Titolo:
Margherite bianche
Autore:
o0°Lucetta_Streghetta°0o/Elizabeth_Tempest
Rating:
Verde
Genere:
Romantico,
Triste
Avvertimenti:
One Shot
Note
dell’autore:
Piccola OS (pseudo?) romantica.
In Francia le margherite sono
simbolo
dell’addio e per alcune mitologie le farfalle sono le anime
dei morti. Scritta per "L'amore
impossibile" contest di Carla Volturi.
Un
mazzo di fiori bianchi, avvolti in una velina verdina.
Camminava
ricurvo, posando il peso sul bastone e fissando davanti a
sé. Stringeva i fiori
e si guardava attorno, per quella strada che percorreva ogni giorno per
andarla
a trovare.
Attorno
a lui, altra gente camminava, immersa ognuno nei propri problemi,
ignorandolo o
guardandolo per qualche istante, prima di puntare gli occhi su
qualcos’altro,
dimenticandosi subito dell’anziano signore.
Una
bambina urlava nel suo passeggino, mentre sua madre la minacciava di
dirlo “a
papà”; due ragazze camminavano chiacchierando ad
alta voce, mentre un’altra
adolescente si baciava col suo fidanzatino. Gli sfuggì un
sorriso triste,
guardandoli.
Un
uomo dall’abito di buon taglio parlava ad un auricolare,
mentre un ragazzo
strillava nel telefonino; due bambini di colore parlavano nella loro
lingua
concitatamente, una poliziotta osservava in silenzio la folla, come un
cane da
pastore il suo gregge.
L’anziano
entrò in una viuzza meno trafficata, fino ad un grande
cancello di ferro
battuto aperto, lanciando un cenno di saluto al guardiano
incartapecorito che
stava nella guardiola. Questo gli fece un cenno, riconoscendolo: del
resto, lo
vedeva tutti i giorni alla stessa ora da quasi cinquant’anni.
Probabilmente
quell’uomo veniva lì al cimitero da molto prima,
sempre con un mazzo di
margherite in pugno.
Non
si guardava mai attorno: camminava sicuro verso una lapide e rimaneva
lì anche
per ore, a parlare, poi puliva la lastra di marmo e se ne andava.
E
così
fece anche quel giorno, camminando gobbo verso la lapide.
In
quella città di morti, il sole batteva sulle lastre di marmo
chiaro, gettava
strane ombre sugli angeli di pietra e scivolava sui tetti delle
cappelle; i
fiori avvizzivano lenti sotto i raggi infuocati.
Tutto
era ordinato, nell’ordine tipico di un luogo privo di vita,
eppure qua e là
qualche lucertola s’intravvedeva, tutte prese ad arrampicarsi
e scaldarsi.
Qualche farfalla svolazzava e un grosso ragno aveva fatto la sua tela
tra le
grate di una cappella. Qualche ciuffo d’erba cresceva isolato
tra le pietre
sconnesse del camminamento e, ogni tanto, qualche pigra nube tagliava
la strada
al sole, oscurando per un momento il mondo.
L’uomo
si fermò davanti alla lapide che visitava ogni giorno. Una
volta non avrebbe
mai pensato di recarsi al cimitero per parlare con un morto: a che pro
farlo?
Una
volta non avrebbe mai creduto che un trapassato potesse sentirlo, ma
ora era
certo che così fosse.A volte la sentiva vicina,
terribilmente vicina, come
tanti anni prima, quando entrambi erano giovani.
La
vita della sua Mylène era stata rapida come quella di una
rosa, che nasce,
fiorisce e appassisce in poco tempo, petalo dopo petalo si sfalda,
cadendo a
terra, dove la polvere la ricopre. Eppure, anche dopo essere sfiorita,
il
ricordo della sua bellezza e il suo dolce aroma rimane.
Così
era
stata Mylène: era sbocciata in fretta, sotto il dolce sole
della primavera. Non
era bella, eppure nei suoi occhi c’era qualcosa di magico,
qualcosa di
assolutamente umano e divino allo stesso tempo. Nei suoi occhi verdi
c’era la
vita che scorreva, c’erano le sue speranze, i suoi sogni.
Erano occhi che
facevano sognare, che sapevano parlarti di mondi fatati dove non
esistevano né
dolore né sofferenze.
Nel
suo sorriso che tutti definivano un po’ tocco c’era
il mondo, c’era l’amore;
nella sua voce un po’ rauca quell’inesauribile
voglia di vivere che la
caratterizzava.
C’era
amore e speranza nelle sue dita fragili, che stringevano la sua mano
forte. E
allora anche l’uomo aveva conosciuto la speranza, lui che
pensava di essere
disilluso, che pensava di aver visto tutto della vita.
C’era
la speranza e l’amore per Mylène e per le
margherite che tanto amava. Sognava
campi di margherite al posto delle macerie e campanule al posto di
fucili e
bombe. Sognava farfalle al posto degli aerei e usignoli al posto degli
allarmi.
E
allora anch’egli aveva sognato di margherite, di campanule,
di farfalle e di
usignoli. Aveva sognato il sole tiepido sulla loro casetta e le risate
di un
bambino a cui insegnare la speranza e l’amore.
Però
non c’erano farfalle e usignoli, ma aerei e allarmi. E quella
casa di mattoni
tutta rovinata, sui cui davanzali Mylène aveva posato vasi
di fiori, era
diventata macerie e polvere bianca.
Sua
madre l’aveva trattenuto, perché non andasse a
cercare Mylène e i suoi vasetti
di margherite.
L’uomo
avrebbe desiderato tanto seguirla, ma di sicuro Mylène non
voleva, non
desiderava questo da lui. Allora aveva piantato tante margherite, per
lei.
Gliene portava ogni giorni, perché le piacevano tanto e
parlava, parlava,
parlava.
Parlava
del cantiere vicino casa sua, da cui risuonavano i discorsi dei
manovali.
Parlava del verduraio che litigava del macellaio. Parlava del nuovo
libro che
aveva letto. Parlava della tazza che si era rotta scivolandogli dalle
mani.
Parlava della coperta arancione che aveva rammendato col filo verde.
Parlava
della quiche che la vicina gli aveva portato. Parlava dei due figli del
condomino del piano di sopra, che strepitavano tutto il giorno. Parlava
del bel
tempo o della pioggia che gli faceva scricchiolare le articolazioni.
Sapeva
che Mylène l’ascoltava, in religioso silenzio,
divertita, rapita, oppure triste
e contrita.
Non
c’erano foto sulla lapide, perché non ne avevano.
Non c’era nemmeno un cognome,
perché non lo conosceva. Conosceva il suo volto brutto e i
suoi occhi luminosi.
Conosceva i suoi vestiti rattoppati e la sua risata felice.
Mylène non aveva
nulla, eppure era sempre contenta. Egli aveva avuto tutto, eppure era
sempre
triste. Ma poi ella aveva scacciato l’inverno e gli aveva
portato la primavera.
Gli aveva portato i colori, i profumi e la gioia. Di Mylène
non conosceva
nulla, eppure solo Mylène lo conosceva davvero.
In
un
giorno di estate l’aveva conosciuta e in una notte di autunno
se n’era andata.
Posò le margherite nelle loro velina verde sulla lapide,
mentre una farfalla si
posava sulla sua spalla.