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Autore: Entreri    19/03/2012    8 recensioni
Erano morti Earos e Taiver, Lyves e Cleigil, Rivue e Deniris, Turan e i suoi dodici fratelli, uno dopo l’altro erano caduti tutti; le loro dita avevano allentato la presa intorno alla spada, le gambe non li avevano sorretti e i loro corpi erano caracollati a terra, le loro armature avevano impattato fragorosamente contro il suolo, il loro sangue aveva tinto la roccia dell’Agni e la fortezza aveva tremato, reclamandoli, mentre la vita li lasciava.
Il centocinquantunesimo giorno dell'ultima battaglia di Eliad il Baluardo dell'Ovest.
Scritta per l'Epic Music Contest - War of Chaos, dove si è classificata seconda.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Concorso: Epic Music Contest -War of Chaos
Musica scelta: Audiomachine -Legends of Victory (vi consiglio di ascoltarla)
Parola scelta: Solo (nel senso di rimanere solo)

Legends of Victory
 


Centocinquanta giorni resistette
Eran centocinquanta i suoi compagni
Che uno dopo l’altro egli predette.
Sebbene fossero forti e animi magni,
Tutti infine caddero e egli stette
A tener solo le alte mura d’Agni.
Uno ad uno li vide egli perire
Ultimo a cadere, ultimo a morire.

(Dal poema “Il Baluardo dell’Ovest”)

 

 

Erano morti Earos e Taiver, Lyves e Cleigil, Rivue e Deniris, Turan e i suoi dodici fratelli, uno dopo l’altro erano caduti tutti; le loro dita avevano allentato la presa intorno alla spada, le gambe non li avevano sorretti e i loro corpi erano caraccollati a terra, le loro armature avevano impattato fragorosamente contro il suolo, il loro sangue aveva tinto la roccia dell’Agni e la fortezza aveva tremato, reclamandoli, mentre la vita li lasciava.  

Un giorno dopo l’altro Eliad aveva inciso i loro nomi sulla grande lastra di pietra grigia al centro del maschio, accanto a quello di tutti i guerrieri che erano periti per difendere l’Agni e il passo delle sorgenti dell’Aedeison, finchè, il centocinquantunesimo giorno, non era rimasto che lo spazio per il suo.  

Si affacciò alla finestra e contemplò l’infinita schiera di mostri che si ammassava crescendo come un’onda scura per abbattersi sulla rocca e infrangersi con forza contro il portone. 

La luce della sua ultima alba gli ferì gli occhi ed il principe chinò il capo per sussurrare all’orecchio dell’ultimo falco richiamato dal cielo poche, stanche parole: «Resto io solo a difendere tutte le terre occidentali. La mia vita tramonterà prima del sole e i servi del Primogenito dilagheranno.»

Gli carezzò la nuca lentamente, prima che spiccasse il volo, e lo osservò seguire le correnti ascensionali fino a scomparire alla vista, diretto a Sud, verso l’esercito di suo padre e i rinforzi nei quali disperava da mesi.

Non vestì la sua armatura, perché non era rimasto nessuno che potesse aiutarlo a stringerne i lacci: aveva perso l’ultimo dei suoi compagni al crepuscolo del giorno precedente, quando Risbel si era accasciato contro il muro, trafitto da un nugolo di frecce nere. Il suo scudiero, invece, era morto già il novantesimo giorno, senza che lui potesse fare nulla per evitargli una simile sorte. Aveva tentato  molte volte di convincerlo a uscire dal portone occidentale con il favore delle tenebre e incamminarsi lungo le tortuose vie montane fino alle vaste piane del regno, per accertarsi che i falchi messaggeri fossero giunti a destinazione, per andare a chiamare a raccolta i rinforzi che li avrebbero salvati, ma il giovane Ildem non si era lasciato ingannare; si era rifiutato di lasciare il proprio posto, sapendo che nessun esercito che non fosse già stato in marcia sarebbe mai arrivato in tempo.  “Torna a casa” Eliad gli aveva detto “bacia via le lacrime dalle guance di mia moglie al posto mio; dille che l’ho amata più del cielo, più del dovere e più della vittoria; chiedile di perdonarmi per non essere tornato da lei come avevo promesso”, ma  Ildem era rimasto, perché aveva appena due decadi e amava l’onore più della madre e delle sorelle che non avrebbe più rivisto.

Eliad impugnò la propria spada e affrontò deciso il sorgere abbacinante del sole, i riflessi rossastri della prima luce del mattino sulle montagne, il volto doloroso della bellezza che si mostra soltanto a chi vada incontro alla morte. 

Il boato del primo colpo di tamburo rimbombò per la stretta vallata, andando a confondersi con quelli che lo seguirono. Il suonò montò, marea nera e inarrestabile, fino alle alte torri dell’Agni, senza che il vento sferzante riuscisse a disperderlo.  L’esercito di mostri deformi, fila disordinate come flutti incalzati dalla tempesta, si abbatté contro le mura;  centinaia di piccole e gradi scale vennero poggiate contro la roccia, ondate che arrivavano sempre più in alto prima che il tremore delle fondamenta dell’Agni le facesse precipitare verso l’ampio mare sottostante: un oceano roboante e oscuro, sempre pronto sputare nuovi abomini per sostituire quelli caduti, del quale Eliad non riusciva a scorgere la fine.

Rimase immobile per un istante, sopraffatto dal compito di proteggere, solo, l’intera civiltà occidentale; Earos gli aveva pronosticato, con parole dall’odore ferroso del sangue che gli bagnava le labbra, che il loro sacrificio non sarebbe mai stato dimenticato, che i bardi avrebbero cantato per tutte le epoche a venire dell’ultima battaglia di Eliad e dei suoi centocinquanta compagni, che sarebbe stato chiamato “il Baluardo dell’Ovest” e avrebbe vissuto in eterno nelle leggende: per sempre giovane, eroico e forte. 

Quando la prima freccia lo colpì alla spalla, Eliad pensò che non vi sarebbe stata nessuna canzone, perché lui non sarebbe mai stato capace di tenere l’Agni da solo fronteggiando un intero esercito; era il compito di un grande eroe, ma Lomaril la Spada Ardente era caduto, straziato dai colpi del generale degli Arnoch, e persino Fendail, il Grande Sire, era morto senza lasciare un’altra fiaccola a brillare nella cupa notte dei popoli liberi.

Si mosse ugualmente,  rapido e deciso,  percorrendo il camminamento e le alte scale verso la piazza d’armi, la sua marcia solenne scandita dai tonfi dell’ariete nemico sull’ampio portone orientale. Eoras aveva torto: lui sarebbe morto entro sera e nessuno avrebbe ricordato la loro battaglia. Se anche quello che stava per fare avesse avuto un senso, nessuno avrebbe saputo come lo scudo di Inad fosse stato divelto dai colpi mentre proteggeva la ritirata di suo fratello, nessuno avrebbe cantato di come Lorar si fosse dissanguato combattendo sul bastione meridionale, nessuna rima sarebbe stata composta su Ardelen e i trecento che aveva abbattuto prima di cadere a propria volta. 

Se anche l’Occidente fosse sopravvissuto a quel giorno, non ci sarebbe stato nessuno a raccontare le loro gesta, ma non aveva importanza, perché, anche se avessero ricordato il loro valore, avrebbero dimenticato i loro nomi;  il Baluardo dell’Ovest e i suoi centocinquanta compagni sarebbero entrati nella leggenda, ma le persone che erano stati sarebbero state dimenticate.

L’Agni sussultò con maggior potenza, forte della determinazione di tutti coloro che erano morti per difenderlo, e i merli delle mura precipitarono all’esterno contro gli assalitori che tentavano di scalarle, coprendo con il frastuono del proprio schiantarsi al suolo il rombo dei tamburi e i colpi dell’ariete.

L’enorme portone di quercia eretto dagli Alerean nella giovinezza del mondo vacillava sotto l’immensa forza degli schiavi del Primogenito e Eliad gli andò incontro con decisione, ordinandogli di spalancarsi. I battenti cedettero improvvisamente, lasciandosi oltrepassare dalla massa di abomini, e l’Agni vibrò con tanta forza che parve la terra volesse inghiottirlo; Eliad pregò che lo facesse.

Si scaglio contrò l’esercito avversario e la sua spada brillò per un attimo del riflesso della luce del mattino, prima di lordarsi del sangue nero e denso del primo dei suoi assalitori. Gridò il nome di uno dei suoi compagni ad ogni affondo, ad ogni fendente, ad ogni colpo di pomo; quando la prima lama ricurva gli penetrò fra le costole, Eliad trasalì e l’Agni iniziò a crollare. 

Lo trafissero alla spalla mentre il torrione orientale caracollava su sé stesso, travolgendo gran parte di quelli che si erano già riversati all’interno della fortezza, qualcuno lo colpì alla schiena ed Eliad cadde bocconi fra i cadaveri di quelli che aveva ucciso, il suo lamento coperto dal boato del crollo del maschio. Sentì il sapore di sangue in bocca, la vista gli si appannò sempre di più e, mentre chiudeva gli occhi, andando verso l’eternità e verso la morte, verso la leggenda e verso l’oblio, gli parve di udire il suono del corno della casa di suo padre sovrastare il rombo dei tamburi nemici.





Note dell'autrice: Ho molte cose da dire circa questa storia. La prima è che, personalmente, non ne sono soddisfatta: l'ho scritta in fretta, ho tagliato una cosa che volevo insierire perchè avrebbe portato via troppo tempo scriverla e, ora, senza mi sembra vuota ma l'ho impostata in un modo tale da non riuscire ad inserirla a posteriori. Mi riservo di scriverne da capo una seconda versione.
Volevo riuscire a parlare della differenza fra la persona e la leggenda, ma temo di avervi solo accennato: il Baluardo dell'Ovest è infatti una leggenda del mio mondo e senza saperlo la storia perde un poco del suo senso intrinseco che ho cercato di recuperare con l'ottava inziale tratta dal poema che narra la sua ultima battaglia.
Per chi avesse letto le mie altre storie fantasy: questo è lo stesso mondo ma in un tempo talmente più antico che di questi eventi si è conservata solo la leggenda, carica di elementi mitici che nessuno ricorda essere vera. Molte cose sono un poco ermetiche, d'altro canto Eliad non può spiegarsi da solo cose che sa già.
Oltretutto il mio ragazzo-beta sta traslocando e quindi non ha avuto tempo di aiutarmi con le virgoline, il che è male.  Altra cosa: di solito sono contraria ai titoli in inglese, ma dato che quello della canzone era calzante ho fatto un'eccezione, in fondo si tratta di una citazione e non di servilismo linguistico.

Questa, inoltre, è la valutazione che ha ottenuto la storia nel concorso dove si è classificata seconda. ( Il Banner l'ho fatto io, anche se, nel caso ricevessi quello che mi è stato promesso, lo cambierò).


63.5/65 SECONDA CLASSIFICATA

Correttezza Grammaticale1, sintattica2 ed ortografica3 (13.5/15)*

  Non ho riscontrato errori di grammatica pertanto, sotto quell’aspetto, non ho nulla da dire. In alcuni punti ho trovato di difficile comprensione la sintassi della frase. Ciò che mi ha lasciato più perplessa, però, è stata l’ortografia: in alcuni passaggi, la punteggiatura è usata in modo improprio, rendendo la lettura difficile e lenta.

Sviluppo della trama (10/10)

  La trama non è complessa o articolata. Ciò che mi ha coinvolto maggiormente è stato l’aspetto descrittivo dei vari ricordi, che Eliad ripercorre prima di vedere la sua “ultima alba”. Quindi, benché in alcuni tratti sia ermetica (appunto perché si riferisce ad un poema non ancora concluso), è una one shot molto intrigante.

Caratterizzazione dei personaggi (15/15):

 Eliad è ben descritto. In sé racchiude un mondo particolare ed antico, fiero e gentile, quasi dai tratti classici dell’eroe greco. Ovviamente questa è una mia interpretazione.

 Originalità (15/15)

  Ho preso in esame il fatto che, essendo tratto da un tuo poema, il tratto dell’originalità è molto evidente. Tralasciando questo aspetto, l’ambientazione epica e mitica riflette bene la canzone che hai scelto.

Attinenza al tema e ai parametri posti (10/10)

  Ottima attinenza al tema ed ai parametri posti.

Altri "riconoscimenti"

La storia ha ottenuto inoltre una menzione speciale nel concorso (senza classifica) Edite fantastiche indetto da fravgolina 

                   

   
 
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