Estate
2008
Siamo
a casa di Travis, a Los Angeles, e le acque sembrano essersi calmate.
Io e Tom facciamo finta di ridere e scherzare, o almeno credo che
facciamo finta. Non vogliamo litigare davanti a Travis, questo è
ovvio, ma non è stato un accordo prestabilito.
In
certi momenti penso che lui faccia sul serio, che pensi davvero di
fottermi con quel sorrisetto da uomo maturo. Non ci riuscirà.
E'
incredibile come possa cambiare qualcuno in cinque anni. Lo guardo
mentre ride e scherza e fa battute sconce sulle scoregge e sul sesso,
ma nel suo sguardo non c'è più niente di
quell'adolescente che voleva solo essere libero dal mondo. Adesso,
invece, sembra che il mondo sia riuscito a mangiarsi la sua anima
intera. E' malinconico in tutto quello che fa.
A
tratti lo capisco. Anche io, come lui, so cosa vuol dire avere un
figlio, so cosa vuol dire mettere su famiglia. Non è l'unico a
sapere in che modo tutte queste cose ti cambiano, ma io credo di
averle affrontate con più leggerezza.
Qui
torniamo agli argomenti di sempre, a come la sua vita l'abbia
temprato, a come la sua infanzia lo abbia inevitabilmente modellato.
Crescere come a fatto lui non sarebbe facile per nessuno, e sono
sempre stato convinto che non avere un padre sia stato il dettaglio
che lo ha legato in maniera così morbosa a sua figlia Ava. Ed
è per questo che è sempre stato così tanto
protettivo nei suoi confronti.
Non
mi sento di giudicare la sua vita, per questo cerco di concentrarmi
su altri aspetti.
Travis
è uscito dall'ospedale la settimana scorsa, e lo vedo mille
volte più felice di come era prima dell'incidente, e credo di
sapere perché.
Un
giorno ho visto Travis sedersi sullo sgabello della sua batteria, giù
in studio, con lo spartito di Feeling This sott'occhio. Non che ne
avesse bisogno, credo l'abbia aggiunto solo per fare un po' il
teatrale, come suo solito.
«
Pensi mai ai vecchi tempi? » mi fa, con lo sguardo fisso su
quei tamburi che è ben consapevole di non poter ancora
suonare, per via del braccio.
«
Ogni giorno » gli dico.
Solo
dopo qualche secondo mi accorgo che Tom è appena dietro la
porta, e che probabilmente ha ascoltato tutto.
Appena
mi volto, lui mi da le spalle e se ne va lentamente, senza cercare di
nascondere la sua presenza.
Ormai
ci siamo tutti abituati a vivere con Travis, gli abbiamo promesso che
per questo mese staremo con lui.
«
Divorziare proprio adesso è stato un errore, avrei potuto
avere qualcuno che mi badava al posto vostro »
Lui
è sempre stato così: uno che non si sbatte troppo per
dei sentimenti non corrisposti. L'unica cosa per cui l'ho visto
sputare sangue è sempre stata la musica, quella e nient'altro.
«
Non dire così, sai che ci fa piacere farti compagnia »
«
Ma non vi fa piacere farvi compagnia a vicenda » completò
lui per me.
«
Non è così, lo sai anche tu »
«
Allora dimmi qualcos'altro che già so » mi dice, freddo,
con quegli occhi glaciali puntati sui miei.
Non
reggo il suo sguardo, rivolgo il mio un po' ovunque tranne che su di
lui.
«
Vado a dormire » cerco di dire, gesticolando forse un po'
troppo.
Vado
nella camera che Travis mi ha concesso, una delle tante in questa
casa che sembra una reggia. Mi siedo sulla sedia davanti alla
scrivania, e prendo in mano la chitarra. Voglio provare a fare una
cosa.
La
prima canzone che mi viene in mente è Adam's Song,
perché credo sia quella che ci rappresentava al meglio.
La
arrangio in chiave acustica per quanto
ricordo, e mentre le mie dita scorrono incerte sulla chitarra, mi
sento un po' più vivo di sempre.
«
I
never thought I'd die alone I
laughed the loudest who'd have known? »
La
canticchio più per me stesso che per qualcuno, ma in un certo
senso è una cosa che mi ferisce. Fa mal come lo fa un bel
ricordo andato a pezzi, uno di quelli per i quali non vale la pena
stare male, ma nonostante questo lo fai lo stesso.
«
Im too depressed to go on... »
«
...you'll be sorry when I'm gone »
continua per me una voce alle mie spalle.
Smetto
di suonare e mi volto verso Tom, che stava lì a guardarmi da
non so quanto tempo. Sorride con il volto malinconico e le braccia
conserte, appoggiato allo stipite della porta. Per una frazione di
secondo si sente solo il rumore dei grilli entrare dalla finestra
aperta.
«
Mi è sempre piaciuta questa canzone » mi dice,
avvicinandosi.
Si
siede sul mio letto, e allunga una mano. Un gesto muto per chiedermi
la chitarra.
Glie
la passo senza dire niente, e lui comincia a strimpellare gli accordi
di qualche altra canzone che mi rimbomba in testa come una ninnananna
infernale.
Mentre
suona, metto una mano sulla sua e lo faccio fermare.
«
Voglio solo che tu sappia che non ho mai voluto che tu scegliessi tra
noi e tua figlia »
Non so
perché l'ho detto, è stato un gesto involontario.
Sentivo solo di dover puntualizzare il concetto, non mi è mai
piaciuto passare per la parte dello stronzo, e forse una parte di me
ci tiene davvero a salvare questa amicizia.
Lui mi
guarda con la bocca aperta per qualche secondo, probabilmente non si
aspettava questa affermazione.
Annuisce,
guardando un po' oltre.
«
L'ho capito troppo tardi » mi fa, con gli occhi lucidi.
Vedo
una vita di scelte passargli davanti gli occhi in un baleno. Vedo le
sofferenze e le rinunce e tutto il resto.
Per la
prima volta credo di vedere Tom Delonge, quello vero. Che non è
né l'adolescente che conoscevo, né l'uomo fatto e
finito che ero convinto di non conoscere. Ora è solo Tom, ed è
davanti a me senza pretese e senza maschere.
Ha
negli occhi l'ombra del ragazzino che era, ma in cuor mio so che è
lo stesso di sempre.
Ho
pensato di impazzire per tutti questi anni, ho viaggiato come
un'anima in pena in cerca di qualcosa di familiare negli occhi degli
altri. In cerca di qualcosa che mi avrebbe fatto sentire come
facevano loro, i Blink 182. Cercavo quell'atmosfera, e pensavo di
essermi arreso, non rendendomi davvero conto che l'unico luogo dove
potevo ritrovarla era negli occhi di chi quelle avventure le aveva
vissute.
«
Magari non è mai troppo tardi » gli dico, immobile.
«
Non ci hai mai creduto a questa frase » ribatte, subito.
«
Si può decidere di cambiare, tu ne sei la prova vivente. »
«
Non sono cambiato quanto pensi. Sono sempre io, sempre lo stesso,
solo con qualche anno in più » sorride. « Tutti
siamo cambiati » aggiunge, poi.
Non
quanto te – penso.
Non ho
il coraggio di muovere un muscolo, l'aria è troppo pesante per
poterlo fare.
Ho
solo questa sensazione strana all'altezza dello sterno che si dirama
fino alle punte delle dita, è qualcosa che rischia di farmi
impazzire.
«
L'importante è non dimenticare il passato. Non rinnegare chi
siamo stati prima... »
«
Non l'ho mai fatto, e questo tu lo sai. »
«
No » dico, alzando un po' la voce, ma non troppo. « Non
lo so. Non so niente di te, è questo il punto. »
«
Sono Tom DeLonge, fondatore dei Blink 182. Ho vissuto una vita
pazzesca con persone altrettanto pazzesche, e ho mandato tutto a
puttane pur di non fare i conti con me stesso. Ecco chi sono »
dice, tutto d'un fiato, con gli occhi puntati sui miei.
«
Ed ero lì per voi » continua.
Lo
guardo convinto che mi stia prendeno in giro, ma non posso ingannare
anche me stesso. Conoscevo Tom, conoscevo il suo modo di fare e il
suo modo di porsi alla vita; difficilmente i suoi comportamenti
venivano fraintesi, lui era quello con le idee sempre chiare.
Forse
è stato questo a mettermi in allarme, il fatto che
improvvisamente neanche lui fosse sincero con se stesso.
Le
fondamenta dei Blink 182 hanno iniziato a tremare quando ci siamo
resi conto che I Miss You era diventata il simbolo dell'amore
adolescenziale. Quando canzoni come Adam's Song o All
The Small Things hanno iniziato a dare voce ad una schiera
di gente notevolmente maggiore di quei quattro che venivano a
sentirci durante i primi concerti, noi abbiamo iniziato a morire.
Succede
che improvvisamente ti rendi conto di aver creato qualcosa di più
grande di te. Tutto d'un tratto una tua canzone – quella che
canticchiavi in un garage malmesso, quando far uscire quelle canzoni
e darle al mondo era un piano reale solo nella tua testa –
viene passata in radio, e non è il tuo sentirti al pari con
Dio che ti preoccupa, ma il fatto che molta gente – molta di
più di quella che ti aspettavi – si rispecchia in quello
che volevi trasmettere, si lascia salvare. All'inizio può
essere anche carino, ma non dopo, no. Dopo arriva il difficile. Le
aspettative. Ti chiedi se capiterà mai ancora una volta che
una tua canzone diventi una leggenda vivente, e sai per certo che non
succederà.
Dopo
tutto questo e molto altro, lui sta qui davanti a me con questo
sguardo da cane bastonato e gli occhi supplichevoli.
Nota
per me stesso: non fidarti di chi ti ha fatto del male, sarà
capace di farlo ancora.
La mia
parte razionale mi impone di essergli ostile, quella sentimentale mi
sta convincendo a lasciar perdere tutto.
Allora
gli sorrido perché è più forte di me.
Passiamo
la serata a raccontarci le nostre vite.
Forse
non avrei dovuto farlo, ma sento che qualcosa è cambiato.
Mi
rendo conto che Tom non è l'uomo fatto e finito che credevo.
Mi rendo conto di come sia stato catapultato in una vita diversa
senza che nessuno gli dicesse come fare a viverla. Ora ha dei punti
fermi: i suoi figli, sua moglie, la musica in generale; ma mi ha
confessato di sentirsi incompleto, e mi ha confessato anche che è
colpa dei Blink 182.
Per
farla corta mi ha chiesto di riprovarci, lo ha fatto dopo essersi
scoperto fino al midollo, lo ha fatto dopo una nottata di
confessioni, dopo le lacrime e tutto il resto. Io l'ho guardato e me
ne sono andato senza aggiungere altro. Ecco, non avrei dovuto farlo.
Io
sono solito scappare, questo sì, ma non in questo modo.
La
verità è che ho avuto una paura matta di sbagliare
tutto di nuovo. Come cinque anni fa. In realtà le sue parole
sono state come alcol sulle ferite ancora aperte, le ferite che lui
stesso, assieme al tempo e a tutto il resto, ha inferto. E' un taglio
della stessa lama di sempre, e brucia da far schifo.
L'ho
visto cantare belle parole con un'energia che non ha mai avuto quando
eravamo solo noi contro il mondo, quando non c'erano le complicazioni
a mandarci in palla il cervello. Ma la vita non è solo questo,
non è solo cazzate e scherzi infantili. La vita è
semplice come il pane, ma piena di valore, piena di cose importanti.
Eravamo
solo noi contro il mondo, avevamo in corpo la necessità di
stare uniti, perché altrimenti saremmo affogati, e quando essa
è venuta a mancare siamo comunque affondati, ma ognuno per
conto suo, e ognuno in un angolo diverso, al buio,nascondendosi dagli
altri.
La
mattina dopo scendo le scale fino alla cucina, mi avvicino al frigo,
lo apro e prendo il cartone del latte, e i cereali dalla credenza.
Mischio il tutto in una ciotola e mi volto. Lui scende le scale, mi
guarda con gli occhi stanchi più del solito e si siede
dall'altra parte del tavolo. Io mi muovo in automatico, mi piazzo
seduto davanti a lui con la prima cucchiaiata della mattina già
in bocca. D'improvviso non ho più forze.
La mia
vita dopo i Blink 182 è stata un lento dondolare su e giù
tra la tristezza e la felicità. Una nenia insopportabile mi
accompagnava sempre, una maledizione sulle spalle.
Quando
cammini per strada riesci a vedere le vite degli altri riflesse nei
loro occhi? Io sì.
Ho
vissuto aspettando una fine che non è mai arrivata. Ho vissuto
aspettando che qualcosa o qualcuno mi salvasse e concludesse la
faccenda. Ma non c'era niente da concludere, niente da finire, solo
da risolvere.
Lasciavo
i resti di me stesso in inverno, e l'estate era solo un passatempo un
po' più dolce. Aiutava ad indorare la pillola ogni giorno.
Sono
un debole, questo l'ho capito.
Un
mondo che si accascia contro di te proprio nel momento esatto in cui
tu cadi verso di lui. È esattamente questo che mi è
successo, ed è un po' come la terra che ti manca sotto i
piedi. È uno schianto atterra di proporzioni amplificate. Onda
d'urto.
Tom si
alza di nuovo in piedi dopo essersi stirato un po' gli occhi con le
punte delle dita, mi passa attorno e inizia a farsi il caffé.
Travis
arriva e si piazza al suo posto, proprio davanti a me.
«
Caffé? » gli fa Tom.
Travis
lo guarda per qualche secondo di troppo con lo sguardo perso nel
sonno.
«
Certo » farfuglia, poi.
Ha la
cresta altissima e ingellata come ieri sera, non cambia mai, sembra
ce l'abbiano incollata.
Tom
finisce di fare il caffé e lo porta al tavolo assieme a due
tazze. Io continuo a mangiare i miei cereali.
Versa
un po' di caffé per sé e un po' per Travis, poi si
siede accanto a lui.
«
Mi passi lo zucchero? » mi chiede, tra un silenzio e l'altro.
Lo
zucchero è a pochi centimetri dal mio braccio.
Io lo
guardo e lo riguardo, guardo Travis e penso che uno può
decidere della sua vita in una frazione di secondo.
E in
quel momento faccio la mia scelta, cambio la mia vita per sempre
ancora una volta, ricerco la felicità che mi era stata negata.
C'è
sempre una speranza per tutti.
Non
esistono certezze, ma ci si può illudere.
Prendo
lo zucchero e lo allungo verso Tom, lui mi sorride in segno di
ringraziamento, e io faccio lo stesso, sincero dopo cinque anni.
Guardo
Travis, e mi sorride anche lui.
Sorridiamo.
E va oltre le cazzate e le cose inutili, e va oltre cinque anni di
assenza, e va oltre il silenzio e gli sguardi. Oltre tutto.
Ho
ricominciato a respirare, adesso, dopo l'assenza che in fondo era
soltanto mia.
***
Note:
Ecco la seconda parte della storia. E' notevolmente più
corta della prima in quanto inizialmente dovevano essere pubblicate
assieme sotto forma di oneshot. Nonostante nel complesso non sia una
cosa molto impegnativa, mi ha toccato molto nello scriverla. Credo di
aver sfiorato i sentimenti in modo reale, ma non so se sono riuscita
a riportarli fedelmente. Fatemi sapere cose ne pensate e come sempre
un grazie enorme a tutti quelli che hanno recensito.
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