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Autore: Mendori    14/10/2006    7 recensioni
Usciamo a cercare i quadrifogli?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alberi

*

 


“Usciamo a cercare i quadrifogli?”
Pete è particolare.
Tace pensierosa, dietro di me, accasciata sul suo banco scarabocchiato, costellato di numeri per una verifica di matematica e ghirigori per sopravvivere al grigiore dell’ora di greco. Adornato di galassie di parole troppo minute per essere lette e frasi che nessuno leggerà, ma che appunta comunque, anche se il giorno dopo saranno cancellate dal panno imbevuto d’acqua di una bidella, mano divina di quel piccolo universo.
Il volto tondo è per metà nascosto dalle sottili braccia incrociate e le pupille nere fisse sulla finestra adiacente al suo banco. Attraverso il vetro, la luce accecante del cielo candido, prossimo alla pioggia, si riflette nei suoi occhi neri dandole un che di pacato.
Alzando la testa verso di me ripete:
“Ele, andiamo a cercarli?”
Mi volto, guardandola persa.
“Quadrifogli? Non potevi pensarci prima, ormai la verifica di mate è passata!” Rispondo con tranquillità, cercando di smorzare il suo intento. Lei esprime desideri così frivoli con una tale, penetrante serietà da mozzare il fiato.
Si guarda le mani, insoddisfatta dalla mia risposta. Nasconde di nuovo il volto tra le braccia trattenendo a malapena un sospiro. I suoi capelli lisci si riversano disordinatamente sul banco in onde nere.
Mi giro completamente verso di lei, continuando, “ E poi chissà quanti quadrifogli avrai…”
“Cosa intendi?”
“Sei il tipo di persona che, ovunque si trovi, si ferma in mezzo all’erba a cercarli se ne ha voglia…” Spingo dietro l’orecchio una ciocca di capelli anche se non c’è ne bisogno, poi continuo, “tu inginocchiata tra i trifogli… non è una scena così improbabile.”
Ed è vero, non è un’immagine così assurda. Stonerebbe con altre persone, ma Pete vi si adatta perfettamente, quasi il suo carattere si possa riassumere con questo semplice ritratto di lei. E penso che io per prima, preoccupata come sono di come appaio alla gente non lo farei mai, per quanto possa essere una cosa semplice e innocente.
Pete è felice per quello che ho detto, perché subito gli occhi neri le si illuminano, diventando sottili fessure scure, mentre scava in se stessa per usare quel tono dolce di quando si sente lusingata.
“E invece ne ho solo uno” Parla sorridendo, fine. “L’avevo attaccato a un quaderno, alle elementari, perché temevo che mia sorella me l’avrebbe potuto rubare…”
Appoggia una mano al vetro freddo della finestra, osservando dall’alto il giardino della scuola, distesa verde opposta a quella lattea del cielo. Davanti a lei, pigre nuvole si sfilacciano lentamente in mari biancastri, placide acque per gli angeli.
“Non ne ho mai presi altri, anche quando li trovavo”, continua assorta, “ uno basta, credo”.
Giocando con la fibbia della mia cintura sempre troppo lunga, penso che avrei voluto vederla, Pete da piccola.
Mi commuovo facilmente nel vedere un video d’infanzia di un’amica. Fa emergere in me un affetto sottile, solido perché rattoppato con solerzia, bianco panna. Tuttavia credo che con Pete sarebbe qualcosa di più particolare. Osservare la bambina che l’ha portata ad essere ciò che è, riconoscere il suo carattere accennato appena nel turbinio dell’infanzia, scoprire i suoi occhi senza pupilla incorniciati nel volto paffuto di una bimba; tutto questo avrebbe dello spettacolare.
Persino ora, con i suoi atteggiamenti che sembrano reclamare affetto, pare qualcosa di piccolo, che ti si dimena tra le mani.
Sì, avrei voluto vederla.
Riprende a parlare, mentre il brusio di sottofondo della classe si attenua vagamente.
“ Sotto il quadrifoglio avevo anche appuntato un desiderio… volevo diventare una pianta, mi pare, nella prossima vita”.
“Come mai proprio una pianta?”
“Perché vive con poco, ” Gioca con la frangetta nera; sembra sicura di quello che dice, ma continua piano, come nel confidare un segreto. “non servirebbe molto per sentirsi completi.”.
Torna ad alzare la voce: “Certo non avevo fatto questo ragionamento da piccola, però già allora mi pareva una vita bella, quella delle piante”.
Mi faccio avanti ridacchiando “ Io non ingoiavo mai i noccioli delle ciliegie perché avevo paura di diventare un albero di ciliegio. Su un libro di fiabe c’era la storia di questo ragazzino a cui succedeva… ”
Ride di rimando. “Se l’avessero raccontata a me questa storia avrei voluto le ciliegie solo per i noccioli!” Poi continua, più seria. “E cosa c’era di brutto nel diventare una pianta?”
Sorrido.“Non poter più bere il the.”
A me piace il the. Mi piace davvero. Col suo flusso caldo, dà l’impressione di pulirmi dentro.
Pete mi rimprovera con un’occhiata.
“Beh… essere in balia del mondo che mi circonda, più che altro”, mi giustifico in fretta.
Guarda la classe annuendo piano, accettando pacatamente la mia motivazione.
Mi volto anch’io ad osservare il movimento della classe nel cambio dell’ora, piacevolmente prolungato dal ritardo del prof di storia, e penso che forse sono già un albero.
Cresco lentamente, senza tendere i miei rami verso le stelle, ma preoccupandomi di rimanere in equilibrio sulle mie radici fragili. Cresco precariamente, sopportando quello che il mondo mi riserva.
Penso tutto questo piano, quietamente, con l’implicita punta rassegnazione che mi contraddistingue.
“Come mai vuoi un nuovo quadrifoglio?” Esordisco dopo un lungo silenzio, osservando Pete rispondermi stupita.
“Forse perché ho perso l’altro. O forse…” Sorride divertita, poi continua “ Forse ho intenzione di diventare qualcos’altro nella mia prossima vita”.
E guardandola sorridere condivido in qualche modo la sua leggerezza. Penso che Pete sarebbe uno splendido uccello. Uno di quelli che cantano.
“Non sarebbe meglio usare qualcosa di più adatto? Sai, i quadrifogli portano solo fortuna.”
Ride sciocca, facendo dondolare i capelli lisci.
“Andranno bene”, mi rassicura. I suoi occhi guadagnano una vitalità strana nel soffermarsi sul suo effimero universo di matita incisa sul banco.
Si sente un sommesso “Sta arrivando” da un punto indefinito della classe, che provoca quasi immediatamente un groviglio di persone che tentano di tornare al proprio posto. Pete mormora velocemente, “Io vado!” e si precipita verso la porta rivolgendomi un ultimo sguardo prima di scomparire. Vieni? Mi chiede in silenzio.
La mia quieta gioia si esaurisce con la sua scomparsa e torno a guardare il suo banco scarabocchiato e il mio, irrimediabilmente bianco. Già mi sento triste, come riportata alla realtà. Già mi sento albero.
Posso immaginarla schivare in fretta il prof per avvertirlo che sta andando in bagno, senza premurarsi di ricevere una risposta. Prenderà la scala antincendio e scenderà in giardino, dalla parte dove c’è la segreteria, con le tapparelle sempre ben serrate.
E penso che sono troppo diversa da lei e che non la capisco. Lo penso improvvisamente, con rammarico, come un bambino spiazzato davanti ad una parola minacciosa e sconosciuta. Rimango in silenzio e il professore arriva, infine, col suo passo veloce e impaziente che lo fa assomigliare al Bianconiglio. La classe si siede, mentre il suo brusio si spegne in lentamente, lasciando un silenzio vuoto come la sedia di Pete.
Dal mio banco immacolato, se solo mi sporgo un po’ verso la finestra, posso già vedere la sua sagoma scura in giardino, le mani affondate nell’erba.
E ho la tentazione di mangiarmi le unghie, ma, con l’aria che si riempie della voce monotona del professore, prendo una matita, disegnando un quadrifoglio sulla superficie ruvida del banco.
Poi, riflettendo su ciò che vorrei diventare, alzo la mano.
 

 

 

 

...:::::::..
 


Ho un po’ di cose da dire. Sono sostanzialmente irrilevanti, ma questo non mi tratterrà dal dirle. XD

Innanzitutto è la mia prima originale, scritta per partecipare ad un concorso indetto nel mio paesino.
L’ho scritta verso luglio, quindi ci sono già delle cose che non mi piacciono più, ma non mi va di metterci mano, quindi rimane così com’è. Tutto sommato sono abbastanza felice di come è uscita.

Oggi, il sentirla leggere da qualcun altro è stata una cosa straziante. Sarà perché c’è un bel po’ di come sono io qui dentro, ma avrei ucciso quella che leggeva i dialoghi di Pete in modo totalmente atono. Capisco che ognuno abbia il suo modo di interpretare uno scritto, ma allora, per l’amor del cielo, se ho scritto “Pete” intendevo proprio Pete, non mi importa se è un nome maschile, la chiamano Pete. Perché, perché pronunciarlo “Peth”? ç_____ç
Sono rimasta scioccata da quanto questo particolare mi abbia infastidita.
Sono davvero troppo gelosa delle mie cose.

In ogni caso questo mi ha fatto riflettere su come leggo ciò che gli altri scrivono. Su come gli altri leggono quello che scrivo.
Pensare che qualcuno possa leggere un mio racconto come hanno fatto oggi è un pensiero troppo angosciante, quindi cercherò di accantonarlo al più presto.

Il concorso è andato bene, per la cronaca. E alla fine non ho azzannato a morte nessuno, per la cronaca.

 

   
 
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