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Autore: theGan    22/03/2012    1 recensioni
Con il tempo era diventato parte della sua routine quotidiana: alzarsi ogni mattina prima dell’alba, lucidare le sue pistole, controllare il perimetro della scuola e, infine, odiare Lebeau. [Lucas Bishop talking about Remy Lebeau]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remy LeBeau/Gambit
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era perfettamente logico che odiasse Lebeau.
Con il tempo era diventato parte della sua routine quotidiana: alzarsi ogni mattina prima dell’alba, lucidare le sue pistole, controllare il perimetro della scuola e, infine, odiare Lebeau.
In parte perché c’era la concreta possibilità che si trattasse del traditore destinato a causare la fine degli X-Men e l’inizio del suo terribile futuro.
Soprattutto era a causa del suo atteggiamento in generale.
Lebeau aveva la straordinaria capacità di irritarlo senza sforzarsi. Il modo in cui sorrideva, per esempio, come se non avesse un problema al mondo, faceva venire voglia a Lucas di strangolarlo sul posto.
Non era tanto che Lebeau fosse stupido, era che si comportava come tale.
Più di una volta si era ritrovato a pensare: “Il Testimone non si sarebbe comportato così” o “Il Testimone non avrebbe gridato SORPRESA ad un compagno di squadra sull’orlo di un precipizio ghiacciato”.
Anche se, doveva ammettere almeno a se stesso, il Testimone aveva sempre avuto uno strano senso dell’umorismo. Come la volta in cui lo aveva abbandonato nel deserto senza preavviso solo perché aveva osato rispondergli a tono.
Ciò nonostante, Lucas aveva sempre considerato il Testimone la persona più affidabile che avesse mai conosciuto.
In sintesi: il completo opposto di Lebeau.
Si trattava davvero della stessa persona dopotutto?
All’inizio non aveva avuto dubbi al riguardo, perciò non si era sentito minimamente in colpa a puntargli una pistola alla tempia e cercare di farlo fuori sul posto.
Ovviamente glielo avevano impedito e da quel momento in avanti, con la certezza dell’identità futura di Lebeau che si disfaceva fra le sue dita, si era trovato spesso a rimpiangere che lo avessero fatto.
Una vita risparmiata non valeva davvero tutto quello stress.
Onslaught aveva cambiato le carte in tavola.
Ora non era solo incerto sul futuro di Lebeau, ma persino che il Testimone fosse davvero il traditore che aveva sempre sospettato.
Tutti quegli anni trascorsi ad odiare il vecchio per qualcosa di cui invece era stato vittima…
No.
Lucas aveva interrotto quella catena di pensieri con un senso di orrore crescente: aveva iniziato ad odiarlo ben prima di iniziare a sospettare il suo coinvolgimento nella morte degli X-Men.
Il Testimone era stato come un padre per lui.
Non uno spettacolarmente buono, ma uno presente sia per lui che per Shard in un mondo dove nessun altro adulto, fatta eccezione per la loro nonna, lo era stato prima.
Era estremamente severo nelle sue punizioni ed aveva le mani più sporche di sangue che Lucas avesse mai visto, ma c’erano dei momenti in cui i suoi occhi si riempivano di un lontano affetto e con un sorriso strascicato porgeva loro del raro, autentico cioccolato che aveva recuperato da chissà che parte (probabilmente un chissà che parte del mercato nero).
Con la maturità del suo io adulto, Lucas finalmente lo riusciva a vedere chiaramente: un vecchio triste e solo, tradito così tante volte dalla vita da trovare solo nella rabbia e nella disperazione la forza necessaria per andare avanti.
A volte si domandava se la goccia che aveva fatto traboccare il vaso fosse stata l’abbandono suo e di Shard.
A volte si domandava se sarebbe davvero cambiato qualche cosa o se fosse stato comunque troppo tardi per essere aiutato o salvato.
A volte si domandava perché diavolo, in fondo, avrebbe dovuto essere una sua responsabilità.
Spesso si chiedeva quando si sarebbe deciso a smetterla di giustificarsi.
E ancora Lebeau era lì. Lì con la sua insistenza perché lo chiamasse Remy, lì con i suoi disastrosi tentativi di instaurare un qualche tipo di amicizia virile, lì con la sua peculiare tendenza (per l’orrore di Lucas) a chiamarlo “chèr”. Sorridendo come un idiota per tutto il tempo.
Forse non era il traditore che aveva temuto, ma Lucas non era semplicemente in grado di conciliare l’immagine dello scaltro ladro con quella del suo severo padre adottivo.
Al solo pensiero la testa iniziava a girargli e le nocche delle mani gli si facevano bianche a forza di stringere convulsamente il grilletto della pistola.
Lebeau era irrimediabile.
Così aveva iniziato a chiamarlo Gambit.
All’inizio il ladro ne era parso meravigliato e compiaciuto, ma quando aveva afferrato il motivo dietro questo suo improvviso cambio di atteggiamento si era chiuso di nuovo come un riccio.
Non si trattava di un segno di riconoscimento da parte sua, piuttosto riferirsi a lui come Gambit rappresentava la sua decisione di recidere una buona volta ogni connessione rimasta tra il Lebeau presente e quello futuro. La decisione di tagliare i legami tra il poliziotto Alfiere ed il ladro Gambit una volta per tutte.
Lucas non riusciva a sopportare la somiglianza nemmeno nei nomi.
Lebeau era stato un uomo da temere e rispettare. Non uno sciocco che impiegava il suo tempo libero a flirtare con le ragazze ed a frequentare bar malfamati.
Aveva finito per arroccarsi così tanto sulle sue posizioni da non notare, inizialmente, i segnali.
A volte i sorrisi di Lebeau parevano abbastanza larghi da fare male, ma non abbastanza da raggiungergli gli occhi. A volte sul suo viso compariva un’espressione tormentata che a Lucas suonava dolorosamente familiare.
Combattere, perdere, vincere, discutere, soffrire, vivere accanto a quel giovane uomo, lentamente aveva cambiato il suo modo di percepirlo.
Lebeau non era più il marmocchio fastidioso e rumoroso che ingigantiva la sua ulcera, ma un ragazzo distorto che nonostante una vita da incubo, ancora cercava di fare la cosa giusta (anche se, ad essere onesti, faceva abbastanza schifo nel farla).
Il pensiero lo intrigava e terrorizzava allo stesso tempo.
Che cosa avrebbe dovuto fare?
Andargli incontro ed aiutarlo a mettere in quadro quel casino che era la sua vita?
Ne aveva poi il diritto dopo aver rifiutato sia lui che il suo io futuro?
Poteva davvero fare qualcosa senza finire per peggiorare una situazione già di per sé instabile?
No. Non c’era niente.
Era troppo tardi per essere di supporto o per cercare in lui le tracce di quel padre che aveva prima rinnegato e poi perduto. Non sarebbe stato nemmeno giusto.
Persino una semplice amicizia gli suonava strana dopo anni di rabbia e sfiducia.
Erano per sempre destinati ad essere più che conoscenti, ma meno che amici, forse compagni era il termine più adatto a definire il loro complesso rapporto.
Non era sicuro di quale fosse la sua posizione nella vita di Lebeau nemmeno ora, mentre il ladro, incatenato ad una roccia (decisamente gigantesca neanche fosse stato un eroe greco o altro), gli stava chiedendo di ucciderlo.
Stava chiedendo ad Alfiere di ucciderlo.
E che, preferibilmente, si desse una mossa a farlo, accidenti.
Non voleva farlo.
Uccidere Lebeau ora era l’unico modo per salvare la Terra dalla distruzione o la conquista da parte di un imperatore megalomane, ma non voleva essere lui a farlo.
C’erano troppe cose lasciate non dette tra di loro, vecchie ferite da riparare, spiegazioni da dare, luoghi da visitare insieme (come quello strip bar in cui Lebeau lo aveva trascinato anni prima).
Voleva ancora chiedergli cosa lo avesse trasformato, alla fine, nello spietato dirigente della Stark-Fujikawa.
Doveva dirgli che non lo odiava più.
Che finisse così era semplicemente inaccettabile.
Non voleva essere quello a premere il grilletto, quindi esitò e lo stretto margine di possibilità si chiuse definitivamente.
Fece fuoco troppo tardi, ma fece fuoco comunque. Un suono vuoto rimbombò nell’antico salone.
Il proiettile si fermò a metà strada, bloccato da una parete di energia cinetica.
La Terra era ancora in pericolo e Lebeau era ancora vivo.
Per qualche ragione Lucas si scoprì grato di questo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                     
 
 
 
NOTE:
 
Okay, prima di tutto non so nemmeno io cosa ho scritto. Ieri per qualche strana ragione ho afferrato penna e quaderno e mi sono messa a scarabocchiare in un inglese appena comprensibile la seguente storia. Che poi di storia non si tratta… Dopo aver ricontrollato la mia vecchia one-shot su Corriere mi sono domandata: non sarebbe bella una serie di storie in cui vari personaggi del Marvel Universe descrivono Gambit, o il loro rapporto con il suddetto?
Ovviamente è partito lo sclero…
Proprio perché lo sclero è partito in inglese mi domando se il mio auto adattamento in italiano sia comprensibile… odio tradurmi da sola. Quando scrivo di solito immagino le frasi e gli effetti per una data lingua, i miei adattamenti mi lasciano sempre piena di dubbi sulla qualità della storia.
Accidenti ho bisogno di una beta per l’inglese argh!
 
Ho scelto Alfiere soprattutto a causa del mio odio più assoluto nei confronti del reboot delle sue origini nei fumetti più recenti…. chissene di Hope! Voglio Alfiere! Dannati Marvel-trolls che stuprano i personaggi della mia infanzia…
Ah! Se qualcuno se lo stesse chiedendo l’ultima parte fa riferimento a X-Treme X-Men consigliatissimo come lettura tra l’altro.
 
Una recensione, anche piccola, anche di un solo smile è un balsamo per le mie pupille e per la mia sintassi, quindi se avete resistito fino a qui…. please…. (occhi pucciottosi alla massima potenza)
  
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