro seccato.
Odiava essere limitato nelle sue azioni. E quella americana avrebbe voluto di sicuro seguire le sue indagini con il proprio metodo. Con l’intenzione di sbrigare velocemente la situazione, magari assegnandole tutti i fascicoli e le informazioni che voleva, in modo da tenerla impegnata per un po’, si infilò di nuovo gli occhiali.
Il caso era più complicato del previsto, i suoi nervi erano tesi e, dunque, quando sentì la porta del suo ufficio aprirsi nuovamente, non si premurò nemmeno di stamparsi in faccia il suo solito sorriso cordiale che usava nelle occasioni importanti.
La donna che entrò era senza dubbio americana. Lo si evinceva dalla pelle troppo abbronzata, dai capelli di un castano troppo sgargiante e dagli occhi troppo truccati per appartenere a una qualsiasi donna inglese. Era abbastanza giovane, doveva avere una trentina d’anni, se non di meno. Harry non se ne stupì troppo.
In America si dava molto importanza ai giovani che, non dovendo subire le angherie di una burocrazia magica troppo conservatrice come quella inglese, potevano sin da subito rivestire posizioni importanti.
-Kate Toddeson- si presentò –Sono l’agente referente americano che dovrà seguire il caso Dellev. Ho preferito essere ricevuta subito. La sua segretaria sembrava essere spaventata a morte dalla mia presenza e non credo avrebbe gradito che mi fossi intrattenuta troppo-
Harry che, già di cattivo umore di per sé, odiava i convenevoli e i giri di parole, fu grato della sua schiettezza.
-Harry Potter, prego si accomodi- le fece cenno con la mano, indicandole la sedia davanti alla sua scrivania. Lei si lasciò cadere con insolita grazia che gli ricordava molto la fluidità di Fleur. A differenza della cognata francese, l’americana, aveva un no so che nel modo in cui lo fissava. Era sempre stato abituato ad avere gli occhi di tutti puntati sulla schiena, ma quella volta era diversa.
Lo stava analizzando, pesando.
Un sorrisino gli sorse sul volto, prima che riuscisse a controllarlo.
Un punto a lei.
Chi perdeva tempo a capire se c’era qualcosa oltre la leggenda del Prescelto, per Harry meritava immediatamente credito.(*)
-Bene- esclamò, per rompere il sottile silenzio carico di attesa che si era creato –Prima volta in Inghilterra?-
-A dire il vero no. Sono venuta più volte con la mia famiglia, da piccola-
-Ah, bene- ripetè Harry, chiudendosi di nuovo in un imbarazzante silenzio. Stava appunto pensando di intraprendere una conversazione di puro stile inglese su quanto fosse volubile il tempo quella mattina quando lei si schiarì la voce.
-So bene che avrebbe preferito che io non ci fossi- esordì, mettendo subito le carte in tavola, determinata.
-Per la verità…- replicò, cercando di non apparire scortese. Certo, poteva non essere così terribile come se l’era immaginata ma, dopotutto, poteva essere comunque d’intralcio nella sua investigazione o vantare strane pretese.
-Amo la verità- lo interruppe lei –Perciò mi sembra giusto chiarire sin da subito la mia posizione. Mi hanno detto che lei è un uomo che va diritto al punto. Voi inglesi sapete andare avanti, questo bisogna ammetterlo-
-Si, sappiamo arrangiarci bene- annuì tranquillamente –Mi ascolti signorina Toddeson…-
-Kate- lo corresse –Non facciamo di questi convenevoli. Li considero un irragionevole perdita di tempo-
-Vale lo stesso per me- sorrise –Non sono abituato ad essere limitato o frenato quando indago. Voglio seguire l’indagine per bene, prendere il colpevole e arrestarlo nel minor tempo possibile-
Kate lo soppesò, di nuovo. Poi si appoggiò contro la testata della schiena, assumendo una posa indubbiamente rilassata. Evidentemente, si ritrovò a pensare Harry, aveva concluso il suo esame. Lo aveva ritenuto idoneo.
Ma non è finito il tuo, di esame, Kate.
-Esattamente quello che vogliamo anche noi, signor Potter-
-Quello che non capisco, Kate, è come mai il vostro governo ha preso così a cuore la morte di Dellev. Certo era un giovane talentuoso e americano, ma, per quanto l’amore per i propri connazionali sia sviluppato in voi statunitensi, non ho capito perché intervenire di persona sulle indagini-
-Il signor Dellev era una personalità importante del nostro paese- si limitò a stringersi nelle spalle la ragazza. Per un attimo sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma, poi, riprese a giocherellare con uno degli innumerevoli braccialetti che portava al polso.
Evidentemente, per quanto potesse apparirle idoneo e potesse esserle simpatico, il senso di segretezza tipico del suo governo e la sua personalità che, da quanto aveva potuto osservare, era fedele e determinata, non le permettevano di rivelargli di più.
Americani. Loro e i loro segreti, i loro esperimenti e le loro idee anticonformiste.
Sono da apprezzare.
-Harry, mi creda- la donna si sporse sulla scrivania –Mi creda, se c’è una cosa che voglio fare prima di morire è chiudere questa cazzo di storia una volta per tutte- Il tono era duro, nulla a che vedere con quello vagamente sarcastico che aveva usato in precedenza.
-Questo mi porta a pensare che sia stata una sua particolare richiesta di essere assegnata come referente nella missione- asserì, tranquillo, ripromettendosi di indagare sulle cause che potevano aver determinato un simile comportamento.
-E se anche fosse così? Se fosse una mia iniziativa? Se avessi ottenuto questo posto solo per i miei fini secondari? Le causerebbe qualche problema?-
Gli occhi marroni sembravano di metallo, tanto si erano induriti. Harry pensò che fosse tremendamente inquietante e che non avrebbe voluto battersi con lei per nulla al mondo.
-Dipende. Non avrò obbiezioni finchè terrà la bacchetta apposto, non prenderà iniziative senza il mio consenso e non limiterà le mie azioni. Non mi interessa se è venuta qui perché voleva farsi un viaggetto o se il suo governo l’ha mandata a rompermi le balle. Ma deve essere una promessa-
Kate rimase in silenzio, senza dire nulla.
Harry si ritrovò a pensare che gli ricordava molto Lily. Aveva lo stesso modo di squadrare una persona mentre pensava. Guardare qualcuno mentre rifletteva la tranquillizzava.
-Si fida se le dico che ho intenzione di mantenerla?- chiese.
-Apprezzo la sua sincerità. Dobbiamo fidarci l’uno dell’altro, Kate. Quindi si-
Harry le porse la mano e lei esitò un attimo prima di stringerla. Poi, però, dopo averla fissata un secondo buono, alzò lo sguardo verso di lui e fece un sorrisino ironico.
-In Inghilterra siete sempre così formali- sorrise, per la prima volta da quando era entrata nella stanza. Quel gesto la fece apparire, finalmente, una ragazza della sua età. Quando sorrideva, notò Harry, sembrava davvero una ragazza di ventisette anni –Noi americani siamo molto più spicci-
Detto questo gli mostrò la mano chiusa a pugno.
-Deve battere il pugno- spiegò davanti alla sua reazione sbigottita.
Harry sorrise e strinse anche lui la sua mano in un pugno, facendolo scontrare contro quello della ragazza.
Americani. Saprebbero spezzare la tensione e rompere il ghiaccio in  una qualsiasi situazione.
Sono d’apprezzare.




Allora, rieccomi di nuovo qui!
Una persona in particolare mi chiede sempre che volti hanno i miei personaggi (Si, Mich, sto parlando di te!) E allora, visto che nella mia mente c'è un dibattito interiore di quelli seri, ragazze mie, chiedo umilmente aiuto!
Sono in crisi per trovare il volto di Scorpius!
Ho qui due baldi giovani che hanno ricevuto la mia piena approvazione ma sono tutti e due così asjdgciy *.* che non riesco a decidermi!
Prima di tutto va detto che, Scorpius, almeno per come la mia testolina perversa l'ha immaginato, non è bellissimo, ma ha carisma, fascino, quel certo non so che... per lui non voglio una bellezza angelica, perchè, citando la mia idola (Dira_Real) "I Malfoy non sono angeli, nemmeno caduti", ma qualcosa che ti catturi, un bel ghigno da sbruffone ma neanche troppi dolce... un ragazzo non bellissimo ma a cui saltereste addosso comunque!
Quindi, a voi la scelta!
Chi preferite?
Il primo è parecchio gettonato, me ne rendo conto! Sono pochissime le storie in cui non è lui il giovane Malfoy, ovviamente parlo di Alex Pettyfer.


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Il secondo candidato è quello che mi convince di più (si, sono schifosamente parziale, ma voglio comunque un parere di qualcuno al di sopra della mia assoluta fissazione per lui) è Toby Hemingway.. non so quanti di voi potrebbero conoscerlo, ma questo ragazzo, se mai, alla fine non dovesse essere Scorpius, sarebbe comunque il prestavolto di qualcun altro nella storia, è troppo bello per non usarlo! Notate sopratutto il ghigno alla Malfoy, eh?

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Bhe, detto questo mettetevi all'opera e votate il vostro Scorpius!
Fra
   
 
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