Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: manubibi    16/03/2012    1 recensioni
Guardava in alto, verso il cielo, delle dita di vento che scorrevano fra i capelli ramati, la luce del che Sole rendeva i suoi occhi deboli. Eppure non voleva guardare dritto davanti a sé, nemmeno con l'aria fredda che le colpiva il collo e le tagliava il respiro. Voleva trattenere le lacrime indietro, fra le ciglia, voleva che si fermassero, voleva che non si vedesse la sua tristezza. Per lui. Voleva risparmiargli almeno quello, nel silenzio forzato che ruggiva fra di loro, nei loro petti stretti dalla paura e dalla tristezza.
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Aren't We Running?
Fandom: Originale
Personaggi: M/F
Genere: Angst, fantasy, introspettivo
Avvertimenti: gen
Parole: 2012
Note: Fill per il prompt-vestito della challenge parallela al Carnevale di [info]landedifandom, con prompt "wordcount pari a 2012 parole esatte", "Foto", "Su una carrozza con cavalli", "«E' solo che non mi sembra giusto». «La vita non lo è mai»".
E avete presente l'espressione "arrandom"? Ecco, questa fic è scritta arrandom, per non dire "a cazzo". Comunque è entrambe le cose. *ridepiange* non serve neanche perderci un minuto, davvero. Non leggetela, è la noia ed il nonsense estremo. Poi mi rovino la reputazione "XDDDD
Comunque ho anche vestito la bambolina, il risultato finale è QUI. ♥




Guardava in alto, verso il cielo, delle dita di vento che scorrevano fra i capelli ramati, la luce del che Sole rendeva i suoi occhi deboli. Eppure non voleva guardare dritto davanti a sé, nemmeno con l'aria fredda che le colpiva il collo e le tagliava il respiro. Voleva trattenere le lacrime indietro, fra le ciglia, voleva che si fermassero, voleva che non si vedesse la sua tristezza. Per lui. Voleva risparmiargli almeno quello, nel silenzio forzato che ruggiva fra di loro, nei loro petti stretti dalla paura e dalla tristezza. Non voleva essere costretta a tutto questo, non voleva smettere di crederci, anche se fosse stato l'ultimo suo respiro a suonare di speranza. Si portò una mano al petto, sospirando e chiudendo gli occhi, pensando forse di chiudere quel trottare e quel viaggio fuori da sé. Avrebbe voluto sparire in un'altra dimensione e portarlo con lei, dove non sarebbero esistiti imperi economici, dove nessuno si sarebbe interessato di scandali reali, di fabbriche fallite - nonostante il fatto che in quelle fabbriche lavoravano delle persone. Avrebbe voluto farsi crescere delle ali, prenderlo per mano, portarlo via. Eppure quelle non erano altro che stupide fantasie di una donna che si portava dietro un lato bambino troppo preponderante per poter davvero sopravvivere in quel mondo. Non voleva guardare lui, perché sapeva già che sarebbe scoppiata in un pianto irrefrenabile, addosso a lui, e sapeva che l'avrebbe ferito ancora di più. E lui era forte, era gentile, nonostante quel suo difetto caratteriale. La codardia. Non poteva farci nulla: aveva troppa paura per crescere ed affrontare problemi, responsabilità, sua madre. Lei gli aveva imposto di portare via quella sua fidanzata spregevole, lui l'aveva fatto sebbene non lo volesse. E Linda aveva provato mille volte a convincerlo, fosse anche solo per scappare insieme, promettendogli una vita felice, un'esistenza lontana da quella loro magione soffocante e bianca e spaventosa. Lui l'aveva guardata dritto negli occhi, sentendosi in conflitto fra le due uniche donne della sua vita, aveva abbassato lo sguardo per un momento e le aveva risposto di no. E lei aveva visto la sua persona crollare proprio davanti a lei, un una implosione di lacrime e rabbia verso se stesso. E lei non aveva fatto o detto nulla, lo aveva guardato struggersi contro la propria inettitudine, provando un forte freddo nelle viscere, nella gola, nel cuore.
Guardava in alto, avvertendo che quel blocco pesante di ghiaccio si stava lentamente sciogliendo, invadendo tutto il suo corpo e bruciando di dolore. Non c'era modo di fermare quella carrozza, così come non c'era modo di convincerlo a non andarsene.
Le avevano insegnato a parlare, ad esprimersi, ma in quel momento non ci poteva riuscire, non con la bocca cucita dall'odio. Non voleva dire nulla, perché sapeva che in caso lo avrebbe ucciso di sensi di colpa che non credeva meritasse davvero. Lui era un codardo, già, e le aveva detto che era un debole, che non avrebbe saputo provvedere a lei, alla loro vita insieme. Le aveva anche detto da subito che non sarebbe stato in grado di proteggerla, che la sua bellezza sarebbe sparita alla prima difficoltà. Lei, comunque, ci aveva creduto, aveva accettato le mille restrizioni e le delusioni, aveva accettato le voci maligne e gli ostacoli burocratici piazzati da una vecchia donna protettiva del denaro. Tutto per le notti passate con lui, in silenzio, o per le passeggiate ed il sesso lento e silenzioso nei posti più bui; tutto per intrecciare le dita alle sue e mormorarsi che avrebbero risolto il problema enorme che li voleva dividere. Il problema enorme però era troppo vasto, era tutto attorno a loro. Lei era di un altro pianeta, di un altro mondo, di un'altra specie umana. Era troppo diversa, i suoi capelli cambiavano colore, la sua era una lingua sconosciuta a tutti gli altri. E nessuno la voleva vedere camminare nei paraggi, nessuno voleva sapere della sua esistenza.
Guardava in alto per non sentirsi sola, per pregare forse, o per sperare di rimanere accecata per sempre dai raggi del sole, per non guardarlo più in faccia, per dimenticare com'era fatto quel cielo.

Lui non faceva altro che guardarla. Non osava toccarla per paura di poterla rompere o di svegliarla da quel suo nulla imposto, ma la guardava. Contava le volte che il petto le si alzava ed abbassava nel suo tentativo di non piangere, seguiva i contorni del suo viso cercando di memorizzarli nella loro bellezza ultraterrena. Si chiedeva come lei avesse deciso di passare anni in quel modo, nascondendosi, coprendo i suoi occhi grigi ed accettando qualsiasi cosa, malgrado tutto. Lei non lo aveva mai detto. Non aveva mai parlato di amore, perché non conosceva quella parola nella sua lingua, e lui si sentiva talmente incapace da non riuscire ad esprimere quel concetto semplice ed immenso nella limitatezza del proprio vocabolario. Avevano finito così tante volte per ridere, all'ennesimo tentativo. Lui diceva "amore" e lei si accigliava, assumendo un'aria buffa ed infantile, al che entrambi scoppiavano in risate violente, rotolando sul pavimento e poi riempiendosi i respiri di parole vuote, stupide e felici.
Lui sentiva la presenza di un mostro nella propria gola, che lo azzannava ripetutamente, che gli toglieva il respiro, con il cuore che pulsava nel collo e spediva dolore fisico alla bocca. Avrebbe voluto vomitare fuori da sé tutto ciò che aveva dentro, il respiro ed il sangue e le ossa, per smettere di sentirsi irrimediabilmente in colpa ed impotente. Continuava a pensare che non era cattivo. Lui non era cattivo. Lui non le voleva male. Lui non voleva ferirla ed abbandonarla al suo mondo. Non era colpa sua non era colpa sua non era colpa sua non è colpa mia.
Non voleva nemmeno guardare gli alberi che scorrevano intorno a loro, nemmeno il sentiero che stavano percorrendo sempre più lontani dalla loro capanna, sempre più lontani dai posti che avevano esplorato alla ricerca di silenzio da riempire con le loro parole incomprensibili. Non voleva sapere nulla del percorso che stavano facendo, non voleva correre il rischio di imparare la strada. Sapeva che in quel caso poi si sarebbe costretto ad andare a cercarla.
L'unico rumore che udivano in quel momento era lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli, i loro respiri, il pianto degli alberi. Lei respirava piano, forzando quel suo piccolo mondo interiore a rimanere negli argini, a non crollare, a non farle perdere il controllo. Sapeva che lo avrebbe ucciso, sapeva che avrebbe perso tutto. I colori freddi che sfrecciavano nei suoi occhi sapevano di sbeffeggiatorio, perché con tutto il potere che aveva dentro di sé non poteva opporsi a ciò che stava succedendo. Avvertiva il tremore del proprio petto, delle proprie mani, avvertiva il freddo della propria pelle pungere come mille aghi velenosi eppure teneva gli occhi al cielo per non piangere e per non liberare tutta la propria frustrazione e rabbia. Sapeva che sarebbe significato liberare anche la belva. Il sole le splendeva sulla pelle, ma non le dava alcun calore, non illuminava i suoi pensieri mozzati dalla paura e non le portava freschezza. Non la nutriva. Non lo avrebbe guardato mai più.

Quando i cavalli si fermarono sulla riva del fiume roboante di vita, fra i cespugli verdi ed i versi di uccelli intimiditi, la carrozza fece un balzello sui sassi e poi si fermò, dolcemente. Rimasero in silenzio, tutti e tre - ché con loro c'era ovviamente anche il cocchiere magro e pallido, freddo, che non li aveva nemmeno guardati in viso prima di partire con quella sua stramba carrozza scoperta. Forse sarebbe stato meglio per tutti non guardare nulla. Lei agitò i capelli che ora si erano sgonfiati dal vento e si erano arricciati in tutte le direzioni, spargendosi sulle spalle e sulla schiena, ma non aveva smesso di guardare in alto, tremando immobile, senza chiudere gli occhi e lottando per non reagire.
Lui rimase a guardarla, incantato come non mai dal modo in cui il dolore la rendeva infinitamente più bella e fragile, forse bella perché fragile. Poteva guardare i suoi occhi e farsi prendere dall'illusione che fossero fatti d'acqua, proprio come le lacrime che poteva intravedere all'angolo del suo occhio puntato sul nulla.
Avrebbe voluto parlarle, dirle qualche sciocchezza falsa per vederla smettere di piangere, o forse avrebbe voluto afferrare il proprio coltello e piantarlo nel petto, per uccidere quello spirito malvagio che batteva come un animale dentro di lui. Se stesso.
Finalmente lei chiuse gli occhi, lasciando che una lacrime le sporcasse di nero il viso, nero come il suo sangue, nero come la linfa che le scorreva dentro lentamente. Lui le toccò il viso, immaginando di vederlo ridursi in polvere, accarezzandole la pelle ruvida come la corteccia di un albero.
«Non mi sembra giusto» Mormorò lei nella lingua di quel mondo, con un accento mai sentito prima da quelle parti, confondendo quasi la sua voce con quella delle piante, tenendo gli occhi chiusi ma lasciando il viso tremare piano. Lui sospirò, facendo scendere la propria mano lungo il suo collo. Per un momento sentì il bisogno di assaggiare la sua pelle, e lo colpì il pensiero che non avrebbe più potuto farlo.
«Questa è la nostra vita» Le rispose dolcemente. «La vita non è giusta, mai.»
«Lo è stata quando eravamo io e te...» Insistette, per poi guardarlo per la prima volta da ore. Lui non rispose, perché ogni sua parola era intrisa del grigio di lei.
Rimasero in silenzio, aspettando qualcosa che non sapevano definire - forse che qualcosa spezzasse il silenzio e la barriera di dolore - e riempiendo i ricordi di quel momento. Avrebbero preferito ricordare quella volta in cui lei era arrivata dal fiume, da quello stesso fiume, e lui l'aveva pescata.
«Vorrei essere più forte» Le disse, abbassando poi lo sguardo, come aveva fatto centinaia di volte, fin dal primo momento, quando aveva capito che lei era la ragione per cui si alzava dal suo comodo giaciglio la mattina. Non voleva pensare che la stava perdendo, per non attivare una catena infinita e distruttiva di lacrime e silenzio.
«Scendi» Ordinò il cocchiere, aggredendola con gli occhi e leccandosi le labbra. Lei lo guardò con fragile paura, afferrando le mani di Lui, stringendosi al suo corpo come una bambina, trattenendo ancora le lacrime. Non era arrivato il momento.
Lui avrebbe voluto dire di no, avrebbe voluto prenderla tutta in mano e stringerla nel proprio pugno aperto, stringersela al cuore e mormorarle di non avere paura, ma tutto quello che riuscì a fare fu prenderle la mano e baciarle tutte le dita prima di scendere tirandola piano verso di sé, senza guardarla ma cercando il coraggio per farlo, per affrontare la sua debolezza e la sua potenza. Lei scese appoggiandosi a lui, come a cercare un sostegno per rimanere in equilibrio su una corda troppo sottile, lo guardò senza riuscire ad incontrare il suo sguardo e per la prima volta da quando si era persa ebbe davvero paura di quel mondo che poteva prenderle il cuore senza che se ne accorgesse. Non sapeva difendersi da magie così potenti come quelle che poteva scatenare dentro di sé.
Sospirò, gettando il proprio corpo fra le sue braccia, respirando il suo odore, cercando il suo respiro. Se ne sarebbe riempita i polmoni prima di andare, prima di chiudere gli occhi ed imprimersi la sua immagine nelle pupille. Lui respirò i suoi capelli, le baciò la testa rossa, lasciando andare delle lacrime che non facevano davvero rumore: erano coperte dal cadere delle foglie e dai respiri veloci.
Le prese la mano, stringendola forte e poggiando le labbra sulle sue, scatenando anche il rivolo nero delle lacrime di lei, che prese a singhiozzare forte.
E poi i singhiozzi si fecero sempre più forti, li scuotevano entrambi, ma lui la teneva forte, stretta contro di sé, nella sua forza che cresceva misteriosamente. Chiusero gli occhi, lui non sapeva. Non poteva sapere, nessuno glielo aveva mai detto.
Fu lei a stringerlo, alla fine. Lo afferrò, lo abbracciò, lo baciò. Il cocchiere rimase a guardarli indifferente, storcendo il labbro in attesa.
Lui vide solo uno sbatter d'ali, e poi più nulla nel cielo.
Di lei gli sarebbe rimasta solo una foto, frutto dell'epoca. Quella, e nient'altro al mondo. Mamma sarebbe stata contenta.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: manubibi