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Autore: Medea00    21/03/2012    18 recensioni
Seblaine Week - Day Three: I Know You
What would have happened if Sebastian and Blaine already knew eachother? If they’d met before Uptown Girl? As kids, at Dalton, as dates to a certain Sadie Hawkins dance? You tell us!
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Dopo aver stilato la trama, mi sono resa conto che questa fanfiction era impostata come long-fic, piuttosto che come OS. Per questo motivo, nonostante i miei continui sforzi di essere sintetica e allo stesso tempo efficace, è venuta davvero lunga, e io vi chiedo scusa per questo. Tagliarla in due parti, visto come l’ho scritta, era inutile e poi il prompt da cui sono partita riguarda solo questo giorno. Nonostante queste cose, spero che sia una buona lettura. E’ ambientato nell’estate dei 16 anni di Blaine, prima che incontrasse Kurt. Ci tengo a precisare che non è un AU, ma piuttosto un What If, questa storia tiene conto degli eventi del telefilm, e magari con questa precisazione il finale sarà molto più chiaro.




Nostalgia: il ricordo delle cose passate.



 
Quello che succede a Norfolk resta a Norfolk.
Quello era il motto di quella città, la seconda più importante della Virginia e indipendente dall’America, e da qui proveniva il famoso detto, per niente affatto trascurabile. Adiacente al mare, era famosa per le corse sugli skateboard, le belle ragazze ed il campus estivo collegato alle più importanti scuole private di tutti gli Stati Uniti, uno di quelli che ti danno punti nel curriculum, dove il pomeriggio partecipavi agli sport di gruppo – per allenare anche il corpo, oltre che la mente, dicevano gli istruttori – e la mattina frequentavi le lezioni durissime che fungevano da preparazione ai corsi scolastici che si sarebbero aperti a Settembre.
Era una scuola d’élite: non era un caso che prendessero soltanto duecento studenti all’anno, in un periodo di quattro settimane che spesso coincideva con il mese di Luglio; non era nemmeno un caso che fosse frequentata dalle famiglie più ricche, facoltose e vanitose dell’Ohio. La famiglia Anderson passava l’estate in quella scuola da generazioni, perchè lo aveva trovato “un posto dignitoso dove coltivare l’istruzione dei propri figli”, e per quanto il secondogenito Blaine si fosse duramente opposto a quella scelta, alla fine era stato costretto ad andare, con tanto di valigia e libri in mano; ma non aveva mai pensato che lo facessero per lui, per il suo bene, la sua istruzione o chissà quale altra fesseria: semplicemente, avevano avuto bisogno di un mese di libertà per poter viaggiare in Europa e concludere i loro affari commerciali. Era la vita di un imprenditore, e riguardava la vita di loro figlio.
Una volta arrivato a quella sottospecie di college, che assomigliava ad un’enorme reggia, con campi da tennis, spiagge private e strutture nuove e perfette, per un secondo si sentì quasi sollevato: forse non sarebbe stato così terribile. Subito dopo, un’insegnante in taiileur gli si parò di fronte sfoggiando i suoi occhiali taglienti e indicandogli tutte le regole del campus: non urlare, coprifuoco alle undici e mezza, lezioni ogni mattina e sport il pomeriggio, non fumare, non trasgredire le regole e, soprattutto, mantenere costantemente un comportamento dignitoso.
Quell’ultimo punto, in verità, lo aveva aggiunto in seguito alla fama di quella scuola: perchè anche se era un posto per pochi, di lusso, atto all’istruzione, in realtà ogni sera c’erano minimo tre festini per dormitorio, cinque o sei falò sulla spiaggia, dieci o dodici coppie che approfittavano del mare, dell’estate, dell’alcool portato illegalmente – ma con estrema facilità – per darci dentro e perdere ogni inibizione. Il motivo era semplice: quelli erano figli di gente importante, che aveva pagato per stare lì; di certo nessuno aveva il coraggio, nè la possibilità, di sbatterli fuori. Quindi era semplice, i professori facevano finta di non vedere, e i ragazzi facevano finta di ascoltare. Era tutto un tacito gioco che faceva fruttare tanti bei soldi alla scuola e delle recensioni positive da parte dei ragazzi.
Blaine tutte queste cose ancora non le sapeva. Era arrivato in camera sua, con l’aria stanca e confusa, aveva disfatto le valigie e subito dopo si era accasciato sul letto socchiudendo gli occhi, cercando di prendere lunghi respiri e rimanere concentrato. Si stupì non poco quando, riaprendoli, trovò di fronte a se una ragazza bionda e carina, con due occhi neri e grandi evidenziati da un eye-liner nero. Si chiamava Ashley, e sembrava un esperta di Norfolk: aveva passato tre delle sue estati in quel posto e ormai sapeva ogni singolo trucchetto per divertirsi in quella sottospecie di caserma. A quanto pareva era la sua compagna di stanza, e sì, il fatto che fossero un ragazzo e una ragazza a dormire insieme, evidentemente, era una cosa del tutto normale.
“I professori dopo qualche anno hanno capito che, tanto, se volevamo scopare lo facevamo comunque. – Gli spiegò, giocando con una ciocca di capelli biondi - Quindi si sono evitati il problema di rincorrere i ragazzi che uscivano dalle stanze e ci hanno messi direttamente insieme. Sono più pigri di quanto pensi, sai?”
Blaine non sapeva esattamente cosa dire; come prima cosa, forse, doveva specificare di essere gay. Una volta fatto, il resto fu molto più semplice: Ashley lo squadrò dall’alto verso il basso e con una smorfia disse che era un vero peccato. Il ragazzo, in risposa, sorrise, quasi imbarazzato. Ma quell’espressione svanì subito dopo non appena sentì dire: “Tutte le fortune vanno sempre a Smythe.”
E lui non aveva la più pallida idea di chi fosse questo Smythe. Non era nemmeno sicuro di volerlo sapere, ma ben presto accadde secondo una sfortunata conseguenza di circostanze: quella sera stessa, trascinato da Ashley, si ritrovò ad un party che era sul procinto di un collasso, tra gente che beveva, che urlava, musica a tutto volume e un pesante di odore di erba che aleggiava per tutta la stanza. Dopo aver finto di divertirsi, un po’ per far contenta Ashley, un po’ per far contento se stesso, con una scusa si recò verso il bagno, scavalcando le bottiglie di rum e vodka ed ignorando ragazzi o ragazze che si strusciavano contro ai muri di quel corridoio stretto. “Insomma, ottimo inizio.” Disse tra sè e sè, con sguardo basso.
E poi aprì la porta.
Seduto sopra al lavandino, con i pantaloni calati e la camicia sbottonata, c’era un ragazzo completamente in balìa dei suoi gemiti, mentre si aggrappava alle spalle nude di quello di fronte e lasciava che stimolasse con una mano la sua erezione. Erano troppo intenti a fare quello che stavano facendo per accorgersi del resto del mondo, così Blaine deglutì, cercando di non impazzire: voleva voltarsi di scatto e richiudere la porta con un tonfo sordo per non tornare mai più, magari, sbattere anche due o tre volte la testa contro il muro per guadagnarsi un’efficace perdita di memoria. Prima che potesse fare assolutamente nulla per impedirlo, ad un tratto il ragazzo di fronte al lavandino si voltò, fissandolo: aveva degli occhi verde smeraldo e i lineamenti sottili marcati da delle gocce di sudore che scorrevano lungo tutto il suo torso nudo e sensuale. La sua voce uscì roca, spezzata, per via dell’eccitazione e dei respiri pesanti: “E’ occupato.”
Lo aveva intuito anche da solo che era occupato. Lui sembrava occupato, a dire il vero, e Blaine si sentì un completo idiota. Un secondo dopo vide l’espressione di quel ragazzo mutare in fretta, trasformandosi da seria e leggermente scocciata a divertita, e anche un po’ curiosa.
“Oppure sei uno a cui piace guardare?”
Non si era mai sentito così tanto in imbarazzo in vita sua. Soprattutto perchè i suoi occhi erano fissi sulle sue scarpe, ma le sue orecchie riuscivano ancora a captare qualche mugolìo del biondo che lo supplicava di finire e di dedicarsi completamente a lui. Eppure, l’altro non sembrava più interessato.
“C’è posto anche per te, se vuoi.”
Quella fu la frase che riuscì a smuoverlo completamente permettendogli, finalmente, di uscire da quella maledetta stanza, con l’aria che si era fatta bollente e il suo corpo pervaso da brividi freddi.
Quello era stato il primo incontro tra Blaine Anderson e Sebastian Smythe.
 
 
Se prima aveva qualche dubbio che fosse lui, Ashley lo chiarì completamente quando, la mattina seguente, durante una lentissima lezione gli sussurrò all’orecchio: “Perchè Sebastian Smythe ti sta fissando di continuo?”
E no, quello non lo voleva davvero sapere. Non sapeva nemmeno come spiegare la scena di quella sera – che continuava a convincersi di aver rimosso dalla sua mente -, balbettò qualche parola sconnessa, tipo “bagno”, “sesso”, ma poi bastarono le sue guance infiammarsi di colpo ed i suoi gesti farsi più impacciati: Ashley non era nuova del mestiere, e in risposta a quel sin troppo eloquente linguaggio del corpo scoppiò a ridere e dandogli un’affettuosa pacca sul braccio.
“Mi sono dimenticata di dirti che, se all’aperto sono tutti disinvolti, al chiuso sono anche peggio.”
Già, forse qualcuno avrebbe dovuto informarlo di quel piccolo particolare. Ma non era un problema, nel senso, avrebbe evitato quel Sebastian Smythe come la peste e quelle quattro settimane sarebbero passate in un lampo; peccato che l’altro ragazzo avesse tutta un’altra idea. Perchè durante la pausa, con la tranquillità più disarmante di tutti, si avvicinò a lui e lo salutò con un sorriso.
“Come va?”
Blaine mormorò un “bene” posando lo sguardo da qualsiasi parte tranne che su di lui; il sorriso di Sebastian si allungò, facendosi più sottile perchè, insomma, più continuava con quell’atteggiamento da scolaretto in calore e più lo divertiva.
“Mi dispiace per ieri sera – disse lui, stringendosi nelle spalle – non volevo...non volevo spaventarti.”Precisò, trattenendo a stento un’espressione divertita, mentre lui adesso sembrava trovare serie difficoltà nell’uso della parola: “N-non ti preoccupare, voglio dire, è ok.”
No che non era ok. Stava morendo; stava bruciando dall’interno. Ma lui questo non poteva saperlo, vero?
Sebastian posò con disinvoltura le mani sopra al suo banco, cominciando a dondolarsi avanti e indietro. “Insomma...Come ti chiami?”
“Blaine.” Si stupì lui stesso della velocità con cui pronunciò il suo nome; forse, perchè si rese conto che rispondergli non era stata una grande idea.
“Blaine - ripetè lui, assaporando quel nome come se fosse un nuovo gusto di gelato, ma subito dopo la sua voce tornò calma e naturale - comunque, se hai bisogno di qualsiasi cosa non esitare a chiedere. La prima volta in questo posto può essere sempre un po’ traumatica.”
“Già, mi chiedo come mai.”
Sebastian non riuscì a trattenere un sogghigno; quel ragazzo, oltre che incredilmente divertente per lui, sembrava anche simpatico. Afferrando un suo foglio e cominciando a leggere i suoi appunti mormorò: “Ci sono cose molto peggiori di trovare me ed un altro nel bagno.”
“Tipo?”
“Tipo sapere che la professoressa che corregge questi compiti è praticamente cieca, e quindi se non vuoi passare i tuoi giorni a ricopiare tutto ti conviene scrivere molto più grande di così. E’ giusto un consiglio.”
Blaine lo guardò andar via non sapendo se essere più seccato o perplesso; per un attimo si chiese perfino se non lo avesse preso in giro, con il fatto della scrittura, ma quando posò lo sguardo sulla cattedra, l’insegnante stava strizzando gli occhi nervosamente durante la lettura di uno dei suoi giornali. Quindi, era vero. Quindi, lo aveva aiutato? Ma a che scopo? Era sorpreso, e di certo, ancora più confuso.
 

Passarono due o tre giorni e, apparentemente, di Sebastian non vide nemmeno l’ombra. Dal canto suo continuava a seguire le lezioni ed uscire con Ashley, che gli aveva presentato altri ragazzi del “giro” con la speranza di ammazzare quella noia che si poteva toccare con la mano. Tuttavia, ogni tanto il nome di Sebastian aleggiava nell’aria e lui non poteva fare a meno di tendere le orecchie in ascolto; preferì non chiedersi il perchè di quella reazione, così come preferiva evitare di pensare a lui.
Sebastian non poteva ancora dire di “aver puntato” quel Blaine. Certo, aveva capito subito che fosse gay, e non ci voleva una laurea per quello; aveva saltato le lezioni come sempre, magari, in compagnia di qualche ragazzo più o meno conosciuto: li trovava tutti egualmente inutili e noiosi, non che parlassero granchè. Ma accadde che quel pomeriggio una parte sconosciuta e strana del suo cervello decise di portarlo nei campi da sport, per fare una volta tanto un tipo diverso di attività fisica. Non si stupì di trovarci Blaine, con il gruppo di ragazzi del suo corso; voleva dire di essersi dimenticato di quel ragazzo ma, in realtà, più lo osservava e più se lo immaginava stretto a lui, avvinghiato, mentre le sue labbra lasciavano segni violacei lungo tutto il suo corpo perfetto. E lo era. Diavolo se lo era: indossava dei pantaloncini corti ed una canottiera, intento a fare dei giri di campo. Si avvicinò a lui, appoggiandosi con le  braccia alla schiena di una panchina e fingendo di essere interessato al tempo, o all’erba sotto di loro; una volta entrato nel suo campo visivo lo vide arrossire di colpo, e mostrare indifferenza subito dopo. Era già suo. Completamente, meravigliosamente suo.
“Insomma, vuoi farti un giro insieme a me?”
Blaine non riuscì a trattenersi dal guardarlo. Non aveva capito bene. Però, come saluto, era stato sin troppo strano. Non poteva aver capito bene.
“Stai scherzando vero?”
“Oh andiamo –mormorò lui, roteando gli occhi al cielo- possiamo saltare la parte in cui non mi ritieni assolutamente scopabile e arriviamo a quella in cui ti tolgo quei deliziosi pantaloncini da corsa?"
Ecco, allora aveva proprio capito bene. Incredibilmente, quella convinzione lo fece diventare del tutto categorico: si passò una mano sul fianco, i respiri che stavano diventando sempre più regolari, e adesso perfino l’imbarazzo era sparito del tutto per lasciare spazio soltanto a freddezza e decisione.
"Ti sopravvaluti – commentò, cinico - non mi attrai per niente."
Il ghigno di Sebastian si allungò: "Ah no?"
"No." Sembrava serio; così, l’altro si avvicinò di un passo.
"Per niente?"
"Niente di niente."
"Perchè, in effetti, la vista di me nudo dell'altra sera ti ha lasciato completamente indifferente."
E no, non si era lasciato sfuggire quel piccolo momento di esitazione, ma Blaine fu molto bravo nel continuare a guardarlo dritto negli occhi dicendo: "Del tutto indifferente."
Fece una piccola pausa: "Sicuro di essere gay?"
"Sebastian!"
"Ok ok dicevo per dire."
Continuava a fissarlo. Cavoli, sembrava davvero convinto. Ma com’era possibile? Non aveva fatto colpo su un ragazzo. Piuttosto raro, in realtà. E anche dannatamente allettante.
Dopo qualche secondo, durante il quale migliaia di pensieri affollarono la sua mente – più o meno casti, in realtà -, Blaine sviò velocemente lo sguardo, parlando con tono indifferente: "Possiamo...possiamo sempre diventare amici."
"Come scusa?"
"Sì, amici. Hai presente? Quella cosa che si fa quando due persone si stanno simpatiche a vicenda, per passare del tempo insieme."
"Ah. Quindi ti sto simpatico."
"Non ho detto questo."
"Rilassati, siamo sulla stessa lunghezza d'onda."
Di fronte a quel commento, lo vide inarcare un sopracciglio con un’espressione da cucciolotto che era semplicemente... adorabile. Sì, era il termine più adatto.
"Per qualche strana legge gravitazionale non ancora dimostrata – spiegò, con una parte della mente che ancora seguiva la scia dei suoi pensieri -, mi stai piuttosto simpatico. E poi... mi piacerebbe davvero molto passare del tempo con te. Su di te, preferibilmente. Non ti dispiace se sto sopra io, vero?"
"Sebastian." Bisbigliò Blaine trai denti, perchè non riusciva veramente a parlare, la sua gola si era fatta secca e lui era arrossito fino alla punta dei capelli.
"Ho detto amici. Solo e soltanto amici. Non scopa-amici."
"Oh."
Sembrava avergli chiarito una cosa fondamentale, a cui non aveva minimamente pensato.
"Niente sesso?"
"E' quello che ho detto."
"E che senso ha?"
"Parlare. – sottolineò lui, passandosi lentamente una mano sulla fronte, esasperato – Conversare? Ti suonano familiari, sono parole presenti nel tuo vocabolario?"
"No." Ribattè lui, secco, come se fosse ovvio e scontato, perfino di poca importanza. "Sai, di solito non mi piacciono i ragazzi rumorosi."
Di nuovo, battuta ambigua. Di nuovo, tentò di lasciar stare.
"Amici o niente –sentenziò Blaine, con tanto di mano tesa verso di lui - Prendere o lasciare."
Sebastian si concesse di guardarlo con la coda dell’occhio perchè, evidentemente, o era davvero strano oppure lo stava palesemente prendendo in giro. Lui ne aveva conosciuti di ragazzi, ma quella situazione gli era del tutto nuova; forse perchè i più saltavano la parte delle presentazioni per finire direttamente a far saltare i bottoni dei suoi jeans. Non aveva mai considerato una prospettiva cosìsuperflua, ma in un certo senso la determinazione di quel ragazzo bastò a fargli considerare quell’idea, accarezzandosi il mento e continuando a guardarlo in modo pensieroso. "Ma sul serio vuoi essere AMICO di un altro ragazzo, superfigo e per giunta gay?"
“Pensa com'è strano il mondo eh? Esistono anche le amicizie." Mormorò Blaine pensando che, evidentemente, un’altra parola non presente nel suo vocabolario era la modestia.
"Per un ragazzo di diciassette anni è strano sul serio – ribattè lui, e poi lo fissò con scetticismo - sei sicuro di essere un uomo vero?"
"Sebastian!"
"Mi piace che pronunci spesso il mio nome. Perchè vuol dire che ti piace. Oppure che ti piace il ragazzo che lo porta."
No, davvero, era una partita persa in partenza.
"Seb- si fermò, mordendosi la lingua sotto al sorrisetto convinto dell'altro - ...dicevo. Mi dispiace distruggere le tue manie di protagonismo, il tuo animo da Narciso, o quello che è. Ma tu - ripetè bene, scandendo ogni lettera - non mi piaci."
Di nuovo, sembrava davvero convinto. O forse era un  bravo attore. Ma no, dai, non era un bravo attore. Allora era convinto?
"Perchè vuoi diventare così tanto amico mio?"
Quel ragazzo strano quanto interessante si voltò, incamminandosi verso i dormitori e passandosi l’asciugamano sulle spalle, e lui non riuscì ad impedire alle sue gambe di muoversi, seguendolo a distanza di qualche passo mentre sentiva dire: "Perchè così avrò tutta la libertà di mandarti a quel paese o dire che sei asfissiante. Adesso non ho ancora tutta questa confidenza."
"Uh, sei uno da preliminari eh?"
"Sebastian."
"Hai detto di nuovo il mio nome."
"SEBASTIAN."
"Ok ok la smetto!"
Blaine sussurrò un "grazie Signore" e i due continuarono a camminare fianco a fianco, riflettendo su quella sottospecie di scherzo del destino, o della volontà, che aveva sancito quella nuova amicizia. Era strano; ma entrambi sapevano di avere uno strano sorrisetto dipinto sul volto.
 
 
All’inizio non pensava sul serio che quella cosa dell’amico, quella strana cosa di conversare e passare dell’innocente tempo insieme, funzionasse. In realtà Sebastian continuava ancora a chiedersi se avesse senso: lui non aveva mai visto un ragazzo come un potenziale amico, anzi, se non erano gay non li guardava nemmeno. E adesso si trovava a Norfolk, in piena estate, con un ragazzo gay, bellissimo e perfino divertente, e in tutta risposta le giornate passavano tra chiacchiere e cd di musica. Con sua grande sorpresa, scoprirono di avere diverse cose in comune: come prima cosa, adoravano gli stessi cantanti. In realtà Blaine impiegò non pochi sforzi per far ammettere a Sebastian che adorava Adele, ma alla fine aveva felicemente esultato una volta sentito quel minuscolo “sì”. E il suo sorriso era semplice, genuino e raggiante, tanto da farne scaturire uno identico in Sebastian; subito dopo si ricordava dell’assurda situazione da amichette in ora del tè, e allora tornava al suo solito umore freddo e cinico. Assolutamente, non era tollerabile. Non poteva avere Blaine, quello era chiaro: l’unico interesse che sembrava mostrare per lui era rivolto alla sua voce, ma su quell’argomento era stato categorico, non lo avrebbe mai sentito cantare, non dopo che lui, durante una delle classiche feste notturne, aveva preso una chitarra da chissà chi intonando le note di “Turning Tables”; non dopo che era rimasto completamente affascinato da lui. Ma questo non lo avrebbe mai ammesso: si era limitato a fare un cenno con la testa commentando con un chiarissimo: “Sai, non sei affatto male con quella bocca”. Blaine gli aveva lanciato l’ennesima occhiata, quella che faceva tutte le volte che diceva qualcosa di inopportuno, e la cosa era finita lì. La presenza di Blaine era divenuto un fattore quasi scontato – per non dire, necessario-  durante i suoi lunghi pomeriggi di nullafacenza, tanto da cominciare a desiderare che ci fosse anche durante le mattinate. Così, dopo circa una settimana e mezzo, prima che Blaine arrivasse all’aula dove si teneva la lezione, con i suoi capelli sistemati dal gel, la sua polo scura e i suoi libri perfettamente ordinati tra le braccia per ordine di grandezza, lo afferrò da dietro, per un braccio, e lo trascinò nel bagno a qualche metro di distanza da loro.
Blaine per un momento rimase interdetto da quel gesto, perchè Sebastian sembrava quasi serio, e non riusciva a capire le sue intenzioni e, cavolo, perchè il suo cuore batteva così forte? Era solo Sebastian. Quello era un comunissimo bagno. Certo, da quanto ricordava – e lo ricordava eccome – sembrava essere un posto allettante per il ragazzo, ma ignorò quei pensieri, si limitò a deglutire in attesa di qualsiasi sua risposta.
“Adesso – esordì Sebastian, con tono basso ed invitante - io e te andiamo da una parte.”
“C-cosa?” Balbettò l’altro, cercando di prendere aria perchè, cavolo, faceva davvero caldo in quella stanza, o forse era soltanto per via dell’estate; del clima dell’estate, corresse un angolo della sua mente, e non di qualsiasi altro fattore estivo che riguardava mare, feste, alcolici e ormoni. A quanto pareva, però, il ragazzo non ammetteva repliche e lo incitò incurvando leggermente l’angolo della sua bocca.
“Abbiamo lezione...” tentò di nuovo Blaine, ma i suoi occhi avevano già ceduto, la presa sui suoi libri si era già allentata, e quanto Sebastian sussurrò: “Grazie mille, Sherlock; se non le dispiace abbiamo una finestra da scavalcare”, ripose i libri nella tracolla e lo seguì, uscendo dall’edificio e dirigendosi verso una zona a lui sconosciuta.
 

Un giardino: sapeva che fosse artificiale e, probabilmente, nemmeno apparteneva alla scuola, eppure, tutto ciò che riusciva a vedere Blaine erano le mille varietà di fiori e verde, una piccola fontana zampillante, il sole alto nel cielo che cadeva su qualche albero creando così una densa e piacevole ombra.
Sebastian, semplicemente, lo portò con sè, sotto l’abbraccio di una quercia. Era una bella sensazione: con la salsedine che riempiva i polmoni, il polline che illuminava l’aria, la bellezza più completa di quel posto. Blaine pensò che avrebbe potuto stare lì per sempre.
“Vieni spesso qui?” Chiese tutto ad un tratto, voltandosi verso Sebastian già sdraiato sulla schiena e con le mani congiunte dietro la nuca.
“Diciamo che ho un buon motivo per marinare le lezioni, ti pare?”
Sorrise: i suoi lineamenti sembravano dolci, rilassati. Il suo petto ondeggiava docilmente sotto a quella camicia leggera un po’ aperta sul collo e sulla fine; sembrava così bello, in quella posizione, che per un momento Blaine fu costretto a sbattere le palpebre per convincersi di non essere caduto in qualche strana allucinazione dovuta a quel posto magico.
E poi, come svegliandosi da un vivido sogno, si sentì chiamare dall’oggetto dei suoi pensieri.
“Blaine Blaine, come devo fare con te? Devo insegnarti proprio tutto io. Su, vieni qui, da bravo, accanto a me.”
Detto quello si sporse in avanti solo per spingerlo contro l’erba, facendo scaturire un tonfo morbido ed un verso di sorpresa da parte del ragazzo. Si morse appena il labbro inferiore, sistemandosi meglio accanto a Sebastian, mentre quest’ultimo ritornava alla sua posizione originaria sfoggiando un’espressione particolarmente soddisfatta; tutto il contrario di Blaine che, invece, sembrava più sul punto di sbottare qualcosa come “Non trattarmi come un cane.” Si lamentò infatti, posando le mani sul grembo ed inspirando a pieni polmoni.
“Infatti non sei un cane – replicò Sebastian – sei più un cucciolotto.”
Lo sbuffo sonoro che sentì un attimo dopo gli fece scappare una risata. Blaine non disse niente per diverso tempo, forse perchè non voleva rispondere, o meglio, non sapeva come farlo, o forse perchè ormai non gli dispiaceva nemmeno più di tanto essere zittito da qualche commento dell’amico, e almeno quella volta aveva evitato qualche battuta pungente.
Dopo qualche minuto, all’improvviso, si voltò di scatto verso di lui colto da un’illuminazione: “Ci mettiamo ad osservare le nuvole?”
Sebastian non lo degnò nemmeno di uno sguardo: “Faccio finta di non aver sentito.”
“Eddai, Seb! E’ divertente, e poi ci sono delle nuvole bellissime!”
“E poi dici di non essere un cucciolo? Va bene, Dio, va bene. Ma facciamo in fretta.”
Blaine si rimise composto –perchè lo aveva scosso un po’ per incentivarlo ad accettare- e senza nemmeno pensarci si era avvicinato ancora a lui ancora di più. Adesso le loro spalle si sfioravano, Sebastian aveva allungato le braccia lungo il corpo per non ostacolare quello dell’amico e... Amico. Si stupì della sua mente per aver usato quella parola.
“Guarda – incalzò Blaine, indicando una massa bianca ed informe dipinta sul cielo – quella che ti sembra?”
“Una nuvola.”
“Seb.”
“Una nuvola ubriaca? Ma che ne so Blaine, queste cose non le facevo nemmeno da bambino! E tu sei un bambino. Anzi, un cucciolo di bambino. O un bambino cucciolo, come preferisci.”
E fu in quel momento che Blaine assunse un’aria divertita, mentre con tono basso mormorò: “Sebastian Sebastian, devo proprio insegnarti tutto io.”
“Non ci provare Anderson, nessuno può imitare Sebastian Smythe.”
“Oh, peccato, mi pare di averlo appena fatto.”
Lo odiava. Assolutamente, lo detestava con tutto il cuore. O forse no. In realtà adesso lo stava osservando con la coda dell’occhio mentre il suo tipico ghigno si trasformava sempre più lentamente in un vero, puro, semplice e caldo sorriso. Ma lui sembrava troppo preso da quelle maledette nuvole per accorgersene e, diavolo, che cos’avevano quella massa di aria che lui non avesse? Non era mai riuscito a fargli scaturire uno sguardo così dolce; non era riuscito a farsi guardare in quel modo, come se fosse la cosa più bella che esistesse al mondo.
“A me ricorda un papillion.” Disse tutto ad un tratto, in modo spontaneo e divertito.
Ecco, con quel commento fu portato nuovamente alla realtà. “Poco gay mi dicono.” Mormorò infatti socchiudendo di nuovo gli occhi, mentre cercava disperatamente di calmare la pressione dei battiti del suo cuore.
“Mi sono sempre piaciuti.” Continuò lui, come se non avesse affatto sentito; eppure, parlava in modo lento e calcolato, quasi come se cercasse di mascherare qualche sentimento più oscuro. “Non ho mai avuto il coraggio di indossarli, nè di comprarli, ovviamente. Temo che...che siano troppo eccessivi, ecco. Ma non importa.”
“Sì che importa.”
Blaine vide il suo amico alzarsi a sedere, guardare il cielo; emise un piccolo sospiro, dopodichè si voltò verso di lui.
“La mancanza di qualcosa che si desidera è una parte indispensabile della felicità.”
Notando l’assenza di risposta, commento, o reazione da parte di Blaine, il ragazzo si apprestò ad aggiungere il nome dell’autore accompagnandosi con qualche leggero colpo di tosse.
“E’ una frase di Bernard Russel.”
Blaine non batteva ciglio: ecco, ora sì che si sentiva un completo idiota. Ma che gli era saltato in mente?! Bernard Russel. Quanto era idiota. E mentre la sua mente continuava a riempirlo di offese anche piuttosto colorite, Blaine spalancò gli occhi, le sue labbra che assumevano la forma di un sorriso misto a puro stupore.
“Sebastian Smythe...dolce?”
“No –sbottò immediatamente, secco-Ma che cavolo dici? No. Dio, non ti parlerò mai più. Volevo soltanto tirarti su di morale perchè avevi quell’aria da cucciolo bastonato e, oh, lascia stare.”
“Sebastian Smythe imbarazzato. –Mormorò allora lui, intenerito- Questo si è che un evento.”
Ci fu un lungo silenzio. Silenzio nel quale Blaine cercava lo sguardo dell’amico, e quest’ultimo sembrava perso in chissà quali pensieri. Alla fine lo guardò, avvicinandosi a gattoni, con gesti calcolati ed un’aria incredibilmente sensuale. Ad un centimetro di distanza dal suo respiro caldo e dalle sue ciglia lunghe, con tono serafico bisbigliò: “Sì, beh, solo per lei, signore, in un'esibizione prettamente privata."
Si guardarono negli occhi per dieci, lunghi, secondi. Infine, quasi in contemporanea, si allontanarono l’uno dall’altro, scoppiando in una risata.
Nessuno volle ammettere a se stesso quanto quel gesto fosse costato caro; nessuno voleva dar retta a quella parte del proprio cuore a cui sarebbe piaciuto colmare quella sottile distanza, invece di aumentarla.

 
Da quel giorno saltarono lezione quasi tutti i giorni. Alcune volte Blaine si opponeva, forse perchè si sentiva in colpa per i soldi spesi dai genitori; altre volte, invece, il suo unico intento sembrava essere l’analisi attenta e minuziosa di ogni sfaccettatura del viso di Sebastian: voleva vederlo sbuffare, sussurrare a voce torppo alta qualche commento cinico contro la professoressa, sghignazzare quando questa lo buttava fuori dall’aula con lui che, prontamente, si voltava dicendo:”Visto? Alla fine in un modo o nell’altro riesco sempre a saltare lezione, che tu lo voglia o no.”
E Blaine, in quei momenti, sorrideva. Perchè Sebastian poteva essere spavaldo, prepotente e a volte perfino arrogante, ma cominciava a vedere uno sprazzo di lui che non gli era del tutto indifferente.
Una volta, ad esempio, sembrò proteggerlo dalle avance di Drew, un ragazzo poco più grande e sicuro di sè: Blaine era stato adocchiato una sera, gli era stata offerta una birra, accompagnata da un sorissetto soddisfatto; quando il ragazzo tentò un approccio più diretto fu immediatamente interrotto da Sebastian, che cinse le spalle di Blaine spuntando quasi dal nulla, con quest’ultimo che lo fissava confuso e l’altro che li guardò accigliato, mormorando un “ciao Sebastian, ci vediamo ragazzi” e lasciandoli apparentemente alle loro faccende private. Almeno quella solitudine permise a Blaine di chiedere a Sebastian che diavolo gli fosse preso, ma lui sembrava seccato, arrabbiato, ce l’aveva con lui per qualcosa di non definito. O almeno, così sembrava agli occhi di Blaine; perchè non appena il suo amico soffiò qualche offesa nei suoi confronti, aggiungendo: “mi raccomando fatti rimorchiare da tutti gli idioti di questo campus”, restò semplicemente esterrefatto e le sue guance si tinsero leggermente di rosa.
“Dici che ci stava provando con me?”
Sebastian non lo degnò nemmeno di una risposta, o meglio, di una risposta verbale: perchè il suo sguardo era la cosa più eloquente possibile, e voleva dire: “Sì, genio, complimenti a te per aver scoperto l’America.”
Quando lo vide scostarsi da lui, dirigendosi da qualche parte in cerca di una nuova birra, Blaine restò immobile per diverso tempo, troppo preso dalle sue riflessioni per permettersi di fare qualsiasi altra azione: perchè Sebastian, in quel momento, aveva mostrato la stessa parte di sè che cercava costantemente di nascondere. E Blaine cominciava davvero ad apprezzare quel lato di lui.
 


Arrivò così la fine della terza settimana; i ragazzi avevano organizzato l’ennesimo falò sulla spiaggia, aumentando perfino le dosi di alcool e cibo perchè, ormai, mancavano sette giorni alla fine della vacanza e loro volevano godersela fino in fondo. Blaine era seduto accanto al fuoco assieme a Sebastian, come sempre; davanti a loro, Ashley stava raccontando la sua ultima impresa con un ragazzo del Kansas che, a detta sua, era negato a parlare quanto portato a letto. In verità quello che commentava di più era Sebastian, perchè non provava assolutamente nessuna vergogna, e poi conosceva Ashley dall’estate precedente dopo averle fatto capire, attraverso una dimostrazione pratica, che lui era solo ed unicamente interessato agli uomini. Si erano guardati, si erano fatti una risata e poi entrambi erano andati a cercare una compagnia più utile. Blaine si limitava a sorridere, non per timidezza, ma perchè non era esperto in quel settore e, per il momento, preferiva restarne fuori.
Dopo che Ashley aveva terminato tutti i dettagli più efficaci – che, in effetti, un paio di ragazzi omosessuali avrebbero anche voluto evitare -, gli altri ragazzi del campus afferrarono la chitarra già preparata per l’occasione e la misero in mano a Blaine, senza troppi convenevoli. Ormai sapevano tutti che sapeva suonare e cantare, e loro avevano bisogno di un ritmo in più per finire la quinta birra. Non era un problema per lui, gli piaceva esibirsi: il punto, però, era che voleva farlo con Sebastian. E lui ci provò davvero a dire di no, glielo fece capire in tutti i modi, era assurdo, era da idioti, era inutile e soprattutto non era affatto la situazione adatta, ma Blaine, con i suoi occhi caldi come il miele, lo guardò dicendo che quella era esattamente la situazione adatta, e che se non avrebbe cantato non gli avrebbe più rivolto parola per il resto della settimana. E lui, questo, non poteva permetterselo. Così, prendendo lunghi respiri, lunghi sospiri, con una smorfia accentuata ed un’espressione affatto convinta, accompagnò Blaine nella canzone, intonando le note con attenzione e mira, cercando di limitare i danni di quella che, lo sapeva, sarebbe stata una pessima figura. Ma non lo era: qualcosa, persa nel sorriso di Blaine, e nella sua voce che diventava vellutata e dolce, gli fece capire che stava andando nella direzione giusta.
Ed era una sensazione strana, ostentare le proprie emozioni in quel modo, rivelarsi per quello che era veramente: Blaine sembrava talmente a suo agio, nella sua sincerità, che il suo cuore non riuscì a trattenersi dall’ammirarlo, perchè un ragazzo come lui era più unico che raro, e gli sarebbe mancato davvero tanto.
Già, gli sarebbe mancato. Questo disse, quando la serata fu in prossimità della conclusione, e loro due stavano raccattando qualche bicchiere avvolto nella sabbia. Un po’ appartati dal resto del mondo, troppo disattento, troppo ubriaco per badare alla loro conversazione; Sebastian la trovò l’occasione migliore per dirgli quello che celava da ormai una settimana.
“Mi ha fatto piacere cantare con te.”
Blaine rialzò lo sguardo, un po’ sorpreso da quello slancio di onestà, un po’ lusingato e sì, anche felice.
“Anche a me. Non è stato affatto brutto, no?”
“No”, ammise lui, esitando nei suoi stessi pensieri. No, tutt’altro. “Sono contento – aggiunse qualche secondo dopo – perchè voglio che tu ti ricordi della mia voce. E poi sono sempre stato un tipo molto teatrale, e quello è stato un ottimo finale di scena.”
"Ma che stai dicendo? Abbiamo ancora una settimana per..."
E poi lo guardò. Perchè se quel silenzio era stato sufficiente ad interromperlo, la sua espressione lo immobilizzò del tutto.
"Me ne vado, Blaine. Parto per la Francia con i miei."
Respirò. Doveva, altrimenti si sarebbe scordato di farlo.
"...Quando?" Tentò di essere naturale. Ci provò davvero; ma quando Sebastian rispose “domani”, con una naturalezza davvero invidiabile, qualcosa dentro di lui si spezzò completamente, come se avesse appena ricevuto una pugnalata al cuore: rapida, letale.
"Che c'è? – Esortò Sebastian, totalmente disinvolto, quasi con quel suo classico sorrisetto irritante - Non sei contento di non avermi più frai piedi? Adesso ti dispiace anche che me ne vada?"
"Ma certo che mi dispiace.” Parlò a denti stretti, le mani serrate a pugno: perchè era davvero sull’orlo di perdere la pazienza, e lui...
“Sei un idiota."
"Io, un idiota?”
"Sì Sebastian, sei un vero idiota!”
Non capiva: che cavolo voleva dire? Non riusciva a decifrare la sua espressione; eppure, dopo qualche attimo di pausa, la verità uscì fuori, senza che nessuno dei due potesse evitarlo.
“Prima diventi mio amico, poi mi fai passare tre splendide settimane, e ora te ne vai via così, e me lo dici come se nulla fosse?"
"E che dovevo fare?! –Sbottò allora lui, alzando le braccia a mezz’aria - Appendere dei manifesti?! Siamo AMICI Blaine, lo hai detto tu stesso quella volta. Non è che dobbiamo scambiarci un lungo addio in riva al mare!"
Sembrava sul punto di scoppiare. E Sebastian invece si faceva sempre più freddo, mentre diceva: "E' questo il brutto dell'amicizia: non potrai mai sapere quando ti tradirà. E dovevi aspettartelo, Blaine, soprattutto da uno come me."
Non voleva credere a quelle parole.
"Quindi...per te sono solo un tizio qualunque? Un tipo incontrato a caso una serata d'estate, con cui hai passato del tempo perchè non avevi nient'altro da fare?"
Si guardarono. Ma poi, Sebastian sviò lo sguardo. Perchè forse, mormorando “è così”, era anche riuscito a dire la menzogna giusta; ma non sarebbe mai riuscito a resistere a quegli occhi chiari, non quando sembravano così persi e devastati, non con quel bisogno impellente di abbracciarlo che stava incendiando il suo cuore. Vide Blaine sorridere, sarcastico. Lo vide emettere un verso che sapeva di incredulità e delusione, dopodichè vide le sue spalle tese, perchè si era voltato, si stava allontanando da lui senza dire nessun’altra parola.
Sebastian non poteva dirgli che aveva anticipato il ritorno di una settimana, semplicemente perchè non ce la faceva più a stare lì. Non poteva digli che adesso vedere la sua schiena era un pugno sul cuore, perchè voleva correre, stringerlo, e baciarlo. Dio, voleva baciarlo con tutto se stesso. E la parte sessuale della cosa era lontana migliaia di anni luce da lui, perchè Blaine non era così, lo vedeva in modo diverso, era dolce e speciale. E lui aveva paura di questo. Ne aveva così paura, da esserne paralizzato.
Perchè, per lui, non era mai stato un amico. All'inizio non era stato niente. Poi era stato qualcosa. Adesso era strano. Adesso era quasi tutto.
Era meglio che si erano salutati così, senza gloria: dopotutto, non si sarebbero più rivisti. Niente mail, niente numero di cellulare. Niente sguardo confuso che lo guardava come per dire "sei scemo o soltanto fumato?" niente occhi enormi, dolci, dorati, caldi, stupendi, irresistibili. Niente labbra morbide e sensuali che si incurvavano all'insù, anche quando non dovevano.
Niente più Blaine.
E la sola idea lo torturava.
 

A volte la migliore soluzione è, come sempre, lasciar perdere il resto del mondo, e concentrarsi unicamente sulle proprie sensazioni; a volte era meglio non lasciarsi andare con un ragazzo che sembrava dolce, intelligente e affidabile, magari, sperando anche in qualcosa di più di un’amicizia. Perchè ci aveva pensato: erano giorni che ci pensava, e per questo Blaine si sentiva ancora più idiota.
Aveva passato la notte rannicchiato sotto alle coperte del suo letto, senza proferir parola. Ashley non lo aveva disturbato, e nessun altro era venuto ad infastidirlo perchè, in fondo, a chi poteva interessare di uno come lui? Nessuno. Ecco, nessuno. Le luci del mattino ormai filtravano in modo insistente attraverso le persiane della finestra, e lui voleva soltanto essere lasciato da solo.
Ma non fu così. Perchè, a volte, non bisogna diffidare troppo dalle apparenze che ci mostra la vita.
Qualcuno bussò alla porta; ipotizzò che fosse Ashley, con qualche ragazzo, oppure, perchè aveva dimenticato qualcosa. Di certo non si aspettava di trovarsi con ai piedi un rotolo di fogli appuntato con un piccolo e delizioso papillion. Di certo non si aspettava di leggere di nuovo quella calligrafia, in un modo che non finiva più, perchè i fogli erano tanti, e si ripetevano, sembravano non finire mai fino a quando trattenendo il respiro lesse: “Le ventuno cose che mi mancheranno di te.” Ventuno, come i giorni che avevano passato assieme. E c’era compreso tutto, dalle cose più stupide, quelle che lo fecero sorridere – come il punto che riguardava i suoi meravigliosi pantaloncini da ginnastica -, a quelle più piccole, quelle che quelle che, in nessun modo, non avrebbe mai sperato di trovare: tipo la descrizione dei suoi occhi, o del suo sorriso, o perfino delle sue guance quando si imbarazzava per qualcosa, –in realtà, c’era scritto qualsiasi cosa-. E poi arrivò all’ultimo punto, un po' distaccato, scritto in modo più affrettato e, forse, anche indeciso.

21. Mi mancherà non vederti alla stazione dell'autobus per salutarti come si deve, e per dirti che sono un vero, totale, completo e indiscutibile idiota. Non pensavo ad una singola parola di quello che ti ho detto ieri sera. Quello a cui pensavo in verità, Blaine, era che mi mancherai. E leggi bene perchè questo non ho intenzione di riscriverlo: questa è stata l'estate più bella della mia vita. Cercavo sesso, e invece ... ho trovato qualcosa di meglio. Qualcosa che nessuno mi aveva mai fatto provare. Mi dispiace per come siano finite le cose. Ma forse, è meglio così.
Sebastian

 
 
 
Il parcheggio era deserto. Lui era in largo anticipo, ma perfino il conducente del pullman si era dileguato per andare al bar a prendersi un caffè. Il rumore delle onde del mare era praticamente impercettibile e assomigliava ad un vago ricordo, piuttosto che ad una realtà: Sebastian era da solo.
E lo fu per diverso tempo. Così tanto che, seduto nella panchina di fronte all’autobus, congiungendo le mani in paziente attesa, ebbe anche il tempo di riflettere, di ripensare al messaggio che aveva scritto, di domandarsi se fosse arrivato a Blaine. Una parte di lui lo immaginò leggere il titolo, controllare la firma e un secondo dopo strappare il papiro in mille pezzi, con un ghigno perfido ed una porta sbattuta con veemenza. No, c’era una cosa che non tornava: il ghigno non era da Blaine.
Sperò. Che cosa strana, non lo faceva da tempo. Ma sperò con tutto il cuore che lo avesse letto e che, almeno un poco, fosse riuscito a perdonarlo; chissà, magari, un giorno o l’altro, si sarebbero reincontrati e si sarebbero salutati come se nulla fosse. Avrebbero ricordato gli aneddoti di quell’estate, avrebbero riso ripensando a quanto erano stati piccoli e scemi. Però, dopo qualche esitazione, avrebbero ammesso di essere stati bene.
Il rumore di passi che si avvicinava gli sembrò soltanto il seguito di quella sottospecie di allucinazione, perchè non c’era nessuno in quel parcheggio, lui era solo, e il ragazzo che adesso aveva di fronte non poteva essere Blaine. No, affatto: Blaine non avrebbe avuto quello sguardo così vivo, Blaine non avrebbe emesso quei respiri così sconnessi ed agitati, perchè, insomma, non c’era motivo di esserlo, no?
“Che ci fai qui?”
Fu costretto a chiederlo. Perchè, per quanto gli piacesse mentire a tutti, soprattutto a se stesso, quello che aveva davanti era veramente Blaine: lo stava guardando dall’alto verso il basso, forse, per la prima volta. Voleva quasi dirgli di non approfittare del fatto che fosse seduto e lui in piedi, perchè, insomma, era un po’ sleale.
Ma poi, qualsiasi cosa avesse intenzione di fare fu improvvisamente cancellata quando vide Blaine avvicinarsi di scatto a lui, afferrare le sue spalle con dolcezza e tenacia, congiungere le loro labbra in un bacio che era impulsivo, perfetto, ed incredibilmente reale. Non era freddo, ma provocò lo stresso dei brividi. Non era affrettato, ma rivelava tutte quelle parole che non si erano detti in quei giorni, e forse anche qualcosa di più.
Sebastian ci impiegò davvero molti secondi prima di accorgersi che, sì, stava succedendo, e lui forse doveva fare qualcosa prima che Blaine ci ripensasse di colpo e si staccasse da lui: afferrò i suoi fianchi con una delicatezza che era in netto contrasto con i baci che si stavano scambiando, e Blaine in risposta si avvicinò ancora di più, sorridendo, e quel gesto arrivò in modo diretto sulle labbra di Sebastian, tanto da influenzarlo.
Mentre i loro corpi furono costretti a prendere dei lunghi e profondi respiri, Sebastian socchiuse gli occhi, come concentrato a imparare il sapore delle labbra di Blaine.
“E’ molto teatrale – commentò, con un sussurro – noi due che ci salutiamo così, per non vederci mai più.”
Blaine inclinò leggermente la testa da un lato: “Non è detto che non ci vedremo mai più.”
“Anche se fosse, non ci ricorderemo l’uno dell’altro, oppure, faremo finta di non conoscerci. Tutto questo, queste tre settimane, non saranno mai esistite.”
“E perchè mai?”
Si guardarono, prima di scambiarsi un altro, tenero, sorriso.
“Quello che succede a Norfolk resta a Norfolk, giusto?”
“Giusto.” Fece Blaine, accarezzandogli una guancia con la punta delle dita.
Si baciarono, per l’ultima volta.
 



 
"Ciao, mi chiamo Sebastian Smythe."
Due anni. Diavolo, erano passati due anni. Sebastian stava facendo appello a tutte le sue forze per non baciarlo lì, davanti a tutti, nel bel mezzo della sala canto della Dalton. Perchè Blaine era lì, di fronte a lui, ed era sempre lo stesso: aveva ancora quell’aria da cucciolo smarrito ed i suoi occhi riuscivano ancora a farlo sciogliere.
"Ciao." Afferrò la sua mano, sembrando quasi confuso. Andiamo, Blaine, pensò Sebastian, rafforzando la presa un secondo prima di lasciarla: doveva fingere almeno un po' di più, dire qualcosa di anonimo, come se si vedessero per la prima volta.
"Sei uno del primo anno?"
Beh, non così anonimo. Quello in verità assomigliava più ad una grandissima cazzata. Non riuscendo a trattenere una risata lo guardò esclamando: "ti sembro uno del primo anno?"
Pessima, pessima finzione. Era sempre stato pessimo a mentire, ma in quell’occasione doveva impegnarsi un po’ di più, se voleva renderlo credibile.
E poi, qualcosa dentro Sebastian scattò, come una molla di un meccanismo di autodifesa. Come un’idea, che solo allora cominciava a prendere forma. Quello era Blaine, certo; tuttavia, c’era qualcosa, in lui, che...
Era il modo con cui sorrideva. Era l’espressione con cui lo stava guardando: era strana, incolore. Tutto quello, lui, non riusciva a riconoscerlo.
Due anni.
Blaine stava fingendo, vero?
 
 



***


Angolo di Fra

Ci tengo a spiegare perchè io abbia scritto questa storia.
Faccio parte di quel gruppo di Klainers (sì, sono una Klainer, una Klainer convintissima a dire il vero) che non ha girovagato su tumblr leggendo messaggi polemici di seblainers che volevano usare questa week per ripicca, quindi quando ho saputo di questa settimana l'ho presa soltanto come un incentivo per una parte del fandom a scrivere qualcosa per la loro ship, com'è avvenuto per la klaine, la faberry, la kurtofsky o la finchel. Il fatto che questa settimana sia stata adiacente alla Klaine-week può essere stato fatto, forse, per ripicca alle Klainers, per le troppe ff pubblicate in questo periodo, o perchè siamo il fandom più popolare (almeno su EFP, francamente del mondo americano ne so poco)? Diciamo solo che capisco le persone che l'hanno vista in questo modo, così come capisco le loro lamentele. Ma d'altra parte capisco anche le lamentele di quelle ragazze (ripeto, di EFP, parlo sempre e solo di EFP, del resto non so nulla e non me ne voglio interessare visto che il mio mondo è questo) che, magari, volevano soltanto scrivere qualcosa, e invece leggono messaggi pieni di insulti oppure piani per essere boicottate.
Io, semplicemente, sono dell'idea che ci sarà sempre qualcuno che farà shipwar, ci sarà sempre qualcuno che fa le cose per ripicca o "cerca la rissa", come si dice da noi. Ma voglio sostenere quella minoranza ( o maggioranza, non saprei? ) che lo fa solo e soltanto per la voglia di scrivere, che non insulta, che è dispiaciuta per questa situazione e che vorrebbe un fandom unito o, quanto meno, rilassato. So che è un'utopia, ma visto che tutti hanno preso la loro posizione (chi è scocciato per la seblaine week , chi era scocciato per la klaine week), io prendo la mia.

E mi permettete di dire una piccola, piccolissima cosa, visto che io stessa sono stata attaccata per aver detto che non ho tutto quest'astio verso la seblaine week?
Stiamo parlando di fanfictions. Stiamo parlando di storie scritte da adolescenti, per adolescenti, PER HOBBY. Non è la corea del Nord contro quella del Sud. Prima di arrabbiarvi per una cosa creata da un gruppo di fans per un TELEFILM, pensateci due volte.

Questa OS è dedicata a IrishMarti, e a tutte le ragazze che scrivono per il piacere di farlo e si sono sentite ferite per alcune frasi che hanno letto. Da parte di quelle Klainer che la pensano come me, permettetemi di dire che mi dispiace.
   
 
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