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Autore: Fusterya    08/03/2012    14 recensioni
Sono passati due anni da quando Sherlock è ricomparso, la sua vita e quella di John - dopo delle difficili spiegazioni e un lento riassestamento - è ripresa come se nulla fosse successo. E poi, incredibilmente, accade il contrario. Durante una delle loro pericolose avventure, John muore. E Sherlock...
(Siate buoni e comprensivi, è la prima volta che scrivo dopo anni!)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7 marzo



Mi hanno sparato. Sono corso giù per la rampa a perdifiato, ho visto Sherlock chino su qualcosa in fondo al parcheggio, ma stavolta solo io sapevo che era sotto tiro, ho visto quell'uomo introdursi dall’esterno.
Non ho ragionato.
Ho puntato la pistola verso le rampe superiori, Sherlock mi ha visto e ha provato ad alzarsi, io correvo e gli sono piombato addosso mente gli gridavo di andare via di là. Il bagliore metallico in alto è stato lieve ma sufficiente per indicarmi la traiettoria, ho puntato la pistola in quella direzione e ho spintonato Sherlock indietro con tutto me stesso, urtandolo con la schiena per farlo cadere dietro di me, ho sparato a ripetizione e ho visto i lampi di quegli altri spari brillare nell'oscurità, dall'alto, come dalla balconata di un macabro teatro.
Ho capito subito che era finita ancora prima di sentire il dolore.
Io non ho preso chi sparava, non avrei mai potuto da quell’ angolazione, ed era più che chiaro che, così allo scoperto, non l'avrei fatta franca.
Zac zac... prima due suoni sottili, come aghi industriali che si infilano a folle velocità in uno spesso strato di rayon, poi ho sentito due colpi sordi sul torso, come se qualcuno mi avesse dato dei pugni, e sono volato all'indietro anche io, dritto su Sherlock che stava tentando di rialzarsi.
John! l'ho sentito gridare quando l'ho urtato di nuovo e siamo rovinati a terra insieme. Giusto il tempo di pensare: che cretinata, ora resterà scoperto e sparerà anche a lui... sono un idiota!
Siamo per terra uno sull'altro e io vedo l'altissimo soffitto di cemento dell'autosilo, a perdita d'occhio, sento il suo corpo muoversi affannato sotto di me che cerca di liberarsi del mio peso, e capisco che posso ancora parlare: "resta giù... resta giù, imbecille! Non ti muovere!"
.
Sento un altro colpo, sta mirando alla mia testa? E poi altri due, tre, sette, otto, in rapida successione... urla, passi multipli e urla.
"John! Sherlock!" è la voce di Lestrade. Con lui ci sono almeno altri 4 uomini, a giudicare dai passi di corsa.
La balconata tace, il cecchino sta scappando. Grazie a dio Sherlock è al sicuro, ce l'ho fatta.  Ora posso rilassare i muscoli, espiro aria e sangue, il dolore mi acceca all'improvviso.
John John John. No, john! Oh no no no! Adesso vedo il suo viso sul mio, è sconvolto, chino su di me, e febbrilmente tenta di aprirmi la giacca per vedere dove mi hanno colpito.
Te lo dico io, Sherlock. Quadrante superiore sinistro. Polmone, presumo, verso il basso. E fianco sinistro. Forse la milza.
Sento l’aria che sfugge dalla mia gola, il polmone collasserà e morirò soffocato nel mio stesso sangue. Non era così che lo avevo immaginato. Oh dio! Sento che esclama, e poi avverto la pressione delle sue mani sul petto. Avverto il calore del mio sangue dentro la camicia. Sento i palmi di Sherlock premere sulla carne, fa male, cristo, fa malissimo, ma sta tentando di fermare l’emorragia come può. “LESTRADE! “ urla con tutto il fiato che può “LESTRADE… GREG! JOHN E’ FERITO, UN’AMBULANZA! GREG!!!”
Vedo il suo profilo, è girato a guardare in un punto lontano, il punto da cui Lestrade sta correndo verso di noi: è pallido, terrorizzato, sudato.
Io non l’ho mai visto aver paura.
Mai.
Si rigira verso di me, su di me, gli occhi trasparenti, sgranati, piantati nei miei; sento il suo alito caldo sul viso “John… John, respira piano, piccoli respiri cadenzati, il sangue fluirà più lentamente… Maledizione, John, John… maledizione!"
Mi scappa un sorriso, sì, credo di stare sorridendo: “io…”
“Non parlare, non parlare, no. Shhhhhh…. Zitto!”
La pressione sul petto si allenta, lui tira via le mani scarlatte di sangue, si strappa la sciarpa dal collo, la arrotola alla bell’e meglio e me la preme addosso con una mano sola, facendo peso col suo corpo. L’altra mano, ghiacciata, me la mette sulla fronte. Mi vuole calmare, ma io stranamente non sono agitato. Mi tocca il viso, mi parla. Sherlock.
Lestrade si è inginocchiato accanto a me dall’altro lato, ma io non guardo lui.
“John! Come.…”  la sua voce che esordisce e poi si interrompe, evidentemente dopo aver visto le mie ferite, mi dà la conferma di ciò che so già. E’ un poliziotto, un bravo poliziotto, e sa cosa ha visto.
“John, i paramedici stanno arrivando, sono a due minuti da qui!”
Ma io riesco solo a guardare il mio caro, caro amico negli occhi.
Forse ho solo rimandato l’inevitabile. Questa organizzazione di trafficanti d’organi è enorme, potente, e abbiamo appena scoperto che Londra è la base per le operazioni in tutta Europa. Uccideranno anche lui, forse tra qualche ora. Se non chiederà protezione, uccideranno anche lui e saremo morti tutti e due.
“Sherlock…. Mycroft” dico non so con quale voce.
“No no no John… devi stare zitto”
“Devi andare da Mycroft… devi nasconderti...” poi il fiato mi muore in gola, il dolore si fa lancinante, lui continua a esortarmi di stare zitto, ha lo sguardo da pazzo, mi accarezza la fronte.
Mi accarezza la fronte.
E io guardo quella faccia e capisco che lui non sarà bravo come me a fronteggiare tutto questo, non riuscirà a gestire la mia morte come io ho fatto con la sua… devastato, piegato in due, sì, ma io ho provato a trascinarmi in una specie di inutile quotidianità: il caffè, le mattinate al parco a fissare nel vuoto da una panchina, le vaghe chiacchiere con Mrs. Hudson… e quelle con lui, con la sua lapide: io sono normale, ho potuto farlo.
Lui non ci riuscirà. Il mio coinquilino sociopatico ad alto funzionamento non ce la farà.
Non crederà che io possa rispondergli da una lapide. Neanche io lo credevo, ma poi lui l’ha fatto ed è tornato da me, cosa che io non potrò fare. Lui sarà solo con emozioni e sensazioni che ha sempre respinto, che non ha saputo mai codificare, figuriamoci averci a che fare.
La nostalgia, il dolore.
La mia morte lo distruggerà. Ed è più questo che mi fa gemere, non la consapevolezza di quello che sta succedendo.
Mi sento mancare, chiudo gli occhi… un torpore infido mi si sta diffondendo nel corpo.
“Sherlock…”
John… John! La sua voce è incalzante, profonda, il suo tocco taumaturgico.
In fondo non mi dispiace andare via così, se proprio deve essere. Con addosso il calore delle mani di chi amo.
Amico mio, fratello… anima condivisa. Non so spiegare cosa sei per me, cosa sei stato fin dal primo istante, senza che io lo vedessi chiaramente fino a quel giorno del salto. Mi dispiace renderti così lo scherzo del Saint Barts, non avrei voluto.
Mi copre con il suo corpo, non vedo più ma sento chiaramente che appoggia il suo viso al mio, guancia a guancia.
Piange.
Sussurra no no no no. Sussurra nel mio orecchio, mi bagna i capelli: no no no no… John… no ti prego John… no… no.
Non preme più sulla ferita, che non mi fa neanche più male. Adesso usa le braccia per avvolgermi. Il suo calore intenso, quello della sua pelle e del suo intero corpo che copre il mio, mi dà un momentaneo vigore. Mi piace… questo mi piace: perché non l’abbiamo mai fatta prima questa cosa di abbracciarci, Sherlock? Il tuo dolore è genuino, rivelatore… così nuovo per te. Muovo le labbra, provo a dire il tuo nome ma non è più possibile.
Resta saldo. Sii forte. Vorrei dire tante cose. Ma a questo punto mi è chiaro che tu le comprendi  già… amico, fratello, amore mio.
Qualunque cosa tu sia.

19 maggio

La luce del neon è bassa e livida come le occhiaie sul volto bianchissimo.
Il fumo sale lento, con una voluta sinuosa,  due iridi verdi ne seguono la danza.
“Non avevi smesso?’”
Sopracciglia inarcate. Boccata. ”No” .
“Sei dimagrito”
“Si”.
“Sherlock…”
“Non fare la mamma ansiosa, Mycroft, e vai al punto. Non sono qui perché ho perso qualche chilo.”
“Cocaina?”
“Ovviamente sì. Hai finito?”
“Da quanto non hai un caso?”
“Mi hai fatto prelevare di forza nel cuore della notte da 4 agenti poco addestrati- credo di aver fratturato uno zigomo a uno di loro - per portarmi qui e chiedere della mia salute e del mio lavoro? Cosa vuoi propormi?”
“Non rispondevi mai al telefono. No, non è per un caso, non puoi chiaramente seguirne uno"
“Chi lo dice? Tu?”
“Lo dice il fatto che sono tre mesi che non ne accetti mezzo"
“E’ uno stallo provvisorio, voglio riposare: non sono in lutto, Mycroft. Il lutto è per le vedove con bambini piccoli”
“Non porgermi il fianco a facili battute, Sherlock”
“Se ne facessi una, ti romperei la faccia seduta stante.”
Mycroft si gratta la testa.
Soffia fuori una lunga boccata di fumo, lentamente, fissando la parete bianca di fronte a sé.
“Non c’era una stanza più confortevole? Mi sembra di essere un prigioniero di guerra. E sì, è per un caso, ma vuoi portarmi a chiederti di darmelo: certa bassa psicologia inversa non è da me, né da te.”
“Ok, niente giochini, Sherlock. Ci conosciamo dalla nascita. Come stai… davvero?”
“Ti interessa? Davvero?” finalmente lo guarda in faccia.
Il fratello maggiore ha il volto tirato quasi quanto il suo.
“Mi è sempre interessato”
“Allora dovresti sapere che non interessa a me”
“Mrs Hudson dice che non suoni da allora e quasi non esci di casa”
“Mrs Hudson dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi”  
“Sherlock, la gente comincia a dimenticare che esisti, tra poco nessuno ti porterà più un caso e non potrai ricominciare… Nemmeno Scotland Yard ti consulterà più dopo i tuoi ultimi rifiuti”
“Quando vorrò, ricomincerò come ho fatto all’inizio”
“E quando vorrai?”
Silenzio. Occhi per terra.
 “Sono passati tre mesi”
“Sono passati tre minuti, Mycroft”
“Hai bisogno di aiuto”
“Mycroft… per l’amor di Dio!”
“Ok… errore mio. Allora prendi questo caso, vedi come va. Tra l’altro è davvero grave e urgente, rischiamo che grande parte dei nostri piani di sicurezza nazionale finiscano in Uzbekistan”
Silenzio.
“Non avrei mai creduto che tu potessi volermi fare da baby-sitter in questo spudorato modo. "
“Ne hai sempre avuto bisogno, Sherlock”
Altra boccata profonda alla sigaretta.
“Da qualche anno eri meno… teso in proposito, mi sembra: John faceva bene il suo lavoro”
Ecco, lo ha nominato. Gli sfugge un sorriso amaro.
“Se una cosa ho imparato, Sherlock, è che per John Watson questo non era un lavoro"
“Intendevo io. Io non ero un lavoro.”
“Intendevo esattamente quello” Mycroft si alza “devi andare avanti”
“No”
Si alza anche lui, schiaccia la sigaretta sul tavolo d’acciaio davanti a sé, si infila le mani nelle tasche del cappotto, lo guarda dritto negli occhi.
“Non andrò da nessuna parte senza John, Mycroft.”
“Non puoi fare diversamente"
“Ho molte altre opzioni. Adesso posso andare?"
“Non posso trattenerti. Dimmi solo che ci penserai. E che mi risponderai al telefono ogni tanto"
Sherlock non risponde, è veramente molto pallido. Gli occhi chiari sembrano enormi nel viso smunto. La luce distorta che Mycroft vede in essi gli fa perdere ogni speranza.
“Sherlock…”
“Ok, lo prometto” si muove e gli passa davanti. Mycroft gli afferra un braccio e lo costringe a rallentare, a guardarlo di nuovo negli occhi.
“Sherlock, non c’è davvero niente che io possa fare?’”
Lui accenna un sorriso che è più una smorfia.
“Si, fratello. Fai quello che hai fatto con me. Fallo ritornare, riportalo da me”
Mycroft abbassa gli occhi, poi li rialza in quelli suoi. Non può dire nulla di vero, di utile. 
“Era il mio unico amico, Mycroft, il mio compagno. L’unico. L’unico che io abbia mai avuto, l’unico che avrò mai. Ha impedito che quelle pallottole si conficcassero nel mio corpo, il MIO corpo, Mycroft. Non ha esitato, come ha fatto un centinaio di altre volte: mi ha reso la pariglia…. Sacrificio per sacrificio, ma io sono un vigliacco e non mi sono fatto ammazzare da Moriarty, lui non ha fatto calcoli, non ha usato il cervello, quel suo… piccolo, piccolo, stupido normale cervello - maledetto John  - e si è ammazzato per me.”
“Ha scelto di farlo, Sherlock, come lo scegliesti tu: non potevi sapere che Moriarty non ti avrebbe sparato!"
“Ma non lo ha fatto. Io SAPEVO che non avrebbe usato una soluzione del genere, voleva lo spettacolo, io ho potuto fare i miei calcoli, ho potuto orchestrare la mia messinscena e lasciare John per mesi nella stessa situazione in cui sono io ora, sapendo che era una finzione…. Quale amico fa una cosa simile?”
“Ti ha perdonato, mi sembra. Dovresti rispettarlo.”
“Hai detto bene. Lui mi ha perdonato".

Si divincola e si dirige verso la porta.
Prima di imboccarla, Sherlock esita e si gira ancora verso il fratello.
Non è mai successo prima, ma forse per una volta gli deve qualcosa di più.
“John ha scelto di darmi la sua la vita piuttosto che passare attraverso l’esperienza della mia morte un’altra volta. Non lo capisci, Mycroft? Non lo vedi perché io non posso andare oltre?”
Mycroft inspira profondamente.
“Io ho sempre visto tutto molto chiaramente, Sherlock. Sei tu che te ne sei accorto tardi”
Sherlock ride.
“Non avevo bisogno di… “accorgermi” di niente, Mycroft. Tra di noi era così è basta. Era quello che era. "
Noi. Quando dice “noi” vorrebbe piegarsi in due, cadere sulle ginocchia e urlare.
“Allora non è solo senso di colpa’”
“No, non lo è. Vuoi sentirmelo dire? “
Mycroft guarda altrove.
“No, non c’è bisogno"
“L’hai mai provato, Mycroft?”.
Mycroft torna a guardarlo.
“No”.
Sherlock lo incalza, lo sguardo è un unico lampo di dolore.
“Una volta, in quell’obitorio... mi hai detto che tutte le vite finiscono...”
Mycroft non deve sforzarsi troppo per terminare quella frase, ma non lo fa. Non ha più voce.
“Mi dicesti che tutti i cuori si spezzano, che amare non è un vantaggio. E avevi ragione. Ma sono contento, ora per me è tutto chiaro, cristallino. Sai quanto ci ho sempre tenuto a capire le cose”
Mycroft tace. Si guardano ancora per un istante. Sherlock accenna un sorriso, e stavolta è quasi affettuoso.

“Addio, fratello".“Addio, Sherlock”.
Scompare oltre la porta come un’ombra nera. Mycroft non ne sentirà mai più parlare.

  
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