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Autore: crazyfred    17/03/2012    11 recensioni
Il destino può cambiare in un momento. Due anime scontrarsi e fondersi in un solo istante, senza preavviso, legate per non staccarsi mai. Non era lei quella che immaginava e quello non era il luogo che aveva in mente. Ma lui la guarderà negli occhi ... e saprà di non essere solo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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   When you crash in the clouds





Capitolo 27

Is this the end?





soundtrack



Michael,
la vita è tornata a scorrere nel verso giusto ultimamente. Persino io riesco a vedere il bicchiere mezzo pieno, pensa un po’…
A volte penso alla nostra vita ora e, anche se mi impongo di non farlo, non riesco a levarmi dalla testa il pensiero che, se ce l’avessi permesso, se solo ne avessi parlato, avremmo trovato una soluzione anche per te. La morte non è mai la soluzione giusta fratello … e non parlo solo di quella fisica.
Io ho passato mesi a vegetare e, anche se non è così, sembrano passati anni da quando la mia esistenza era ridotta ad una mera sopravvivenza. Eppure basta poco per darsi una scossa, basta solo volerlo. Certo ci vogliono anche gli stimoli giusti, ne convengo. Forse siamo stati solo più fortunati di te. Per non sentire più il sapore acre della colpa mi ripeto che non hai avuto la mia stessa fortuna, che non è colpa mia. Ma non ci riesco  … ti ho perdonato tempo fa per ciò che ci hai fatto, ma non so se mi sento pronto a perdonarmi ancora per non aver capito che avevi bisogno d’aiuto. Forse ora stai bene, ti va bene così, d’ovunque ti trovi, ma la verità è che vorrei averti qui, vorrei che vedessi come si sta bene una volta mandato a fanculo nostro padre.
Sono passati già 3 mesi da quando io ed Allison ci siamo messi insieme, ma sembra sempre essere successo ieri. Le cose vanno molto meglio ora, lei sembra essersi abituata all’idea di noi e si lascia andare molto di più alla mia idea di coppia. Io le dico sempre di non pensare troppo, perché è quando lascia vincere l’istinto che viene fuori la parte migliore di lei. E povero Aidan: ormai ha deciso di convivere con noi, perché si è stufato di passare tutte le notti fuori, e si è armato di tappi per le orecchie. Ma non voglio fingere di sentirmi in colpa per lui … dovrebbe trovarsi una ragazza anche lui, sarebbe meno isterico.
Anche il processo di Allison si è risolto per il meglio: la sentenza c’è stata la settimana scorsa e Les è riuscito a farla uscire pulita da tutti i capi di imputazione. Dovrà ancora essere a disposizione della polizia e dei giudici per le indagini sul giro di prostituzione, ma almeno lo spauracchio della prigione è ben lontano ,per la felicità di tutti.
Ora ti devo lasciare, Allison mi sta chiamando. Dovresti sentire che buon profumo viene della cucina … vado a fare colazione.
Ti voglio bene … e mi manchi, sempre.



Tyler

 



C’era una cosa che però avevo omesso dalla mia abituale lettera per l’aldilà: in realtà una cosa che mi preoccupava c’era. I genitori di Allison tempo un paio di giorni sarebbero venuti a New York. Lei ovviamente era contraria, ma non poteva più opporsi alla loro presenza nella sua vita, non quando era stata proprio lei a fare il primo passo verso di loro.
Il padre di Allie era stato abile a porre sua figlia in una condizione di debitrice, accollandosi le spese processuali e pagando l’assistenza di Les. Naturalmente per Doug rappresentava un obbligo morale piuttosto che una mossa ben giocata, ma era innegabile che Allison si sentisse leggermente frustrata. Non lo diceva a parole ma non era nemmeno in grado di nasconderlo, non a me almeno. Del resto se c’era una cosa che detestasse, ed io con lei, era proprio sentirsi debitrice nei confronti di qualcuno, con il timore continuo di sentirsi rinfacciare quanto era stato fatto per lei. Come se non bastasse, a sentire che la loro figlia non voleva trattenersi oltre da mia madre, Lois e Doug si erano dati un bel da fare tra siti internet e telefonate varie per trovare qualche soluzione, da visionare naturalmente tutti insieme. E l’affitto sarebbe stato a loro spese, ovviamente. Ecco spiegato il motivo del loro viaggio imminente: questo bastava a mandare Allison in bestia. A starle dietro c’erano tutti i presupposti per diventare matti, garantito.
I rapporti con sua madre non erano migliorati per niente da quando era tornata da Indianapolis: si era limitata a mandarle i saluti un paio di volte quando era al telefono con suo padre, ma solo se fosse stata sua madre per prima a salutarla, in lontananza, dall’altro capo del telefono.
Brutta faccenda la storia di quella famiglia: si vedeva che c’era una voglia matta ed un bisogno estremo di ritrovarsi, da entrambe i lati, ma ciascuno di loro continuava a fare un errore dopo l’altro, esigendo che l’altro si avvicinasse completamente anziché trovarsi a metà strada.
“Se rimanessi da mia madre le cose sarebbero più facili … non dovresti nemmeno preoccuparti di rendere conto a tua madre” le dissi, portando avanti una crociata che in realtà non mi apparteneva, ma che mia sorella mi aveva costretto a combattere. Lei la voleva con sé, ma la verità era che ci serviva davvero un posto dove stare da soli, davvero soli. Una volta era Aidan, un’altra Caroline, un’altra ancora mia madre o suo marito, così diventavano davvero striminzite le occasioni che riuscivamo a ritagliare solo per noi.

Era sempre straordinario ed eccitante fare l’amore con Allison, ma a volte era davvero frustrante doversi tappare la bocca reciprocamente, oppure obbligarsi a contenere un grido o un sospiro di troppo perché non si è soli in casa, dove le pareti hanno le orecchie e le porte gli occhi.
“Lo sai anche tu che non è così” replicò lei, mentre si alzava dalle mie ginocchia e si metteva a sparecchiare le stoviglie della colazione. Nel piccolo cucinino di casa mia c’era spazio per due sedie, ma la sua erano ormai le mie gambe, e se Allison aveva deciso qualcosa, non si poteva farle certo cambiare idea …

“Però in parte Tyler ha ragione Allison …” intervenne Aidan, entrando in cucina. Era come se fosse appena uscito dal film L’alba dei morti viventi, trascinandosi sfatto e pesante nel piccolo stanzino, con i capelli arruffati e non badando a dove mettesse i piedi. Fu per questo che con il suo alluce scalzo beccò in pieno il piede del tavolo … una miriade di santi venne chiamati in causa quella mattina. Così, una volta passato il dolore si rifugiò con la testa nel frigo, bevendo svogliatamente e direttamente dal boccione del latte, senza curarsi – ma, visto il suo aspetto di quella mattina, probabilmente senza accorgersi – che la bevanda, colando dai lati della sua bocca, era finita su tutta la maglia del pigiama. Allison non avrebbe retto a tanto.
“Aidan che schifo!” gli urlò contro lei, infatti, fungendo da sveglia meglio di qualsiasi orologio “io sgobbo qui per tenervi casa pulita e tu ti comporti come un maiale … non dico di farlo per igiene ma almeno per rispetto nei miei confronti!”

Su questo aveva ragione Allison: nel tempo che passava a casa da noi, ne avevamo guadagnato in igiene e salute, grazie anche alle sue qualità di casalinga e cuoca provetta. Probabilmente non era uno chef della nouvelle cousine, ma rispetto agli esperimenti culinari di Aidan che ero costretto ad ingurgitare prima, pena rischio sopravvivenza, era un notevole passo avanti. In più la lavanderia a gettoni dietro l’angolo aveva ripreso relazioni stabili e civili con i nostri abiti e le lenzuola, dopo quasi un anno in cui ci eravamo lasciati in maniera dolorosa, soprattutto per noi. Noi davamo la colpa ai macchinari ostili, ma in realtà eravamo semplicemente troppo svogliati per portare la biancheria a lavare una volta a settimana. Avevamo provato a tirare avanti con gli smacchiatori a secco per diversi mesi, ma quelli non levano via la puzza di sudore. Così alla fine riempivamo sacche intere di roba e lasciavamo a mia madre e alla madre di Aidan, a turno, l’incombenza di lavare e stirare. Ora invece Allie aveva preso in mano le redini della situazione, che nella fattispecie significava trascinarmi per un orecchio in quel locale (più che altro una caverna buia e minacciosa), dopo avermi dato ripetutamente del porco e viziato. Il che tradotto in termini correnti significava “D’ora in avanti i panni dovrai farteli da solo sennò rimani a bocca asciutta, cretino” ed io, muto e rassegnato, obbedii.
“Vedi Allison” si rivolse a lei Aidan “questo mio comportamento …” E si fermò, pensante, per trovare l’aggettivo più appropriato. Allison, che di prima mattina era più scazzata del solito, suggerì che la parola più appropriata fosse animalesco.
“No … non animalesco. Primordiale piuttosto” la corresse lui “vedi Allison …. Questo comportamento primordiale lo devi vedere come una forma di richiamo … una richiesta implicita … un invito a rimanere …”

“Bel modo che hai per chiedermi di restare!” si complimentò con lui. Non aveva poi tutti i torti.
“Certo!!! Non possiamo vivere senza di te, Allie, ci hai visti?!” la supplicò, con una vocina melensa e con fare ai limiti de melodrammatico, esagerando volutamente ogni sua mossa in modo teatrale “se proprio devi cambiare casa … vieni qui da noi! C’è tanto spazio nel letto di Tyler …”
“Oh su questo non ho dubbi” commentò lei, ormai non riuscendo più a fare la sostenuta e la severa. Ma con Aidan era risaputo che non si poteva restare seri per più di dieci secondi contati. Era forse per questo che due come noi, in passato fondamentalmente dei depressi cronici, lo avevano scelto come migliore amico, come unico vero amico. Non era facile conquistarci … e per esserci riuscito, nella sua stupidità, doveva ben valere qualcosa quel ragazzo.

Ed era bello vederlo bisticciare con la mia Allie, perché erano come fratello e sorella, di quelli che si tirano i capelli se stanno vicini troppo a lungo, ma che se non si vedono per un po’ si cercano.
“Lo sai che non si può” insistette lei “e poi ho bisogno della mia privacy”. Parlò con Aidan, ma il suo sguardo era puntato, dritto, verso di me. La pensavamo alla stessa maniera ed evidentemente aveva capito che, anche quando lo chiedevo di rimanere da mia madre, in realtà non ci speravo per niente. Anzi, piuttosto il contrario.
Rimasti soli nella mia camera da letto, mentre ci preparavamo per uscire, mi disse qualcosa che, sinceramente, non mi aspettavo.

“Probabilmente comunque non avrò nemmeno bisogno che i miei paghino l’affitto al posto mio quando avrò casa … potrei aver trovato un lavoro!”
“Davvero?” domandai, sorpreso ma assolutamente felice per lei. Credevo che fosse una tappa fondamentale per voltare pagina e ricominciare daccapo. Aveva fatto il giro di diverse tavole calde e qualche bar ma, vuoi per l’esperienza inesistente, vuoi perché, più semplicemente, neanche a NY quello era un buon periodo per trovare lavoro; era riuscita a farsi prendere in prova in un piccolo caffè a Manhattan, sull’ 81esima, ma ero stato costretto ad uscire prima dal lavoro per andarla a prendere, perché qualche cliente, non riuscimmo a capire se riconoscendola o solo perché fondamentalmente pervertito, aveva allungato le mani e lei s’era fatta risentire ,alla sua maniera.
Si gettò al mio collo e pianse a lungo quella sera perché secondo il proprietario del posto, lei avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco, ma Allison non ci stava più. Aveva smesso di farsi umiliare, aveva ribadito, non importava che fosse in un diner anziché in un club per adulti. Ero stato veramente fiero di poter vedere tanta maturità e tanto orgoglio in lei.
“Si tratta di consegnare la posta in un ufficio per ora” spiegò “ma con il diploma potrei anche aspirare a qualcosa di più … è tutta questione di gavetta …”
Certo non era niente di che, di sicuro nemmeno la paga era un granché, ma eravamo di poche pretese. “Beh certo” annuii. Sembrava un lavoro onesto e rispettabile, ma soprattutto il fatto che lei sembrasse contenta e soddisfatta deponeva a favore di quell’impiego.
“E dov’è questo ufficio?” chiesi. “Ehm …. Empire … Empire State Building” balbettò “si tratta dell’ufficio … degli uffici di tuo padre”
“Che cosa?” esclamai, sconvolto “hai chiesto lavoro anche a lui?! Pensavo ne avessimo già parlato Allison ….”
Quando aveva iniziato la ricerca di un lavoro, infatti, mia madre ci aveva proposto di chiamare Charles, mio padre, perché con il suo prestigio e la sua influenza un lavoro sarebbe saltato fuori in un battibaleno. Ma io mi ero opposto con tutte le mie forze, perché non volevo che quell’uomo trovasse un nuovo motivo per farmi sentire in debito nei suoi confronti; o peggio ancora, far sentire Allison in debito.
Lei stessa sembrò essere risoluta nell’opporsi sia alla proposta di mia madre, sia a Les, che invece si era offerto per trovarle un lavoro in uno studio legale associato al suo come receptionist. Voleva guadagnarselo il lavoro, aveva detto, ma evidentemente erano state parole dette per non contraddirmi al momento, per farmi stare buono, oppure alla prima difficoltà si era arresa. In entrambe i casi, mi aveva deluso.
“Non è come credi” si affrettò a spiegare “è stato tuo padre a contattarmi. Ti ricordi quando sono andata ad accompagnare Caroline nel suo ufficio la scorsa settimana?”. Annuii; lui aveva una riunione delle sue, di quelle che sai quando iniziano ma non sai quando finiscono ed aveva chiesto a Caroline di raggiungerlo nei suoi uffici per non lasciarla sola a casa, ma lasciando però che la sua segretaria tuttofare, le facesse da babysitter. “Beh io sono rimasta con Caroline per un po’ perché l’avevo vista a disagio con Janine …” raccontò. Ricordavo anche quello: era rimasta lì praticamente tutto il pomeriggio, fino a che la riunione non si concluse, alle nove di sera. “Così mi accompagnarono fin qui con l’auto di tuo padre, visto che avevo declinato l’invito a cenare con loro. E allora parlando del più e del meno a Caroline è venuto in mente di dirgli che stavo cercando un lavoro. Credimi se avessi potuto l’avrei ammazzata! E ieri lui mi ha chiamata … non vorrai incolpare tua sorella ora!”
Naturalmente no … ma non avrei permesso che lei accettasse nulla da quell’uomo.
“Allison” le andai vicino e l’afferrai per le braccia, energico e deciso, ma non aggressivo “mio padre è uno di quelli che non fa mai niente per niente … e tanto non accetterai la sua proposta … questo è quanto, fine della discussione.”

“Scusa?!” esclamò, e sentivo tutto lo sdegno nel suo tono di voce “primo … come ti permetti di venirmi a dire quello che devo o non devo fare?!” Già … come mi ero permesso?! Mi stavo comportando esattamente come tutto ciò che disprezzavo, come un despota coglione e ottuso. “… e poi … anche se volessi accettare … dove sarebbe il problema? Cosa c’è di male se tuo padre mi aiuta? Non l’ho capito allora e non lo capisco adesso”
“Cosa c’è di male?!” ribattei “raccomandazione Allison, si chiama raccomandazione … e poi tu sei la mia ragazza, di sicuro inizierebbero a correre voci …”
“È questo che ti da fastidio Tyler? Il giudizio degli altri?” mi aggredì verbalmente “pensavo che fossi l’ultima persona al mondo che desse peso a queste cose … ed invece sei proprio come tutti gli altri …”

Le ultime parole furono pronunciate non solo con sprezzo e avvilimento, ma soprattutto con delusione, specchio del suo volto. Io mi ero detto deluso dal suo comportamento, ma si vedeva che lei lo era di più tra di noi. In fondo mi ero sempre professato paladino della giustizia e della verità, io che non mi ero lasciato ingannare dall’abito che indossava nel nostro primo incontro e che avevo saputo andare oltre, arrivando al cuore della sua bellissima persona. Ed ora ero proprio come tutti gli altri, gente senza volto né nome, che l’aveva ignorata e sminuita, collocandosi al di sopra della sua volontà grazie al ricatto e al potere dei soldi e della paura.
Si mise addosso giacca e borsa a tracolla e fece per uscire dalla stanza. La seguii; non le avrei permesso di andarsene così, senza chiarirci, senza che mi disse l’opportunità di scusarmi, da emerito coglione qual ero. Nella concitazione della discussone non c’eravamo neanche accorti che Aidan se n’era andato, forse per rispettare la privacy del nostro primo litigio vero e proprio.
Eccolo lì … pensavo che non sarebbe mai arrivato ed invece si era presentato facendo già dei danni importanti; ma non volevo, davvero, avrei voluto chiuderla lì, darle un bacio e chiederle scusa, ma non riuscivo a tollerare che lavorasse per mio padre, che ricevesse come stipendio il denaro di quell’affarista criminale ed egoista.
“Allison” la fermai, quando la sua mano era già sulla maniglia della porta, un attimo prima che uscisse. Forse la mia voce rotta, forse il mio sguardo supplichevole, forse le sue sensazioni sgradevoli simili alle mie, ma qualcosa la fece desistere dall’aprire la porta ed andò a sedersi sul cornicione di una delle finestre della zona giorno.
“Io … io non ci vedo niente di male” disse, in un lamento. Odiavo vederla piangere e non le avrei permesso di farlo per mio padre, non ne valeva proprio la pena. Se era stato un piano di quello stronzo, studiato apposta per farci litigare, c’era riuscito alla grande. Ma eravamo superiori a lui, noi ci volevamo bene davvero e non solo a parole, avremmo superato anche quella.
“Capirai che bella raccomandazione …” continuò, ridendo nervosamente “… smistare la posta e consegnarla agli impiegati”
“Non è per questo Allison …” le dissi, portandomi di fronte a lei ed inginocchiandomi. Le presi le mani ed iniziai a giocarci: erano piccolissime tra le mie, quasi come quelle di una bambina, ma erano lisce e si intrecciavano bene con le mie. Era bellissimo, in una situazione di tensione come quella, poter stabilire un contatto intimo e personale come quello. “Tu non lo conosci Allison … non bene quanto me, almeno” insistetti “ non sai quanto possa essere pressante”. Bastava ricordare quanto accaduto a mio fratello, che era finito due metri sotto terra solo perché non ce la faceva più ad obbedire ai suoi ordini e a seguire le sue disposizioni.
“Vuoi passare il resto della tua vita ad essere riconoscente a mio padre?” incalzai “perché lui non te lo farà dimenticare mai, sappilo. Non lo ha fatto con me e con Caroline … non si farà tanti scrupoli a farlo con te!”

Ma lei continuava a scuotere la testa, nonostante mi avesse dato la possibilità di dire ciò che pensavo; cosa che, a differenza sua, io non ero stato in grado di fare. “Perché non gli dai la possibilità di riscattarsi Tyler? Da quella notte di Natale è cambiato … e tanto. Dovresti dargliene atto e dovreste parlavi, vi farebbe bene!”
Ma quello era il mio turno di scuotere la testa, vigorosamente, imbronciandomi pure. Era un falso, che poteva darla a bere agli altri con i suoi modi educati ed eleganti, ma io conoscevo sin troppo bene il soggetto per farmi ingannare: il lupo perde il pelo ma non il vizio, era risaputo.
Lei si alzò, di colpo, quasi facendomi cadere per terra. Mi alzai anche io a quel punto e la vidi che se ne stava in piedi, camminando per la stanza con una mano ai capelli e l’altra su fianco, inspirando ed espirando forzatamente, cercando di imporsi un ritmo e darsi una calmata. Ecco, ci siamo, pensai … stava per scoppiare.
“Quanto … quanto cazzo mi fai incazzare Tyler” iniziò, al limite delle lacrime “com’è che mi dicevi? Dalle una possibilità Allison! Tua madre ha sofferto molto in questi anni … non è più quella che raccontavi”. Ora mi faceva pure la caricatura, fantastico! Ed io me ne stavo lì, come un cane bastonato, a subire una passivamente una ramanzina che non ero del tutto sicuro di meritare. “perché dovrei farlo se non lo fai nemmeno tu?!” domandò “non permetterti più di farmi una cazzo di predica, Tyler, perché sei il primo qui dentro a fare lo stronzo”
“Non è la stessa cosa …” provai a giustificarmi, anche se alla mia scusa non ci credevo più nemmeno io.

“Ed invece sì Tyler!” insistette “forse mi sto comportando da egoista con mia madre, perché non sono stata l’unica a perdere Emily quella notte. Lo stesso vale per voi … non sei il solo ad aver perso Michael, ti sei mai chiesto come possa essersi sentito lui?”
Aveva ragione, ero solo uno stronzo … e non ci pensai nemmeno a smentirla. In effetti il suo discorso non faceva una piega ed anzi mi aveva aperto un mondo di domande e riflessioni che prima o poi avrei dovuto affrontare, anche se da coniglio qual ero cercavo solo un modo per ritardare quel confronto il più possibile. Io stavo ogni giorno ad intercedere per una donna che praticamente conoscevo solo di vista, con cui non avevo mai avuto una conversazione decente e lei, invece, occupandosi di Caroline aveva passato molto più tempo di me con mio padre nell’ultimo periodo. Avrei dovuto concedere il beneficio del dubbio a Charles, in fondo la mia strigliata di Natale poteva davvero essere stata la scossa necessaria per cambiarlo però, come Allison con sua madre, non mi sentivo ancora pronto ad affrontarlo. Ecco dunque che le parole di Allison dovevano suonarmi profetiche: testa bassa e silenzio, perché lei aveva avuto ragione, ancora una volta.
Mi stravaccai sulla poltrona, abbracciando la chitarra di mio fratello che tenevo lì di fianco. Provai a strimpellare qualche accordo, ma era scordata … non avevo dedicato molto tempo alla musica ultimamente. Allison invece se ne stava ancora lì davanti a me, ancora con quello sguardo severo negli occhi e quel broncio aggressivo che detestavo e la imbruttiva. Ma almeno aveva buttato sul divano sia la giacca che la borsa. Andò nel cucinino e, sbattendo violentemente lo stipo per prendere un bicchiere, prese a bere l’acqua del rubinetto. Tramite il finestrone che si apriva sull’angolo cottura potevo controllarla e vidi che si appoggiò sul lavello, come in preda ad un attacco di nausea. Al pensiero che fossi io la causa del suo malessere mi veniva proprio voglia di picchiarmi con le mie stesse mani per quanto ero stato stronzo.
“Scusa” sussurrai, onestamente pentito, ma ero certo che mi avesse sentito “hai ragione su tutta la linea …. È della tua vita che stiamo parlando ed io non mi intrometterò più, sei libera di fare come vuoi. Puoi anche uscire da questa casa se lo ritieni giusto …”
Vidi con la coda dell’occhio, cercando però di puntare il vuoto, che si voltò verso di me, forse non sicura di aver capito quello che le avevo appena detto.
“Sì hai capito bene” proseguii “non ne faccio una giusta, hai ragione. Per cui se pensi che per te sono troppo cazzone va bene, lo accetto. Anche se farà male da morire senza di te …”
Il mio cervello non fece in tempo a registrare quanto tempo passò dacché finii di parlare a quando Allison si buttò letteralmente tra le mie braccia, togliendomi la chitarra dalle mani, per baciarmi ed abbracciarmi. Era finito tutto. L’aria non mi mancava più ed il sangue era tornato a scorrere correttamente nelle vene, senza che il cuore facesse male.
“Sì” disse, affannandosi tra un bacio e l’altro, prendendomi il volto tra le mani “sei un cazzone, coglione e ti comporti da stronzo a volte. Ma sei il Mio cazzone, il MIO coglione, il MIO stronzo … e non vado da nessuna parte …. Almeno non senza di te”
“Ti amo” le dissi, prima di congiungere per l’ennesima volta le mie labbra con le sue. Ed in quei momenti non c’era nulla che andava, non c’erano madri e padri petulanti e dittatori, non c’erano affitti da pagare né conti in sospeso con la legge. C’eravamo solo noi e si stava da dio-
“Farò come vuoi tu” aggiunse lei, ricomponendosi per uscire di nuovo di casa, stavolta insieme “capisco il tuo punto di vista in un certo senso, perché provo lo stesso per … per Lois, perciò se davvero per te è così difficile accettare che io possa lavorare per tuo padre non fa nulla, mi inventerò altro, cercherò altrove”

“No Allison” mi opposi, mentre chiudevo a chiave casa  lei mi aspettava sul pianerottolo. Le diedi la mano e ci incamminammo giù per le scale “ non devi rinunciare a quel posto. È un’offerta che non ti ricapiterà e non importa quello che penso io di mio padre. Tu ti fidi di lui e questo è ciò che conta …”
“Grazie” esclamò, abbagliandomi con il suo sorriso ritrovato e attirandomi a sé per un bacio, brandendo il collo della mia giacca con la sua presa forte. Sì, ok, ero affamato, drogato di quelle labbra, ma meglio qualche momento di imbarazzo davanti ai vicini che ti colgono i flagrante nell’androne del palazzo, piuttosto che altro. Abbracciandola più stretta in vita, infatti, non mi accorsi che la signora del terzo piano, di origine greca, era appena entrata e, vedendoci, aveva preso a tracciarsi ripetutamente il segno della croce, alla maniera ortodossa, e a pronunciare frasi incomprensibile, ma che potevano essere benissimo sia maledizioni che esorcismi. La buttammo su ridere, lasciandola passare e aiutandola con le buste della spesa stracolme che le erano cadute per lo scandalo.

“Cosa farai oggi?” le domandai, mentre ci salutammo all’ingresso della librerai. Sarebbe stata una giornata lunga per me: avevo il turno centrale, perché il mese precedente mi ero preso troppi permessi per lo studio, vanificati dal ronzarmi intorno di una certa ragazza, e ora dovevo recuperare le ore perdute se volevo avere uno stipendio decente a fine mese. Ergo, sotto con gli straordinari.
Lei fece spallucce: “Chiamerò tuo padre per dirgli che accetto il lavoro … ma solo se tu vuoi davvero. In fondo è un lavoro come un altro … non voglio vedere musi lunghi …”
“Ok …” risposi, divertito “e voglio davvero che tu sia serena; quindi se tu lo vuoi, lo voglio anche io. L’hai detto … è un lavoro come un altro”
In fondo era quello che ci voleva: un lavoro onesto, tranquillo, sicuro. Che mi piacesse o meno il datore di lavoro poco importava, tanto volente o nolente quella sarebbe stata la mia stessa sorte tra qualche anno, non potevo scappare.
“E poi vorrei andare a vedere un paio di appartamenti” continuò lei “senza lo zampino dei miei …”
“Vienimi a trovare però” la supplicai. Già la giornata sarebbe stata dura stare lì a non fare niente tutto il giorno, figurarsi senza di lei. Avevo già in mente di romperle le scatole ogni secondo con i messaggi, giusto per il gusto di vedermi mandare a fanculo via sms e subito dopo ricevere un messaggino di scuse con scritto ti amo. Forse ero regredito all’adolescenza insieme a lei, ma non importava davvero.
“Non se ne parla … l’ultima volta c’è mancato poco che Ray ti sbattesse fuori a calci in culo” “Quanto sei raffinata amore mio …” la presi in giro; sapevo quanto odiava che la chiamassi in quel modo. “grazie tesoro mio” rispose lei, stando al gioco e gettando gli occhi al cielo “comunque non se ne parla … l’ultima cosa di cui hai bisogno è che giocarti il posto per colpa mia. E poi hai sempre Aidan … non ti sentirai solo!” Le risposi con un bel dito medio, facendola ridere.  
La lasciai andare solo dopo che ebbi avuto una razione sufficiente di baci per una giornata intera, dopo aver respirato il suo profumo sul collo quanto basta per non andare in crisi d’astinenza e solo dopo che il mio capo, con un’occhiata fulminante mi passo d’avanti per aprire le serrande del negozio e mi impose, eloquente benché muto, di troncarla lì.


Tempo di tornare a casa e mi avrebbe sentito quella cretina … lasciarmi senza messaggi o chiamate per un’ora e mezza. Qualunque cosa stesse facendo non era una scusa sufficiente a giustificare un silenzio di ben 90 minuti, troncando la comunicazione con un <<sto tornando a casa. Devo prendere la metro, il tel lì non prende. Non ti far prendere dal panico>>
Non si trattava di farsi prendere dal panico … è che la metro dal Queens all’East Village ci metteva un’ora, ma qui eravamo andati ben oltre e lei non s’era fatta sentire. Capivo che non volesse prendere il taxi, costavano veramente troppo, ma andare a finire nel Queens per prendere casa e dover tornare a Manhattan tutti i giorni per lavoro era una fatica che spero si sarebbe risparmiata. In ogni caso arrivai a casa e non feci in tempo a salire la prima rampa di scale che il telefono iniziò a vibrarmi in tasca. Eccola: di sicuro aveva fatto tardi davanti a qualche vetrina, oppure mia madre l’aveva chiamata a rapporto. Come biasimarla, dopotutto era sotto la sua responsabilità, ma si vedevano sempre più di rado. Non che vivessimo insieme a tutti gli effetti, era troppo presto per entrambi, ma ci mancava davvero poco.

“Dove sei? Non hai letto i miei messaggi!!!” esclamai, seccato ma sollevato. “Tyler Hawkins?” una voce femminile dall’altro capo dell’apparecchio, educata e formale, mi fece capire che non stavo parlando con Allie. Il campanello di allarme iniziò a risuonarmi in testa e il mio cuore prese a battere all’impazzata. Mi fermai per le scale, a metà strada, sedendomi sui gradini. “Sì … sono io” risposi, la voce tremante “chi … chi parla?”
“Salve Tyler, sono nurse Kristie, chiamo per conto del Pronto Soccorso del Bronx-Lebanon Hospital Center … il suo numero era quello più ricorrente nel telefono della signorina Allison Riley e abbiamo pensato di chiamarla … lei la conosce vero?”
“Certo, certo che la conosco … è la mia ragazza!”
Non ero sicuro di aver capito bene … Allison era in ospedale?! Nel Bronx? Cosa ci faceva Allison nel Bronx se era andata nel Queens?!

“Scusi” incalzai, prima che l’infermiera potesse parlare di nuovo “ma cosa … cosa è successo alla mia ragazza?”

“Ci hanno chiamati e l’abbiamo soccorsa per strada, era priva di sensi e piena di ferite e ecchimosi … abbiamo già chiamato la polizia”
Senza pensarci due volte mi buttai a capofitto giù per le scale e mi ritrova
i in strada, senza accorgermene, con la mano alzata per fermare un taxi; era l’unico modo che avevo per arrivare il più presto possibile da Allison. Nel frattempo l’infermiera continuava a parlare di assicurazione sanitaria o cose simili, ma io mi ero già perso quando aveva detto che era priva di sensi.
“Io sto ... sto arrivando, faccio prima che posso … ma lei mi deve dire come sta”
“Non glielo so dire, mi dispiace … tutto quello che so gliel’ho appena detto”

“E ti pareva” sputai, chiudendole il telefono in faccia. Saltai al volo sul primo taxi vuoto che beccai e provai a mandare un messaggio veloce a Les, ma le mani mi tremavano talmente tanto che non ero sicuro di  aver scritto nulla che avesse senso compiuto.
Ma cosa ci faceva Allison nel Bronx? E che cosa le avevano fatto?

La cosa più spaventosa era la sgradevole sensazione di conoscere già la risposta a quelle domande, ed il sangue mi si raggelava nelle vene all'idea che quell'incubo non fosse affatto finito.



















NOTE FINALI

Rispondendo alla domanda del titolo: no...non è la fine. Ma ci siamo molto vicini. E non vi preoccupate in qualche modo...prima o poi...le cose si sistemeranno.
Ok lo so, sono malefica. Muahahahahh!!! Vorrei dirvi altro, ma come faccio??? XDXDXD
Ah...dimenticavo...mi do il bentornata da sola dopo un mese di assenza. Ma vi avverto da subito che il prossimo capitolo lo avrete dopo Pasqua, non mi aspettate prima perché non ho proprio il tempo di scrivere. In compenso vi lascio il link del trailer della storia ,che potrete già aver visto sulla pagina di FB

 http://www.youtube.com/watch?v=6QTwVy7cc3Q
spero che vi piaccia...è un primissimo esperimento...spero possa essere seguito da altri...
Ora bisogno del vostro aiuto...se conoscete qualcuno che possa tradurre la mia storia in inglese vi sarei grata se poteste mettermi in contatto tramite la pagina FB, perché diverse persone su twitter mi hanno chiesto se era possibile averne una versione inglese ... ed io, benché sia abbastanza fluente con la lingua, non sono in grado di fare delle traduzioni come si deve.

ora vi devo lasciare, ho una cena e mi devo preparare.

à bientot


Federica

p.s.= chiedo scusa ma non mi è proprio possibile rispondere alle recensioni...spero comprenderete. Risponderò solo se ci dovessero essere domande a cui rispondere...spero che ce ne siano ^_^


   
 
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