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Autore: Imaginary82    22/03/2012    1 recensioni
Uno squillo. Un messaggio. Un sorriso in grado di illuminare anche una triste e grigia mattinata di Dicembre come quella. Una di quelle mattine in cui il freddo ti entra nelle ossa rendendo difficile qualsiasi movimento. Eppure lei sembrava quasi accaldata mentre, con dita tremanti, componeva una breve risposta. Gli occhi proiettati in avanti, lo sguardo che aveva già raggiunto il punto lontano da cui sarebbe comparso un anonimo treno. Anonimo per molti ma non per lei.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A domani...


A domani...



È sempre lei. Impossibile non ricordarla. Quindici giorni fa camminava irrequieta avanti e indietro lungo la banchina che costeggiava il binario sei, sussultando ogni volta che quel gracchiante altoparlante emetteva un suono. Ed era chiara e sconcertante l’espressione di delusione all’annuncio di un treno diverso da quello che attendeva.

Uno squillo. Un messaggio. Un sorriso in grado di illuminare anche una triste e grigia mattinata di Dicembre come quella. Una di quelle mattine in cui il freddo ti entra nelle ossa rendendo difficile qualsiasi movimento.  Eppure lei sembrava quasi accaldata mentre, con dita tremanti, componeva una breve risposta. Gli occhi proiettati in avanti, lo sguardo che aveva già raggiunto il punto lontano da cui sarebbe comparso un anonimo treno. Anonimo per molti ma non per lei.

Un rapido sguardo attraverso uno specchietto a forma di farfalla, due buffetti sulle guance ad accentuare un rossore già presente, per il freddo, per l’attesa.

E poi finalmente…

Mentre l’ammasso di ferraglia, arrugginito e ricoperto da variopinti schizzi di colore di qualche ragazzino annoiato, faceva il suo ingresso in stazione e la gente si affannava per raggiungere, carica di bagagli, il punto in cui sarebbe dovuta salire per intraprendere un viaggio che sarebbe stato molto più breve di quello degli altri occupanti del treno, lei era ferma. Immobile e sorridente.

Piccole nuvolette bianche si condensavano davanti alle sue labbra naturalmente rosse, il respiro era visibilmente affrettato e mi ritrovai, di riflesso, a respirare affannosamente anche io.

Lo stridio dei freni sulle rotaie sembrava una dolce melodia, dal modo in cui i suoi occhi si socchiudevano, come per assaporarla meglio.

Una delle porte si era fermata proprio davanti a lei che aveva piegato di lato testa per scorgere il suo viso attraverso il vetro  ricoperto da uno spesso strato di polvere e grasso.

Finalmente insieme ma ancora lontani, separati solo fisicamente da quel treno che li aveva riuniti. Non potevo vederlo con chiarezza ma, lo sapevo, si stavano già abbracciando con gli occhi.

Era sceso per primo, con calma, senza staccare lo sguardo da lei, che se ne stava ancora ferma, immobile, come se raggiungerlo e toccarlo lo avesse fatto dissolvere. Si era girato un attimo indietro, ad aiutare un’anziana signora con un pesante bagaglio, in un gesto talmente naturale che sembrava fosse solito compiere, e la donna non finiva di ringraziarlo, benedicendolo ed augurandogli ogni bene. Tipico di una vecchietta del sud. Lui sorrideva un po’ imbarazzato e un po’ impaziente di poter raggiungere lei, alla quale lanciava eloquenti sguardi e promettenti sorrisi.

Girarmi fu spontaneo. Non volevo invadere il loro spazio, non volevo intromettermi in quell’attimo che doveva essere solo loro.

Mi ero rigirata dopo poco, fallendo miseramente nel mio intento.

Li avevo ritrovati abbracciati, finalmente. Il viso di lui affondato nella piega del collo di lei, le mani di lei a circondare il capo di lui. Immobili insieme, con i soli cuori che battevano all’unisono. Potevo sentirli. Sapevo bene com’era quel suono. E sapevo bene anche cosa voleva dire quell’abbraccio. Era un attimo che serviva per cercare di contenere la voglia l’una dell’altro, quella voglia di ignorare cose, persone e luoghi.

Era stata lei a staccarsi per prima, per guardarlo meglio in viso, per riscoprire quei tratti che amava: gli occhi, il naso perfetto, le labbra morbide, quella piccola cicatrice che gli adornava la fronte, probabile ricordo del suo essere un bambino vivace.

Ma era stato lui che si era avventato sulla bocca di lei, premendole addosso fino a piegarla, piccola e arrendevole. Le mani che scendevano sulle braccia, infastidite dai pesanti vestiti, il palmo che premeva sulla sua schiena per avvicinarla ancora di più.

Quell’impercettibile e tutt’altro che involontario strofinio dei lombi, volto a calmare bollori alimentati da giorni, settimane, mesi di astinenza, o semplicemente ad alimentarli in modo che sarebbero esplosi una volta arrivati a casa, senza nemmeno perdere tempo a raggiungere il letto o anche il divano, una sedia, il tavolo. Bollori che li avrebbero incendiati lì, poggiati al muro, con i vestiti addosso e l’urgenza nel cuore. Urgenza di amarsi, di prendersi, di imprimersi l’uno sulla pelle dell’altra.

Questo e tanto altro era così evidente dai loro volti, dai sorrisi che si scambiavano mentre, mano nella mano, lasciavano la stazione.

Mi aveva fatto male vederli, allora. Mi fa più male. Adesso.

Il viso della ragazza non è colorito, sembra pallido e segnato. Probabilmente da una notte d’amore e di pensieri e di promesse sussurrate con il dolore dell’addio. Il modo in cui getta sguardi al punto da cui, a minuti, comparirà il treno, non è carico di aspettativa e di impazienza, ma di ansia e angoscia.

Lui è silenzioso, la guarda appena, fa finta di controllare i bagagli, il biglietto, di non aver dimenticato nulla. In realtà l’unica cosa che ha dimenticato è come fare a lasciarla, come fare a dirle un arrivederci  che non sa quando li rivedrà di nuovo insieme.

Mentre il treno fa il suo ingresso in stazione, già colmo di addii pronunciati, di promesse sussurrate, di separazioni dolorose, lui l’abbraccia. Il movimento è rapido, disperato ed io non riesco a trattenere una lacrima, che scende piano, facendomi sentire distintamente il bruciore che provoca sulla pelle fredda del viso.

Le sue, invece, scendono velocemente, amare e salate. Lui le asciuga le guance con i pollici e le sussurra un “ti amo” spezzato a metà da un leggero bacio sulla bocca.

I passeggeri si affrettano a salire, si passano bagagli e si affannano ad occupare il proprio posto.

Lui sembra quasi volerlo perdere quel treno e rimanere con lei, a baciarla, a fare l’amore in quel modo tutto loro di farlo. Come se ogni volta fosse la prima…come se ogni volta fosse l’ultima.

Ma mentre il capotreno comincia a fischiare, i due si separano. Lui sale e si gira giusto in tempo per mimarglielo di nuovo con le labbra, mentre la porta si chiude. In quel momento, quando lui non può più sentirla, le lacrime silenziose diventano rumorosi singhiozzi ed i passi si affrettano per seguire il movimento del treno che, ancora una volta, lo porta lontano da lei.

Nonostante le lacrime, lei gli sorride ed io lo sento, ciò che vuole dirgli.

“Ti amo…non preoccuparti, ce la farò ed appena sarà possibile sarò di nuovo qui ad aspettarti…sempre”.

Il treno abbandona il suo incedere lento e comincia la sua spietata corsa.

Lei si ferma un attimo. Fruga nella borsa ed afferra il cellulare, selezionando il numero e portandoselo all’orecchio.

Quando passa svelta davanti a me, riesco a sentire solo: “Hey…”.

Mi chiedo se abbia già telefonato a lui, per sentirlo, per chiedergli se si è sistemato, chi sono i compagni di viaggio…come facevo io…

Quando anche lei va via, il binario rimane improvvisamente vuoto. Anche oggi.

Prendo il mio telefono e scorro la lista dei messaggi…

“A domani…”

Lo rileggo come se potesse nascondere altro, come se potesse rivelarmi qualcosa che non so, che non ho capito. Ma l’unica cosa che so, che è chiara, è che quel domani è stato l’ultimo giorno che l’ho visto.

Mi alzo in piedi e mi guardo intorno come se ci fosse qualche speranza.

Nessuno…

M’incammino verso il sottopassaggio, pensando solo al giorno in cui non scenderò questi gradini da sola, al giorno in cui lo vedrò scendere di nuovo da quel treno.

E quel giorno io ci sarò.

Ci sarò sempre.




   
 
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