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Autore: Darik    23/03/2012    1 recensioni
Una minaccia cresce dall'interno, strane forze e motivi particolari si muovono nell'ombra, e i buoni dovranno affidarsi a chi non immaginano.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Apparenze'
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DIETRO LO SPECCHIO

1° CAPITOLO

Un sole che spaccava le pietre stava sovrastando il Mahora, che in quei giorni faceva impressione per quanto fosse silenzioso.

In realtà non era cessata ogni attività, persone in giro se ne vedevano ancora, ma rispetto alla solita agitazione che permeava l’immensa città dello studio, sembrava che quest’ultima fosse quasi un deserto.

Persino il preside, visto il caldo, si era sentito autorizzato a ricorrere alla magia pur essendo nella scuola.

Quindi stava nel suo studio, dietro la scrivania, con ben sei ventagli sospesi in aria e intorno a lui, che si muovevano da soli nel tentativo di rinfrescarlo.

Qualcuno bussò alla sua porta e l’anziano uomo disse di entrare, senza chiedere chi fosse.

Tanto in quel periodo al Mahora restavano in genere solo le persone che conoscevano il segreto particolare della scuola.

Ed, infatti, entrò Takamichi, con l’immancabile sigaretta.

“Preside, spero di non disturbarla”.

“Assolutamente, lei non disturba mai, caro professore”.

Takamichi gli lanciò un’occhiata leggermente perplessa. “Scusi se mi permetto, preside, ma non farebbe prima installando l’aria condizionata?”

“Mi piace risparmiare l’elettricità”, rispose l’anziano uomo. Che si diede anche dei colpetti dietro la schiena. “E poi l’aria condizionata mi procura certi reumatismi…”.

“Capisco. Comunque, sono qui per parlarle di quella certa faccenda”.

Il volto del preside s’intristì. “Oh, capisco. Che delusione, sembrava che quella dell’Islanda fosse finalmente la strada giusta”.

“Sembrava. Però non è detta l’ultima parola”.

“Che intende dire?”

“Sono convinto che quella visione legata all’incantesimo di rintracciamento debba per forza avere una connessione con la sparizione di Negi. E’ vero che non abbiamo trovato niente, tuttavia io e le ragazze che mi hanno accompagnato non intendiamo arrenderci. Preside, sono qui per chiederle il permesso di organizzare una nuova spedizione in Islanda. E…”

Davanti all’improvvisa titubanza del professore, che aveva persino rinunciato al suo solito sorriso rassicurante, il preside si sporse in avanti incuriosito, appoggiandosi alla scrivania. “E cos’altro?”

“ ...per chiederle il permesso di far partecipare anche Konoka”.

“Mia nipote? Perché?”

“Poiché è stata lei ad avere quel sogno aggiuntivo, permettendoci così di localizzare l’Islanda, è possibile che recandosi lì, possa aiutarci in qualche modo. Mi rendo conto che si tratta di una possibilità alquanto esigua. Ma è comunque una possibilità da non escludere, data l’imprevedibilità di quell’incantesimo”.

“Tuttavia”, aggiunse il preside massaggiandosi la barba “proprio la sua imprevedibilità può comportare dei rischi. In Islanda non avete trovato nulla e a volte proprio nel nulla si nascondono i pericoli maggiori. Inoltre, non si deve dimenticare che Konoka non è una guerriera”.

“Capisco i suoi dubbi, preside. Mi creda, non mi sognerai mai di esporre sua nipote a qualunque rischio se non pensassi che ne valga la pena. E non posso non pensarlo visto l’affetto che provo per Negi. Per non parlare dei sentimenti delle sue alunne, Nodoka Miyazaki e Asuna in particolare. Sono state forti al ritorno qui, però sull’aereo sono scoppiate a piangere”.

“Pure Asuna, eh?” osservò con sorpresa solo apparente il preside, che ben sapeva quanto fosse in realtà dolce quell’apparente maschiaccio.

“Sì. Anche le altre, nonostante l’autocontrollo, sembravano avere la morte nel cuore”.

Il preside s’incupì.

“Come, purtroppo, temo l’avranno pure le altre studentesse della III A quando sapranno che non ci sono novità”.

“Ho capito”, concluse il preside. “Va bene, Takamichi, do il mio consenso e ne parlerò con Eishun. Sono convinto che, per il bene di Negi, Asuna e delle compagne di Konoka, accetterà. La mia stessa nipotina sarà entusiasta di dare una mano. Ma mi raccomando, prudenza e senno”.

Il preside puntò un dito ammonitore verso Takamichi, che ritrovò il suo sorriso abituale. “Non si preoccupi, signore. Le giuro che sarò pronto anche a dare la vita pur di difendere Konoka”.

Rassicurato, il preside congedò Takamichi e chiamò Eishun, a Kyoto, per informarlo.


Anche l’immensa biblioteca del Mahora era in quel momento quasi deserta.

Le uniche presenti, in una delle tante sale da lettura, erano la professoressa Ayanami e Shinobu Maehara, l’ultima arrivata della III A, in quel momento impegnata in lezioni di recupero per mettersi in pari con i programmi scolastici.

“Professoressa…”, bisbigliò la ragazzina.

“Cosa c’è? Alza la voce” disse quasi con tono di rimprovero l’insegnante.

Shinobu si sforzò di ubbidire. “P-perché dobbiamo studiare qui? E’ così silenzioso… inquietante”.

“Perché c’è un’aria fresca. E il silenzio è fondamentale per concentrarsi”.

“P-però io…”

Ayanami inarcò un sopracciglio. “Alza la voce”.

“Potrei andare a bere qualcosa al distributore?”

“Va bene, ma non metterci molto. Tra dieci minuti devi aver finito il compito”.

“S-subito!”, esclamò la ragazza alzandosi e facendo un sacco d’inchini mentre si allontanava, passando per un corridoio dal quale continuava a essere vista dall’insegnante. Per questo Shinobu si muoveva all’indietro stando sempre girata verso Ayanami. E per questo, quando si voltò, la ragazza andò a sbattere contro un muro, cadendo poi per terra.

“Accidenti! Shinobu, stai bene?” esclamò qualcuno correndo da lei per soccorrerla.

Era Nodoka Miyazaki, seguita subito dopo da Yue Ayase.

“S-sì, scusatemi” disse Shinobu rialzandosi e facendo numerosi inchini.

“Non c’è bisogno che ti scusi. Non è mica una colpa andare a sbattere contro un muro” la tranquillizzò Yue.

“Sei sicura di non esserti fatta niente?”, domandò con una certa apprensione Nodoka.

“S-sì”.

“Shinobu!”, la richiamò freddamente la professoressa Ayanami. “Dobbiamo rispettare la tabella di marcia, sbrigati ad andare al distributore”.

Agitandosi parecchio, Shinobu fece un ultimo inchino e corse via.

Nodoka e Yue raggiunsero il tavolo dell’insegnante.

“Come sta andando Shinobu?” chiese Yue.

“Non male. Ma c’è ancora molto da fare” rispose Ayanami.

“Certo che prima la nostra compagna ha preso una bella botta”.

“Sì. E allora?”

Ayase squadrò leggermente l’insegnante. “Allora niente. Scusi il disturbo”.

“Scusate una domanda”, le richiamò Ayanami quando le due studentesse si erano già girate per andarsene. “Voi due cosa fate qui in piena estate?”

“Stiamo conducendo delle ricerche”, spiegò Nodoka sforzandosi di nascondere un certo sdegno.

“Capisco. Fate una buona ricerca allora”, concluse l’insegnante cominciando a leggere.

Yue e Nodoka si guardarono per poi lasciarla sola.


Nel grande palazzo dei Konoe, a Kyoto, Konoka, con indosso un kimono, andava avanti e indietro per la sua camera.

“Accidenti, ma quando vengono?”, pensò agitandosi.

Bussarono alla sua porta, e Konoka si fiondò ad aprire.

“Sì?”

Era una delle ragazze addette al suo servizio. “Ehm, lady Konoka, sono arrivate le sue amiche”.

“Evviva!”, esclamò la ragazza scostando l’altra e correndo verso l’ingresso.

Ad attenderla trovò Setsuna, che stava parlando con…

“Asuna!”

Al grido gioioso di Konoka, seguì il suo saltare addosso alle due amiche, col risultato che finirono tutte e tre a terra, sotto lo sguardo di dieci ragazze incaricate di fare gli onori di casa.

“Oh Asuna, quanto ero preoccupata! Temevo vi fosse successo qualcosa!”

“Lady Konoka, la prego, il kimono non è adatto per azioni del genere”, la implorò Setsuna.

“Anch’io sono contenta di vederti, Konoka”, aggiunse Asuna. “Però penso che Setsuna abbia ragione. Inoltre, potresti togliere la tua mano dal mio seno?”

“Ops, scusa”.

“E…”, Asuna lanciò una strana occhiata a Setsuna, “penso che dovresti toglierla anche dal petto della nostra spadaccina, nonostante lei sembri approvare”.

Quando Konoka vide dove stava la sua mano, sorrise. “Oh, Setsy, non l’ho fatto apposta ma se vuoi che ti faccia dei massaggi al petto, basta dirmelo. Ho guardato una video enciclopedia. Anzi, stasera vedrai quanto sono brava a massaggiare, specie i glutei”.

“NO!”, esclamò Setsuna mettendosi in piedi fulminea e rossa in viso, per poi inchinarsi fino a toccare il pavimento con la fronte.

“Mi perdoni, lady Konoka. Non so come mi abbia preso. Come ho potuto desiderare che la sua mano non si togliesse dal mio rozzo petto? La prego mille volte di perdonarmi!”

Ma l’erede del casato dei Konoe, piegando la testa di lato, con fare innocente chiese: “Perché ti scusi?”

“Lasciamo perdere e andiamo in camera, è meglio”, concluse Asuna portandole via in mezzo agli sguardi imbarazzati delle ancelle.


“Quindi non siete riusciti a trovare tracce di Negi”.

Una profonda tristezza apparve sul volto di Konoka.

Setsuna stava col capo chino.

Le tre ragazze si trovavano nella stanza di Konoka, che aveva voluto sapere nel dettaglio cosa era successo in Islanda.

“Abbiamo setacciato quell’isola da cima a fondo, senza trovare nulla”, spiegò Asuna. “Però penso che il tuo aiuto possa essere decisivo. Stiamo ancora brancolando nel buio, ma la presenza di colei che può controllare l’energia magica potrebbe fare la differenza”.

“Naturalmente. Mio padre mi ha già detto tutto, sono già pronta a partire. I bagagli sono in un’altra stanza. Per Negi farei questo e altro!”, esclamò con decisione Konoka.

“Lo stesso vale per me”, aggiunse Setsuna mostrando la sua spada.

Asuna sorrise. “Vi ringrazio. Ma non c’è tutta questa fretta. Possiamo partire con calma domani. Voi sarete di grande aiuto”. Mise una mano su quella di Konoka. “Specialmente tu, mia cara amica”.


Le ombre della notte erano scese sul Mahora.

In un laboratorio segreto, la dottoressa Ritsuko Akagi stava conducendo alcuni esperimenti su un congegno che da diverso tempo aveva ormai calamitato interamente il suo interesse: la misteriosa torre capace di emanare quell’altrettanto misteriosa energia che lei aveva battezzato Am, ovvero anti-magia, e che alcuni mesi fa, era stata sul punto di cancellare l’esistenza della magia dal mondo intero.

In quel momento la donna lo stavo contemplando, quasi sperasse di scoprire il segreto di quella tecnologia solo guardandola con intensità.

“Dottoressa”, la chiamò uno dei suoi collaboratori, “ho i risultati del test T-24”.

Le porse un fascicolo, lei lo lesse e subito s’irritò molto. “Dannazione, dunque neanche quello schema era esatto”.

“Mi dispiace, ma sembra proprio che questa torre si tenga ben stretta i suoi segreti”.

“Ma io li scoprirò. Questa tecnologia è un qualcosa di eccezionale. I materiali sono gli stessi che utilizziamo noi, ma il modo in cui sono assemblati, è del tutto innovativo. Scoprire come funziona questa torre, potrebbe far compiere alla scienza umana un balzo di secoli!”

“Capisco…”

Ritsuko abbassò il capo e ridacchiò per qualche attimo. “Sembro quasi una scienziata pazza, vero? Non si preoccupi, so bene che né io, né tantomeno la scienza, siamo divinità. Però io ho sempre visto le cose che non capisco come una sfida, ed io sono abituata a vincerle le sfide”.

L’altro sorrise. “Sono sicuro che ce la farà, dottoressa”. Detto questo, guardò l’orologio. “Accidenti, è piuttosto tardi. Be, il mio turno è finito e vado a farmi una dormitina. A lei serve qualcosa?”

“Credo che mi fermerò ancora una mezz’oretta, per analizzare nuovamente il T-24 e capire cosa non ha funzionato. Prima di andarsene, mi porterebbe un caffè?”

“Sicuro”, rispose lui lasciando Ritsuko davanti all’oggetto della sfida.


Konoka si girava e rigirava nel futon.

Durante la cena aveva evitato una catastrofe, sventando un tentativo nefasto di cucina da parte di Asuna, che già si era messa ai fornelli allontanando gli allibiti cuochi. Ma prontamente Konoka l’aveva intercettata e riportata nella sala degli ospiti.

Tuttavia né lei, né le sue due amiche avevano assaggiato molto di quel cibo, perché Konoka aveva sempre insistito per mostrare al padre quanto fosse diventata brava con i massaggi, usando Setsuna come esempio.

Comunque la spadaccina, più rossa in viso di un sole al tramonto, si era dimostrata molto abile nella corsa inginocchiata all’indietro, mentre Konoka la inseguiva piagnucolando e implorandola di farsi massaggiare almeno le cosce o i polpacci.

Arrivato il momento di dormire, la principessa di Kyoto era riuscita ad addormentarsi senza problemi, ma poi era sorto una specie di disturbo, e il suo sonno era diventato molto agitato.

Capita l’antifona, aprì gli occhi e si mise a sedere.

“Uffa, perché mi sento così a disagio? Cosa c’è che non va?”

La stanza era buia, un po’ di luce lunare arrivava solo dalla terrazza. La giovane si accorse che i letti di Asuna e Setsuna, uno a destra e l’altro a sinistra del suo, erano vuoti.

“Saranno andate sulla terrazza?”

Konoka si alzò e andò a vedere.


Immersa nel controllo dei suoi fogli, Ritsuko non si accorse della porta che si apriva, e solo quando udì i passi di qualcuno dietro di lei, si voltò.

“Grazie per il…”

Non era il suo subordinato, ma il professor Takamichi, con in mano una tazza di caffè.

L’uomo gliela porse. “Questo è per lei, immagino”.

“Sì, ma lei cosa ci fa qui, professore?”

“Attendo che si concluda un’ispezione”.

“Ispezione?”

La scienziata sentì altri passi intorno a lei, ed erano almeno altre nove persone.

Si guardò intorno: dagli angoli bui del laboratorio erano sbucati Takane Goodman, Sakura Mei, Mana Tatsumiya, Kaede Nagase, Ku Fei, Asakura Kazumi, Nodoka Miyazaki, Yue Ayase e Kotaro.

“Ma che sta succedendo qui?”


Sulla terrazza non c’era nessuno, Konoka rimase perplessa.

Poi si accorse che da sotto la porta, chiusa, del bagno filtrava una luce.

“Oh, ma allora siete lì. Cattive, mi avete fatto preoccupare”, esclamò avvicinandosi al bagno per aprire la porta.

Invece la porta fu sfondata e ne uscirono due figure, che parevano in lotta tra loro.

Konoka, colta di sorpresa, si buttò a terra e intravide due sagome umanoidi che, in mezzo al buio della stanza solo leggermente rischiarata dalla luce della Luna, si scambiavano micidiali colpi di spada, facendo sprizzare scintille.

Il tutto a pochi metri da Konoka.

Uno dei contendenti aveva una spada più grande di quella dell’avversario, che pareva in difficoltà: più che altro parava e indietreggiava.

Quello con l’arma più grossa menò un fortissimo fendente dal basso verso l’alto, l’altro lo parò ma per il contraccolpo fu costretto a tenere la spada sollevata sopra la testa.

Questione di un secondo: il primo spadaccino girò su se stesso e trafisse in pieno addome, da parte a parte, il nemico, che con un urlo strozzato cadde prima in ginocchio e poi a terra.

Konoka impietrita, vide qualcosa di scuro espandersi dal corpo dello sconfitto sul pavimento.

Non aveva il coraggio di avvicinarsi per scoprire chi fosse, ma vide vicino a sé, nella luce fioca, la sua spada.

Gridò: “SETSUNA!!!” con tutta la voce che aveva.


Il corpo della dottoressa Akagi giaceva in un angolo del laboratorio.

Dopo averla colpita con alcuni dei suoi pugni speciali, Takamichi, impassibile, non si preoccupò di controllare se fosse ancora viva, così come non lo aveva fatto con l’assistente della donna.

Il gruppo di nove persone si fermò vicino alla torre.

“E’ intatta”, osservò Takane.

“Sì. Mandate le coordinate e attivate il trasporto”, ordinò Mana.

Asakura si portò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi.

Dopo pochi attimi, annunciò: “Servono almeno tre minuti per aprire il passaggio”.

“Basteranno”, rispose Takamichi. “Miyazaki, Ayase, il vostro giro di controllo?”

A parlare per entrambe fu Yue. “Tutto a posto, le presenze al Mahora sono ridotte al minimo. Non ci dovrebbero essere ostacoli”.

“Rimane da controllare solo la missione a Kyoto”.

Stavolta fu Takamichi a portarsi una mano sulla fronte.


“Asuna, mi ricevi?”

“Sì. Confermo la riuscita della missione. Obbiettivo catturato”.

“La spadaccina Shinmei ti ha dato problemi?”

“No, neutralizzarla è stato molto facile, perché esitava troppo ed era confusa”.

“E il resto degli abitanti?”

“Nessun problema. La speciale polvere narcotica che ho sparso in cucina, ha fatto effetto rapidamente”.

“Bene. Le condizioni del tuo obbiettivo?”

“Ho dovuto stordirla perché urlava troppo. Comunque può sopportare senza problemi il processo. Ho già inviato le mie coordinate”.

“Ottimo”.

Chiuso il contatto telepatico, sia loro al Mahora che Asuna a Kyoto, non dovevano fare altro che attendere l’apertura del passaggio.


Asuna, con in mano la sua grossa spada, contemplava in silenzio Konoka, svenuta e con una ferita sanguinante sulla fronte, e Setsuna, che giaceva immobile, immersa nel suo sangue.

Improvvisamente la porta si aprì, senza perdere tempo la ragazza sguainò la sua spada e partì all’attacco, ma un pugno della persona appena arrivata la respinse facendola volare indietro di una ventina di metri.

Asuna osservò chi fosse.

“La professoressa Rei Ayanami?”


Al laboratorio, i nove presenti si misero in posizione d’attacco quando udirono degli strani passi nel corridoio d’accesso.

Erano passi regolari e molto pesanti, troppo per essere quelli di una persona normale.

Takamichi fece segno a Sakura e Ku di andare a controllare, le due ragazze lentamente e con cautela si avvicinarono alla porta e si affacciarono quel tanto che bastava per controllare il corridoio, che risultò vuoto.

Anche i passi erano cessati.

Allora andarono a controllare più da vicino.

Non appena sparirono dalla vista dei loro compagni, ci furono due tonfi, e due oggetti sfondarono la parete colpendo Kotaro e Takane, che caddero a terra: erano state le teste di Sakura e Ku a colpirli, lanciate attraverso il muro dopo essere state staccate di netto dal corpo.

Altri rumori, di ossa spezzate e organi strappati, giunsero dal corridoio, poi dalla porta entrò nel laboratorio il responsabile: una creatura di colore nero, alta almeno tre metri, un torace possente, braccia e gambe snelle e muscolose, la testa di forma allungata, occhi rossi e feroci, una bocca irta di denti aguzzi da fare invidia ad uno squalo. Infine sulla schiena erano presenti numerose scaglie ossee simili a spine.

Aveva le mani sporche di sangue, che ancora gocciolava, e ruggì con forza.

 

  
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