Merlin è un giovane medico, che lavora al pronto soccorso. La sua vita prosegue tranquillamente finché una notte passato e presente si fondono, riportando alla luce vecchie ferite..

Merlin si volse un istante, il mezzo sorriso che addolcì le sue labbra non raggiunse i suoi occhi dorati. La sua voce uscì morbida e implorante.
“Lasciami, Arthur”.

Milano, Italia. Alice, diciassettenne come tante altre, in cerca del principe azzurro e di ricostruirsi una vita nella sua nuova scuola. Lorenzo, suo vicino e ora anche suo compagno di classe; incomprensibilmente odioso, estremamente attraente. Le loro vite avrebbero potuto scorrere parallele, non fosse stato per l'attrazione innegabile tra di loro, per un patto scellerato.
(Introduzione by Bea (Panna_))
Dal prologo: "Ti odio. Sì, proprio così, ti odio. Il mio cuore potrà pensarla diversamente, ma il mio cervello riesce ancora a ragionare in maniera lucida…più o meno.
Non sto capendo un cavolo della lezione -sulla mia materia preferita tra l’altro- per colpa tua.
Ti sto fissando da mezz’ora, forse anche di più, eppure tu sembri immerso in un mondo completamente tuo e non te ne accorgi…o meglio, fingi di non accorgertene.
Mentre ti passi una mano fra i capelli per spettinarli, mi viene spontanea una domanda; chi ti credi di essere? Chi sei tu per farmi stare così male?"

Merlin uscì dalla porta per prendere in fretta le sue cose in modo che non dessero fastidio agli altri inquilini del palazzo, quando tutto il suo corpo si ghiacciò improvvisamente: un ragazzo biondo, vestito solo dei boxer era in piedi sulla soglia dell’appartamento vicino al suo. Capelli biondi umidi di sudore, le labbra rosse e morbide, le spalle tornite, i muscoli delle braccia ben delineati, il petto ampio, ricoperto da una sottile peluria bionda... E quegli occhi azzurri che sembravano spogliarlo, sfiorandogli la pelle come una carezza lasciva.
“Ah… tu sei il mio nuovo vicino” constatò il ragazzo, guardandolo. Era il ragazzo più oscenamente sexy che avesse mai visto. “Sono Arthur Pendragon..."

E' sopra di voi, vi unisce, v'incatena l'uno all'altro, forse solo per quel breve istante in cui vi siete sfiorati sull'autobus o camminando per strada o anche incrociando gli sguardi da una vettura all'altra, in un incrocio. Vi girate attorno, senza riconoscervi, senza percepire il legame che s'insinua tra voi. E se, anche solo per un breve istante, ne cogliete l'esistenza, subito passa.
E' Uroboro, vi unisce, vi trascina verso una fine, una qualsiasi, quella giusta per voi.
Uroboro osserva il dimenarsi dell'esistenza, concentrandosi stavolta su quattro personaggi: un uomo che mente persino a sé stesso, una giovane donna innamorata di qualcosa che non esiste, un'anziana indipendente, un giovane che ha perso il senso della sua fin troppo ammirata logicità. Uroboro li osserva tutti, ne conserva le memoria, ne assimila il percorso e l'intrecciarsi distante delle loro vicende slegate, ne assapora il lento processo che porta all'auto - distruzione.
Uroboro è lì, per loro, per noi.
E' la nostra antenna di ricezione, la nostra capsula di memoria.
E aspetta.

La Paura è ciò che di più sublime possa capitarci

Pazze parole di non-amore

Storia pubblicata circa dieci anni fa sulla raccolta Offside Tre delle Ed. Croce, è il racconto in chiave realistica di un tragico amore gay sullo sfondo del Messico rurale. La storia in realtà risale a qualche anno prima, durante la mia permanenza in quel paese. E' assolutamente destinata a un pubblico maturo.

Lavoro originale datato 1998 e ambientato nei dintorni di Milano a metà degli anni '90, è una storia inedita (circolata finora solo in versione cartacea tra gli amanti dello "yaoi-spaghetti") che tocca argomenti forti. Uno studente di botanica di buona famiglia decide di fare un'esperienza lavorativa in un parco storico, diventando giardiniere; e conosce così qualcuno che non ha proprio nulla da spartire con lui. Ma è proprio così? In un crescendo di eventi drammatici il protagonista è costretto a perdere tutte le sue certezze... tranne quelle che contano. E saranno quelle a dargli la forza di combattere.

Di epico ha molto molto poco. E' una specie di poesia. La metto qui solo perché parla di Achille, di Patroclo e di una morte impossibile da superare.