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Autore: thewhitelady    22/03/2012    4 recensioni
1993-2009
Come deve essere vivere la storia degli Oasis e della scena rock britannica dagli anni 90' ad oggi? Cassandra Walsh è forse l'unica persona al mondo a saperlo. In più in tutto il caos della sua vita di sex, drugs, and rock n roll sa solo una cosa, che a volte il posto migliore da cui godersi un concerto è da dietro il palco.
Per chi ama gli Oasis e quei due pazzi fratelli, ma anche solo per chi ha sentito una volta nella vita Wonderwall o Don't Look Back In Anger e vuole scoprire chi sono Liam e Noel Gallagher. Per chi ha nostalgia dell'atmosfera degli anni '90, e chi neppure l'ha vissuta davvero. Per chi ama gli aneddoti del rock e della musica. Una canzone per ogni capitolo. Cheers!!
Gruppi/Artisti che compariranno: Oasis, Blur, Pulp, Red Hot Chili Peppers, Radiohead, Kasabian, Paul Weller, The Stone Roses, The Smiths, Travis, Arctic Monkeys (un po' tutti)
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Gallagher, Noel Gallagher, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Your pussy's glued to a building on fire
I paint my mind just 'cause I'm alive

- Colin? -.
Dall'altro capo del telefono udii vari rumori, fruscii, un'imprecazione quando chi teneva il ricevitore andò a sbattere contro qualcosa, una porta o un mobile. - Sei Cass? - replicò, era la prima volta che gli sentivo fare quel tono di voce irritato. Allora era umano!
- Sì, sono i... -, non mi fece finire.
- Hai una vaga idea di che ora sia?! - mi sibilò contro, mentre sentivo una sedia venir trascinata sul pavimento.
Guardai l'orologio da polso, accorgendomi troppo tardi dell'ovvio, mi sentii in colpa un po', ma neanche troppo, - Sei tu che vai a letto con le galline – ghignai, mentre uno sbadiglio veniva attutito dal ricevitore, dall'altro lato. Avevo praticamente la faccia indignata di Gem davanti, - Sono le dannate quattro del mattino! - fece esasperato, prima di fare un altro sbadiglio, poi con voce impastata, ma mansueta come al solito, mi chiese: - Sei in America? -
- Nella città degli angeli, baby -.
- Hai combinato qualche casino? -, continuò, - Devo chiamare un avvocato? -
- Sono una roadie, non una rockstar -
- Sì, ma sei pure una casinista -. Ok, stava sorridendo.
- Voi lì, piuttosto, come state? -
- Se proprio vuoi saperlo, dormivo molto bene prima che mi svegliassi. E anche Lou, che, per inciso, ha detto che preferibbe che mi facessi un'amante piuttosto che continuare a vedere te, almeno un'amante non avrebbe la sfacciataggine di chiamare in piena notte -.
Adoravo la Signora Archer.
- Se invece ti riferisci ai casini che stanno combinando i tuoi fratelli preferiti, sappi che Noel ha avuto l'intelligenza di scrivere subito una bella lettera di scuse per quella faccenda dell'AIDS. Il The Sun ne parlerà ancora per un po', ma presto la cosa verrà archiviata -
- Bene – commentai, senza cercare di tradire nulla.
- Ora che ti ho detto come girano le cose da questa parte del mondo, posso andare? -. Non gli diedi risposta, per cui lui mi pose l'ennesima domanda, anche se era palesemente stanco – Che c'è, Cass? -,
Esitai ancora un attimo, ma poi ebbi paura che la pazienza di Gem si esaurisse, per cui dissi: - Tu ami Lou? -
Ero certa che l'uomo dall'altro capo del telefono fosse rimasto spiazzato, me lo figuravo mentre spostava il peso da un piede all'altro, - Certo che sì -. Non mi aspettavo un responso differente, ma ciò era fondamentale.
- Come si fa allora a sapere d'essere innamorati? -. Questo mio nuovo quesito mi fece guadagnare una risata da parte di Gem.
- Oddio, Cass... -, la risata stava ancora scemando, - Che domande sono? -
- Solo...domande – replicai io, quasi offesa perchè sembrava che quell'idiota si stesse facendo beffa di me, - l'hai detto tu che sei innamorato di tua moglie, saprai come l'hai capito, no? Cos'è, ti batte il cuore all'impazzata, ti si torce lo stomaco, ti sudano le mani o che altro? -, provai ad elencare tutti quei sintomi che di solito si sentono dire nei telefilm, quei clichè da romanzetti Harmony che leggevano alcune mie compagne di scuola.
Mi parve di sentirgli dire dall'altro capo, tra sè e sè, “non ci posso credere...”, ma evitai di prenderlo a male parole perchè volevo avere una risposta, e pure presto. - Non è così semplice. Insomma, sì, ti succedono magari pure quelle cose, ma non è che ti si accenda una spia -. Oh sì, penso che avere una spia per capire se ero innamorata mi sarebbe piaciuto parecchio: tecnica, pratica, comoda, facile.
- Ok... - mormorai un po' delusa, non so, da Gem mi sarei aspettatta l'illuminazione. Doveva servire pur a qualcosa avere un amico odiosamente saggio, no?
- Senti –, riprese infine lui, - non so perchè tu mi faccia questa domanda...o meglio, lo so, ma non lo voglio dire perchè poi finirebbe che attraversi l'Oceano Atlantico solo per venire a darmi quattro calci in culo, e non ne ho voglia, non dopo esser stato svegliato a quest'ora... comunque, sappi che quando ti innamorerai non ti porrai alcuna domanda sul fatto d'essere innamorata o no, lo sarai e basta. Per queste cose non serve il libretto di istruzioni -. Stava scuotendo la testa, c'avrei scommesso.
- Magari non mi innamorerò e basta – suggerii, mentre tra le labbra tenevo in bilico una sigaretta, che ormai era ridotta solo al filtro.
- Magari -. Ok, ora mi stava prendendo in giro.
- Sono seria -
- Non penso proprio -
- Ma vaffanculo -
- Ci vado volentieri se lì non telefona nessuno. Posso? -
- Buona notte, Colin -

And if you see me roaming the hillside
Won't you come along?


Tornai in salotto e trovai John sempre nello stesso punto di prima, attorniato da quaderni pieni di scritte praticamente indecifrabili e da dischi che punteggivano il pavimento, ma che dovevano provenire da un grosso mobile che stava sulla parete di fondo e che era stracolmo di vinili come anche di CD. L'unica differenza era che non stava più scrivendo, bensì era piegato su se stesso, a gambe incrociate, con la fronte appoggiata al pavimento. Sembrava una qualche strana posizione da meditazione yoga.
- Grazie per avermi fatto usare il telefono – mormorai dopo qualche secondo in cui m'ero incantata a guardarlo, mentre sembrava che sgranchisse con movenze da sciamano ogni singolo osso del suo corpo, che in quella sua magrezza oscena dava mostra di sè sotto la pelle liscia. Continuò così ancora per una manciata di istanti, tanto che quasi mi pentii d'averlo disturbato, ma poi, come se nulla fosse, si ritirò su facendo scrocchiare il collo e mi guardò negli occhi, con uno
sguardo vacuo e infantile. - La casa è della mia findanzata, dovresti ringraziare lei -, dopodichè si mise in piedi e mi passò davanti senza degnarmi di un'occhiata, come se non esistessi, dirigendosi verso un'altra stanza. In automatico, lo seguii.
Scoprii che era la cucina il luogo in cui quel singolare individuo mi stava guidando, ma capii immediatamente che non aveva voglia di cucinare del cibo normale. O anche solo del cibo, la sua fame era un'altra. Negli ultimi dodici mesi avevo visto così tanta gente farsi che ormai non ci facevo più caso, però mai avevo visto un eroinomane. A Londra era considerato qualcosa come poco figo spararsi in vena della roba, oltre il fatto che c'era il rischio di pigliarsi qualcosa: l'HIV era ancora meno figo, non era bastato che ci morisse Freddie Mercury per farlo diventare di tendenza.
A John avrei voluto chiedere il perchè di quella frase che m'aveva rivolto appena ero entrata, invece mi trovai a formulare un – E' in casa la tua ragazza? -
Dopo aver allineato tutto il necessario sul piano della cucina, lui si stava tirando su la manica sinistra della camicia scarlatta che indossava, troppo larga per la sua corporatura. - No -, arrotolò ancora una volta il tessuto, - credo sia a fare qualche provino. Toni viene pagata perchè una lente le succhi l'anima per poi gettarla in pasto a persone sedute su un divano, a quanto pare a cui ne manca una -. Parlava fottutamente strano, il ragazzo, e non erano tanto le parole, ma il modo in cui le diceva, la naturalezza. Da un sacchetto mise un po' di polvere in un cucchiaino, le mani gli tremavano da qualche minuto eppure a quell'operazione prestò un'attenzione maniacale. Fu in quel momento, fissando quelle mani affusolate, ma nervose, con le vene ben esposte sotto la pelle pallida che notai l'asterisco che aveva tatuato sull'interno del polso destro. Avevo quasi dimenticato chi fosse la persona che mi stava davanti, sarà forse stato il fatto che quello spettro non aveva praticamente nulla a spartire con il giovane energico e dai capelli tinti di rosso che avevo visto suonare su di un palco, attorniata da gente sudata e odore di birra, che tentava di star dietro al ritmo impossibile dei testi quasi rappati di Kiedis. Era Marzo del 92', per il Blood Sugar Sex Magik Tour. Lo ricordo bene perchè fu l'ultimo concerto che vidi a Edimburgo. John stava per lasciare il gruppo, io la Scozia.
Forse gli occhi, quelli forse non dovevano essere cambiati, anche se sinceramente non avevo mai avuto ben in mente gli occhi di John Frusciante - l'unica cosa di cui mi importava erano i suoi riff di chitarra e il groove che trasmetteva allo strumento -, ma ancora avevano, pur sotto quel velo allucinato, un'intensa espressione di curiosità e, allo stesso tempo, saggezza. E ciò era un qualcosa che o si possiede da sempre, o non si può creare in nessun modo, e neppure uccidere, forse.
- Ti manca stare nei Peppers? -.
Anche lo sguardo di John cadde sull'asterisco che marchiava con l'inchiostro la sua appartenenza a un qualcosa a cui non apparteneva più da oltre tre anni Per un secondo però interruppe i suoi preparativi, infine scosse la testa lentamente e mi guardò sinceramente stupito, - Cosa dovrebbe mai mancarmi? -.
Sei un tossicodipendete, vivi in una casa in sfacelo, mentre prima eri una rockstar piena di soldi, che viaggiava nei più bei posti del mondo solo per suonare davanti a un'orda di fan urlanti per ogni tuo singolo tocco sulla tastiera di una chitarra. Mi veniva quasi da ridere, ma non lo feci, perchè lui mi fissava curioso, come un bambino. - Non so -, bofonchiai, messa in soggezione da quelle pupille dilatate che mi fissavano così direttamente – le groupies? -, domandai con un ghigno, lui lo colse e lo riflettè per una frazione di secondo, ma poi tornò serio.
- Quelle sono il peggior tipo di fan, forse -.
Avrei voluto vedere la faccia di Liam Gallagher davanti a tale asserzione, per Ourkid le groupies erano probabilmente una specie di manna divina e, scommetto, uno dei primi motivi per cui era voluto essere un frontman. Altro che voler diventare come Lennon. John dovette aver colto la mia espressione di incredulità, perchè cercò di spiegarsi: - I fan voglioni parlarti, toccarti, ma in realtà non stanno parlando, toccando te. Ma l'immagine che hanno di te. Per loro sei solo un poster in carne ed ossa che cammina. E be', con le groupie non è diverso, invece che parlarci, con quelle ci scopi. Ma allo stesso modo, quelle non stanno scopando con te. E nel momento in cui inizi invece a pensare che tutta quella gente si stia davvero rapportando con te, smetti semplicemente d'essere te stesso. Perchè allora dovrebbe mancarmi tutto ciò? -, mi domandò candido. Aveva ripreso ad armeggiare sul piano della cucina, e aveva spremuto un po' di acido citrico nello stesso cucchiaino della polvere che ora lentamente andava sciogliendosi. Mentre parlava, le sopracciglia gli si contraevano con fervore, come a sottolineare ogni singola parola.
- Non ti manca nulla della band quindi? -
Alzò la testa di scatto, mentre prima ce l'aveva chinata a guardare di sfilare la cintura dai passanti dei pantaloni. - Flea -, esalò dalle labbra esangui - lui mi manca, per mesi è stato l'unico motivo per cui stessi nella band. Mi piaceva suonare con Flea, e Chad e stare sul palco a guardare il mio amplificatore e tutta quella musica che ne usciva, forme, suoni e colori. Amo Flea... Ma comunque ogni tanto viene a trovarmi, e suoniamo pure qualcosa alle volte... -. Aspettò un secondo, in cui si stava legando la cintura al di sopra del gomito sinistro, ma più che altro mi sembrava intento a riflettere.
- Sento di più in effetti la mancanza di Clara –, mormorò infine, - come quando vivevamo tutti assieme nella casa infestata. Lei aveva un po' paura, ma io le dicevo che gli spiriti non erano cattivi...chissà perchè la gente ne ha paura, è stupido -, ogni tanto pareva un po' perdersi nelle sue stesse riflessioni, ma poi se ne accorse e passandosi veloce la lingua sulle labbra riprese - Clara è la persona più intelligente che esista. E' straordinaria, devo fartela conoscere un giorno -. Non sapevo chi diamine fosse Clara – anche se il suono non mi era estraneo -, ma quel solo nome era bastato per accendere il sorriso sul volto consumato. - Mi daresti una mano? -
Impiegai un paio di secondi per capire cosa sottointendesse quel punto interrogativo, ma infine mi ritrovai ad aggirare l'isola della cucina, per essere al suo fianco e stringere la fibbia della cintura e girare il cuoio attorno al bicipite, di cui rimaneva non molta massa muscolare. Suppongo che fosse una cosa sbagliata, l'aiutarlo, e per capirlo non mi serviva chiedermi se Gem avrebbe fatto la stessa cosa o no, ma c'era qualcosa in John stesso che mi impediva di fermarmi. Ad ogni modo, rimasi lì immobile anche quando si calò l'ago in vena e premette lo stantuffo, senza battere ciglio continuai ad osservare l'espressione di estasi pura che lo colse in pochi secondi, il “flash” che gli fece socchiudere le labbra e stringere gli occhi, come se il mondo al di fuori fosse troppo poco al confronto di ciò che gli stava esplodendo dentro.
Il tutto durò però talmente poco che meno di un minuto più tardi mi trovai a doverlo tenere su quasi di peso, affinchè non crollasse per terra, mentre era preso da brevi ma intensi tremori. Mi lasciai scivolare assieme a lui contro gli armadietti della cucina, la sua testa appoggiata alla mia spalla, mi guardava dal basso, gli occhi dal taglio a mandorla che scintillavano di una nuova, finta euforia e la curiosità che era sopravvissuta ancora a quell'ultima dose. - Hai lasciato anche tu la band? -, l'ultima parola quasi la boccheggiò mentre era preso da un'altra scarica di piacere che gli fece contrarre in uno spasmo i muscoli delle gambe. Nonostante tutto però non interruppe mai il contatto visivo.
- No – gli risposi io di botto. No. Non avevo mollato la band. Mollare gli Oasis mi sembrava la cosa più assurda che potessi mai pensare di fare. Ero solo...in pausa. Stavo ricominciando a pensare a cosa avrei dovuto fare una volta finito il tour lì in America, e non mi piaceva per niente, tentai di distrarre il mio cervello che invece voleva fare i conti con me, il bastardo.
- Come fai a sapere che lavoro per una band? - chiesi scettica.
- Flea m'aveva raccontato che eri una roadie degli... -, assottigliò le labbra, - ...Oasis – e snocciolò il nome con lo strano accento americano che mi suonava così alieno. Non mi piaceva molto in bocca a lui, preferivo la familiarità della pronuncia di Liam.
- Hai una memoria fottutamente buona per essere uno che si sta bruciando i neuroni –, osservai io con sarcasmo, ma John non smise di sorridermi in maniera infantile, ma non di quelle che ti fanno venire i nervi, ma di quelle pure: ti faceva venire voglia di proteggerlo da tutto, dal mondo, da quella casa, da se stesso – impresa ardua -. Forse era immune alle parole, ai giudizi della gente quanto il mio sarcasmo. Mi sentii un po' indifesa, e ancor di più quando all'improvviso, senza motivo apparente mi prese una mano tra le sue.
Mi faceva il solletico sentire quelle punte delle dita fredde sfiorarmi appena. - E poi, non è solo memoria -, si portò la mano al volto e annusò accuratamente il palmo, - sai di legno di chitarra, ferro e plastica surriscaldata -. Mi diede un colpetto con il naso e poi mi rimise la mano sul ginocchio dove prima stava, senza batter ciglio, come se fosse normale annusare la gente. Di certo era normale per lui.
Passammo diversi minuti in silenzio, in cui sentii soltanto i rumori delle auto in lontananza sfrecciare sulla strada sottostante, gli uccelli che si muovevano da un ramo all'altro fra le fronde degli alberi a ridosso della casa e i fremiti di John contro la mia spalla sinistra mentre canticchiava un motivetto un po' triste che gli pareva rimasto impigliato tra labbra e gola.
- Hai dello scotch? - gli chiesi in un filo di voce e lui, senza aver dato segno d'aver sentito, si limitò ad indicarmi l'anta di un pensile al di sopra dei fornelli. Lì tra un assortimento di altri liquori dalle bottiglie appiccicaticce trovai uno scotch – da scozzese mi piangeva il cuore a chiamarlo tale – che era praticamente nuovo.
- Hai voglia di lavorare un po'? -. Mi voltai con il collo della bottiglia stretta in pugno, la pelle bianchiccia di John riluceva nella luce notturna che veniva da una finestra aperta della cucina, come anche gli occhi, che s'erano fatti più lucidi man mano che la droga si faceva strada attraverso il suo sistema circolatorio. Alzai un sopracciglio inquisitorio. Lui rise senza un senso, era la prima volta che lo sentivo ridere davvero e come molte altre cose di lui pensai che non ci fosse un solo essere umano al mondo che lo facesse in maniera anche solo vagamente simile. - In salotto c'è la mia chitarra, me la porteresti? -.
Avrei dovuto dirgli di andare a prendersi da solo la sua chitarra, così almeno non ne sarebbe stato in grado, io avrei dato una sorsata a quello schifo di whisky e poi me ne sarei tornata al mio hotel . Invece, – forse realmente per deformazione professionale – gli portai quel dannato strumento.

You paint your eyes
Mine are in the sky


La luce che mi investiva il volto era di un giallo luminoso, fottutamente insolito per essere Autunno, mai avevo provato sulla pelle un fine Settembre così caldo in Inghilterra. Fu con quel preciso pensiero che realizzai che mi trovavo nella California baciata dal sole e non nella sfigata e umida terra di Sua Maestà. Mi doleva un po' la schiena per aver dormito sul pavimento di cotto, e la testa per aver bevuto un po' troppo scotch eppure avevo ancora in mente vivide le immagini della notte prima. O almeno rammentavo certe sensazioni, ma tutte si ricollegavano a un qualcosa, principalmente John che suonava la chitarra, il fiume di parole agrodolci che avevamo cantato sulle note di Jimi Hendrix – Dio, dopo una cert'ora sarebbe di legge non poter cantare Angel, almeno non dopo pure mezza bottiglia di scotch – e discorsi privi di capo e di coda su Ziggy Stardust, alias Mr. David Bowie
Stavo ancora sorridendo al pensiero di quella nottata priva di senso quando cercando una posizione più confacente alla mia schiena mi trovai a essere fissata dall'alto da due occhi d'acquamarina e un sorriso da Stregatto – anche se il felino di Alice non aveva il diastema -.
- Non sapevo che Johnny avesse già ospiti – sghignazzò, davanti alla mia espressione sorpresa, con quella faccia sbozzata nella pietra e così tanto da giullare di corte. Flea mi diede una mano a tirarmi su in piedi, mi stropicciai gli occhi e sbadgliai senza ritegno, dovevo aver dormito quattro ore ad essere generosi. Colsi solo vagamente il fatto che ora portasse i baffi, quell'uomo cambiava più stili di tutti i Take That messi assieme.
- Sai non dovresti essere così poco attenta, Toni è un tipino parecchio geloso – insinuò con voce maliziosa, e maledettamente allegra. Non ero abitutata all'allegria di prima mattina, in Inghilterra non funzionava così, era bandita almeno sino a mezzo giorno. Forse erano veri gli stereotipi che volevano noi Britannici un tantino chiusi, di certo non conoscevo nessun mio connazionale con quella parlantina. Forse Jarvis.
A Flea risposi con un basilare grugnito, che poteva essere inteso in qualsiasi maniera, tanto il bassista pensavo fosse capace di intrattenere una conversazione pure da solo, e difatti – Sì, sì, tranquilla, sto scherzando -, continuò, - tanto a quello non gli si alza neppure se gli schiaffi addosso tutte le conigliette di playboy – e scosse la testa. Io intanto m'ero data una sciacquata alla faccia con l'acqua del lavandino ed ero – quasi – tornata in possesso di tutte le mie capacità psicofisiche, anche se faticavo ancora a star dietro a ciò di cui ciarlava Flea. Esclusi l'audio. Mi chiesi dove fosse John. Poi realizzai che per quanto per me quello che stavo facendo non fosse vero lavoro, in realtà lo era: feci scattare in fuori il polso con l'orologio e capii che era fottutamente tardi, sarei dovuta essere a caricare il furgone da almeno due ore. Forse erano pure già partiti lasciandomi indietro. Cazzo, cazzo e cazzo.
- Devo andare – sbottai all'improvviso, interrompendo Flea che non mascherò il suo disappunto per essere stato interrotto nel bel mezzo di un monologo. Io mi scusai rapidamente, con una serie di formule molto gentili che noi Britannici sembrava avessimo immagazzinate nel DNA apposta per quelle occasioni scomode e sgusciai verso la porta, mentre il mio cervello cercava un buon motivo da addurre per non essere licenziata, perchè “mi sono ubriacata assieme a un eroinomane e ho passato la nottata a cantare e suonare con lui” non mi pareva un'opzione contemplabile.
Avevo già fatto qualche passo al di fuori della porta, quando questa si aprì di nuovo, mi voltai. Non so se fosse la luce del mattino, ma John mi apparve un po' meno tetro. Cazzo, John, mi ero già dimenticata di lui, non lo avevo neppure salutato! Tornai sui miei passi, anche se in testa mi rimbombava il ticchettio dell'orologio, e venni premiata con un sorriso appena abbozzato, ma vero.
- Vai via? -, mi chiese. Era troppo un bambino nelle vesti di un adulto.
- Devo -
Lui fece una smorfia, non penso che ormai capisse più cosa fossero i doveri, e magari mai neppure l'aveva saputo. E sinceramente se ne avessi avuto il tempo, nemmeno io avrei voluto credere nei doveri, come quello che mi diceva di andare via in una mattina soleggiata come quella, oppure quello più insistente e, misto a chissà cos'altro, che mi attraeva come una calamita verso la Gran Bretagna. O ancora meglio, verso due dei suoi abitanti più bizzosi.
- Ma c'è Clara... -, soggiunse infine in una specie di uggiolio, un po' deluso. M'aveva detto che un giorno me la doveva far conoscere, questa Clara, peccato che il giorno non fosse oggi. Avevo la sensazione che avrei voluto abbracciarlo.
Ma la gente non abbraccia persone che si conoscono da neanche un giorno. Be', la gente non entra neppure in casa di persone che sono praticamente sconosciute, e non passa le notti sui pavimenti di quelle stesse persone.
- Ci rivedremo – buttai lì, giusto per dare un senso a due persone che si fissavano nel bel mezzo di un vialetto.
La sua espressione non mutò, - Lo so, me l'hanno detto gli spiriti -. Avrei voluto domandarmi di che accidenti stesse parlando, ma stavo venendo sopraffatta di nuovo da quella voglia di stringermelo addosso, quindi mi affrettai a fargli un leggero segno di saluto con la mano e allontanarmi. Feci appena in tempo a vedere lui che rifletteva quasi specularmente il mio gesto.
E anche un altro stereotipo su noi Britannici veniva riconfermato: siamo persone fredde.

No worldly word I could say would be golden
The smile on my face isn't always real

 

Sapevo che non sarei potuta essere una raminga per molto a lungo, non me lo permetteva il mio contratto e non me lo permettevo io. Sapevo a dove appartenevo e che sarei tornata, per quanto cercassi di posticipare la cosa, prima o poi sapevo che sarei tornata. Peccato che durante tutto Settembre non avevo fatto che scegliere il “poi”, la mia tendenza a procrastinare all'epoca raggiungeva vette inimmaginabili. In realtà, nessuno avrebbe potuto capire quanto desiderassi essere a casa quel 2 Ottobre 1995, per poter sentire l'agitazione che ero certa stava permeando l'intera Creation, per vedere Liam che dava in pasto a tutti i suoi pronostici su come l'album sarebbe stato il più grande successo di tutti i tempi, e questo ovviamente grazie alla sua performance vocale. Per vedere Noel che faceva come se nulla fosse, ma in realtà gliene fregava più di tutti messi assieme. Noel...
Invece quel giorno lo passai a lavorare come ogni altro, stando attenta ai telegiornali, nella vana speranza che qualcuno dicesse qualcosa, ma dimenticavo sempre di trovarmi nel Paese sbagliato per quel tipo di cose. Non pensavo che mi sarebbe mai mancata la Battaglia del Britpop, con i suoi bollettini di guerra giornalieri. Mi ritrovai a chiamare Guigsy – con Gem mi sarei beccata una bella cazzo di paternale – per sapere come procedevano le vendite, e cosa ne diceva la critica, e una serie di altre domande che mi frullavano in testa dal momento esatto in cui sapevo che Morning Glory era sugli scaffali dei negozi. Quindi tra una domanda su come era il tempo in Inghilterra, e come andava con i suoi attacchi di nervi – non bene – scoprii che da HMV già dal primo giorno si vendeva circa un album ogni due minuti, fonte il Daily Mail.
- Quando torni? - mi domandava Guigsy, con quella sua vocetta nervosa e snervante.
- Prenditi cura di te, Guigs – gli avrei risposto allora io, tanto per non essere legata anche solo mentalmene da un vincolo di tempo, foss'anche una bugia bella e buona.
-Vedi di farlo alla svelta, quei due coglioni iniziano a darmi alla testa -. Fine delle conversazione. Scoprii un paio di giorni dopo grazie a Tim Abbott che in realtà Guigsy non era più con la band da un po' proprio a causa di un esaurimento nervoso, il cui merito si doveva propabilmente imputare a Ourkid che l'aveva preso a male parole durante un giro di interviste a Parigi. Povero vecchio Guigsy.
Ciò nonostante mi tenni alla larga ancora un po'. Almeno sino a quando gli Oasis non arrivarono nel mio stesso continente, in quel momento la distanza mi parve troppo esigua per continuare a temporeggiare, anche se a ben vedere non fui un figliol prodigo molto facile da far ritornare dato che pure “papà” Alan McGee si scomodò per farmi una telefonata delle sue, una di quelle in stile strigliata, in cui mi diceva di smettere di cazzeggiare e tornare al mio posto, in sunto.
Li raggiunsi a Boston a metà Ottobre, dopo praticamente un intero mese di latitanza. E l'unica cosa che potevo dire per riassumere come mi sentivo era che stavo una merda, per la maniera in cui me ne ero andata e ancor più per il modo in cui rientravo, ovvero senza una risposta. In un certo qual dire mi stupiva il fatto che l'essere andata a nove mila chilometri di distanza non fosse servito a nulla, una parte di me credeva davvero che l'analizzare il problema da una prospettiva più distaccata sarebbe servito a qualcosa. Nulla di più sbagliato. Ora mi sarei trovata pure con quattro settimane di arretrati da scusare.
Fu così che quindi rientrai dalla porta di servizio dell'Orpheum Theatre di Boston con nello zaino, nascosta sotto una pila di vestiti, la mia copia di Morning Glory – me l'ero comprata per vedere se per caso The Chief avesse fatto delle modifiche dell'ultimo minuto, magari con dei versi che mi insultavano -. Il primo che vidi fu Liam, e nonostante tutto il groviglio di pensieri e emozioni che avevo in testa, non potei non saltargli addosso, abbattendolo a momenti. Mi era mancata quella testa di cazzo. Per qualche secondo mi godetti la fisica espansività di Ourkid che mi versava addosso mille domande e mi stritolava – mi diede anche un pizzicotto sul sedere, ma quella era ordinaria amministrazione -, poi arrivò un colpo di tosse, calato come un machete. Mi voltai ancora accaldata per il saluto a Liam e vidi Noel che ci sovrastava dall'alto del palco, la chitarra acustica tenuta per il manico.
- Era ora –, commentò insipido, - C'è una spia che funziona male, quella di Bonhead. Dovresti andare a sistemarla – concluse, e se tornò da dove era spuntato.
Non era stato nè sarcastico nè maleducato, si sarebbe potuto sin definire gentile. Spesso avevo trovato divertente questo suo modo di fare apatico che congelava gli estranei meglio di un insulto pesante o un pugno in faccia, ma mai avevo sperimentato cosa volesse dire essere dall'altra parte.
Sarebbe stato un lungo inverno
.
 

But the way you make me feel is all that's really real
You little duck house

Come immaginerete la canzone (http://www.youtube.com/watch?v=99-Q1qE1AhM) non fa parte della discografia degli Oasis, bensì del giovane Frusciante. Questo captilo come anche la canzone è un po' strano: è corto,di passaggio e da parte mia sento che sia pure un po' "mozzo", ma ce l'avevo scritto da giorni per cui alla fine mi son decisa a pubblicarlo lo stesso, o sarei impazzita sul personaggio di Frusciante. Mmm qualche dettaglio, per quanto riguarda la canzone, se mai leggete i testi, è un po' astrusa però pure lei ha un senso e l'ho scelta perchè anche nella storia ha un suo senso. (La frase che ho appena fatto è senza senso però, vabbe')
Curiosità: Frusciante dice che la casa dove hanno registrato l'album (Blood Sugar Sex Magik) era infestata, o almeno così vuole la leggenda di Hollywood che aleggia sulla casa di Houdini.
Curiosità: Guigsy aveva davvero avuto una crisi di nervi tra Settembre e Ottobre, infatti nel video di Wonderwall non si vede lui ma Scott McLeod, che però avrebbe mollato ben presto, pure lui troppo esausto LOL
Grazie come sempre a chi legge, sia recensendo che in silenzio :) Cheers^^
Ps: un po' di Frusciante-spam

 

   
 
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