In
risposta alla sfida di
Shnusschen
che aveva richiesto una Lupin/Regulus, oneside, massimo
2000 parole, angst. Forse non è abbastanza angst, anzi,
credo che non lo sia affatto, ma tant'è...
*
Sapore
sulle labbra
Regulus
BlackxRemus
Lupin
1267
parole
I
fumi delle fabbriche nel centro della East London erano talmente acri
e insopportabili che Remus dovette alzare la sciarpa logora per
ripararsi dal tanfo. Il maltempo non aveva mollato la città
dallo
scorso lunedì e in quella zona un po' dismessa le
pozzanghere ai
lati della strada erano davvero grandi. La luce dei lampioni si
scorgeva come attraverso una fitta nebbia, ma a Remus questo non
importava: lui vedeva perfettamente e tanto bastava.
Era
talmente impegnato a spingere il Mangiamorte lontano dal punto in cui
Moody e gli altri dell'Ordine avevano teso un'imboscata per tutti gli
altri che stavano con lui, che Remus cacciava i piedi nell'acqua
putrida senza curarsene,
sporcando i jeans stracciati fino alle ginocchia. Voltò la
testa
indietro, sperando di essere ancora seguito e trattenne un sorriso
flebile nel riconoscere la sua figura incappucciata accovacciarsi
dietro a un grosso bidone dell'immondizia.
Idiota,
pensò Remus, mentre un sorriso soddisfatto gli increspava le
labbra
sottili. Ha davvero
abbandonato la sua posizione di guardia per inseguire me.
*
Sfrecciava
lungo il Tamigi ad una velocità impressionante e non
riusciva a non
pensare a nient'altro che non fosse il motivo per il quale si erano
di nuovo incagliati in quella dannata situazione. Eppure erano
così
sicuri questa volta, sembravano aver perfezionato ogni dettaglio,
ogni possibilità e niente – niente
– sarebbe dovuto andare storto, nessuno di loro avrebbe
dovuto
rimetterci la pelle. E invece no, Caradoc Dearborn era rimasto
indietro e ora l'unica fuga di Remus era quella corsa folle lungo il
fiume, sotto la pioggia che non gli dava tregua.
Si
fermò di colpo e si guardò intorno, ignorando il
bisogno del suo
corpo di piegarsi in due per boccheggiare dallo sforzo e si strinse
affannato una mano sulla milza. Era troppo buio, c'era troppa pioggia
e non avrebbe riconosciuto un Troll nemmeno se glielo avessero
piantato davanti al naso. Eppure la situazione sembrava calma e
Remus iniziò a prendere dei profondi respiri. Concentrato,
chiuse gli
occhi e tentò di fare un girò su sé
stesso, ma la fattura
Anti-Smaterializzazione copriva anche quella zona. Si chiese per
quanto tempo ancora sarebbe durata.
Alle
sue spalle si ergeva un grande prefabbricato con un largo deposito di
autotreni attorno. Controllò ancora una volta che non ci
fosse
nessuno nelle vicinanze e scartò immediatamente l'ipotesi di
trovare
riparo all'interno: aveva già commesso quell'errore una
volta e ne
portava ancora ogni traccia sulla pelle. Si accucciò accanto
alle
grosse ruote di un camion e appoggiò la fronte alle
ginocchia,
stremato.
Regulus
Black continuò a fissarlo con un bagliore sinistro negli
occhi grigi
per diversi minuti. Poi il desiderio di agire si fece più
forte ed
estrasse la bacchetta dal mantello scuro.
«Incarceramus!».
Remus
non se ne accorse nemmeno.
*
Era
abituato al sapore amaro del sangue in bocca e all'odore metallico
che gli intorpidiva l'olfatto; eppure, dopo tanti anni, non era
ancora stato in grado di abituarsi all'idea che gli piacesse
così
tanto, che lo rendesse tanto agitato. Come se parte della bestia che
lo travolgeva una volta al mese non potesse mai svanire del tutto,
come se fosse sempre lì, pronta a sbranarlo ad ogni suo
accenno di
debolezza; come se non potesse essere libero in nessun momento della
sua vita, sempre succube, sempre più vulnerabile.
Cercò
di sputare un grumo di sangue per terra, ma le funi che gli stavano
segando i polsi e le caviglie erano troppo strette e finì
per
sporcarsi ancora di più la camicia logora. Quando Regulus
Black si
chinò di nuovo su di lui – e quegli occhiacci
grigi erano così
simili
a quelli del
fratello, dannazione – e gli pulì il rivolo che
scendeva dal suo mento, si
domandò ancora per quale dannato motivo fosse lì,
per quale dannato
motivo lui fosse ancora vivo.
Regulus
aveva un aspetto spettrale, con quella faccia pallida, lo sguardo
brillante di soddisfazione e brama e le sue mani erano così
piccole
e curate che Remus non riusciva a credere che le usasse davvero per
pulire il suo sangue. Non capiva: lo aveva preso a calci, gli
aveva rotto almeno un paio di costole, gli aveva inflitto la
maledizione Cruciatus fin quando a Remus non era rimasto più
fiato
per gridare – non pietà, quella non l'avrebbe mai
gridata – e
ora era lì, inginocchiato davanti a lui, sotto la pioggia
che
scivolava sulle loro facce e si infrangeva rumorosa sulle acque nere
del Tamigi a pochi metri da loro. Remus era lì ed era certo
di aver
conservato abbastanza senno per rendersi conto di quello che stava
accadendo, se solo ci fosse stato qualcosa
da
comprendere in
tutta quella situazione priva di logica alcuna.
«Che
stai facendo?» trovò la forza di ringhiargli
addosso.
Gli
angoli della bocca di Regulus si piegarono in un sogghigno perverso.
Remus cercò di richiamare alla memoria l'immagine di un
ragazzino
con la divisa da Cercatore di Serpeverde, piccolo e mingherlino, con
l'aria sempre un po' malaticcia e l'espressione triste e cupa. Uno di
quelli che avrebbe anche potuto capire, si era detto un sacco di
volte, e poco importavano i continui sproloqui di Sirius sulla
stupidità del fratello minore, perché una parte
di Remus era certa
che ci fosse qualcosa di fragile nell'animo di Regulus, qualcosa di
buono nascosto da qualche parte, sottomessa a tutto il resto della
sua vita e della sua famiglia di psicopatici.
E
invece adesso Regulus lo guardava come un alienato e più
tentava di
scrutare dentro i suoi occhi più Remus si ritrovava a
cercare quel
ragazzino a vuoto. Era pazzo, più pazzo di lui e di tutti
quelli
come lui.
Lo
guardò fissarsi il polpastrello come se non riuscisse a
rendersi
conto che quello fosse il sangue di Remus, quello legato davanti a
lui, con un male allucinante allo sterno e un ronzio tremendo nella
testa. Poi fu questione di un attimo prima che si avvicinasse al suo
volto e gli appoggiasse appena le labbra sulla tempia. Remus era
così
malconcio che non riuscì nemmeno a divincolarsi.
«I
miei genitori non mi hanno mai voluto comprare un animaletto»
disse
la voce flautata di Regulus al suo orecchio. «Avevo giurato
loro che
me ne sarei occupato io, che non avrebbe mai dato alcun disturbo, ma
non mi diedero mai ascolto».
Remus
deglutì stentatamente. In
qualunque cosa gli avesse fatto Lord Voldemort c'era qualcosa di folle, di malsano.
E poi lo disse, perché era da troppo che teneva per
sé quel
pensiero tanto ovvio.
«Tu
sei pazzo».
Lo
sentì ridacchiare, sentì la sua mano risalirgli
il petto, e
d'improvviso la sua stretta fu così energica da schiacciare
le
costole rotte di Remus e strappargli un urlo soffocato.
«Non è
vero».
Ci
vollero ore prima che Alastor Moody e Frank Paciock lo ritrovassero.
Remus aveva provato disperatamente ad evocare l'Incanto Patronus per
chiamare i soccorsi, ma le forze lo stavano abbandonando e le
palpebre si stavano facendo sempre più pesanti. Cercarono di
scuoterlo con estrema delicatezza per le spalle per sapere quanto
fosse cosciente – quando di lui potesse essere rimasto con
loro.
Sul momento, Remus non si era nemmeno accorto del loro arrivo.
Continuava a fissare il punto dove Regulus era sparito e a umettarsi
le labbra, sperando che il sapore del sangue potesse lavare in
fretta quello che il suo bacio gli aveva lasciato.
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