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Autore: tonksnape    12/10/2006    1 recensioni
Torna Danduly Street. Dalla parte di Fred Weasley e Ninphadora Tonks. Entrambi devono fare i conti con il dolore e la solitudine e poi con la ricerca di una famiglia e di qualcosa che va oltre la loro solidale amicizia. Il racconto inizia nel 2005 circa e termina nuovamente nel 2008. Non è necessario aver letto la storia precedente, con le vicende di Harry e Ron, per poter seguire questa. I personaggi sono di JKR, tranne qualche piccolo nuovo inserimento. Il resto è fantasia. Buona lettura. Ai fedelissimi di Danduly Street e a coloro che vorranno aggiungersi al viaggio.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia, Weasley, George, e, Fred, Weasley, Nimphadora, Tonks
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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1.    La separazione e l’addio

 

Planger Place - notte

Fred Weasley rientrò in casa quando ormai il sole era tramontato. C’era solo la luce dei lampioni che illuminava artificialmente la strada e i giardini dei piccoli cottage che la delimitavano. A quell’ora, quando il freddo cominciava a farsi sentire, c’erano poche persone lungo la via e per la maggior parte erano precedute da un cane al guinzaglio, assetato di un po’ di movimento e qualche cespuglio. C’erano anche sporadici adolescenti che camminavano borbottando o fantasticando o cantando a voce alta, con le spalle coperte da enormi zaini pieni di tutta la vita che era possibile portarsi dietro in una giornata. Ma Fred non era interessato a nulla, non vedeva nulla se non quel vialetto d’ingresso un po’ trascurato poco distante.

Entrò nel piccolo giardino di casa e si trascinò fino alla porta d’ingresso, la aprì e la chiuse stancamente dietro di sé, lieto che le sue due figlie fossero con i nonni, almeno per quella sera. Era rimasto alla Tana, la casa dei suoi genitori, per gran parte del pomeriggio dopo aver passato tutta la notte precedente e la mattina all’Ospedale San Mungo per malattie e ferite magiche. E alla Tana aveva voluto e dovuto giocare con le sue bambine per tutto il tempo possibile, mentre i genitori, i suoceri, i fratelli, i cognati parlavano con lui o di lui. Le sue mani raccoglievano e lanciavano giocattoli e la bocca emetteva piccole grida di gioia in risposta a quelle delle bambine, ma la mente ritornava alla notte precedente quando Angelina se n’era andata.

Si erano sposati così velocemente, consapevoli della precarietà di quello che c’era attorno a loro, della lotta tra Harry Potter, il Prescelto, il ragazzino magro e ostinato che conoscevano da quando era arrivato a scuola con suo fratello Ron, e Tu-Sai-Chi, il male personificato che neppure adesso trovava qualcuno disposto a pronunciarne il nome. La battaglia tra tutto il mondo magico e i Mangiamorte. Si erano sposati non appena il negozio si era avviato con sicurezza. Il negozio di giochi e di scherzi immaginato durante gli anni della scuola e realizzato non appena se n’era offerta la possibilità. Si erano sposati poco dopo George, suo fratello gemello, e Lucinda, solo pochi mesi dopo. Angelina si era dedicata alla casa e poi al suo lavoro. E erano arrivate le loro meravigliose bambine. E avevano progettato il loro futuro non appena avevano sentito il senso di libertà che la vittoria di Harry aveva regalato a tutti.

Quattro anni di matrimonio, brevi e intensi, poi la malattia e l’addio.

Anzi non c’era stato neppure il momento dell’addio. Semplicemente si era accasciata a terra, vicino al negozio “Tiri Vispi”, dopo aver lasciato con lui le bambine per fare un colloquio di lavoro. Solo questo. Non si era resa conto delle grida dei passanti, del suo arrivo trafelato dopo che un conoscente lo aveva avvisato di quello che era accaduto, del trasporto immediato al San Mungo, delle cure intense alle quali era stata sottoposta, di quei sette lunghi giorni che aveva passato silenziosa con gli occhi chiusi, rilassata nel letto d’ospedale.

Non si era resa conto di averlo lasciato solo. Solo con due figlie ancora piccole. Solo in mezzo ai suoi genitori, ai fratelli, agli amici che erano arrivati da lui quello stesso giorno e lo avevano aiutato, ascoltato, sostenuto fino alla fine.

Sua madre aveva pianto a lungo anche per lui, aveva accolto le bambine e, con sua sorella Ginny, si era presa il pesante fardello di rispondere alle loro domande, dopo che lui aveva spiegato loro che la mamma era molto malata e le avrebbe amate in silenzio.

Suo padre, silenzioso e prezioso, lo aveva stretto contro la sua spalla, lo aveva accompagnato ad ogni colloquio con i medici, gli era rimasto vicino.

George, il suo inseparabile fratello, ora più che mai, era la sua anima. Sapeva quando doveva parlare anche per lui, sapeva cosa desiderava fare, sapeva cosa non voleva sentire. Lo proteggeva. Non si erano mai fermati a parlare tra loro, non gli aveva ai confidato il suo dolore, le sue paure. Ma George c’era indipendentemente da tutto questo. Aveva chiamato la famiglia, organizzato la cura delle sue figlie. A Fred sembrava essere sempre presente, anche quando si guardava attorno e non lo vedeva. Ma dopo pochi minuti arrivava di fianco a lui. Immancabilmente. Da solo o insieme alla moglie Lucinda, lasciando la loro piccola Ernestine, che aveva la stessa età di Maggie, la sua figlia maggiore, dai nonni o da uno zio.

Suo fratello minore Ron e il suo famoso amico Harry Potter, pur nel pieno della loro attività di Auror, erano riusciti spesso a fare da baby-sitter con le nipotine. Il suo immacolato e perfetto fratello maggiore Percy aveva smobilitato il Ministero per ottenere i migliori consulti medici per la cognata. I due fratelli più grandi, Bill e Charlie, erano più distanti, ma arrivavano per una visita ogni giorno. Persino Ninphadora Tonks, amica da tempo della famiglia Weasley e così legata ai suoi genitori, aveva passato parecchio tempo con le bambine.

Hermione Granger, l’ultimo pezzo del famoso Trio Harry-Ron-Hemione, era via con il marito per una delle sue partite a livello mondiale (Oliver Baston era ancora un nome forte del Quidditch) e proprio quella sera ci sarebbe stata la partitissima di finale. Anzi, erano stati tutti invitati. Una settimana prima erano tutti pronti ad andarci.

Fred cominciò a ridere sommessamente all’idea che potesse esistere ancora qualcosa di così normale come una partita di Quidditch. Una stupida, insignificante partita di Quidditch. Che non avrebbe mai perso fino ad una settimana prima.

Ridendo e piangendo si lasciò cadere su una delle sedie della piccola cucina di casa. Non aveva toccato quasi nulla da una settimana. Solo i vestiti e i giochi delle bambine, trasportati a casa dei nonni e qualcosa per lui e Angelina, l’indispensabile. Il resto era ancora lasciato in disordine tra la cucina e le camere. Casa… che casa poteva essere senza di lei? Avrebbe dovuto portare le bambine di nuovo lì dentro. No. Non poteva ritornare lì senza di lei. Appoggiò le braccia sul tavolo, si prese la testa tra le mani e continuò a piangere, da solo, al buio. A lungo. Solo.

 

La Tana - notte

Alla Tana Molly Weasley aveva appena finito di sistemare le due nipoti per la notte nella vecchia camera dei gemelli. Scendendo le scale sospirò. Avrebbe voluto evitare tutto questo al suo bambino, al suo Fred. Adulto, padre di famiglia, proprietario di un negozio tra i migliori di Diagon Alley, ma pur sempre il suo bambino. Quando erano nati i gemelli uno dei suoi pensieri più lieti era stato che, qualsiasi cosa fosse accaduta, in quegli anni di paura e di incertezza, loro sarebbero stati insieme. Sempre insieme. Si sarebbero sostenuti.

Ma non aveva mai pensato a questa tragedia. Quando i gemelli si erano sposati a pochi mesi di distanza uno dall’altro pensava che fosse accaduto un miracolo. Che quei due scalmanati potessero arrivare a decidere di fare una cosa così normale come sposarsi giovani le era sembrato davvero un miracolo. E con sue ragazze così “giuste” per loro. Lucinda e Angelina le erano sembrate il giusto equilibrio di buonsenso per la pazzia di quei due inventori. Non credeva che avrebbero affronto un impegno così importante e duraturo come un matrimonio con quella determinazione. Lei la considerava ancora incoscienza, ma suo marito insisteva che erano due ragazzi con la testa sulle spalle. Avevano o no aperto e gestito uno dei negozi più redditizi di Diagon Alley? Avevano o no scelto la loro carriera a 17 anni e quasi dieci anni dopo mantenevano il loro impegno?

Molly raggiunse il marito Arthur sul divano vicino al camino, sedendosi di fianco a lui che stava leggendo il giornale. Senza guardarla lui allungò un braccio a circondarle le spalle e la strinse contro di sé. Poi lasciò scivolare il giornale sul tavolino davanti a loro e le sorrise con tristezza.

“Sono a letto? Dormono?”

“Sì, sono brave bambine. Maggie mi ha chiesto dove fosse il papà. Le ho detto che andava a sistemare un po’ la casa. Abbiamo fatto bene a lasciarlo solo, Arthur?”

“Non possiamo fare altrimenti, tesoro. È da solo ora. Ma non lo abbandoneremo.” Sospirò pesantemente. “Soffre e soffrirà Molly.” Chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro quella della moglie.

“Oh, Arthur, perché?” sussurrò lei contro la sua spalla.

“Non lo so.” La abbracciò ancora più stretta contro di sé. “Domani sarà una giornata pesante, Molly. Andiamo a letto.” Con riluttanza si alzò e diede la mano alla moglie. “Hai fatto l’incantesimo alla stanza per sentire le bambine se piangono?” Molly annuì lentamente. Salirono le scale tenendosi per mano, in silenzio.

 

Sede centrale degli Auror – notte.

Ninphadora Tonks, o meglio per tutti coloro, a parte rare eccezioni, che non volevano rischiare la sua ira, solo Tonks, piegò la testa a destra e a sinistra, sentendo la tensione dei muscoli rigidi e stanchi dopo 8 ore di guardia esterna per gli Auror, servizio del Ministero per il quale lavorava da anni. Aveva camminato per tutto il pomeriggio e aveva trascorso le ultime tre ore a controllare verbali e documenti di arresto e di interrogatorio seduta in uno degli uffici, microscopici, puzzolenti e tetri. Domani c’era il funerale di Angelina Weasley. Quanto avrebbe voluto evitarlo. Dopo la morte del suo Remus, i funerali le mettevano angoscia, tanta angoscia, più che tristezza. Ma lo doveva a Molly e Arthur innanzitutto. E anche a Fred.

Aveva trascorso parecchio tempo a casa Weasley nell’ultima settimana. Molly era distrutta dal dolore per Angelina e per suo figlio. Tonks aveva notato, già dai primi giorni, che Molly preferiva parlare con lei del suo dolore, più di quanto non facesse con la figlia minore Ginny, che pure le rimaneva accanto tutto il tempo che le era possibile. Quando stava per chiederle come mai era stata Molly a risponderle, inconsapevolmente.

“Sai tesoro,” le aveva detto guardando i punti di un lavoro a maglia che aveva iniziato per uno dei nipoti, la voce roca e triste, “a volte devo ripetermi che i miei ragazzi sono grandi… anche la stessa Ginny. È così brava con i nostri nipoti, sa cosa dire, sa essere dolce e determinata. Eppure non riesco a parlarle come faccio con te, come un adulto. È sempre la mia piccola Ginny.” Sospirò. “E Fred… vorrei che non dovesse passare tutto questo…”

“Nessuno se lo merita, Molly. Un dolore così grande. Nessuno.” Le aveva riposto sottovoce, sistemando la tovaglia sulla tavola per la cena.

Molly aveva sospirato di nuovo. Poi si era fermata, pensierosa. E l’aveva guardata, con colpevole dolcezza.

“Tu meno di tutti, Dora. Remus ti manca ancora tanto, vero?”

Lei non aveva risposto. Con le persone che le erano care parlare di Remus Lupin, di un uomo, il suo uomo, morto pochi anni prima, che aveva amato fino a stare male, era ancora una sofferenza che la portava alle lacrime, a volte. Aveva continuato a sistemare, inutilmente, la tovaglia.

“Ninphadora, ma ne parli con qualcuno, tesoro?”

“No, non molto.”

“Quando vuoi io e Arthur siamo qui.”

Lei aveva sollevato lo sguardo, luccicante di lacrime che non scendevano, e le aveva sorriso.

“Non lo dimentico mai.”

“Dora… cosa possiamo fare per Fred quando… quando tutto questo sarà finito?” La diagnosi era chiara e definitiva ormai. Fred aveva ascoltato il responso dei medici insieme al padre e a George, neppure un giorno prima. Da allora era insieme ad Angelina tutto il tempo che gli era concesso, anche solo per dormire nel letto accanto al suo qualche ora. Oppure era alla Tana con le bambine. A giocare, in attesa di dover parlare loro, per le prima volta, della morte. Almeno con Maggie . Reggie era troppo piccola.

“Io non so esattamente cosa potete fare Molly. Io non sopportavo di avere troppa gente attorno, non volevo parlare di lui. Non volevo dividere i miei ricordi con nessuno. Ma nessuno di noi due aveva una famiglia alle spalle. E non ho un fratello gemello.” Si mise seduta su una sedia, pensierosa. “Forse solo stargli accanto e aiutarlo praticamente, quello che fate adesso, Molly.”

Erano rimaste in silenzio a lungo, muovendosi solo al pianto di Reggie che si era svegliata al piano di sopra.

Tonks si riscosse dai ricordi di qualche giorno prima. Era tutto finito adesso. Apparentemente. Per Fred era il momento peggiore. Sarebbero stati mesi e anni difficili.

Si alzò dalla sedia nella quale era crollata nello spogliatoio e si preparò per una lunga doccia calda e solitaria. Aveva volutamente allungato il tempo di lavoro per evitare di incontrare chi finiva il turno con lei. Adesso aveva tutto le spazio per sé.

Quando ritornò nello spogliatoio, quasi mezz’ora più tardi, pronta a mettersi i suoi vestiti, sentì delle voci nello spogliatoio maschile accanto al suo. Erano divisi solo da una piccola parete che non raggiungeva neppure il soffitto. Nessuno aveva mai considerato di dover affrontare problemi di poco rispetto reciproco e raramente qualcuno invadeva lo spazio che non suo. Riconobbe le voci di Ron Weasley e di Harry Potter che stavano preparandosi per andare a casa. Avevano finito il loro turno di ronda a quanto pare. Oppure avevano chiesto di poter terminare in anticipo.

“Ron, non vuoi fare la doccia adesso?” Hary stava quasi sussurrando.

“No, non voglio niente.” Tonks ascoltò la voce sfinita di Ron e poi il silenzio. “Harry arrivo tra un po’, vai pure a casa.”

“No, non ti lascio così. Andiamo insieme, ti farai la doccia quando arriviamo a casa.” E la voce stanca e preoccupata di Harry.

Silenzio.

“Ron…” La voce di Harry era un insieme di tristezza, ansia e affetto. “Ron…”

Tonks sentì il suono delle lacrime di Ron. Non c’era rumore, ma sapeva che stavano scendendo. Immaginò Harry seduto di fianco a lui. Intimidita dalla loro amicizia lasciò lo spogliatoio per tornarsene a casa.

 

Ebony Route – tarda mattina

Fred era fermo in piedi davanti alla tomba appena ricoperta di terra di Angelina. Rigido, a braccia conserte, fissava un punto della terra dove un piccolo sasso bianco spuntava dalla terra rossiccia, appena sistemata. Dietro a lui, c’era George con una mano appoggiata alla sua spalla. Entrambi indossavano abiti eleganti, da cerimonia, le cravatte ben strette e allineate. Rigidi e composti. Impietriti.

Fred non riusciva a pensare. Aveva cominciato a immaginare cosa fare della casa, come organizzare le sue giornate, a chi chiedere aiuto per le figlie, ma ogni pensiero si interrompeva su quel sasso bianco. Aveva provato a chiudere gli occhi, ma non riusciva a togliersi quell’immagine. Ogni tanto si ricordava che stava respirando e lo faceva in modo controllato e profondo, poi dimenticava anche quello. Sapeva che le bambine erano al sicuro con i fratelli o gli amici. Le aveva volute al funerale, soprattutto Maggie che poteva cominciare a capire cosa stava accadendo. Nessuna delle due aveva pianto. Erano rimaste in braccio o per mano a lui. E lui si era rifiutato di piangere. Davanti a loro, mai. Se l’era ripromesso. Non avrebbe nascosto la tristezza, ma le lacrime, sì. Alla fine le aveva lasciate tra le braccia di Ron e Hermione. Sua madre piangeva tra le braccia di suo padre. Ron si era preso Maggie e aveva cominciato a parlarle delle piante e dei fiori che c’erano nel cimitero, mostrandole i colori e le forme. Era riuscito a farla sorridere dopo pochi minuti. La piccola invece si era addormentata tra le braccia di Hermione, che passeggiava vicino al marito, sussurrandosi a vicenda qualcosa che aveva spinto Oliver ad abbracciarla.

E lui era rimasto fermo lì, con George. Gli occhi di entrambi fissi sulla tomba.

“Quando vuoi traslocare?” gli chiese il fratello.

“Eh?” si riscosse dal torpore dei suoi pensieri. Prese un profondo respiro. “Appena trovo qualcosa che mi piace…, ma devo ancora parlarne con le bambine…”

“C’è una casa a McPhermont Street,” disse piano il fratello, con lo sguardo verso gli alberi di fronte a lui, “a due piani… credo ci siano almeno 3 o quattro stanze da letto al piano superiore e ha un bel giardino.”

“Già…” Fred girò la testa verso George, con un lampo di interesse. “Sai il prezzo?”

“Non è impossibile secondo me, dato il posto e la grandezza.”

“Non ti ho mai detto che volevo traslocare, comunque…” disse, pensieroso, Fred.

“Lo so,” confermò tranquillo il fratello. “Ma è quello che farei io,” gli ricordò George. “Fino a lunedì è tutto organizzato in negozio. Poi… ci sarebbero tutte le scartoffie… quelle che io odio…”

Fred accennò leggermente ad un sorriso. Amava suo fratello. Lo amava come una parte di sé. Anche adesso che parlava di lavoro e di soldi lì in cimitero e solo per scuoterlo un po’. Avevano pianto insieme troppe volte nell’ultima settimana. E adesso tentava di dargli, una volta tanto solo metaforicamente, un calcio nel sedere e farlo reagire. In silenzio prese la mano di George sulla sua spalla e la strinse. Poi cominciò a camminare verso l’uscita. Sarebbe ritornato presto e spesso da Angelina. Adesso c’erano le figlie. E un qualche futuro da imbastire.

 

  
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