Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: SuperTeleGattone    16/03/2012    4 recensioni
Naruto sente i suoi trenta e più denti stare inesorabilmente per sbriciolarsi, tutti e all’unisono, in grandiosa sincronia, come una banda di ginnaste. E malgrado quest’orribile consapevolezza, la mandibola non concede tregua alla mascella.
Perché non si sono ancora mossi.
Non si sono ancora mossi, porco diavolo!
Né lui né lei, e saranno passati… Cinque? Dieci? Tre miliardi di anni? Quanto può essere passato da quel catastrofico momento? Dio, non lo sa, ma vorrebbe solo finisse… Perché accidenti se ne sta ancora lì, rinsecchito e con quell’aria idiota? Che poi lui sa d’esserlo, certo. Lo sa lui, lo sa lei, lo sanno loro, lo sanno tutti! A quest’ora, probabilmente, anche quel quintetto di fossili abbarbicato sul massiccio alle sue spalle.
Idiota… perché ancora non le ha risposto.
Come pensava: venerdì. Giornata di merda. Alla grande, eh.

Niente di nuovo e niente di che; solo quanto credo manchi tra i capitoli 437 e 559, casomai. Controindicazioni: può causare vomito, narcolessia e fenomeni di decesso.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

• Rettangolo dell’autrice •

__Faccio subito la civetta e vi rifilo un unticcio grazie; che vogliate restare o far fagotto, va bene tutto, niente paura. Ultima tappa, gente, rallegriamoci. Giusto un paio di cosette: uno, le scuse preventive, giacché è ammissibile vi sentiate presi un po’ per il culatello (suda freddo e male); due, attenzione al glucosio (livello: urine Jell-O). Non che stia mettendo le mani avanti, eh, no no, figurarsi (suda Polaretti).
__Piccolo pertugio della vergogna, se vi va: curiosando tra i capitoli precedenti, ho beccato certi brutti sgorbi da voler sublimare via. Cose tipo: Ennacoda in luogo di Enneacoda, nunkenin al posto di nukenin, sincerante in vece di sinceramente (stessa, stessissima cosa). Ma su tutte, una bestemmia! Ecco, che Dio mi perdoni, ho accidentalmente scritto Itachi… con un’acca iniziale. Hitachi, quindi. Oh. Mio. Uchiha. (Frau Blücher!)
__Prima che ve la battiate voialtri, me la telo io e vi mollo il bagaglio. Ultimo grazie d’ordinanza e, se ve la sentirete (se sopravvivrete), ci si sente alla chiusura per consuete note, citazioni, debiti, salamelecchi, saluti, follia verbale e delirium tremens. Ah, che simpatia, oggi…

Grazie ancora e buona lettura.

__P.S. Microscopico invito all’ascolto: se non vi scoccia troppo, posso raccomandarvi la bellissima “Beautiful Girl” degli INXS come sottofondo? Io per prima non la conoscevo ai tempi della stesura e, invero, è frutto del bell’intuito di reds92: lui, alla faccia di chi le ha scritte queste scempiaggini, ha beccato l’accompagnamento ideale (sempiternamente grata, uomo).

• • •











È molto meno indecente
andare a letto insieme
che guardarsi negli occhi.




[Friday]
Im in Love
[I Want to Hold Your Hand]






__Oh yeah, I tell you something
__I think you’ll understand
__When I say that something
__I wanna hold your hand

__“I Want to Hold Your Hand”, The Beatles





__Venerdì.
__Giornata di merda.
__Alla grande.

__Morde con le unghie il palmo della mano: Naruto sente i suoi trenta e più denti stare inesorabilmente per sbriciolarsi, tutti e all’unisono, in grandiosa sincronia, come una banda di ginnaste. E malgrado quest’orribile consapevolezza, la mandibola non concede tregua alla mascella.
__Perché non si sono ancora mossi.
__Non si sono ancora mossi, porco diavolo!
__Né lui né lei, e saranno passati… Cinque? Dieci? Tre miliardi di anni? Quanto può essere passato da quel catastrofico momento? Dio, non lo sa, ma vorrebbe solo finisse… Perché accidenti se ne sta ancora lì con quell’aria da babbeo? Che poi lui sa d’esserlo, certo: lo sa lui, lo sa lei, lo sanno loro, lo sanno tutti! A quest’ora, probabilmente, anche quel quintetto di fossili abbarbicato sul massiccio alle sue spalle.
__Finirà, eh? Prima o poi, finirà quell’orrido venerdì? Lo lasceranno un po’ in pace, santa miseria, per rompere i coglioni a chi la vita se l’è perlomeno goduta? Perché, perché, sempre, cronicamente – ogni volta, nonostante sedici anni intinti nella più conclamata cialtroneria –, deve finire in certe situazioni di merda? In certe coincidenze da ridere, oh sì, ridere proprio: ah, ah, ah! E poi: bang! Un bel colpo in testa. In certi cataclismi sentimentali da mocciosi di undici anni e bigliettino piovuto sul banco, recitante la fattura: tu mi piaci, e io ti piaccio? Mai intravisto nemmeno l’ectoplasma, poi, di quei bigliettini lì; per cui è ulteriormente ridicolo, all’alba della sua rinnovata dignità morale come paladino di Konoha, scoprirsi tanto impreparato a-a…

__Una dichiarazione, sì, coraggio!

__U-una che? Oh, ma che ne sa! E che può saperne! Lui, dedito a far grandinare ingiurie verso un bastardissimo tengu con ventaglio; lui, che salmodiava come un merlo Sakura-chan, Sakura-chan, per gustare un boccone di misera considerazione, senza intendere il peso o l’importanza delle parole; lui, che come il più apocalittico dei coglioni ha spasimato con vago turbamento dietro i campi in fiore, senza nemmeno considerare di guardare attraverso, oltre il sole. Lui, il babbeo, precisamente.
__Cosa si aspettano, quindi? Oltretutto: proprio adesso? Con tutti i dannati concorsi astrofisici possibili – Akatsuki ad ansargli sul collo, quel bue del Raikage a randellarlo negli attributi, e Sas’ke a ultimare il lavoro imbastendo babeli internazionali –, ecco, proprio adesso, adesso deve capitare?
__Diamine, Hinata, anche tu!
__Lui sgrana gli occhi, iridescenti nel bollore della sclera arrossata.
__Proprio adesso dovevi dichiararti, cazzo?
__E si direbbe lei lo senta quasi, quel rimprovero stronzissimo e frustrato per la congiura planetaria nel non fargli recuperare uno straccio di ragazza: sia essa empatia, naturale sensibilità o congenito senso di colpa verso le formiche che involontariamente pesta, Hinata si allarma e tende le gambe, annunciando il prossimo capitombolo.
__Naruto lo nota, probabilmente, perché contrae le spalle – o forse ha solo il fondoschiena lercio e non una, ma ben nove code di paglia nei suoi riguardi. Nove code, lunghe e grandi sedici anni… una vita intera, cazzo. Sedici anni di debiti da saldare: debiti, sgarbi, indifferenza e accidentale tirchieria emotiva. Che poi, se c’è almeno una cosa che lui non è, è proprio avaro. Forse un po’ possessivo, sì, e morboso pure, verso il suo team e le altre tre cose cui può realmente vantare appartenenza. Però, ancora: lui non ci ha mai pensato, a Hinata.
__E lei, invece? Lei, a lui, ci avrà pensato. Di là dall’amore, dall’attrazione fisica e quant’altro, lei, a lui, ci deve, ci ha pensato. Sempre e chissà da quanto, poi – ma questo è meglio non lo sappia né venga mai a scoprirlo, altrimenti dovrebbe piantare ambo i piedi nella tazza e tiare lo sciacquone all’istante.
__Lei ci ha pensato.
__E lui no, lui no.
__La cosa lo irrita, lo fa sentire in difetto, sbagliato, brutto, cattivo e pure un po’ puzzolente. Ma non è dovuto al sudore – forse. Non è il pomeriggio o il venerdì, il non aver ancora recuperato quell’altro cretino o l’esserlo lui per primo, un cretino; non è il resto; è lui la merda.
__Otto, dieci, sedici anni, fossero anche tutte le Guerre Ninja, e mai che se ne sia accorto. Sorgerebbe spontaneo il come: come ha fatto? Come cavolo può aver fatto? Occorre mettersi d’impegno, industriarsi proprio – la raffinata arte del Baka no Jutsu, altro che Fūton: Rasenshuriken –, per nemmeno fiutare un affare simile. Perché è un affare grosso, l’amore. Non circola e non dovrebbe circolare o poter circolare inosservato; e riuscire a ignorarlo così, senza covare neanche una briciola di pallido sospetto, beh… Glielo si deve riconoscere: c’è di che esser bravi. Ma tanto. Un applauso, signori.
__Diavolo, tutto quel tempo, e cosa? Cosa e come? Come, dove, quando? Quando, accidenti! Non lo sa, cavolo, non lo sa! Non ricorda, non riesce a ricordare, eppure…
__Storce la bocca, corrode l’azzurro a due schegge opache e, sfidando il tracollo, raduna gli ultimi, audaci neuroni.

__Nei ricordi, è lì che sta il quando, Naruto?

__Parole maldestre e frammentate, come il tremore alla mano sul foglio ancora, scandalosamente bianco: troppa incompetenza e troppo imbarazzo, dicono altri; troppo se stessi, rispondono in silenzio loro.
__Una boccetta minuta, di vetro, tra le mani bruciate dalla seconda prova e dalla Foresta della Morte; dopo demoni mascherati da uomini e uomini bardati da demoni.
__Strilli, urla sputacchiate dall’alto di una ringhiera, senza – ammettiamolo – vera intenzione, oltre l’inciampo dell’impulso; secondo la corrente impetuosa del fiato.
__L’empatia furiosa e istantanea, quasi animale, di chi ha camminato anni, anni nel fango; per chi ci è stato cacciato a forza, nel fango: una mano premuta sul capo, affinché se ne rammenti bene il fetore, e le risate a imbottire le orecchie, perché non si scordi il suono dell’umiliazione.
__La rabbia incendiaria che divampa: da fuoco a vulcano in un secondo per quel pasticcio di stracci riverso a terra, che battezzar corpo già è cortesia, tra l’ovatta del cappuccio e il filato del sangue; che, stupido, non sia arrende, no, non si arrende al forfait della materia; che, idiota, continua, seguita, vuole ancora alzarsi. Si regge insieme giusto per la felpa troppo grande; un sacco sformato, colmo di cocci, parole e ideali – nindō – catturati al vento, e stonati a carne cresciuta come edera, su se stessa, in un buco senza mura.
__Il cervello che vede, ma non associa, non elabora: non capisce, eh? La follia di un pupazzo traballante sui propri frantumi, e quella di un condannato che si offre alla gogna. Un cane davanti a uno specchio: si vede e non si riconosce. Eppure sono così simili, ma così simili, in quell’ostinazione sorda e cieca al dolore da bagnare il masochismo; lo sono tanto da scambiare, confondere il riflesso per estraneo. L’ombra per il palo. Ed è strano, è davvero strano vedersi attraverso un altro, in qualche modo.
___Perciò, forse, da capace narcisista quale giusto il futuro Sesto Hokage può essere, tutto è iniziato solo perché a lui piacciono… le persone come lui. Come lei. Com’è lei.
__Sicché, fra un’esclamazione e l’altra, imbrogliato l’incidente alla causa, eppure, senza comunque un preciso e chiaro, razionale perché, scappa un giuramento da quella bocca avvezza a berciar tanto e tacere poco.
__Cinque dita e poi un pugno, vestito di rosso. Una promessa. Nel sangue. E lui le mantiene, sempre, le promesse.
__Così è lui e così il suo credo, ricorda?

__Ricordi, sta tutto lì, Naruto-kun.

__Chi lo sa, quindi. Sapere, appunto: chi lo ha? Puoi averne tanto poco e sbagliare, credendoti preparato; può andare anche così. Mirare a qualcosa, inseguirla, alienarti quanto ti è intorno nell’ovatta di camminare sulla strada giusta; e poi, fermarti. Hai sempre corso tanto, ma bastano alcune parole a fermarti. Sono ordinarie, affatto speciali ti pare, eppure squarciano il mondo e tu cadi sotto.
__Eri convinto, eri sicuro, eri. Ora, sei appena un manichino di sale, che per raccogliere tutti quei cocci non sa da dove iniziare.
__Come tuffarsi da un piolo troppo alto: smarrisci il fondo e il pelo dell’acqua; anneghi nella tua stessa labirintite, mentre una bufera di bollicine ti ride in faccia la tua idiozia. Perché non eri sicuro, ma solo un po' miope.
__Quattro parole, non speciali, corte in effetti: chi l’avrebbe mai detto gli anatemi più maledetti vantassero anche sobrietà! Quattro parole possono essere e possono fare. Quattro parole e sei tu a cambiare.
__Eccolo lì, dunque, l’eroe! Il rivoluzionario, a detta dei rospi! Abbattuto da quattro parole, un’ala di notte oltre la frangia e una felpa troppo grande in cui annegare.
__Dio, che merda, come si sente. Una vera merda, e come l’altra lo fa sentire. Teoricamente lei non sembra aver colpa, anzi, sarebbe più vero il contrario; nondimeno è proprio così che lo bastona: con uno sguardo fatto d’aria e luce, che pesa, pesa addosso.
__Diamine, e pensare poco prima stesse così bene a guardarla, pure solo a guardarla… Non coglie che quanto patito, la confettura vischiosa alle ginocchia e il disagio muscolare alle spalle, è consanguineo all’apnea verbale e alla disarticolazione nervosa di Hinata. Stilla disagio lui, e ignora già la stia capendo, Hinata.
__Se ne sta imbalsamato senza dire, fare o accennare niente, neanche lo zoccolo di una qualsiasi impresa; ipotecando tutta la sua materia nel sentirsi di merda. Nell’essere una merda. Perché ancora non le ha risposto.
__E sarà anche uno stupido, un ritardato e un neofito in diritto sentimentale, ma una questione così ovvia, così chiara, così giusta è manifesta persino a lui. Quindi, se non si muove, se si è incagliato, è solo perché sa, ha la drammatica premonizione… di non poter ancora rispondere.
__Non sa ancora rispondere e, anzitutto, cosa: non sa un cazzo di nulla, per questo non osa. Non può, non così presto e non adesso. Deve capire prima, deve, vuole capire: vuole una direzione, giusta o sbagliata che sia, ma cosciente. È quanto lei merita: non una frase, un monosillabo negativo, positivo o scomposto, scatarrato tanto per detergere la coscienza e tornare in binario; fingendo nulla sia accaduto, nulla sia cambiato. Quello non t’abbia cambiato.
__Perciò si sente una merda: perché la certezza d’infliggerle un’umiliazione costante e prolungata, altre secchiate di silenzio e omertà dopo pece e piume, è qualcosa che gli fa viaggiare il sangue nevrastenico e detonare il cervello. Perché gli fa male, perché sta male, ma… non sa cos’altro fare! Giusto incamerare ossigeno, tirare la schiena, maledire se stesso e la sua nascita, e agognare un meteorite lo centri in pieno, lì: nel mezzo di Konoha, della strada e del cammin di sua idiotissima vita!
__Anche oggi, anche adesso, anche ora, lo sa.

__Non le risponderà.

__Cazzo. Merda. ’Fanculo! Coglione, coglione, mille e mille volte coglione!
__Naruto ritrae lo sguardo, senza lambiccarsi su come lei lo interpreterà: rifiuto, oppure solo difficoltà, fastidio, confusione, vertigini, ametropia – la riprova finale del suo naufragio sentimentale condannato a risolversi in morte per affogamento. Lui questo non se lo chiede, mentre scantona con gli occhi.
__Non è pronto; è uno schifo; dissolvere tre anni nella ridicola speranza di avanzare, di fabbricarsi forte, sulle ossa, non nel cuore, lo fa odorare di babbuino. S’è gabbato di essere cresciuto dopo tutto quel tempo, dopo tanti allenamenti, dopo tanta aria a volargli sul viso, insieme a lacrime, sudore e sangue. Credeva. Eppure non è cambiato poi molto: gli anni sono pochi; le gambe sono due e lo reggono a malapena; le mani, due anche loro, sono peste per afferrare e trattenere; non ci vede bene con certi capelli da delinquente, e il vuoto, lui continua a chiamarlo fame. Ha sempre corso tanto, eppure sta aspettando, e qualcuno ancora non arriva. Ma in fondo lo avrà capito: non c’è, non ce l’hai e mai l’avrai.
__La testa sta bassa.
__Non riesce ad alzarla; non vuole più nulla che costi fatica. Tenetevi forte: di quando in quando, anche lui potrà ben essere stanco, potrà rinunciare, potrà disertare! Perfino agli eroi è concessa una caduta, cazzo; e lui, che di eroico esibisce giusto l’intestino, è satollo, saturo di dover sempre lottare, distruggersi per ogni briciola nel piatto.
__Vorrebbe il mondo lo graziasse di una tregua per un magro pomeriggio, uno soltanto; potersi riposare, senza la colpa a pungolargli le gambe o il rimprovero a tirargli le caviglie; cessare di combattere, senza che questo significhi arrendersi; smettere di correre per camminare, e di gridare, per respirare; finirla di sbagliare. Vorrebbe smettere di sognare, e limitarsi a vivere… Perché quello che ha, quello che già ha e ha sempre avuto, gli basta e gli è sempre bastato. E vorrebbe poter godere, gioire, essere felice, completamente, di questo. Vorrebbe che, per una dannata volta, la realtà superasse e detronizzasse il sogno.
__Vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe così tanto e tanto intensamente da paralizzarlo; come un’orda di spaghi che si frenano e boicottano, aggredendo tutti la medesima cruna.
__Allora, vorrebbe solo restare lì, fermo su quel pianeta lontano fatto di polvere arancione e vento. Poter calmarsi e tirare, serbare il fiato sino a domani. Distendersi e rattopparsi, coagulare finalmente. Smettere di volere, e avere, essere.

__Essere e basta.

__Così accosta le palpebre, piano. Quando le allontana, avvista ancora quella terra di farina gialla e semi di papavero; vede ancora l’ombra vinaccia calpestata dai suoi piedi, tanti altri piedi andare e venire, e due stare. Sono chiari e scuri, pelle e sandali; oltre la caviglia, hanno del tessuto; sopra, una sfumatura scampanata e lilla, lavanda grigia intiepidita con rosa e giallo; poi, il labbro seppia di un coprifronte; infine, più in alto di tutto, un ovale di cotone e lino, sotto tanti, tantissimi nastri viola e blu notte. In longitudine: Hinata.
__Lui alza la testa.
__Lei non si è mossa, constata, solo ha atteso. Certo, non si è avvicinata, ma nemmeno si è allontana: è restata. Dopo galassie e piogge di meteoriti, è filtrata nella sua orbita: lo ha intercettato.
__Naruto raggrinza le palpebre per riuscire a scorgerla meglio: non si è spostata di un millimetro e pare altrettanto tentennante sul da farsi quanto lui – perché, dopotutto, non è l’unico impreparato, lì. L’ipotesi lo rinfresca, perciò inconsciamente sorride, e per un fiato dimentica quanto stesse male, che casino edipico siano la sua testa e il suo subconscio; scorda persino di essere una merda; solo guarda.
__Lei si sta strappando le mani di fragile carta, poi spiana le labbra e fa per muovere una mano: vorrà accennare qualcosa, un ciao, un decollo fra quei due gomitoli di problemi e parossismi caratteriali. Lui ingolla troppo ossigeno, perché spaurito ed eccitato insieme; perché non sa cosa voglia o stia per fare e, al presente, ha rimosso come si saluti nel mondo civilizzato.
__Poi, un cavallone di luce innesca il domino: pari al treno di libri che stramazza dallo scaffale, non lo vedi scattare e non lo puoi contrastare. Come si dice? Una farfalla batte le ali a Suna, il Daimyō del Fuoco starnutisce, un palo ti boccia addosso, inauguri la giornata con un piede, la gamba, tutta la faccia su una catasta di letame e… Vallo poi a pescare, il rovescio dell’equazione a fondo capitolo!
__Basta poco, poco ogni giorno, e si vincono le montagne: secoli, ere, la marcia inesorabile del tempo perché tutto crolli. E Hinata è l’acqua che bulina la roccia e prostra i ponti. Solo una goccia, si badi, un niente. Dopo tanto, basta poco.
__Via la prima tessera, si gioca.
__C’è un’esplosione sopra Konoha: la luce si rovescia in una bordata e assale Hinata, ustionandola in viso. La mano sospesa a mezz’aria, svelta, estingue il tragitto, fermandosi sullo zigomo destro. In pieno ordine della fisiologia più elementare, Hinata spreme gli occhi e cessa di vedere: nella luce, non vede.
__Volge la simmetria, allora, e si accende il contrappasso: è qui lo scambio.
__Naruto, spalle al sole e al tramonto, ha sì la schiena in fiamme, ma il viso in ombra: col dorso per una volta agli Hokage, ci vede, e bene.
__Mai come oggi, la luce pare una calamità sovrannaturale nel suo tagliare equamente ogni cosa: non ha misericordia quando valica Naruto, corre veloce e, nella polvere – –, ferisce – dove batte – Hinata – il sole. Calamità sovrannaturale per intero, oggi, compie il miracolo: dà forma all’aria.
__Magie da tulle dipinto e, voilà, Hinata appare. Imbarca concretezza nelle pennellate d’acqua scura della chioma, nelle trame di tessuto e pelle, in quell’armonia di lucciole e notte che sembra custodire. Pare avere consistenze e temperature di un acquarello, con quei colori mansueti eppure antitetici: inchiostro e bianco declinati in tinte sfocate e umide; rarefatte sotto la mano del cielo, ma luminose, se esposte al sole, e calde, quando corrotte col rogo del giorno a ponente.
__Non è molto, no, ma è presente, chiaro: lo è a Naruto.
__Lui si sente stato al buio per troppo tempo, senza mai aver visto il cielo; tanto che, per poco, ridiscende nella corteccia di quei sette anni e centonove centimetri immersi nella luce di Konoha… È un marmocchio, mentre osserva Hinata riparasi il volto.
__Ammissibile sia proprio per questo – perché è lei a non vederlo –, che improvviso sbotta l’impulso, la scarica elettrica: la voglia di avvicinarsi. Malgrado la paura; malgrado non sappia bene come fare; malgrado sia stupido e non possa risponderle; malgrado non veda la partenza, ma giusto la meta.
__Muove quindi un piede e, con tutta la grazia di chi è appena estratto dal registro ricordando a stento la materia in esame, si avvia. Procede a singhiozzi, è rigido e legnoso, non per questo meno rapido, meno deciso – che poi abbia momentaneamente disattivato il cervello e perso la connessione al server, è una consonanza del tutto marginale.
__Hinata, dal canto suo, è ancora impegnata a riaversi dallo shock ottico e non sa né sospetta nulla, dato che non indietreggia; contrariamente a quanto, in piena lucidità percettiva, di sicuro farebbe. Non arrossisce nemmeno, mentre lui si avvicina con passo marziale e la falcata di chi pare volerle sferrare un cazzotto. Del resto, Naruto non è mai stato discreto e non lo è neanche in questo: è impacciato e un po’ brusco in quell’imbarazzante tentativo di prossimità, ma ostinato a portarlo avanti perché non riesce né vuole fermarsi. Non adesso, poi, dopo aver stanato coraggio e faccia di merda atte a traboccare in qualcosa.
__Lei continua a non vedere nulla, mentre il tifone le va incontro. Solo quando acconcia l’iride di zucchero ai riflettori, quanto riemerge dal fuoco rosso che l’ha appena scottata è un fuoco di tutt’altra natura e infinitamente più terribile: è lo scoppio di una stella a una decina di centimetri dal suo naso.
__Hinata abbassa la mano raggomitolata in un pugno, e la scosta piano dalla fronte. Il volto è ora in ombra, eppure si chiazza comunque di rosso come neve forata dalle fragole. A infuocarle l’epidermide di latte, però, non è il tramonto: è la sagoma, per una volta, scura e in controluce di Naruto. Fissa. Di fronte a lei. A difenderla dalla furia splendente della principessa Amaterasu.
__Hinata trascina le mani al petto, si raggruma nelle spalle e, se fortuna l’assiste, tenta d’inabissarsi nel cappuccio della felpa. Annaspa nell’emergenza, povera anima, non sapendo esattamente cosa pensare o aspettarsi, dal momento che Naruto è sbucato vicino in un niente, lampeggiando nervoso come un fulmine. A gambe divaricate e braccia di katana, lui sfoggia un’espressione tra l’invasato e il costipato: chissà, magari la prenderà a schiaffi o le mollerà un diretto e, stranamente, entrambi gli indirizzi la impensieriscono smisuratamente meno di quella posa da l’hai fatta proprio grossa, signorina.
__Ah, sia agli atti che Uzumaki non veste certo meglio: si è avvicinato, ma conquistato com’era dalla genialità del progetto, non ha ragionato sulle immediate conseguenze, sul dopo. E il dopo, come dire, è arrivato; ha piantato i piedi e posto un quesito.

__Bel casino, compare, e adesso?

__Adesso, beh, merda.
__È lì dove voleva: un metro scarso di centimetri orizzontali tra i loro profili, e una ventina di verticali tra i loro cristallini. Straordinario, tutto sommato, come nella foga dell’istante nessuno dei due realizzi di guardare l’altra negli occhi.
__Hinata pressa le labbra, col transito sanguigno che vien meno nel convergere verso gli zigomi. Naruto addenta l’abitacolo della guancia, masticando solo saliva: mai stato tanto tempo senza fiatare in vita sua! Eppure non dice niente: non parla lui, non parla lei, e il silenzio è un tiro alla fune tra chi si abbottona nell’ascolto e chi si perde nella logorrea.
__Naruto è scuro in volto: ha inarcato le sopracciglia a livelli d’allerta, e la bocca s’infossa sghemba; le vene del collo saettano tra i paraventi della felpa slacciata, e l’azzurro degli occhi è torbido, del mare prima di un nubifragio. Sembra adirato, angosciato forse: miseria, la squadra come il cane poco prima di azzannare…
__Hinata è frastornata, dato che tremarella, espressione bovina, ustioni di quinto grado e attacco cardiaco imminente sono generalità cliniche ormai puntuali, quasi tassative al vicinato del ragazzo; e dopo un’adolescenza prosciugata nella più penosa delle infermità emotive, si consola, non può peggiorare poi molto. Solo, è piuttosto lui a preoccuparla.
__Naruto-kun non si è mai comportato così, almeno, non con lei; e la traslazione di una singola punta mette a rischio dottrine salde da anni: lui che saluta, sorride, si friziona la testa e, a braccia incrociate oltre la schiena, se ne va. Via.
__Ora, però, non è andato via. Non l’ha nemmeno salutata e neppure le ha sorriso, adesso che vi bada; eccezione, questa, che le appare strana. Suona, non male, un poco anomala, sì, diversa: inaspettata. La si accoglie come un arrangiamento alterato o una nota di basso più profonda. Ecco: respira più profondo, grave e quasi burrascoso l’azzurro dei suoi occhi, ora che è tanto vicino. Effettivamente, riflette, non ha mai osservato i suoi occhi da così vicino. Più in generale, non li ha mai fronteggiati alla pari, senza lo scorcio della prospettiva a manometterne la forza, o la falsatura di un palo o un muro a ripararla da un autentico gorgo di onde. Uzumaki, giustappunto.
__Non l’ho mai guardato negli occhi, io: è un bilancio che fa male e che fa paura; che fa fiammeggiare la testa per la verginità dell’avvenimento. Hinata arretra di un passo in cerca di maggiore equilibrio: urge un nuovo equilibrio, qui, uno tale da reggere il prodigio di Naruto Uzumaki, nientemeno, che la sta guardando!
__Storicamente, sa di dover abbassare gli occhi; che fra poco lo farà, prendendo a mangiarsi le falangi le une con le altre e niente più; eppure non dirotta lo sguardo. Si sta dissanguando nel rossore, inghiotte il fiato, maltratta gli occhi e non li devia. Li mantiene fermi, tremuli, ma fermi. Non scapperà, lo ha promesso. Hanno paura, certo, ma resistono. Non scapperà più.
__Naruto non ha cognizione del panico rovesciatole addosso, rombando sul posto col fragore del vento che sbatte le porte. Non ha la minima idea di quanto stia facendo, invero – benché, volgarmente parlando, non stia facendo un cazzo di niente.
__Scatta per issare una mano, arcua le dita; sotto la buccia e dentro, gli ingranaggi vibrano. Vorrebbe parlare, barrire, farfugliare qualcosa, qualunque, qualunque cosa! Ma non ci riesce, non lo sa… E nell’horror vacui dei suoi intenti, giunge appena ad allentare la bocca come un animale assetato. Mentre Hinata, ah, Hinata permane a guardarlo.
__La pressione per il rapido cambio d’atmosfere gradualmente si dissolve, permettendole di tornare a respirare quel poco da scongiurare l’embolia o il collasso dei bronchi. E forse è solo per spossatezza che snuda il petto, abbandonando le braccia e rimettendole alla signoria della gravità.
__Lei si sta assestando. Lui, invece, sta perdendo la testa. Altro che calmarsi o abituarsi: lui non sa cosa cazzo fare, ’orca vacca! Non sa come sfangarsela, cosa dire o pensare – non capisce, tanto per cambiare.
__Hinata è serena, e luccica come l’acqua di un lago. In attesa, non dice niente; non si aspetta niente. Non è consuetudine, sconforto o pessimismo cosmico, avallato da una vita di patetico anonimato; è sostanza ed è dalla nascita. In attesa, non si aspetta niente: dovrebbe mancare di senso. Non ne ha, infatti, né pretende di averne. Quello che ha è grazia; quello che dà è requie.
__Non si muovono, non fiatano, entrambi; congegni diversi, corsi diversi, sbocchi identici. Il gioco dello specchio: si guarda bene e poi si rifà tutto quanto! D’accordo, solo non ricordo più: sono io a seguire te, o sei tu a rincorrere me?
__Oltre il vetro, però, oltre il riverbero uguale e parallelo, c’è il rovescio di colori, temperature e inclinazioni: la confusione di fronte alla chiarezza; l’impreparazione di fronte alla consapevolezza; il vento di fronte all’aria. Se l’aria è trascinata dal vento, il vento è fatto d’aria.
__L’aria è quieta, leggerissima, non ha corpo; è vita negli altri, ed è niente sugli occhi. Neanche il vento ha un corpo suo, se per questo, eppure ha tanta forza da sradicare i tetti. Impaziente e scalmanato, non riesce a trattenersi troppo a lungo in uno solo luogo: deve turbinare e spazzare, navigare e volare, correre. È moto per sua stessa natura.
__Uzumaki, che è figlio dei mulinelli, abbassa lo sguardo, viaggia, lo trasloca da sinistra a destra e da destra a sinistra, sbuffa, fa sollevare qualche ciuffo di sterpi, incassa il mento e, quindi, torna a guardarla. Perché, per quanto fugga lontano, il vento torna, torna sempre.
__Ma è anche figlio del lampo lui, e nelle vene, la folgore è un messo potente e infido: spesso può rinvigorirlo e spesso può accecarlo. Solo talvolta riesce in ciò cui è consacrata: recare luce. Un giorno su cinquemila altri può dirsi una buona definizione di talvolta. Un giorno che, peraltro, è oggi. Oh dunque, sei o non sei fortunato, ragazzo?
__Mai stata sua virtù capitale, la vista: riflessi, resistenza, menar le mani, ma no, non la vista. Mai stato portatore di dōjutsu, del resto. Chi invece lo è gli sta davanti; e verrebbe da rimproverarle così, però, è barare, non fosse tanto piccina, lì, nella sua ombra. Lui è alto, tanto più alto di lei; per contro, lei sembra più piccola e bassa di quanto in realtà già non sia, con quel suo stare un po’ curva o a capo chino. Questo poi, si noti, è barare al quadrato.
__Di strambo in lei c’è tanto, e da sempre. Oggi, però, fa capolino uno strambo novello: non è svenuta, non si è defilata, diamine, non ha nemmeno sbandato la testa; è restata. Si è trattenuta ad accordargli il tempo, lo spazio, la vastità del creato, tutto quello di cui avesse bisogno o voglia per farlo acclimatare e permettergli di capire. Affinché, nell’ombra, la luce portasse la vista.
__Lei attende e non si aspetta niente. Meglio: è lui che lei attende, ed è a lui che non chiede niente. Adesso, lì, lui, tempo, luogo, cuore: c’è tutto e non serve più niente. C’è grazia e c’è requie; c’è un posto dove il sole batte solo per poter scaldare; e sì, va davvero tutto bene. È semplice, ma non è ordinario; è poco, ma prima non c’è mai stato; e Naruto si sente risucchiare via da un poco tanto grande, mentre Hinata gli sorride.
__Il volto di pezza è ancora chiazzato dai capillari feriti sulle guance, le mani si accartocciano intorno alla maglia e la frangia le sfiora le ciglia, eppure è solo quello: un sorriso. E Naruto n’è annientato. Vorrebbe urlare; vorrebbe ridere; vorrebbe piangere; vorrebbe fuggire miglia e miglia lontano; vorrebbe trascinarla a terra e farci l’amore; vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe – diavolo, non sa neanche più lui cosa vorrebbe!
__Per tanto tempo sono state tante cose: conquistare il credito e la fiducia di tutto il villaggio; riallacciarsi alla falda di Sas’ke e far germogliare un sorriso in Sakura-chan; rammendare la squadra sette e rincasare a quando avevano tutti solo dodici anni; volgere l’invenzione di una famiglia nella memoria viva di due genitori. Per tanto è stato: farò, avrò, sarò, domani. È con la purezza dell’aria che erra nei polmoni, e del cuore che monta il sangue nelle vene, che lui raccoglie, decifra, vede.
__Indietro: già lo era. Davanti: lo è ancora. Sì, lo è ora.

__Sei amato.

__Lo vede lì: venti centimetri sotto il suo naso, un metro appena dal suo petto. Lo vede, negli occhi di Hinata, ci vede.
__Una cosa, una, la prima di quella colonna di fantasie senza fine, la causa, ce l’ha, l’ha avuta sempre; pur sommersa da metri di frangia scura e trascurata lungo la rotaia dei giorni… Beh, si tenti di capirlo: sono panorami che demoliscono.
__Non lo sapeva. Ce l’aveva e non aveva capito. Non l’aveva proprio vista.
__Non l’ho mai guardata negli occhi, Hinata.
__E pensa i suoi occhi siano incantevoli, con quel filo glicine a ricamo dell’iride. E poi: sì, forse gli Hyūga avranno anche tutti gli occhi bianchi, di ghiaccio e diamante, ma lei ha occhi di brina e rugiada sotto le ciglia folte. E ancora: che occhi davvero chiari, quasi bianchi, solo quasi, non tutti tutti bianchi; chiari e bianchi, e bianchi e chiari, chiari come il cielo a oriente, e bianchi come i cumuli e i soffioni.
__Naruto la guarda: è in scintillante iperidrosi; ha la gola in fiamme e la salivazione azzerata, le gambe molli e la schiena di legno, le braccia pesanti e i piedi bollenti; la testa gli gira; il naso martella; il cuore, bah, franato da qualche parte nel dislivello dello stomaco, e forse toccherà a lui perdere i sensi, oggi. Tuttavia la guarda, la guarda e quasi fa male. È come uscire al cielo dopo tanti anni.
__Vorrebbe fare, esprimersi in qualcosa, in altro, ma non riesce. Non rammenta alcuna pratica. Gli sembra di non ricordare più niente… Lei comunque si limita a guardarlo. È molto brava in questo, indecentemente brava; una virtuosa, qualora lo stalking figurasse fra le Arti. Del resto, lo fa solo da tutta una vita e in questo, se non in altro, è un capitolo avanti a lui.
__La peonia, che le tremolava sulle gote, si è affievolita; e la pelle mangiata dal petardo sta riassorbendo la luce del crepuscolo, pressoché sera, in un rosa che è colore e fiore. Lo smarrimento e l’eccezionalità di poco prima sono svanite nella polvere e salite al cielo, tra le venature porpora, liquefatte al lago di arancio e azzurro.
__Manca davvero poco affinché il disco lassù anneghi oltre la merlatura degli Hokage; e nel congedo sghignazza quello, saputo e bastardo, poiché il vento gli ha soffiato che Naruto è perfettamente paonazzo e, sicuro, lui non c’entra. È curiosamente rosso, in effetti: ha le orecchie in piena combustione spontanea, con tutto che sta pure iperventilando. Può darsi voglia fare qualcosa, eppure non fa nulla, di là dal guardarla. Guardarla, forse, basta e va bene.
__Sì, si sta bene col sole che tramonta e la sera che arriva.
__Il suo brivido è annunciato dal vento al galoppo, svergognato nell’intrufolarsi sotto i vestiti. Naruto quasi sussulta al tocco delle sue dita su collottola e caviglie. Accelera per azionare un braccio, intendendo forse riallacciare il collo della felpa, o darsi ai consueti gracidii, dattebayo! Chissà, poi, alla luce dell’inaspettato stato di grazia, non se n’esca pure con qualcosa di discretamente intelligente.
__Ma la fortuna di Naruto è licenziosa e incostante, una stronza, e così come viene, generalmente se ne va. Ecco risolto perché, mentre leva un braccio dietro la nuca, qualcosa gli atterra addosso. Meglio: lo atterra.
__La realtà torna a esercitare la sua detestabile tirannide quotidiana. Un peso considerevole, difatti, lo ha spiattellato al terreno con una rapidità spaventosa: qualunque cosa sia, un masso, un asteroide, il destro di Sakura-chan, il deretano grinzoso di Gamabunta, Naruto sente di odiarlo dal grembo del cuore. Oltretutto, puzza! Puzza, puzza di, cos’è, cane?

__«Akamaru!»

__Molteplici e formidabili le qualità dei ninken della Foglia; persino la favella, taluni. Fra i campioni Inuzuka, la stazza pare senz’altro la maggiore, e anche sulla schiena da eremita le zampe del buon Akamaru devono pesare quanto Kisame Hoshigaki, Samehada munito.
__C’è un pachiderma in cima all’eroe, che gli incrina le scapole e, forse, spappola un polmone. Quello buono, in aggiunta: il fortunato risparmiato quattro anni prima dalla disgrazia con lo Sharingan.
__Naruto solleva la testa, inferocito e, si direbbe, fresco di una seduta di elettroshock a colpi di Chidori – perfida maledizione Uchiha! Grugnisce qualcosa e si diletta in un delicato virtuosismo di finissime imprecazioni da bar; tirando indietro il collo in tempo utile a scansare una pedata sulle gengive da Hinata, precipitata ad arginare l’esuberanza assassina di Akamaru. Naruto non lo vede, ma lei sta tentando di smuovere il cucciolo di Garmr; riuscendovi, eventualmente, prima della diserzione di una o più vertebre del ragazzo.
__Dal fondo della sua immane sfiga, Naruto piega un braccio ad angolo, pestando il pugno contro il terreno e cercando di spezzarsi pure qualche osso, già che c’è. Ma se la fortuna è un po’ lucciola, la iella è una sposa adirata; e Uzumaki quasi impreca, quando il latrare ruvido di Kiba, mischiato ai bassi scuri del capitano Yamato, lo schiaffeggiano definitivamente, prendendolo in mezzo con lo schianto simmetrico di due piatti di batteria.
__Naruto maledice se stesso, la sua idiozia, la puntuale abitudine ad andarsele a cercare, a tirarsele sempre addosso, per cui scalognato sì, ma mulo anche; tirando giù nelle bestemmie Kiba e pulcioso compare, quel rompicoglioni del capitano Yamato e tutti gli Hokage appesi alla montagna, diavolo! Porcona come ogni infelice shinobi-ancora-genin-ancora-illibato-ancora-a-terra farebbe; non si accorge di Hinata che, sulle ginocchia, si sporge appena e offre la mano come sostegno.
__Lui la fissa sbigottito, quasi non ne avesse mai vista una e non sapesse cosa farci. Si desta poi per afferrarla, bloccandosi però a metà corsa, senza comunque retrocedere. Forza quindi l’altro braccio, lo angola a martello contro il petto e si spinge in alto. Solo quando è in ginocchio, sicuro di non gravarle addosso, allunga la mano per afferrare la sua. E immancabilmente, anche nel velluto della sera, Hinata arrossisce. Sente che non riuscirà mai a smettere; non vorrà mai smettere; non smetterà mai di arrossire, quando Naruto la sfiora. Sicché ha un pensiero sciocco, oltremodo, davanti un orizzonte in catastrofe: vorrebbe poter arrossire in eterno.
__Naruto si drizza in alto, e pare sia più lui a sostenere lei, che non il rovescio; quasi la traina nella risalita, con Akamaru ad annusare il suolo e i loro sandali. Sono entrambi in piedi, adesso, ancora venti centimetri tra grano e campanule, ma una decina appena tra i respiri. Lui studia le loro mani, flette il cipiglio e leva gli occhi ancora una volta: è ancora teso, è ancora rosso ed è ancora maldestro; è sporco di terra e peli di cane; odora anche di cane; non sa ancora cosa fare o cosa dire, come prima. Contrariamente a prima, però, una cosa la sa, la sente: sente che la mano di Hinata è freschissima. Fresca, non fredda. E non vorrebbe lasciarla andare.
__Hinata principia ad ammainare la mano perché è naturale, ovvio: perché lui si è rialzato, la giornata è rotolata via, hanno squillato il coprifuoco e siamo ormai fuori tempo massimo.
__Lei lo sa bene: ancora poco e lui si staccherà per stormire e battere altri campi, altri tessuti, altra vita; e lei… lei si ostinerà a stare. Dietro o, al limite, da parte al costato. Anche se distante, anche se di schiena, andrà bene, e andrà bene perché andrà avanti. Anche così, sola luce senza fiamma va bene, scalda.
__È con quest’eterna consapevolezza impigliata agli angoli della bocca, che incoraggia solo un piede indietro: per ingentilire il commiato; perché lui sta per congedarsi e spiegare le vele. Questo, Hinata lo sa. Quanto, invece, ignora è l’aver sbrigato i conti senza oste, maître e usciere: perché lui non le lascia la mano.
__Al presente lei non lo assorbe pienamente, in tutta la sua rovinosa offensiva. Sospetta sia una mera questione di tempo, di fermate e stazioni saltate per distrazione; di un errore, in buona fede e sostanza. Ipotizza l’abbia fatto senza volerlo e perché incidentalmente ospitale ed espansivo con tutti; perché buono con tutti; perché è Naruto-kun. Inoltre è possibile lo stia facendo tuttora senza riflettere, e giusto poiché ignaro della mano, del tramonto, della sua iperemia e di tutta l’orchestrina da romanzetto rosa lì attorno.
__Hinata pilota così la mano nubile al seno, richiamando in sincrono la gemella, sperduta in un luogo straniero: lei batte in ritirata; ci prova quantomeno, perché Naruto la trattiene, e Hinata annichilisce. Accenna a sollevare lo sguardo, avverte gambe, braccia, dita, ogni stelo del suo essere iniziare a singhiozzare nella tagliola dov’è finita: andrà a pezzi, cadrà, oh se cadrà, disegnerà proprio un bel buco e senza il suffragio del Pugno Gentile!
__Non può ammirarsi, certo, ma sa, sa che il volto arde di nuovo, come cenere assopita, riscossa dallo sbadiglio del vento.
__Desta poi il capo, ed è qui, qui e ora, che Hinata si sente morire: lui la sta guardando. Dritto negli occhi, ancora. Non ha difese, ora, con lui che riesce a vederla.
__La vede e non le lascia la mano. Le stringe la mano. Le brucia la mano. Ed è un monito, no, mi spiace, ed è un voto, non ti mollo.
__Sono anni, processioni di domani, di prima o poi – sistematicamente sempre poi e mai prima – che è in viaggio: come quel suonatore in cerca del flauto, ha vagato a lungo con quello che solo gli stava dietro, e non gli par vero… L’ha scovato finalmente! Come potrebbe lasciarlo andare? Quella cosa, quel qualcosa che manca, adesso ce l’ha, lui ce l’ha: Naruto Uzumaki ce l’ha!
__Per tanto è stato: farò, avrò, sarò, domani. È stato, ma oggi è, ora è. La realtà l’ha superato, il sogno, lo ha eclissato. Il sole non erode, e si leva un grazie.

__Grazie, mentre lui respira.

__Naruto le sfiora appena il palmo coi polpastrelli sensibilmente ruvidi, dopo una vita a dispensar pugni; aumentandone, però, goffamente la pressione, perché non è solo un incidente di percorso. È un aggancio, un ponte, un guado; e per qualche via lei lo coglie, lo ode, nella scudisciata di adrenalina che le disossa la schiena.
__Lui le serra solo la mano, eppure lei sente, è qui, nel soffio irregolare dei respiri che si sfiorano e arruffano, ingarbugliano e scambiano. Ereditano l’uno, l’aria dell’altro, facciamo metà e metà, come la merenda a scuola.
__È appena un crocicchio di epidermidi, non è stato allestito alcun sigillo o illusione – arte oculare sbagliata, signori –, eppure sotto i piedi, il suolo trasfigura: c’è erba e dei picchetti di legno, mentre poco distante sbuffa l’arena. Naruto veste ancora di blu e arancio, e fa tanto il duro solo perché gli pesano gli errori che commette. Hinata ha ancora quel taglio corto da bambina, e sa che nessuno è perfetto, lui tanto meno; malgrado ciò ha sempre forza giusta a ripartire e quella lì, per lei, è forza vera. È il primo giorno della giostra fra genin, loro hanno dodici anni soltanto e il coprifronte è un talismano, non una rovina.
__Hinata trema ancora e Naruto non rinuncia a guardarla; Akamaru scodinzola, ignaro, offrendo un bussare cadenzato e gentile sulle gambe; non si direbbe, forse, ma va davvero tutto bene.
__Uzumaki valuta come, tutto sommato, quella giornata partita col piede sbagliato e proseguita con tutti gli arti ad incasinarsi fra loro, non sia stata poi completamente inutile; e forse sarebbe pronto a replicare tutto daccapo, naso tumefatto compreso, solo per convergere mano nella mano a Hinata, alla stregua di marmocchi.
__Svapora in fesserie lui, e un prurito gli gratta la gola: ha voglia di ridere! Sghignazzerebbe, salterebbe e mulinerebbe in gorgo come un matto – fugando ogni chiacchiera a Konoha intera sul clima di testa e marchio. Perché magari lui non misurerà più appena centonove centimetri in grembo a una stalla buia, ma forse, ora, quella veglia tanto lunga è terminata. Sì, forse ora ce l’ha anche lui, un posto: sono a casa. È arrivato: bentornato.
__Naruto ghigna beffardo, considerando non gli sia andata davvero troppo male, e convenendo su come quel venerdì non si sia confermato poi così di merda, contrariamente a quanto invece preventivato. Non così di merda, già… Non fosse per quella cosa ruvida e spugnosa, che gli bagna la mano.

__Eh merda.

__Lui raglia una volgarità, sbrogliando in uno strappo la presa. Porta la mano al volto, e alla periferia del naso, allibisce per come possa già puzzare tanto, mentre Akamaru si spreca a leccare ancora quella di Hinata, rimasta a squadrarla come in trance.
__Naruto friziona la parte lesa sui calzoni, con malagrazia e il nobile desiderio di appallottolare un Rasengan, perché dico io: due, due volte in manco un’ora, non è possibile! Rumina sui modi più coloriti per mutilare qualcosa o qualcuno, cercando casomai di far condonare l’accaduto come sanguinaria manifestazione dell’Enneacoda; non capta il vociare di Kiba farsi più robusto, né si dà pena di scorgere la tetra presenza di Shino, mostro di mimetismo.
__Hinata si volta, come tirata per le orecchie dalla squadra che si approssima. Nel disordine emotivo si domanda sinceramente cosa possano mai farci lì Kiba-kun e Shino-kun; riavendosi dall’ipnosi quando inciampa nel rotolo caduto ere geologiche prima. La guarda con rimprovero, quello, e le rimbrotta l’appuntamento davanti alla tenda dell’Hokage, verso sera, al fine di ricevere un certo documento inerente l’incarico venturo: lo rammenta, eh? È talmente nel pallone più totale, povera figliola, da scordare per un lampo di tempo di soccorrere la pergamena a terra o salutare Kiba, che si sbraccia da una dozzina di minuti per attirare l’attenzione sua e del vicino quadrupede – Akamaru, non Naruto. E fortuna sua anche Yamato si affacci giusto in tempo, distraendo Uzumaki da una seconda singolar tenzone con il secondogenito Inuzuka.
__La meccanica quotidiana rimpatria a reclamare il proprio pugno sugli imprevisti, su quei grani impazziti che minacciano una rivolta – con tutto che la Foglia è destra per inibirle alla polla, le rivolte. L’avviso suona alto e potente, insindacabile: non si può ignorare.
__Naruto piroetta irritato, canini acuminati e segni sulle guance minacciosamente marcati, abortendo sul nascere il richiamo di chi, nella gerarchia militare, dovrebbe essergli un superiore; per quanto, nei fatti, quel pittoresco e vengo, cazzo! del subordinato non renda debita giustizia.
__Prontamente Hinata si gira, stritolando il testé bistrattato cilindro di carta e cristallizzandosi per lo sbotto del ragazzo. Lo stesso fa Naruto, a labbra imbronciate da inguaribile bambinone, ruotando prima il capo e infine gli occhi. E la risata esplode inevitabile in canna, all’urto della di lei espressione preoccupata: le sopracciglia in depressione, e quella perpetua nuvola di sbagliare a sgualcirne il volto.
__Lei sta realmente vagliando un transitorio dissesto del ragazzo, con tutta quell’alta e bassa marea di euforia, ansia, stizza e disagio fisico; e non è fiduciosa di saper reggere una simile ruota emotiva a vita. Che poi, a-a vi-vita?! Insomma, no-non è mica successo niente o niente di che, oggettivamente. In-insomma, non deve costruire manieri di aria e cannella solo perché lui, per una volta, non l’ha mollata come una scarpa in mezzo alla strada. Oh, insomma! Veda di non salpare per l’ennesima crociera rosa, ché non ha più dodici anni, ormai, e lui non ha annunciato di apprezzare citrulli simili a lei. Non è su-successo proprio ni-niente, m-ma ni-niente, e… Non c’è più vita o materia cerebrale nella sua stoffa, quando Hinata solleva lo sguardo e incoccia in quello estivo di Naruto. Che sorride.
__E dopo il consueto panico; dopo la canonica suggestione di bruciare viva oltre le falde del naso; dopo la decima onda di luce attraverso zigomi e occhi, spirito e cranio; dopo sentirsi morire per l’ultima volta, anche Hinata sorride.
__Sorride al rotolo nella sua mano, e ad Akamaru che alita felice. Sorride al capitano Yamato, che cede clemente, ma promette tempesta; e a Kiba e Shino che, affatto interessati a smancerie tra impediti, parlottano piano.
__Ah, perché si sappia: sorride anche a Naruto. D’altronde non l’ha sempre fatto? Un delitto, lui non se ne sia mai accorto. Le cose vanno e ritornano, tuttavia, come il vento. Gli anni sono quindi quattro, da quel campo d’addestramento; i centimetri, dieci, da quel rospetto agitato; e l’ombra, oh, mai più all’ombra! Ora come allora: lui la guarda e le sorride. In sequenza e in sincronia assieme.
__Le sorride perché finalmente l’ha vista. Non che lei si sia risolta a scoprirsi; lei c’è sempre stata, in fondo. Lui è il prodigio, emerso a vederla. Per questo continua a guardarla: perché ce ne ha messo di tempo, altroché, ma finalmente riesce a farlo.
__E anche Hinata sorride. Sorride, benché forse non lo sappia e, facile, si stia solo illudendo. Perché forse un senso l’ha avuto, tardare sedici anni, se quello è il termine; perché forse, sicuramente, è valsa la spina invitare la morte e annusare la terra, triste Euridice senza un suo Orfeo, per saperlo sorridere, sorridere ancora.
__Perciò sorride mentre lo guarda, e lui la guarda mentre sorride.
__Questo basta: l’adesso, il qui e ora; la polvere e il vento; il sapore vicino dell’erba e l’abbandono autunnale di Konoha alla sera; quello, quel sorriso basta.
__Tanto che, per un secondo, assistere – aiutare – Sasuke, ricoverare il villaggio – la casa –, smantellare tutto il fottuto istituto dei ninja svanisce… e scema d’importanza.
__Certo, dopo tornerà a crucciarsi di Madara Uchiha; di vecchi antagonismi entro cui, francamente, rifiuta di riconoscersi. Dopo tornerà la nausea: ributtanti massacri sbrogliati come polvere sotto un tappeto; regimi corrotti e buonismi bugiardi. Dopo torneranno le sillabe battenti di Sas’ke: Sas’ke, Sas’ke e ancora Sas’ke; come un mantra, un’eco rimbombante che ritorna e rintrona, nella testa e nello stomaco. Dopo tornerà il solito baka, nella fede d’udire poi quell’intonato usuratonkachi unirsi al familiare coro d’insulti. Dopo, quell’accozzaglia di priorità e allarmi che è divenuta la sua vita tornerà a premere su di lui e sulla sua zucca cava, come abitudine comanda.
__Dopo, dopo, dopo verrà tutto questo; verrà a riprenderselo, dal coprifronte scrostato alla suola sdrucita dei sandali.
__Ma adesso, per il buco di un sospiro, quest’immenso e smisurato, estenuante oceano di tutto – Madara, Sasuke, Itachi, Uchiha e Senju, Foglia, Sabbia e Nuvola, tutte le dannate Terre Ninja, Kyūbi, suo padre, Kakashi-sensei e Sakura-chan, Dio! Il mondo, il mondo intero! Tutto, tutto quanto, maledizione! – si ritira. Ripiega come la risacca della marea, e cessa di esercitare questa ferma, ragionevole precedenza.
__Dura solo un attimo, un misero e gracile attimo, ma dura, resta, e il resto si stacca. Il resto è solo quello: il resto. Il resto, il tutto; il dopo, l’adesso; importa, sicuro, e importerà ancora, sempre. Ora, però, importa anche quello. Come l’ossigeno e l’acqua; l’aria nelle vene e la luce oltre la pelle; una buona dormita e una ciotola di rāmen: quello che ha gli basta. Respirare basta.
__Un po’ poco, dite? Sì, no, forse; questione di punti di vista; di vista, appunto. Verrebbe quasi da ridere, ma giusto sorridono.
__Non occorre una risposta, forse: niente morale in tallone alla favola, grazie, va bene così.

__Sì, si sta bene così.

__Il tabarro scuro della sera, regale, è calato; il vento non ha smesso di danzare, solo ha rallentato il passo, dondolando in un valzer con la polvere. La Foglia ronza assonnata; Akamaru, con perspicacia tutta canina, ha sciolto un poco gli ormeggi, naufragando qua e là per il bassopiano in ventura a una brigata d’insetti; Kiba e Shino, relativamente prossimi, paiono comunque ancora titubanti. E in tutto ciò, Naruto e Hinata perdurano a guardarsi, un’ultima volta, per voltarsi e separarsi.
__Bisogna proprio andare, darsi le spalle, ancora, come da principio. Occorre finire per riavviare, dopotutto.
__Naruto è rientrato nei ranghi, degnandosi di concedere un poco di rispettosa attenzione al suo superiore. Hinata si è finalmente riunita ai suoi compagni, disfacendosi in una bufera d’inchini, scuse e singulti di sincero rammarico per la sua vergognosa disattenzione – sorte a lei propizia, gli shinobi non girino corredati di cilicio –; finendo per perdere drammaticamente ancora quel benedetto rotolo dalla presa gentile e impacciata delle mani.
__Naruto la pesca con la coda dell’occhio anche da sotto la pensilina della tenda e al guinzaglio del capitano Yamato; mentre Kiba elargisce loro occhiate tra il malizioso e l’idiota, indicandoli alternativamente in mezzo all’uggiolare armonizzato di Akamaru e Hinata.
__Naruto sorride, sbirciandola gesticolare furiosamente e quasi inoltrare un ceffone a Shino, nello sbatter da airone in volo delle mani: la guarda un’ultima volta, solo un’ultima volta, promesso. Sedici anni son tanti da bonificare, suvvia, lo si perdoni.
__Hinata, tuttavia, non si volta. Può darsi non creda sia il frangente favorevole o più opportuno e, viceversa, troppo imbarazzante, così, davanti a tutti: quattro spettatori, addirittura! Un ANBU, due chūnin e un ninken! Forse, però, è anche più semplice: è lei che a questo turno non sa.
__Naruto non se ne dispiace, comunque, né se ne risente. Beh, magari un pochino sì, egocentrico ed esibizionista com’è e, sciagura sua e del Paese del Fuoco, sempre sarà. Tuttavia, in un eccezionale attacco di coscienza, si racconta che potenzialmente conviene non tiare troppo la corda. Perché ora, forse, sta a lui.
__Lei lo fa da inizio partita, e adesso è il suo, di turno. Spetta a lui trattenere o far danzare i dadi, muoversi, avanzare o scappare: combattere o fuggire – e lui non fugge, non fugge mai. Perciò a lui andare, partire per tornare, raggiungere.
__È solo questione di qualche tiro o di evocare un numero doppio. Di viaggi e tappe, di manches, giri e mani. Di prenderle le mani.
__Al prossimo turno, però, lui saprà cosa fare e cosa dire.
__Al prossimo turno lui saprà quel che prova.
__Al prossimo turno lui l’avrà, la risposta.






• • •




Naruto non lo sapeva. Non poteva, del resto. Non lo si avvista mai, la prima volta. Eppure era stato proprio quello, quel tremendo, tremendo venerdì, il luogo del misfatto: brutto affare, l’amore. Ma, beh, Naruto non sapeva davvero un diluvio di cose, neh, baka?




• • •




«Naruto, questa sera, presentati alla tenda dell’Hokage. Tra le sei e le sette, circa.»__
«Che? Stasera? Non adesso?»__
«Adesso l’Hokage è occupata e può solo più tardi.»__
«Sì, ha sempre da fare, nonna Tsunade: tremila anni, appena tornata dall’oltretomba, ma sempre occupatissima!»__
«E ha giusto schivato un colpo di stato, anche. Cerca quindi di essere pratico: fatti un giro e torna dopo.»__
«Ma sto cercando di essere pratico, capitano Yamato! Ce la siamo cavata tutti per pochissimo! Come faccio a starmene con le mani in mano!»__
«Naruto.»__
«Se-sensei?»__
«Fatti un giro e torna più tardi.»__
«Farmi un giro?»__
«È la cosa migliore.»__
«Un giro? Adesso?»__
«È la cosa. Migliore.»__
«Sì, sì, migliore, migliore…»__
«Tra le sei e le sette, chiaro?»__
«Cristallino, ’ttebayo!»__
«Allora a dopo.»__
«Sicuro… E se avanza tempo, posso sempre piazzarmi una scopa nel cu-»__
«Naruto.»__
«Ramazzo anche il paese, così!»__
«Tra le sei.»__
«No, eh?»__
«E le sette.»__
«Sì, sì, sei e sette, agli ordini!»__
«Mi raccomando.»__
«Non mancherò!»__
«A dopo.»__
«Yosh.»__
Venerdì.__
Giornata di merda.
__





Yeah, you got that something__
I think you’ll understand__
When I feel that something__
I wanna hold your hand__

“I Want to Hold Your Hand”, The Beatles__




[I Want to Hold Your Hand]









• • •

• Rettangolo dell’autrice •

__Oh, bentornati. Se siete vivi e ragionevolmente lucidi, permettetemi di dire: gaudio e giubilo in tutto il regno, perché è fffinita! (Fiumi di champagne.)
__E cos’è successo, alla fine? Niente è successo, uh, l’impegno per ciurlare nel manico, guarda… Ci sta una scusa, però (forse): non sono Kishy (e meno male), e non ho voluto azzardar nulla; un po’ per fifa di sbandare dal seminato, e un po’ perché curiosa di vedere come se ne uscirà fuori lui, il brillante, dopo ’sto macello di legami, triangoli, quadrati e tensioni omoerotiche.
__Ora, i riconoscimenti (e i furti, furti a tutto spiano!). L’ultimo capitolo scippa ignobilmente il titolo a un’altra canzone degli immortali Beatles, ossia “I Want to Hold Your Hand”; a proposito, penso sia abbastanza evidente il richiamo al manga (coff, coff – capitolo 573 – coff, coff), no? No? No. Ah. Ottimo. Tra le tante sparate, poi, ci sarebbe pure un omaggio a Rabindranath Tagore, ovvero: il flauto va in cerca del suonatore che va in cerca del flauto. Per la cronaca, la battuta finale circa scope in luoghi inusitati (ma che, a onor del fandom, poi tanto inusitati non sono) non è mia, figuratevi: cito le sempiterne guide spirituali Elio e le Storie Tese in “Servi della gleba”.
__(Ohi, stringiamo, vuoi?) Fine della palla autocelebrativa e passiamo ai sacrosanti ringraziamenti. A chi è arrivato per caso e ha avuto bontà di rimanere; a chi s’è trattenuto, rimpiangendo nascita e libertà di espressione; in ogni caso, qualunque sia la dinamica, la casistica e la balistica: grazie. Sono lunga, pallosa, un martello pneumatico, quindi solo un’ultima volta.

Grazie.

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.


• Due chiacchiere e un rettangolo •

__Parlo tanto e pure da sola, per cui tendo a trasformare tutto in un lunghissimo pippone; ma questa volta la riconoscenza m’impone di frenarmi, mettermi una museruola e rallentare. Vorrei contraccambiare, insomma. Bene, si va:

__A thecinu: ma ciao, ragazza! Ehm, perdona la confidenza, ho spesso l’invadenza di un cucciolo di labrador. O di Slimer (sbava lo schermo). Prima d’ogni altra cosa, grazie mille per aver letto e scelto di seguire (nonché recensire) queste deliranti righe: sei stata davvero un tesoro! E grazie della fiducia, poi! Spero solo di non aver deluso con quest’ultimo capitolo: probabile ti aspettassi più interazione o un briciolo di dialogo, se non altro; avendone ben donde, comunque. Mi auguro solo questa piega non t’abbia fatto storcere troppo il naso (e gli occhi. Ehi, non è che ho reso qualcuno strabico? I camaleonti scuotono la testa), o rimpiangere l’esserti imbattuta nella sottoscritta (come no); e spero tu possa aver almeno gradito i vari siparietti di comicità idiota e da quattro soldi. Comunque sia, ho apprezzato infinitamente i tuoi commenti, oh sì: sei stata carinissima, ragazza, cioè, fatti abbracciare! (Effetto piovra.)

__A Mery Dream: ma evviva i nottambuli! Err, meglio partire con un minimo di galateo: ciao, ragazza, e piacere mio! Complimenti a te, prima di tutto, perché macinare una quantità di roba come questa in piena terza serata, è un’impresa mica da ridere: ci vogliono ammennicoli d’acciaio, sì signore, sono ammirata. Poi, oh, Naruto pensante ti è sembrato iccì? (Un fenomeno paranormale, direi, tipo Sas’ke ridanciano; non s’è mai visto. E farebbe pure un po’ impressione) La gente presa male o mezza depressa, credo sia una rogna bella difficile; è stato un mezzo casino, in verità: un casino da rendere e un casino divertente (le parolacce! Frittatona di cipolle e rutto libero!). Ma se in questo sfacelo di fesserie, la sua caratterizzazione è passata un poco plausibile, allora io non posso che volerti molto bene, molto molto. Accendo un cero, poi, dato che la dinamica da rincoglioniti continua, e ti do ragione su come il dobe non l’abbia sempre ignorata. Non sempre, ma spesso (che dici te, Kishy? Ehilà, Kishy? Kishy incunea un mignolo nel naso). Mi ha colto il latente desiderio di fargli la ramanzina, ecco; chiedo venia. Okay, ti ho asciugata pure troppo. Bene, ti ringrazio tantissimo per aver letto e voluto continuare a leggere. Grazie un sacco, e non scherziamo: avercene di commenti così simpatici, sai la pacchia? (O avercene di commenti, in generale, sigh.) Grazie davvero per avermi tollerato e, di nuovo, lunga vita all’insonnia, sempre sia lodata.

__A Gisella: oh, Gisella cara! Allora, immensamente felice per averti ritrovata: che sia destino, fato o, semplicemente, sfiga tua e fortuna mia? Credo l’ultima, mi spiace; spero comunque di non averti dato troppo fastidio, l’altra volta, salutandoti a fondo pagina (una fa tanto la splendida, e si dimentica la discrezione). Miracolo ti sia andata a genio, avendo una proprietà soporifera che manco Jigglypuff e Marzullo, e voler andar giù col cursore è cosa assai difficile. Occhio, poi, che peggiora pure la cosa, tra sdolcinerie e cretinerie varie (le si staccano i denti). Alla fine si è optato per un, ehm, per un boh in sostanza, piuttosto che per una soluzione decente; ma quelle… bah, quelle son magagne di Kishy. E niente, ancora grazie mille, gioia: sei stata una bellissima sorpresa. Grazie millemila.

__Grazie a quelle gloriose anime che hanno letto, perché c’è tanto, ma tanto di meglio, assolutamente. Ho sempre confidato nella gentilezza degli estranei (viene portata via in barella).

Grazie davvero.

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: SuperTeleGattone