Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: Noth    11/03/2012    16 recensioni
« Non abbiamo nessun donatore idoneo. Mi dispiace, stiamo cercando, davvero lo stiamo facendo, ma non è una cosa facile. Sono pratiche che richiedono tempo e... ci rincresce doverlo ammettere ma noi non ne abbiamo. » aveva detto il primario, guardandomi attraverso le spesse lenti degli occhiali, mentre scorreva costernato dei nomi su una lista infinita.
« E io che cosa dovrei fare? Stare qua e guardare il ragazzo che amo mentre muore perché nessuno ha avuto la compiacenza di dargli un cuore nuovo? Con tutta la gente che muore ogni giorno? Non può chiedermi questo! » gridai, adirato con lui, con il destino e con il mondo. Andavo avanti ed indietro per la stanza e mi prendevo la testa tra le mani, scavandomi solchi tra i capelli senza riuscire a calmarmi.
Mi sentivo schiacciato al suolo. Tutto quello pesava troppo, troppo, senza Kurt.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

This heart is yours.








« Ti darò il mio cuore. »
 
 
Non pensavo che mai avrei pronunciato quelle parole. Non avevamo programmato la nostra esistenza per terminare in quel modo.

Non eravamo a conoscenza del fatto che il cuore di Kurt sarebbe stato debole come quello del padre. Non sapevamo che si sarebbe ritrovato a un passo dalla morte a poco più di vent’anni. Un quarto di vita, un soffio, un respiro.

Un battito del suo cuore malato.

Non sapevamo che avrebbe avuto bisogno di un trapianto entro pochi giorni se voleva sperare di salvarsi. Non sapevamo nulla, io non lo sapevo, ed avevo sprecato troppo tempo.

« Non abbiamo nessun donatore idoneo. Mi dispiace, stiamo cercando, davvero lo stiamo facendo, ma non è una cosa facile. Sono pratiche che richiedono tempo e... ci rincresce doverlo ammettere ma noi non ne abbiamo. » aveva detto il primario, guardandomi attraverso le spesse lenti degli occhiali, mentre scorreva costernato dei nomi su una lista infinita.

« E io che cosa dovrei fare? Stare qua e guardare il ragazzo che amo mentre muore perché nessuno ha avuto la compiacenza di dargli un cuore nuovo? Con tutta la gente che muore ogni giorno? Non può chiedermi questo! » gridai, adirato con lui, con il destino e con il mondo. Andavo avanti ed indietro per la stanza e mi prendevo la testa tra le mani, scavandomi solchi tra i capelli senza riuscire a calmarmi.

Mi sentivo schiacciato al suolo. Tutto quello pesava troppo, troppo, senza Kurt.

« Continueremo a cercare finchè... finchè sarà possibile. » aveva risposto lui, mettendomi una mano sulla spalla e andandosene, lasciandomi stremato, spaventato, arrabbiato nei corridoi di un ospedale che detestavo. Avevo appoggiato la schiena al muro, mi ero lasciato scivolare fino a sedermi a terra, coprendomi il viso con le braccia e le mani, stringendomi i ricci tra le dita, disperato, sull’orlo del baratro. Avevo voglia di urlare e non potevo. Mi alzai di corsa e scappai fuori da quell’edificio. I miei piedi si muovevano veloci tra i corridoi e i medici che mi guardavano sconvolti. Ero uscito da una delle porte secondarie ed ero corso fino alla fine dell’immenso parcheggio, trovandomi di fronte ad un immenso campo che separava il centro ospedaliero dal resto della città. Mi ci ero gettato in mezzo, correndo come un pazzo, inciampando e lasciando che le sterpaglie alte mi ferissero le braccia e le gambe. Quando mi ero trovato nel mezzo del nulla più assoluto, trafelato e con i muscoli che imploravano pietà,  avevo gridato. Avevo gridato così forte che uno stormo di corvi in lontananza aveva preso il volo spaventato. Avevo gridato fino a che la gola non aveva implorato pietà, finchè non avevo sentito il sapore del sangue in bocca e i polmoni bruciare come se avessero preso fuoco dentro il mio petto. Avevo pianto, singhiozzato come se perfino i santi in cielo avessero potuto sentirmi, avevo lasciato che le lacrime prendessero possesso del mio viso, rendendolo una macchia distorta, mentre tossivo esausto e mi inginocchiavo al suolo, in mezzo alla terra e alle erbacce, implorando pietà. Chiedendo che tutto quell’immenso dolore, la frustrazione, la rabbia, l’impotenza avessero fine.

Ed ero ancora lì.

Ripensavo solo a Kurt, in quel momento. Ripensavo a come mi aveva sempre guardato come se fossi un modello, come se vedesse in me tutto il bello che io avevo solo finto di vedere fino ad allora.

Ricordavo i suoi occhi cerulei, quel colore che cambiava a seconda dell’umore e del tempo che oramai sapevo a memoria. Conoscevo le sue reazioni al mio tocco, quel vezzo che aveva di trasalire quando lo baciavo, quel modo che aveva di arricciare il naso mentre sorrideva. Sapevo a memoria il suo timbro vocale quando parlava e quando cantava. Rivedevo nella mia mente il candore della sua pelle, la morbidezza dei capelli castani ai quali teneva tanto.

Allungai la mano nelle sterpaglie, come allucinato, cercando quella di Kurt. Tutto ciò che trovai fu erba secca e ruvida, che mi tagliò le dita. Non somigliava affatto alle mani soffici e fresche di Kurt.

La testa mi esplodeva, il sole mi bruciava gli occhi accecati da lacrime che mi pareva impossibile fermare. Come a sentire i miei pensieri improvvisamente una nuvola coprì i raggi dell’astro maggiore, dando pace alla mia vista offuscata, e poco dopo altre seguirono l’esempio della prima, dando al cielo un colore grigio-nerastro. 

Pensai a come la mia vita fosse stata uno schifo fino all’arrivo di Kurt. Pensai a quanto avevamo condiviso, a come eravamo cresciuti assieme, come se fossimo stati rampicante e traliccio. Parassiti reciproci, prendevamo dall’altro ciò di cui necessitavamo donandogli quanto di meglio ci era concesso. Una storia del genere la avevo vista solo nei libri, e non ci credevo.

Pareva tutto perfetto.

Finchè non era successo.

Eravamo in campagna a fare un pic-nic improvvisato, gli avevo fatto una sorpresa, e lui sorrideva come un pazzo, perché adorava le sorprese, ed io lo sapevo. Sapevo ogni cosa di lui, ed ancora mi faceva impazzire. Stavamo mangiando dei panini che avevo fatto la sera prima, ancora troppo incapace per cucinare, e lui aveva fatto qualche battutina sulle mie spiccate qualità culinarie prima di mangiare e non dire più una parola. Non smetteva di fissarmi, un vizio che aveva e che mi faceva sempre deglutire a fatica. Era impossibile costringere il mio corpo a fare altro mentre i miei occhi erano irrimediabilmente incatenati ai suoi. Poi il mondo si era ristretto, si era dilatato ed era esploso su se stesso. Kurt si era portato una mano al petto ed aveva iniziato a boccheggiare. I suoi occhi si erano incupiti e non riusciva a parlare. Mi era risalita la bile in gola, mentre il cuore aveva iniziato a pompare velocemente nel petto, terrorizzato. Mio nonno aveva sofferto di cuore, per questo capivo fin troppo bene i segni di un infarto. Le tempie mi pulsavano come se un batterista si stesse divertendo ad usare la mia testa come tamburo e le costole mi si stavano tendendo al punto che sembrava mi si sarebbero spaccate da un momento all’altro.

Kurt si era accartocciato su se stesso, aveva smesso di respirare, e la mia vista si era oscurata per il terrore. Avevo chiamato l’ambulanza seduta stante, gridando come un pazzo, con la gola che si chiudeva ogni volta che inspiravo, prendendo Kurt in braccio ed abbandonando tutto là.

Da quel momento Kurt si era svegliato a singhiozzi, esausto, con un cuore che non andava più bene per lui. Un cuore che mi amava, che parlava di me, che mi aveva fatto innamorare di lui.

Come poteva una cosa così perfetta non funzionare più? Non me ne capacitavo.

Piccole gocce di pioggia iniziarono a cadere, inzuppandomi vestiti, capelli ed anima nel pezzo di un campo che stava diventando fango. Non riuscivo nemmeno a trovare la forza per alzarmi. Non ce la facevo a reggere quell’incubo un secondo di più, era come cercare la luce in una scatola sigillata ed oscurata. Io grattavo i muri, li grattavo con violenza fino a spaccarmi le unghie ma... non trovavo nulla.

Era sempre tutto uguale.

Tutto insipido ed intorpidito.

La mia vita era una merda assoluta senza Kurt. Pendevo da una corda attaccata al suono di quella macchina che contava i battiti cardiaci del ragazzo che amavo.

La ascoltavo come se fosse stata una musica destinata a finire in un sonoro disaccordo musicale, che mi avrebbe reso sordo per l’eternità.

Cercai di alzarmi in piedi, ma finii solo per barcollare ed appoggiare una mano per terra mentre cadevo in avanti. Fu allora che il portafoglio mi scivolò dalla tasca e si aprì nel fango, rivelando la tessera di donatore degli organi che avevo preso qualche tempo prima con Kurt, perché dopo ciò che era successo a suo padre aveva voluto poter essere utile a qualcuno che non avesse avuto tanta fortuna come lui al quale il padre era sopravvissuto ed ora stava bene. Ed aveva convinto anche me.

La guardai e fu come se dentro di me tutto si accendesse.

Ero un donatore.

Ed avevo lo stesso gruppo sanguigno di Kurt. 0 negativo.

La testa iniziò a girarmi vorticosamente, mentre la pioggia mi cadeva addosso come una doccia fredda, inzuppandomi sempre di più rendendomi uni fantasma in maglietta bianca e jeans, che se ne stava in mezzo ad un campo sotto le intemperie. Mi alzai in piedi, tenendo in mano la tessera, e proteggendola dall’acqua che cadeva dal cielo. Guardai le nuvole e lasciai che le gocce trasparenti mi si schiantassero sulla faccia e la pulissero dalle lacrime. Sorrisi come un idiota. Sorrisi pensando che non tutto era perduto. Sorrisi e piansi silenziosamente, senza sbattere le palpebre, mentre le mie lacrime si mescolavano alla pioggia. Mi tolsi le scarpe, lasciandole nel campo fangoso a riempirsi di terra scura, e camminai verso la strada.

Davanti ai miei occhi c’erano tutti gli istanti che avevo vissuto con Kurt. C’era tutta la mia vita, quella precedente era uno schifo in cui non ero neanche mai riuscito ad accettare me stesso. Continuavo a sorridere e a piangere, convinto di aver trovato la soluzione a tutto.

Mi venne in mente il momento in cui avevo chiesto a Kurt di sposarlo, proprio a quel pic-nic, poco prima del fatidico attacco di cuore, e ricordavo come mi aveva stretto le braccia al collo, come si era gettato su di me rovesciando la bottiglia di coca-cola e baciandomi con foga, come se non mi avesse mai baciato prima. Ricordavo il profumo dolce della sua pelle ed il sapore della sua bocca sulla mia.

Ricordavo il sole, che non avrei mai più rivisto, visto che aveva deciso di piovere proprio quel giorno. Proprio il giorno in cui avevo deciso che era giunto il mio momento. E sarei morto facendo ciò per il quale sarei stato in eterno il ragazzo più felice del mondo. Avrei donato la vita a Kurt, che avrebbe vissuto portandosi nel petto per sempre un pezzo di me. Avrebbe sorriso, avrebbe amato, avrebbe corso e avrebbe respirato grazie a me. Grazie a quel muscolo che a me era stato donato sano e che avevo l’opportunità di donargli.

L’ultimo sacrificio. Per lui.

Non vi era egoismo che tenesse, quando si trattava di Kurt. Non era possibile essere egoisti pensando al suo sorriso limpido come era stato il cielo fino a poco prima, al suo corpo perfetto, alla sua gentilezza, alla sua ambizione che meritava di essere appagata e al modo in cui mi aveva salvato da una vita squallida e piena di rimpianti.

Con quell’ultimo gesto non ne avrei più avuti. Mai più.

Mi trovai a bordo della strada, coi jeans troppo lunghi che si trascinavano per terra nel fango e che macinavo sotto i talloni. Chissà che pensava la gente che mi vedeva. Zuppo, sporco di fango, con un
sorriso pazzo sul volto, gli occhi rossi di pianto.

Sempre se mi vedevano.

La pioggia era divenuta fittissima e le macchine che passavano mi schizzavano, con i tergicristalli al massimo. A pensarci bene era quasi impossibile che potessero scorgermi in mezzo a tutto quel trambusto. Ero fortunato, ero anche vicino all’ospedale, mi avrebbero portato subito da Kurt. Avrei potuto ricongiungermi a lui immediatamente. Presi la penna che tenevo sempre in tasca, perché di solito mi chiedevano sempre di firmare un sacco di carte per via di Kurt e, sul davanti, vi scrissi il suo nome. Come un testamento. Come un’ultima volontà. Poi buttai la penna nell’erba bagnata.

« Ti darò il mio cuore. » mormorai, a bassa voce, fissando la strada e facendo un passo verso la corsia.

Era la fine, la fine per sempre.

Forse avrei dovuto dire addio a Kurt, ma non sarebbe servito, perché sarei sopravvissuto per sempre dentro di lui.

Meglio così che senza.

Mi sarei tolto la vita in ogni caso.

La pioggia rendeva l’asfalto terribilmente scivoloso. Attesi nel silenzio, per secondi che sembrarono un’eternità e che rimasero impressi nella mia memoria come una fotografia, prima che sentissi i freni di una macchina troppo vicina stridere pericolosamente. Strinsi la tessera da donatore di organi al petto e mi voltai di schiena, cercando di proteggere il cuore che avrei donato a Kurt in tutti i modi.

L’impatto fu violento, e fu come volare. Il dolore mi percorse dalla colonna vertebrale alle gambe che parevano essersi staccate e muoversi liberamente. Sentii il sapore del sangue percorrermi la gola
fino ad arrivarmi il bocca, e poi caddi sull’asfalto a chissà quanti metri di distanza. Sbattei la testa sul cemento, sentendo distintamente un liquido caldo colarmi dal fianco. Il dolore mi si accese dentro come una fiamma, gridai, e poi tutto terminò.

Percepii la vita staccarsi come un filo che veniva tirato con violenza via dal mio corpo, la sentii abbandonarmi, ma non andai con lei. Rimasi nel mio corpo morto mentre le persone mi si accalcavano attorno, spostando le gocce di pioggia dal mio viso pieno di sangue e gridando di chiamare un’ambulanza. Eravamo vicini. Sarei stato presto con Kurt.

Lasciai che mi portassero via, lasciai che mi caricassero nel retro del furgoncino bianco e rosso e che mi cercassero di svegliare col defibrillatore. Non reagii, non volevo reagire.

Dentro l’ospedale mi portarono chissà dove, notando in seguito il tesserino che stringevo tra la mani e che non avevo lasciato. Mai.

Fu come se potessi vedere tutto ciò che mi accadeva attorno. Notai il primario che seguiva Kurt tra i medici attorno a me, mi prese la tessera e lesse il nome che vi avevo scritto. Si portò una mano alla bocca.

« Mio Dio. » sussurrò, lanciandomi un’occhiata addolorata.

Aveva capito. Mi aveva riconosciuto nonostante i ricci incrostati di sangue e lo sguardo vuoto e non più tormentato.

Mi mise una mano sugli occhi spalancati e con un gesto lieve mi serrò le palpebre. Mi parve di sentirlo mormorare.

« Mi dispiace. »

Poi mi dichiararono morto. Il cuore aveva cessato di battere nel mio corpo, e sentivo sempre più freddo. Sentivo l’abbraccio della morte, tutto si faceva più buio.

« Portatemi il paziente 2102 nella stanza 506. E’ il momento di fare un trapianto di cuore. » disse il primario, poggiando la tesserina con tutte le mie informazioni su un tavolino, ne percepii il fruscio.

« Ma Dottor Cooper è sicuro che le informazioni siano tutte a posto? Non dovremmo firmare prima dei moduli? » chiese una dottoressa che si trovava nella stanza.

Il dottore scosse la testa.

« Se un primario lo ritiene necessario si può agire immediatamente. E ora faccia in fretta, abbiamo la vita di un ragazzo da salvare. È quello che Blaine Anderson avrebbe voluto. » sussurrò,
indicandomi con un gesto stanco.

La dottoressa lo squadrò.

« Come può dirlo? » chiese.

« E’ morto tenendo in mano la tessera da donatore con scritto il nome di quel ragazzo sopra. » spiegò il primario, e le lacrime si affacciarono sul viso della donna, che corse a prendere il corpo di Kurt
seguita da un paio di medici.

Era il momento dunque, il momento in cui gli avrei detto addio. Il momento in cui si sarebbe accorto che avevo deciso per lui, il momento in cui avrebbe saputo del mio sacrificio e avrebbe compreso che sarei stato sempre con lui.

Portarono Kurt nella stanza su un lettino, era sveglio, lo vedevo. Stanco ma sveglio. Mi venne voglia di piangere nel rivedere il suo viso, perché sapevo che sarebbe stata l’ultima volta che lo avrei potuto guardare. L’ultima occhiata al suo volto angelico. Avrei voluto sfiorarlo, fargli capire che c’ero, ma poi mi vide.

Si mise ad urlare.

Gridò così forte che sembrava stesse emettendo ultrasuoni. Si dimenò sul lettino, facendo per venire ad abbracciare il mio corpo morto, ma i medici lo trattennero.

Mi sentii morire un’altra volta.

Le lacrime gli scesero dagli occhi enormi e spalancati, mentre singhiozzava.

« La prego, si fermi, rischia di mandare tutto a monte! Non può affaticarsi! »  gridò la dottoressa, trattenendolo per un braccio e legandolo al lettino con le cinghie.

Lui non si fermava, sembrava sul punto di esplodere. E in quel momento mi sentii male.

Scusa, avrei voluto gridare, scusami Kurt, lo ho fatto per te. Ti amo, ti amo, ti amo. Saremo sempre insieme. Ti prego, non piangere.

« Ora la prego, si calmi, non capisce che lo ha fatto per lei? » gridò il primario, mostrando a Kurt la mia tessera con il suo nome sopra.

Lui la afferrò con le mani tremanti e non appena la lesse sprofondò sul lettino, le mani alla bocca e le lacrime che gli colavano lungo il collo fino ad inzuppargli il pigiama.

« Blaine... cos’hai fatto... » sussurrò, guardandomi e impallidendo. Scagliò lontano la mia tessera, respirando a fatica.

Il primario gli si avvicinò e lo guardò con aria comprensiva da dietro gli occhiali spessi.

« E’ la prima volta che vedo una cosa del genere. L’amore che questo ragazzo provava nei suoi confronti è... indescrivibile. Non so se si rende conto del sacrificio che ha fatto per salvarla. Non lo renda
vano, mi ascolti, e Blaine vivrà per sempre dentro di lei. » disse.

Kurt non riusciva a guardarmi, pareva che gli avessero trafitto il cuore. Mi si strinse il petto, pregai di non essere stato io.

Pregai di riuscire a riempire quel vuoto che avevo lasciato dall’interno.

Alla fine Kurt annuì, firmò dei documenti che gli porsero e si lasciò sottoporre all’anestesia, in lacrime, e guardandomi a fatica.

Mi impressi i tratti del suo viso nella memoria, per ricordarli in eterno.

L’operazione cominciò, e sentii un peso levarsi dal petto. Sentii freddo. Sentii la fine. Improvvisamente un corpo caldo mi avvolse, e fu come se mi cucissero addosso a Kurt. Sentivo i suoi pensieri,
sentivo il suo calore, sentivo il suo respiro, un po’ come una volta. Sentivo la sua vita scorrermi dentro.

Mi agganciai ad un filo di pensieri di Kurt. Come se fosse stato semplice.

Parlava di senso di colpa, di un amore terminato in tragedia, di nostalgia, di mancanza, di dolore. Cercai di lenire quei pensieri. Cercai di infondergli il coraggio che da sempre avevo voluto che avesse.

Kurt, lo ho fatto perché ti amo. Lo ho fatto perché potessi avere una vita felice, lo ho fatto perché sei tutto ciò che contava nel mio mondo. Lo ho fatto perché sei la più grande meraviglia del
creato e meriti di vivere, molto di più di quanto io meritassi di vivere senza di te. Ora invece siamo insieme, per sempre, saremo sempre una cosa sola. Il mio cuore ora è tuo, abita in te. Ti amo,
davvero, scusami se ho scelto per entrambi. Scusami se sono stato insopportabile, scusa se non mettevo mai da lavare i vestiti e se non ho mai imparato a cucinare. Ora ho una vita intera per imparare come facevi, dentro di te. Ora sarà per sempre, credimi, ti prego. Ti ho amato tanto Kurt, non sentirti in colpa, ho fatto ciò che sentivo giusto. È merito tuo se sono stato felice. È il mio momento di rendere felice te. Ti amo, Kurt, ti amo e ti amerò in eterno.


La risposta fu un sospiro.

Ti amo, Blaine. Ti amo tantissimo, grazie. Sei stato il mio sogno divenuto realtà. Lo sarai per sempre. Sentii il rumore di un singhiozzo. Ti prego resta per sempre con me.

Capii che l’anestesia stava finendo e compresi che era venuto il momento di chiudere gli occhi per sempre.

Era ora di dire addio.

Addio, Kurt, ti amo. Vivi anche per me.

Un respiro, il rumore di un battuto, poi più nulla.























-
---------------------------------------------------------------------------------------------------
Spazio Autrice:
Okay, potete linciarmi, lo so. 
So anche che le pratiche sono più lunghe, che ci sono dei fattori da considerare eccecc. però ho dovuto adattare il tutto alla fic, quindi mi scuso per le imprecisioni mediche.
In ogni caso sì, lo so, odiatemi pure, mi odio anche io in questo momento. Ho avuto questa messima idea ascoltando "My Heart Will Go On" versione piano, capitemi. Sul serio.
E ora uccidetemi pure nelle recensioni, non ve lo impedirò.
Adieu,
Noth
   
 
Leggi le 16 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Noth