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Autore: Ortensia_    11/03/2012    2 recensioni
Dodici, e le lancette scorrono.
Qualcosa li ha condotti al numero 50 di Berkeley Square, e non vuole più lasciarli andare.
Vive nelle fondamenta, nel vuoto. Si nutre della paura e spezza quei sentimenti che riescono a toccarsi con dolcezza nella casa spettrale di Londra.
...
Cos'è? Chi è?
...
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Altri, Austria/Roderich Edelstein, Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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Can you hear the World screaming?

-L’Incubo-



I – Lettere



Conosceva benissimo il significato di quel rumore sordo ed improvviso, attutito a fatica dalle pareti della cucina.
Con il giornale spiegazzato stretto in una mano, e la tazza di caffè alla bocca, stretta nell’altra, sollevò appena il viso, soffermandosi sulle lancette del grande orologio che già segnava da poco le dieci: suo fratello si era appena svegliato.
Un lieve sospiro di resa, seguito dall’ultima sorsata di caffè, amaro e caldo, contro il palato, mentre il giornale scivolava silenzioso sulla superficie liscia del tavolo in mogano.
La sua piacevole ora di lettura era finita: con quel baccano allucinante non sarebbe mai riuscito a concentrarsi e capire tutti quegli schemi riguardanti l’economia del paese, le azioni bancarie e quant’altro.
Un altro sospiro, questa volta ancor più esasperato, mentre attraversava a passi pesanti il corridoio, avvicinandosi notevolmente al baccano dell’altro.
«Pazienza Ludwig. Pazienza.» borbottò fra sé e sé, prima di bussare alla porta del fratello.
Ovviamente nessuna risposta, considerando quel rumore infernale oltre la porta, così alto che quasi gli impediva di udire i suoi stessi pensieri.
Ignorato completamente comprese che, per una volta, aprire la porta senza alcun avvertimento ed omettendo quindi la sua educazione non gli sarebbe costato nulla.
«Gilbert …» quasi una voce spiritata, quella del tedesco, che ora sporgeva appena il viso dalla fessura che si era creato aprendo la porta dell’altro.
«West! Guten Morgen, Bruder!» ma Prussia, ovviamente, lo accolse con un saluto energico ed un sorriso vivace, senza curarsi minimamente del fatto che fossero appena le dieci del mattino, che il fratello si stesse preparando per una lunga giornata di lavoro e che il volume della tv fosse leggermente alto. Ai limiti della massima frequenza udibile dall’orecchio umano, diciamo.
«Mhn.» un brontolio rassegnato, quello di Ludwig, ormai arreso ed addossato alla porta.
Ecco che però, quel baccano, fu soppresso all’improvviso, come la lama di un coltello che netta taglia in fette fini gli ingredienti della cena.
Il tedesco non poté nascondere il suo sollievo, quando calò nuovamente un sereno silenzio.
«Gut, vengo a fare colazione!» veloce, il prussiano, sgattaiolò attraverso la stanza e, lasciatogli lo spazio dal minore, uscì ed imboccò le scale.
Ludwig rimase alla porta del fratello, guardandolo a labbra serrate mentre scendeva le scale: perfetto, gli toccava anche preparare la colazione per Gilbert!
«Oh-»
Gli occhi di ghiaccio rotearono appena e le labbra si arresero all’ennesimo sospiro della giornata: non gli dispiaceva che Gilbert vivesse con lui, per lo meno non era solo quando si svegliava la mattina o quando tornava da lavoro la sera, ma essere trattato come una cameriera, il più delle volte, era davvero poco gratificante.

«Che ingrato però! Avere la mia Magnifica persona in casa e non preparargli neppure la colazione!» bofonchiò a voce bassa il prussiano.
«West! La colazione!» strepitò dal piano di sotto, dirigendosi verso l’ingresso: la colazione avrebbe potuto benissimo prepararsela da solo, ma pigro com’era -soprattutto la mattina- preferì limitarsi a controllare la posta.
Arrivato davanti alla cassetta della posta, poco lontana dallo zerbino di casa, si fermò appena in tempo dall’aprire lo sportello, soffermandosi su un foglietto stracciato incastrato proprio fra esso e la cassetta postale in sé.
Se avesse aperto lo sportello senza farci caso sarebbe sicuramente volato lontano, portato via dal forte vento che arieggiava a Berlino quella mattina.
«Chissà cos’è …» afferrato il biglietto poté aprire lo sportello, trovando però vuoto lo spazio destinato alla posta.
Ripercorrendo quel breve spazio che lo avrebbe riportato in casa ne approfittò per posare gli occhi sul biglietto: una scrittura abbastanza comune, che gli diede l’impressione di aver già visto almeno una volta, per di più recentemente.
«C’era posta?» e gli occhi del prussiano si scostarono improvvisamente da quella scrittura, alla voce grave del fratello.
«Solo questo.» l’albino glielo mostrò, continuando a stringere la carta leggera fra l’indice ed il pollice esili.

«To: Germany and Prussia
From: America»



«America? Pft, che avrà combinato questa volta?» commentò apatico il tedesco.

«Ahahah! Volevo informarvi che ho organizzato un altro evento!
Questa volta si tratta di un gioco che ho organizzato
all’interno di una casa “stregata”.
Raggiungete l’eroe fra una settimana!

London, City of Westminster,
Berkeley Square n.50

☆☆☆»



Ludwig aggrottò appena la fronte e troppo tardi si rese conto di quello strano silenzio: davvero insolito per Gilbert.
«Gilbert, non pensarci neanch-»
«Andiamoci!» la voce roca del prussiano lo interruppe, risuonando piuttosto entusiasta, quasi estasiata da quella lettera.
«Sono Magnifico ed è ovvio che vincerò il gioco! E poi il ballo che America ha organizzato l’ultima volta non è stato niente male, ja?» eh sì. Quando mai Gilbert Beilschmidt considererebbe da poco un evento in cui gli è data la possibilità di pavoneggiarsi davanti a tutti?
«Ja, ja …» assolutamente convinto che si trattasse di uno scherzo, a giudicare da quel pezzetto di carta tanto misero quanto misterioso, Ludwig si avviò nuovamente alla cucina, dando le spalle all’albino che lo seguì gracchiando come non mai.
«West! Guarda che ci divertiamo!»
«Gilbert, ho del lavoro da sbrigare. E poi, avanti, mi sapresti spiegare da dove arriva quel biglietto? Non credo che America sia venuto qui di persona a consegnarcelo.» il tedesco si mise ai fornelli senza più rivolgere anche una semplice occhiata al maggiore, indicando con una manata quasi impercettibile di ribrezzo il pezzo di carta che ancora l’altro stringeva fra le dita.
«Chiunque verrebbe a piedi dall’America per consegnare la posta alla mia Gloriosa persona!» controbatté convinto il prussiano.
«…» meglio non fare caso a queste frasi insensate, sì.
«E poi se cita una casa “stregata”, significa che è un gioco di terrore. Mi sembra strano che America organizzi giochi del genere …» il biondo decise di pronunciarsi ancora una volta, dopo la sua pausa silenziosa alle parole superbe del fratello.
«Ja! Lo so anche io che America in verità è un caga sotto!
Ma … non è di paura per davvero, no? Lo farà sicuramente per fare la sua bella figura da eroe, peccato che non abbia calcolato la mia Magnifica presenza! Kesese!» il prussiano scoppiò in una risata divertita, mentre il tedesco, in uno sbuffo stanco, gli adagiava davanti la sua colazione.
«West, quanto vuoi che duri? È meglio se ti prendi qualche giorno di riposo, e poi sei con il Magnifico Me!» un ghigno vivace stampato in volto, gli occhi scarlatti fissi sul viso crucciato del minore, ora totalmente in silenzio, con il viso smorto e stanco ad osservare quei rubini quasi ipnotici.
«Mhn … ci penserò Prussia. Ci penserò.» bell’affare. Decisamente.


Fino a qualche tempo fa, avrebbe udito una voce flebile tremare al suo cospetto, così come la mano oscillante ed insicura che gli avrebbe consegnato il messaggio, ma ora che era solo, Ivan, ci mise un po’ a realizzare che il suono del campanello alle prime ore del mattino poteva annunciare quasi esclusivamente l’arrivo del postino, probabilmente con qualcosa di importante da consegnargli.
Rimase giusto ancora qualche attimo immobile, con la schiena adagiata contro il divano in pelle e gli occhi fissi sulla tv: per l’ennesima volta in pochi mesi, il capo, si ritrovava a discutere della vacillante economia dell’Europa, cercando di esaminare quale grande paura avrebbe potuto scatenarsi in Russia nel caso l’Unione Europea fosse arrivata a toccare il fondo.
«Umh-» lo slavo scosse appena la testa, poi, spegnendo la tv e flettendo il viso verso la finestra, nel silenzio: ci voleva un bel coraggio a presentarsi alla sua porta con tutta quella neve che ora cadeva copiosa oltre il vetro, senza lasciare visibile anche solo un anfratto cupo di cielo, privando le strade -probabilmente ricoperte perfino di ghiaccio- di qualsiasi respiro.
«Un momento~» ma aperta la porta, il sorriso forzato e quasi malizioso assunto dal russo scomparve.
Davanti a sé solo il breve viale ricoperto da un soffice manto di neve candida, e quei fiocchi freddi che a gruppi cadevano dal cielo, riversandosi silenziosi su Mosca.
La fronte ampia del russo si aggrottò, e gli occhi si assottigliarono. Confuso, diede un’occhiata alla destra del vialetto, poi alla sinistra, e quando non vide nessuno decise di arretrare e tornarsene dentro casa: pensò che si trattasse dello scherzo di qualche ragazzino, finché una lettera sullo zerbino rosso e logoro non attirò la sua attenzione e lo trattenne ancora sulla soglia.
Inginocchiatosi con curiosità, afferrò la lettera e lesse il nome del mittente.

«Zu: Russland
Von: Wunderbar Preußen»



«Prussija?» sussurrò appena, arrancando su un’estremità della lettera in modo da strappare quella carta a suo parere inutile e giungere al messaggio contenuto in essa.

«Prima di tutto considerati fortunato ad aver ricevuto una lettera
dal Magnifico Me!
Se mai verrò a casa tua -ma non credo proprio verrò-
esigo vederla appesa al muro, altrimenti sarò costretto a vendicarmi, kesese!
Senti bastardo, devo discutere con te di una questione.
Lo farei volentieri a casa mia, ma c’è West
e da te non ci penso neanche a venire!
È un luogo indegno!
Ci vediamo fra una settimana, questo è l’indirizzo:

London, City of Westminster,
Berkeley Square n.50

Firmato: IL MAGNIFICO PRUSSIA»



Gli occhi del russo si assottigliarono appena, le labbra si incrinarono in una smorfia: perché fino a Londra per parlare di una “questione”?
Che Prussia fosse venuto fin davanti a casa sua per fargli uno scherzo, lo trovò troppo strano, e così i suoi sospetti si rivolsero in particolare a Francia e Spagna: quali migliori compagni si sarebbe potuto trovare Gilbert, dopotutto?
Con la lettera stretta in una mano, chiuse finalmente la porta e si diresse a passi rapidi verso il salotto.
«Meglio chiamare.» ma quando si ricordò delle parole che nella lettera, per un attimo, lo avevano fatto sorridere, la sua mano si pietrificò sulla cornetta del telefono: “Senti bastardo, devo discutere con te di una questione. Lo farei volentieri a casa mia, ma c’è West.” se avesse chiamato a casa Beilschmidt, la possibilità che fosse Prussia a rispondere, era probabilmente sotto zero. Inoltre, se avesse risposto Germania, avrebbe sicuramente iniziato a sospettare qualcosa.
No. Forse non si trattava di uno scherzo.
Forse quella lettera era davvero di Gilbert, e magari era stato lui stesso a suonare alla sua porta, ma così orgoglioso e spavaldo aveva deciso di svanire prima che potesse aprirgli, lasciando della sua visita solo quella lettera misteriosa.
Gli occhi color ametista del russo si soffermarono sulle frasi cupe e sinuose che sovrastavano la carta bianca, inconsapevole di come sul suo viso si fosse dipinto un sorriso timido e allegro.
«Questa è la scrittura del mio coniglietto~» con la mente libera da ogni dubbio, il sorriso del russo, si ampliò, e ciò che avrebbe fatto si configurò nella mente, chiaro e perfetto.



Natalia aveva appreso recentemente la notizia dell’ennesima visita che il fratellone aveva fatto ad Ucraina, e se c’era una cosa che aveva la capacità di metterle in corpo più ira di quanta già non conservasse con cura, era proprio il fatto che Ivan andasse molto spesso dalla sorella, e mai da lei.
La evitava, e Natalia non ne comprendeva il motivo, o per lo meno faceva finta di non capire.
Cosa c’era di male nel volere così tanto bene al proprio fratello da volerlo perfino sposare? Niente: secondo lei.
Eppure Natalia sapeva che le visite che Ucraina riceveva da Ivan avevano come unico oggetto il pagamento delle bollette del gas, nessuna esclusa. Non si trattava mai di visite di piacere, l’unica cosa che forse poteva invidiare a sua sorella era il fatto che, ogni tanto, riuscisse a vederlo e sentirlo, niente di più.
Ed un sospiro nervoso, quello che le labbra rosee e morbide della bielorussa si lasciano scappare adesso, a quei pensieri che non vogliono togliersi dalla testa, che quasi iniziano a farle male, da quanto sono insistenti ed agitati.
In uno scatto luminoso, gli occhi color lavanda di Natalia si soffermarono sul fiato argenteo condensato davanti al suo viso, in seguito a quel sospiro di esasperato astio.
«брат …» ed in un sospiro spiritato, pronunciò con isteria ciò che in quel momento si trovava al centro dei suoi pensieri, mentre gli occhi si scostarono di nuovo fugaci al pugnale che stringeva in una mano.
Mani esili ed eleganti, dita affusolate e delicate, come il fisico minuto, bianco come il latte: una donna graziosa che non aveva paura di maneggiare un vecchio pugnale arrugginito, trafiggere con esso ancora una vita, dopo averlo riposto chissà quanto tempo fa, tingerlo di nuovo del liquido rosso della morte.
Tornata nel suo silenzio lasciò che l’altra mano applicasse sulla lama, ricoperta più di polvere che di ruggine, un semplice panno umido con il quale riuscì a ripulire il metallo di quasi tutte le macchie impure impregnate in esso. Ignorava seriamente i motivi per i quali fosse corsa fuori in giardino con quel freddo insostenibile e si fosse diretta alla piccola cascina di legno: lei e i suoi pugnali, i suoi coltelli.
Lei e quelle lame metalliche che si erano tinte dei sangui più disparati, disintegrando le regole del tempo. Forse era solo un modo per sfogare la propria frustrazione: starsene chiusa nel suo silenzio, a prendersi cura di ciò che più la soddisfaceva.
Un’ultima passata di quel panno e finalmente, la sua pelle, avrebbe potuto tornare a godere di quel metallo freddo e sinuoso, appuntito e tagliente.
Il polpastrelli della bielorussa sfiorarono appena la lama, seguendo con attenzione la superficie fredda e levigata, paralizzandosi quando un rumore secco ed improvviso la fece sussultare in un singulto.
Improvviso come poteva essere uno sparo, ma troppo sordo e grave per trattarsi davvero di un proiettile in piena collisione con un altro oggetto nelle vicinanze.
La mano della bielorussa chiuse in fretta la porta di legno della cascina, in un cigolio sinistro, e gli occhi color ametista guizzarono alla sua destra, quando le dita affusolate si strinsero immediatamente contro il manico del pugnale.
Avrebbe strepitato con rabbia, chiedendo chi fosse stato a disturbare il suo silenzio con quel rumore stridulo e fastidioso, se l’esperienza non le avesse insegnato già da molto tempo la cosiddetta “cautela”.
Il palmo liscio della mano scorrette sinuoso lungo la parete legnosa della cascina, scostandosi poco dopo, mentre Natalia si muoveva a passi lenti verso casa.
«Mhn?» quanto fu abbastanza vicina, arrestò i suoi passi ed aggrottò la fronte perplessa.
La cassetta della posta stava ondeggiando faticosamente, probabilmente appena scossa da un urto.
La mano di Natalia si tese appena, e le dita strapparono con indifferenza il biglietto attaccato allo sportello della cassetta postale.

«Кому: Беларусь
От: Россия»



«…» indifferenza che, alla vista del destinatario, di cancellò immediatamente, come il colore sulle ali di una farfalla.

«Cara sorellina, sarà l’ora che io confessi i miei piani~
Il motivo delle mie fughe, ogni volta
che mi chiedi di sposarti,
è semplice, ma da oggi ho deciso di non scappare più.
In verità stavo solo cercando un luogo adatto per … celebrare le nozze:
se lo facessimo così, su due piedi, non sarebbe molto carino, da?
Fra una settimana sarà tutto organizzato,
mi troverai a questo indirizzo~

London, City of Westminster,
Berkeley Square n.50»



Fu una delle poche volte in cui ogni difesa della fredda Bielorussia venne a mancare, in cui quella maschera gelida si frantumò a terra senza fare rumore: non credeva ai suoi occhi, non si fidava di ciò che aveva appena letto, eppure rimaneva ad osservare quelle frasi con gli occhi sgranati e le labbra tese in una smorfia di confusa speranza.
Quella era la scrittura di Ivan: l’avrebbe riconosciuta fra mille.
«Da …» un sibilo, quando le labbra si incrinarono in un sorriso fin troppo esplicito.



«Ah, c’est très beau ça! N’est-ce pas?» si domandò il francese, sussurrando sull’affusolato bicchiere di vino, prendendo un’ampia sorsata del dolce alcolico che, per un attimo, gli invase la bocca e la gola.
Non c’era niente di meglio che ammirare il nero firmamento invaso dalla luce argentea della luna piena, degustando nel silenzio un ottimo vino d’annata.
Nonostante la solitudine pressante, ben percepibile fra le piante ed i fiori rigogliosi di quel giardino buio e vuoto, il francese rimase allegro e rilassato, affogando i propri pensieri nel sapore acidulo del vino, soffocandoli nel cupo panorama notturno di una piccola via di Parigi, ennesimo capillare della grande metropoli.
La bottiglia di vino fu adagiata al gradino su cui era seduto e le magre gocce rimaste al suo interno risuonarono appena, mentre gli occhi azzurro cielo si soffermarono sul loro riflesso lucente, specchiato nei rimasugli scarlatti dell’acolico raccolto nel bicchiere.
«Mhn …» le labbra fini del francese si lasciarono sfuggire un sospiro, mentre il corpo magro si sollevava sulle proprie gambe e una delle mani sospingeva la porta.
Date le spalle al giardino non ebbe neppure il tempo di fare un passo per varcare la soglia dell’appartamento: uno strano e stridulo rumore lo paralizzò.
In silenzio, il francese, inclinò lentamente il viso, osservando ad occhi sgranati ciò che si era lasciato oltre le spalle.
Il vento ululò, le foglie secche stridettero contro l’asfalto freddo della strada e le fronde scarne degli alberi ondeggiarono agitate.
«Qu’est-ce qu-?» le parole sussurrate del francese gli morirono in gola, silenziose, prosciugate dall’ansia; gli occhi, poi, guizzarono rapidi e seguirono il movimento fluido e lento di un foglietto di carta ben visibile nella francese notte di pece.
Voltatosi rapidamente e sceso lo scalino, afferrò il pezzo di carta che ancora si lasciava cullare dal vento leggero, sospeso nell’aria fredda senza ancora arrendersi alla gravità.
Un brivido pesante percorse la spina dorsale del biondo, facendo vibrare ogni vertebra, come denti pulsanti che si scontrano nei fremiti di un inverno gelido.

«To: France
From: United Kingdom»



Letto il nome del mittente si ritrovò ad esclamare il nome dell’altra nazione, incredulo anche solo di stringere quella carta spessa fra le mani: ma … da dove veniva?
Il francese ricordò i movimenti docili e rilassati del foglietto di carta che quasi gli era sembrato provenire dal cielo, scostando gli occhi alle righe inferiori e deglutendo la propria angoscia.

«Ascolta idiota di una rana:
non ti sto pregando di farlo e non sei certo la persona
a cui avrei voluto chiederlo,
ma siete tutti degli idioti,
anche America che non ha risposto né alle e-mail, né alle telefonate
prima che mi togliessero la corrente.
Qualcuno deve venire qui a …
vabbé, sei il più vicino.
Fatti trovare qui fra una settimana, idiota:

London, City of Westminster,
Berkeley Square n.50»



Nonostante non volesse apparire così, per merito della testa orgogliosa che aveva ideato quelle parole, era evidente che il francese si era ritrovato fra le mani una palese richiesta di aiuto.
Francis si soffermò sul fatto delle mail e delle telefonate: perché gli avevano tolto la corrente? Che cosa aveva fatto Arthur per andare incontro a qualcosa di simile?
La crisi, forse. Situazione per la quale la Francia non sarebbe mai dovuta correre ad aiutare l’Inghilterra, quel governo che con tanta determinazione si opponeva alle decisioni e alle tentate soluzioni dell’Unione Europea, mettendo i bastoni fra le ruote ad un minimo ed eventuale miglioramento delle economie statali.
Già, ma rimaneva comunque un condizionale: non sarebbe dovuto andare da lui, ma lo avrebbe fatto comunque.



A Madrid splendeva il sole, caldo e luminoso, centro di un cielo sereno e senza nuvole, nonostante fossero appena le otto.
Colpite dai raggi caldi del sole, le palpebre bronzee dello spagnolo si schiusero stanche ed assonnate, seguite poi da uno sbadiglio rumoroso.
La testa dell’ispanico si inclinò verso destra e le labbra si incrinarono in un sorriso allegro non appena intravide i capelli arruffati dell’italiano, addormentato al suo fianco.
«Buenos días, Lovinito~» e il sorriso si ampliò quando si mise a sedere con fatica e adagiò la mano ampia contro la gota tiepida del meridionale, accarezzandola con delicatezza.
Scostate le coperte, lo spagnolo, si mise i pantaloni e si diresse all’uscita della camera, pronto ad avviarsi verso la cucina.
La polvere di cacao sparsa sul fondo del tegame in acciaio fu sommersa dal latte freddo ed iniziò a sciogliersi non appena le fiamme del fornello iniziarono a scottare il metallo, tramutandosi dopo poco tempo in cioccolata calda. Versata in due tazze adagiate su un vassoio ampio, e messo al centro di esso un piatto di churros che aveva messo a scaldare poco prima, si considerò pronto per portare la colazione in camera: scarna, di primo acchito, eppure effettivamente insolita e pesante da digerire.
«Mi amor, sveglia!» con attenzione adagiò il vassoio sul comodino, sedendosi sul letto e chinandosi con un sorriso gioioso sul suo italiano: lo sapeva bene, dopotutto, che Romano non si sarebbe mai svegliato con il suono di una voce -soprattutto alle otto del mattino- così decise che non gli rimaneva altro se non usare le labbra contro quelle dell'altro, sui capelli, sulla pelle. E non fu certo una decisione che prese con noia o malincuore.
Prese, invece, con noia e malincuore il suono del campanello che interruppe il primo bacio della giornata.
Ok, pazienza: aveva tutta una giornata da passare in compagnia del suo italiano, non aveva motivo di preoccuparsi.
Arrivato all'ingresso aprì la porta e sfoggiò un sorriso allegro e lucente.
«Buenos días, señor.» salutò cordialmente, soffermandosi sulla scatola che l'uomo stringeva fra le braccia.
«Firmi lì ...» con sforzo, ed impossibilitato a consegnargli di persona la ricevuta, il postino indicò con un misero cenno della testa il documento adagiato sul coperchio della scatola.
«D'accordo!» tranquillo, lo spagnolo, afferrò la penna e, usando come appoggio la scatola -e quindi anche il postino- iniziò a fermare: ecco lo svantaggio dei lunghi nomi spagnoli, visto che l'altro dovette sorreggere il peso dell'ispanico per fin troppo, soffocante, tempo.
«La ... la ringrazio-» balbettò con voce pesante il postino, mentre lo spagnolo prese fra le mani la scatola, notando fin da subito, quando la ricevuta fu tolta da sopra il coperchio, un foglietto attaccato ad esso.
«Di nulla!» risposte lo spagnolo con un sorriso, dando poi le spalle al postino e tornando in casa a passo rapido.
«Vediamo ...» adagiata la scatola sul tavolo, l'ispanico lesse il biglietto sul coperchio.
br>

«À: Espagne
Par: France ♥

Bonjour mon ami!
Spero che vada tutto bene!
Io e Gilbert abbiamo pensato che una bella
rimpatriata fra amici
sarebbe molto carina, n'est-ce pas?

Ci vediamo fra una settimana a:
London, City of Westminster,
Berkeley Square n.50

Porta anche Lovino~»



Lo spagnolo sorrise allegro, ma sollevò con sospetto il coperchio della scatola: eppure, nonostante il sospetto, scoppiò in una risata.
«Francis!» esclamò in un'altra risata, stringendo l'intimo femminile di pizzo fra le mani.
Rise, e improvvisamente, la risata entusiasta, si spense: e Romano chi lo convinceva adesso?



«A-America?» balbettò il canadese per richiamare l'attenzione del fratello.
L'americano sollevò il vis ed accennò un sorriso, mentre l'altro gli adagiava un piatto di frittelle colanti di sciroppo d'acero davanti al viso.
«Che noia! Non c'è mai niente da fare!» e la forchetta infilzò i primi due strati della frittella, mentre il viso niveo si abbatteva sul palmo della mano, completamente sconsolato.
«Insomma, perché non andiamo a giocare a baseball?» propose l'americano sollevando appena lo sguardo. «Ma no ... baseball no ...» sorrise nervoso il canadese, ed Alfred fu subito pronto a scommettere che l'angolo delle labbra del canadese fremette timoroso.
«Basket?» e il sorriso dell'americano si fece quasi provocante, divertito dalla situazione.
«No!» esclamò nel panico il canadese: non che non gli piacesse lo sport, o trascorrere del tempo con suo fratello, anzi, ma Alfred risultava essere sempre troppo violento, in qualsiasi attività relazionata ad una sfera di cuoio.
«Non potremmo andare solo sul Michigan? O ... o alla Hudson Bay? Sono ... sono posti tranquilli ...» balbettò paonazzo il canadese.
«Troppo tranquilli!» lo incalzò l'altro: Alfred era sempre stato troppo iperattivo per rimanere fermo tutta una giornata.
«Detroit? O-Ottawa?»
«Rugby. Potremmo fare del rugby, ahahah!»
«N-no, ti prego, no-» mugugnò il canadese, ormai totalmente ignorato: avrebbe preferito congelare a Point Hope, nella fredda Alaska, piuttosto che morire schiacciato da America su un campo di rugby.
«Potremmo rimanere semplicemente qui a ... a guardare dei film, n'est-ce pas?»
«Ahah! Non parlare francese!»
«...»
«Ho sentito dire che ad Amsterdam ci si diverte, se proprio vuoi andare da qualche parte.»
«I-io voglio solo rimanere qui! Tranquillo! Senza ... senza sport pericolosi e città ... città pullulanti di ... di ...»
«Calmo Matt, hai il fiatone!» lo interruppe l'americano, con una risata divertita.
Quando il canadese si riprese dalla "rabbia" intervenne ancora.
«Ho sentito dire che oggi danno un horror in TV, potrem-»
«Horror?!» saltò su l'americano, incontrando lo sguardo basito del fratello.
«Oh ... oh beh sì, nessun horror può spaventare l'eroe! Ahahah!» riprese, con una risata nervosa e soffocata, realizzando poco dopo la fortuna che gli si era appena presentato: il suono del campanello lo aveva appena salvato da un discorso che ormai iniziava a prendere davvero una brutta piega.
Il canadese si diresse in silenzio verso la porta, guardandosi intorno con timore quando, aperta, non vide nessuno.
«Chi è?»
Sentì la voce curiosa del fratello risuonare in cucina e, adagiatosi alla ringhiera per dare un'occhiata alla tromba delle scale, le trovò vuote e rispose.
«Nessuno ...!» risuonò strana quella parola, che riecheggiò davanti alla porta del loro appartamento insieme ai passi dell'americano.
«Come nessuno?» uscito dalla porta diede un'occhiata all'ascensore: spento, fermo.
«Non si può mica essere volatilizzato ...
Mhn?» continuò l'americano, e a fronte aggrottata strappò il foglietto attaccato alla porta.
Il canadese rimase ad osservare oltre la spalla dell'altro, in silenzio.
«Qu'est-!» e non appena l'americano gli scoccò un'occhiataccia deglutì pentito.
«W-what is it?» sì, ora andava meglio. Doveva smettere di parlare francese.

«A: America e Canada
Da: Italia~

Ciao!
Qui in Europa abbiamo deciso di
organizzare un meeting:
Germania mi ha detto che ci sono
molte cose su cui discutere,
non solo per la crisi,
e dunque abbiamo pensato di invitare anche te,
America,
e te ... Canada?

Ci vediamo tutti fra una settimana a:

London, City of Westminster,
Berkeley Square n.50

Veh~»



«Non ... non si ricordava di me, per caso?» chiese ingenuamente il canadese, e intanto, sul viso dell'americano, era nato un sorriso fin troppo speranzoso.
«Mi dispiace solo che sia in Inghilterra.
Andiamo, dai!» e con una risata, afferrò il braccio del canadese e lo trascinò dentro casa.
«D-dove?»
«A fare le valige!»
«Oh ...» per lo meno era un'alternativa meno pericolosa dello sport. O così poteva sembrare.



Con le corde dell'altalena strette fra le mani, l'italiano si dondolava appena, rimanendo con le punte dei piedi adagiate sul pavimento di pietra grezza del giardino.
Una mano si scostò velocemente dalla corda dell'altalena, correndo alla tasca dei pantaloni per poi portarsi il cellulare davanti al viso.
«Uff-» sospirò l'italiano, soffermandosi sul display vuoto del cellulare: sembrava che Romano non avesse intenzioni di rispondere neppure ad uno dei numerosi messaggi. Che c'era di male a chiedere al proprio fratello un incontro?
Feliciano rimuginò sull'ultima volta che si erano visti, realizzando che ora, nella sua mente, erano presenti i ricordi di quasi tre mesi prima.
Tre mesi. Quasi tre mesi che non vedeva il proprio fratello, e così non poté che risistemare il cellulare in tasca e ritrovare un respiro regolare, nel tentativo di ignorare quello strano dolore al petto.
L’italiano non avrebbe mai creduto che presto avrebbe smesso di pensare e soffrire per la mancanza del fratello: una coincidenza piuttosto buffa, soprattutto per il contesto in cui si sarebbero ritrovati.
Il miagolio che poco dopo risuonò vivace e rumoroso ai suoi piedi lo fece sussultare, distogliendolo in un attimo dai propri pensieri.
«Pasta!» esclamò sorridente, prendendo il gatto fra le braccia e portandoselo sulle ginocchia.
Gli occhi del ragazzo rimasero fissi al cielo terso, di un azzurro quasi pittoresco, brillante, finché la mano esile che scorrette fra il morbido pelo tigrato del gatto non si fermò alla spessa bandana di cotone.
«Mhn?» l’italiano scostò gli occhi d’ambra ed osservò con qualche attimo di smarrimento quella risma di carta arrotolata, fra il collo del gatto e la bandana tricolore.
«Ma che cos’è?» sperare che pasta avesse imparato a disegnare, con addirittura la cortesia di portare la sua opera al proprio padrone, era davvero troppo, ma d’altra parte, l’italiano, aveva reputato fin da subito impossibile che, nei pochi minuti in cui l’aveva perso di vista, qualcuno fosse riuscito ad introdursi nel giardino per mettere un messaggio al suo collo. Eppure, quello, non era un disegno, e quando Feliciano lo srotolò intravedendo numerose righe d’inchiostro, rabbrividì.

«Zu: Italien
Von: Deutschland»



«Germania!» entusiasta, lasciò che il gatto scivolasse via dalle sue gambe e riprese a leggere.

«Buongiorno Italia,
come stai?
Mi auguro che questo messaggio ti sia pervenuto,
si tratta di una cosa importante.
Abbiamo un progetto per il quale
Necessitiamo anche della tua collaborazione,
ma ti chiedo gentilmente di non chiamarmi in questi giorni,
non mi troverai, il capo mi tiene impegnato
fino a tardi.
Fra una settimana recati assolutamente a questo indiritto:

London, City of Westminster,
Berkeley Square n.50

Deutschland_»



Feliciano si dispiacque subito del fatto di non poterlo chiamare per sapere qualcosa in più.
«Che strano … beh, grazie Pasta!» sorrise, ricevendo in risposta un miagolio ed osservando poi il gatto che si allontanava di corsa, sparendo tra le fronde cupe del cortile.



I raggi argentei della luna illuminavano la superficie nera del pianoforte, in cui il viso dell’austriaco si specchiava sereno.
Niente di meglio che sentire i tasti del pianoforte sotto i polpastrelli, inspirando ogni nota ed ogni melodia presente nella fredda aria circostante.
Niente di meglio che suonare uno dei più celebri pezzi di Mozart nelle prime ore della sera, nel cuore dell’elegante ed austera Vienna.
Solo, senza prussiani rumorosi, francesi fastidiosi e quant’altro, con una buona tazza di thé fumante non poco lontana, in cima ad una pila di libri colmi di spartiti. Nero su bianco.
All’acme dell’esecuzione, una folata di vento gelido gli provocò un brivido che lo percosse rapidamente. Le labbra fini e rosee dell’austriaco si lasciarono scappare un sospiro esasperato: odiava interrompere la sua musica, o sentirne qualsiasi altra fermarsi per qualsivoglia motivo. Abbandonata la sua postazione si diresse alla finestra e la chiuse rapidamente, sistemando le tende in modo da oscurare la docile luce della luna.
«Was ist das?» date le spalle alla finestra si chinò ed afferrò una lettera che giaceva sul pavimento: possibile che oggi, controllando la posta, quella lettera gli fosse scivolata dalle mani e fosse rimasta lì per tutto quel tempo?

«Para: Austria
De: España»



Quella sul viso di Roderich era un’espressione serena: non comprendeva il motivo di quella lettera, ma gli fece piacere che il mittente fosse Spagna.
Aperta la busta, lesse il contenuto della risma, sorprendentemente delicata ed elegante.

«Hola Roderich~!
Immagino che troverai insolito
ciò che sto per scrivere,
ma penso che potresti anche approfittarne,
visto che è da un po’ che non ci vediamo.
Ho trovato diversi dischi in vinile che penso potrebbero
interessarti,
ma siccome non voglio disturbarti e farti venire fino a Madrid,
ed io non voglio allontanarmi troppo da Romano
-che ovviamente non vuole venire-
ho pensato a:

London, City of Westminster,
Berkeley Square n.50

Fra una settimana, mi raccomando amigo!»



Roderich rimase leggermente sorpreso, ma ben contento.
Londa, dopotutto, poteva essere un’ottima via di mezzo ed era una bella occasione per potersi ritrovare con il proprio migliore amico.
Poi, però, realizzò con orrore che questo suo migliore amico, a sua volta, aveva amici molto, molto strettii: Francia e Prussia.
Francia e Prussia: due degli esseri più detestabili al mondo, e forse anche molto convincenti. Il sospetto che quella fosse una trappola progettata dal trio lo sommerse come fredda acqua, fin sopra la testa.
«Mh …» brontolò soltanto, adagiando la risma di carta sul pianoforte e scostando le tende dalla finestra per guardare la strada buia.
Avrebbe chiamato Antonio e avrebbe presto valutato ciò che fare.






La suola di una scarpa si abbatté fra le foglie secche, addormentate sul ciglio della strada, e gli occhi smeraldini, profondi e scuri intorno alle pupille di pece, si soffermarono sull’abitazione numero 50 di Berkeley Square.
Il biondo non si voltò, ma continuò a dare le spalle alla strada, ponendo la sua attenzione ai passi echeggianti dietro di sé.
Ecco Francia, che fin subito gli adagiò una mano sulla spalla, provocando il suo fastidio, ecco Nord Italia, Prussia e Germania, Austria, che ovviamente aveva rispettato rigorosamente i tempi e si era lasciato sfuggire un sospiro nervoso alla vista di Gilbert e Francis, ecco Spagna, Sud Italia e le sue lamentele, Bielorussia, Russia e la sua silenziosa presenza inquietante, Canada e la fastidiosa risata di America: eccoli tutti e dodici.
«Arthur …» sussurrò il francese alle spalle del biondo: perché erano tutti lì? Non per aiutare Arthur, vero?
«Andiamo dentro.» si limitò a rispondere l’inglese, mentre il francese fece un cenno con la mano a tutti gli altri, con le labbra ridotte ad una smorfia stretta e silenziosa: perché erano tutti lì? E perché Inghilterra li stava già aspettando?
   
 
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