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Autore: Shatzy    13/03/2012    2 recensioni
“Da ora in poi quindi noi due siamo migliori amici” evidenziò, sorridendo ampiamente.
“E perché mai?”
“Beh, perché mi hai trovato” rispose convinto. “E perché sei carino come una bambina, e mi piace tenerti per mano”.

[Klaine Week]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Note: partecipo anche io alla Klaine Week! Che ho scoperto esistere poco prima della mezzanotte di lunedì... In due ore e qualcosa ho fatto il possibile, è un po' insulsa, ma volevo contribuire.
Il titolo è preso dall'omonima canzone dei Beatles. Buona settimana a tutti!




Capitolo 1. Klaine as babies


Quando suo padre gli aveva detto un paio di giorni prima che quel sabato sarebbero andati al matrimonio di una cugina di sua madre, Kurt non ne era stato entusiasta. Non ricordava nemmeno il nome di questa sua zia, non gli piaceva la campagna, e soprattutto l’idea di tanti altri bambini con cui giocare, secondo quanto detto dai suoi genitori, in verità non lo allettava per nulla. Ma all’ennesimo tentativo di fuga, e all’ennesimo no, Kurt, non puoi rimanere a casa da solo perché hai solo sette anni, cedette. Non che avesse molte alternative, suo padre in fondo era così alto e così forte che niente lo avrebbe mai buttato giù.

E così quella mattina si ritrovò sul sedile posteriore dell’auto con indosso una camicia azzurra e un’espressione corrucciata, mentre guardava scorrere velocemente la strada fuori dal finestrino. Era più che convinto che la sua camera fosse un posto confortevole e adatto a passare le giornate, mentre vedeva qualche cartone animato, spolverava il suo mini servizio da tè e dipingeva con lo smalto di sua madre le macchinine che suo padre gli aveva regalato all’ultimo compleanno. E invece era lì, in quell’inferno verde, ed era esattamente come se lo era immaginato, se non peggio: troppo caldo, troppi insetti e soprattutto troppi bambini.
Sospirò, stringendosi di più alla mano di sua madre – finché la teneva nessuno poteva fargli niente, no? Quindi non l’avrebbe lasciata mai.
“Kurt, vuoi andare a giocare?” gli chiese dolcemente lei, accarezzandolo sui capelli.
“No. Sto bene qui con te”.
“Kurt…” tentò suo padre, passandosi una mano sul viso. “Puoi almeno provarci?” Ma bastò un’occhiata della moglie per farlo desistere. Burt si sedette su una sedia, passandosi due dita sotto al colletto della camicia.
“Puoi rimanere seduto qui, noi andiamo laggiù a portare i nostri regali. Kurt, non ti muovere” concesse lei.
Il bambino annuì convinto, guardando poi i suoi genitori allontanarsi tra un “Posso levare la cravatta, ora?” e un “Pensi sia semplice camminare con un tacco 10 sull’erba? E no, Burt, non sei calvo, la gente non ti sta guardando per questo”. Stette lì, immobile su quella sedia, per diversi minuti, o almeno fino a quando non decise che dondolare le gambe nel vuoto non era poi così divertente dopo le prime cinquanta volte; forse poteva almeno guardarsi attorno… Fu così che notò un movimento sospetto sotto il tavolo affianco al suo. La lunga tovaglia bianca arrivava fino a terra, ma c’era decisamente qualcosa che si agitava al di sotto di essa. Forse un gattino, come quello che la loro vicina di casa gli lasciava accarezzare quando era triste.
Senza pensarci più di tanto si alzò e si avvicinò al tavolo, alzando il tessuto e sbirciando al suo interno con un enorme sorriso stampato sulle labbra.
Enorme sorriso che scomparve appena vide che non c’era alcun gattino, ma solo… “Un bambino” sussurrò sconsolato. E uno nemmeno tanto carino, per la cronaca.
“Ehi!” gridò quello spaventato, voltandosi verso di lui e sbattendo la testa contro il tavolo.
“Ti sei fatto male?” chiese Kurt, preoccupato.
“Entra, sbrigati!”
“Come, scusa?”
“Vieni qui!” e senza troppi scrupoli gli prese la mano e lo trascinò sotto al tavolo, riposizionando bene la tovaglia a terra.
Kurt si guardò attorno spaesato, per quanto quel metro quadrato glielo permettesse, e si focalizzò poi sull’altro bambino. Camicia rossa a quadri, strani capelli ricci, due occhi nocciola che lo fissavano con un’intensità quasi minacciosa. “Ehm… Perché sei qui sotto? Ti sei perso? Mia mamma dice che-”
“Come mi hai trovato?”
“Beh. Ero seduto qui accanto e a un certo punto ho visto agitarsi qualcosa da questa parte, così ho pensato che-”
“Lavori per loro, vero?”
“Cosa?”
“Lo sapevo!”
“Io non so di cosa tu stia-”
“Adesso sei il mio ostaggio!”
“Mi lasci almeno finire di parlare?” sbottò Kurt, leggermente sopra le righe, ma riuscendo a far chiudere la bocca a quel ragazzino esuberante, che sembrò colto alla sprovvista. “Volevo solo vedere se c’era un gattino qui sotto, non voglio stare con te e non lavoro per nessuno. Il mio papà dice che quelle sono cose da grandi” spiegò, sistemandosi distrattamente un ciuffo sulla fronte.
L’altro lo squadrò incerto, ma poi sorrise. “Okay, ti credo. Wes e David staranno ancora tentando di trovarmi, dopotutto”.
“Chi?”
“Nessuno ci era mai riuscito prima d’ora, sono il migliore in questo gioco!” si vantò. “Da ora in poi quindi noi due siamo migliori amici” evidenziò, sorridendo ampiamente.
“E perché mai?”
“Beh, perché mi hai trovato” rispose convinto. “E perché sei carino come una bambina, e mi piace tenerti per mano” concluse, stringendo leggermente le dita dell’altro che ancora teneva saldamente nel proprio palmo.  
Kurt si ritrovò ad arrossire appena, prima di corrucciare la fronte. “Le bambine non sono carine”.
“Certo che lo sono!” s’impuntò quello. “Lo dice anche mio padre!”
“Le bambine non sono carine” ripeté Kurt, ponderando bene le sue parole. “Le bambine sono… pulite”.
L’altro sembrò pensarci su per qualche secondo, aggrottando le sopracciglia e fissando un punto imprecisato del tavolo sopra la sua testa. “Mi sa che hai ragione”.
Kurt annuì compiaciuto, per poi ricordarsi di una cosa. “Ma perché stai qui sotto? Non ti piacciono gli altri bambini? Nemmeno a me!”
“Oh, no” disse quello. “Stiamo giocando” spiegò, “è divertente! Ti va di giocare con me? Sono il migliore in assoluto!” si vantò, sfoggiando un sorriso enorme.
“E come funziona?”
“Devi nasconderti in un posto e stare immobile finché quelli della squadra avversaria non ti trovano, e poi correre velocemente fino all’auto di Thad, che è la nostra base e i suoi genitori sono troppo lontani per accorgersene, o almeno così ha detto”.
Kurt piegò la testa da un lato, pensieroso. “E dov’è il divertimento? Sembra faticoso”.
“Oh” il viso dell’altro sembrò intristirsi improvvisamente, e Kurt si ritrovò a pensare che preferiva di gran lunga il suo sorriso. “Beh, se non ti piace possiamo giocare ad altro, tanto io sono il capo!”
“Il capo?” chiese incredulo.
“Certo. Perché sono il più alto” si vantò, battendosi una mano sul petto.
Kurt si ritrovò a sorridere senza nemmeno sapere bene perché, decidendo che quel bambino forse era meglio di qualsiasi gattino che avrebbe potuto accarezzare. “D’accordo” acconsentì, ma la luce del sole li colpì entrambi all’improvviso e fece loro chiudere gli occhi.
“Kurt!” si sentì chiamare. “Ti avevo detto di non allontanarti”.
Kurt si sentì immediatamente colpevole sotto il tono accusatorio di sua madre, ed uscì lentamente da sotto al tavolo.
“E questo chi è?” sentì suo padre dire, probabilmente rivolgendosi al bambino che era ancora attaccato alla sua mano.
“Ehm… lui è…”
“Signora mamma e signor papà di… ehm, Kurt, mi chiamo Blaine Anderson, i miei genitori hanno quella macchina nera laggiù, un giorno sarò alto come mio fratello, ma più gentile, e sono il migliore amico di Kurt” si presentò, con un sorriso raggiante.
“Oh, molto piacere, Blaine” rispose la madre di Kurt, sorridendo e passandogli una mano tra i ricci.
“Quello è l’ultimo modello uscito di una BMW?”
“Burt”.
“E’ importata direttamente dall’Europa!”
“Burt!”
“Okay” capitolò, tornando a guardare suo figlio, per poi corrucciare la fronte. “Perché lo tieni per mano?”
“Perché è il mio migliore amico, signore” spiegò Blaine con fare sicuro, mentre Kurt arrossiva.
“E, Kurt, vuoi andare a giocare con lui?” propose sua madre.
Quello annuì piano, mentre l’altro bambino gli sorrideva e lo trascinava via.
“State dove posso vedervi!” urlò Burt, un po’ burbero, mentre i due correvano verso un albero poco lontano, dove altri bambini si stavano radunando.
L’ultima cosa che Kurt vide fu sia madre che rideva mentre suo padre incrociava le braccia al petto. Non sapeva bene se era nei guai o no, ma era certo che non doveva preoccuparsene. La sua mamma riusciva sempre ad averla vinta.

*

“Kurt!”
“Mh?”
“La tua mamma è proprio bellissima”.
Kurt sorrise, sdraiato sull’erba dietro al muretto dove si trovavano. “Lo so, è la mamma più bella del mondo”.
Blaine annuì pensieroso, sdraiandosi accanto a lui e tenendogli ancora la mano. “Ha il tuo stesso colore di occhi. Non ho mai visto un colore così” disse, avvicinandosi un po’ al suo viso.
“Non è niente di particolare” ammise l’altro, scrollando una spalla. A me invece piace il tuo, pensò.
“Tu le somigli tanto” gli disse subito dopo, sorridendo.
“Oh” arrossì. È bellissima, gli aveva detto. “Grazie”.
Blaine si limitò a stringergli di più la mano, e poi si ritrovarono a guardare gli alberi sopra le loro teste che si muovevano piano con il vento della tarda mattinata.
Non seppero quanto tempo passò, ma quel silenzio e quel calore erano le cose più piacevoli che avevano mai provato.
“Blaine?” chiese Kurt dopo poco.
“Mh?”
“Pensi che ci troveranno mai qui?”
“… No”.
“Si sta bene”.
“Sì.”
“… Ho un po’ fame”.
“Anche io!”
È sempre dalle piccole cose che si capisce la nascita di una grande amicizia, in fondo.
“Ti do la metà del mio dolce se mi riporti dai miei genitori”.
“E mi fai provare il tuo papillon?”
“Solo per cinque minuti”.
“Affare fatto!”
O di qualcosa di più.
   
 
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