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Autore: Denki Garl    09/03/2012    10 recensioni
Il tradimento fu solo una dimostrazione che la loro alchimia si era disciolta in un qualche elemento troppo instabile, diventando una mina vagante e mortalmente pericolosa. Quella sera, quella confessione, portò ad una lite furibonda, tremenda. Parole volarono come cacciabombardieri, rumorose, minacciose, sganciando colpe dall'una e dall'altra parte. Più che dar l’impressione di voler rompere, diedero l’impressione di voler rompersi, mandarsi in mille pezzi in un’autodistruttiva esplosione di coppia.
I personaggi non mi appartengono, nulla si ispira a fatti realmente accaduti.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Honey, if you stay I'll be forgiven. 






Una vita che pretende così tanto,

divento così debole.

Un amore che pretende così tanto,
non riesco a parlare.





L’aveva visto giacere al suo fianco, sveglio e per nulla spaventato. Aveva sentito quella che avrebbe osato definire eccitazione crescere fino a riempire la stanza, fino a diventare troppa per essere contenuta in essa e immobilizzarlo nella sua posizione supina, atterrirlo e costringerlo a fissare gli occhi sul soffitto bianco, accompagnandolo attraverso lunghe notti insonni e silenziose.
L’aveva visto giacere al suo fianco, addormentato o, forse, morto. Aveva sentito il terrore invaderlo in tutto il suo essere, era stato il campo di quella sanguinolenta battaglia combattuta tra la sua parte razionale e quella irrazionale, aveva subìto i colpi inflitti dall'una e dall'altra parte, una masochistica scelta che rasentava, ostentandolo, l'altruismo.



Dov’è il tuo cuore?



Forse non lo amava come si diceva. Forse non voleva salvarlo perché ci teneva a lui. Avrebbe dovuto lasciarlo andare, prima o poi, ne era consapevole. Non c’era nulla che potesse dire per convincerlo a restare, nulla che potesse fare. Tanto meno avrebbe mai potuto cambiare ciò che era successo.



«Mi stai dicendo che ti sei scopato un altro?»
«Sì.»
«Ah... Okay



Dov’è il tuo cuore?



Si era sentito una merda, quando gliel’aveva detto. Gli ci era voluto un gran sforzo prima di convincersi, ed un gran coraggio per riuscire a vocalizzare la sua colpa. Ma il peso del suo sbaglio gravava troppo sulle sue spalle, non poteva sperare di portarsi quel segreto nella tomba. Piuttosto, ci sarebbe stato trascinato da esso. E comunque non l’aveva percepita come un errore, quella notte. Era stato, anzi, uno sfogo liberatorio, qualcosa di cui sentiva il bisogno da tempo, senza tuttavia sapere che fosse di questo che si trattava. Ma per quanto questo gli suonasse male, ciò che proprio non riusciva a comprendere e mandare giù era stata la reazione di Takanori, che aveva risolto la faccenda con un’alzata di spalle ed era subito tornato a dare le sue attenzioni al cellulare.
Sostanzialmente, il danno fu dovuto a questo.



«Tutto qui?»
«Cosa dovrei dire, scusa?»
Esitò un attimo, troppo confuso dalla situazione.
«Be’, non lo so. Qualcosa!»
«Cosa, Rei’, cosa?? Non ho niente da dire!»
«Oh, bene!»
Aveva preso a guardarlo con espressione torva, le sopracciglia inarcate ed un mezzo sorriso in volto che, però, scomparve subito. «Non ci provare.», l’aveva in seguito ammonito, severo.
«A fare che?»
«A fare l’offeso!»
«Perché mai non dovrei?»
«Ti ricordo che sei tu quello che mi ha tradito, dovrei essere io quello offeso, semmai!»
«Appunto!»



Era evidente che qualcosa tra i due non andasse. Il tradimento fu solo una dimostrazione che la loro alchimia si era disciolta in un qualche elemento troppo instabile, diventando una mina vagante e mortalmente pericolosa. Quella sera, quella confessione, portò ad una lite furibonda, tremenda. Parole volarono come cacciabombardieri, rumorose, minacciose, sganciando colpe dall'una e dall'altra parte. Più che dar l’impressione di voler rompere, diedero l’impressione di voler rompersi, mandarsi in mille pezzi in un’autodistruttiva esplosione di coppia. E, come se i vocaboli non fossero sufficienti, come se il far saltare in aria i loro cuori non fosse già abbastanza, passarono a quello che era stato il loro nido d’amore, quello che era diventata la tana del lupo, e presero a lanciarsi addosso qualunque cosa capitasse loro sotto mano.
I vicini, sentendo le urla, chiamarono la polizia, che non tardò molto ad arrivare. Uno dei due agenti, nel vederne l’espressione di stupore, spiegò a Ryo che c’era stata una segnalazione da parte di altri inquilini, domandando poi se potevano cortesemente entrare a dare un’occhiata. Per mancanza di prove sufficienti, nessuno dei due fu portato alla stazione di polizia, ma i due consigliarono loro caldamente di fare maggiore attenzione in futuro, auspicando che una tale situazione non si ripetesse.
Quella notte Takanori andò a dormire da Yutaka, il quale, l’indomani, si premurò di far da paciere. Non che fosse riuscito a risolvere realmente molto ma, se non altro, li aveva convinti a non buttare al vento quella relazione che durava ormai da anni. Quella stessa settimana, poi, il più piccolo aveva preso a vedere un medico che si presumeva sarebbe riuscito a curare i suoi scatti d’ira, quegli stessi che l’avevano portato a scagliare un vaso contro il suo ragazzo.
Era passato qualche paio di settimane, dall’accaduto, e le sedute si erano tenute una volta ogni sette giorni per un totale di cinque, fino ad ora; effettivamente Takanori appariva molto più rilassato di quanto lui stesso era sempre stato abituato a vedersi. La verità è che aveva iniziato a imbottirsi di pasticche più o meno colorate, più o meno efficaci, più o meno dannose, e il problema non fu tanto la perdita di controllo, quanto la totale assenza di esso, cosa che era sempre stata presente nella sua vita. Vedendolo buttar giù quelle che, per il suo modesto parere, sembravano fin troppe pillole, Ryo cominciò a preoccuparsi, ma c’è da specificare che, probabilmente, fu più per paura di vedere la sua coscienza macchiarsi di sensi di colpa, che non per amore dell’altro. Il vero campanello d’allarme, tuttavia, si attivò all’impressione - alla certezza - che di sera in sera le pastiglie stessero aumentando.



«Taka, non stai esagerando?»
«Che t'importa, lasciami fare!»



Vedeva nei suoi occhi che non aveva paura di morire. Sperava di sbagliare a crede che fosse proprio quello che l’altro voleva. Una mattina capitò persino che avesse l’aria di uno che è deluso di ritrovarsi sveglio nel suo letto.



«Vuoi per caso lasciarci le penne?!»
«Sai che mi frega…»



Disinteressamento ed un’alzata di spalle. Ryo aveva preso a preoccuparsi per due, doppiamente per se stesso. Non avrebbe potuto sopportare i sensi di colpa, non voleva finire ammazzato anche lui.
Lo vedeva giacere al suo fianco, sveglio e per nulla spaventato. Lo vedeva giacere al suo fianco, addormentato o – e quel dubbio non lo avrebbe abbandonato mai, se non alla fine - forse già morto.







Un amore che pretende così tanto,
divento debole.






















DE’s:
Che storie, gente! Mi riferisco al fatto che ho litigato di brutto con Nerone (il pc, nda) che, a quanto pare, è stufo delle reituki angst – o, forse farei meglio a dire, rukeita? – e odia i My Chemical Romance, che invece io adoro e che ringrazio per avermi fornito l’ispirazione con la loro “Famous Last Words”, su cui si basa più o meno tutta la fic.
Ora, sostanzialmente mi sembra abbastanza comprensibile. Spero sia chiaro che a Ruki non importa di morire così come, alla fine, non importa nemmeno a Reita, il quale è semplicemente preoccupato per “la sua immagine” – il titolo fa riferimento al fatto che gli altri darebbero a lui e al suo tradimento la colpa per il suicidio di Ruki, cosa di cui finirebbe per convincersi e… Boh.
In ogni caso, dopo questa porcheria di note, vi ringrazio in caso siate arrivate fin qui e specifico che se aveste l’impellente voglia di farmi sapere che ne pensate, ne sarei lieta.
A presto, mi auspico, lol.
Read ya!

badspider.

   
 
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