Fanfic su artisti musicali > Blink-182
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Autore: __Aivlis    09/07/2012    3 recensioni
Alla fine sono arrivato ad una conclusione, e l'ho accettata come vera per non rischiare di impazzirci sopra. Il sogno più piccolo di Tom erano i Blink e quello che rappresentavano, era Peter Pan, rimanere adolescenti per sempre. E io come lui ero consapevole di non poterci riuscire, perché arrivi ad un punto della vita in cui hai davanti delle scelte, e ognuna di esse ti porterà inevitabilmente a cambiare te stesso. Non si sfugge, tocca a tutti, non c'è un modo per rimanere fermi.
Il sogno più grande era la musica, e di questo sono sicuro perché me lo diceva sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mark Hoppus, Tom DeLonge, Travis Barker
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Estate 2008


Siamo a casa di Travis, a Los Angeles, e le acque sembrano essersi calmate. Io e Tom facciamo finta di ridere e scherzare, o almeno credo che facciamo finta. Non vogliamo litigare davanti a Travis, questo è ovvio, ma non è stato un accordo prestabilito.

In certi momenti penso che lui faccia sul serio, che pensi davvero di fottermi con quel sorrisetto da uomo maturo. Non ci riuscirà.

E' incredibile come possa cambiare qualcuno in cinque anni. Lo guardo mentre ride e scherza e fa battute sconce sulle scoregge e sul sesso, ma nel suo sguardo non c'è più niente di quell'adolescente che voleva solo essere libero dal mondo. Adesso, invece, sembra che il mondo sia riuscito a mangiarsi la sua anima intera. E' malinconico in tutto quello che fa.

A tratti lo capisco. Anche io, come lui, so cosa vuol dire avere un figlio, so cosa vuol dire mettere su famiglia. Non è l'unico a sapere in che modo tutte queste cose ti cambiano, ma io credo di averle affrontate con più leggerezza.

Qui torniamo agli argomenti di sempre, a come la sua vita l'abbia temprato, a come la sua infanzia lo abbia inevitabilmente modellato. Crescere come a fatto lui non sarebbe facile per nessuno, e sono sempre stato convinto che non avere un padre sia stato il dettaglio che lo ha legato in maniera così morbosa a sua figlia Ava. Ed è per questo che è sempre stato così tanto protettivo nei suoi confronti.

Non mi sento di giudicare la sua vita, per questo cerco di concentrarmi su altri aspetti.

Travis è uscito dall'ospedale la settimana scorsa, e lo vedo mille volte più felice di come era prima dell'incidente, e credo di sapere perché.




Un giorno ho visto Travis sedersi sullo sgabello della sua batteria, giù in studio, con lo spartito di Feeling This sott'occhio. Non che ne avesse bisogno, credo l'abbia aggiunto solo per fare un po' il teatrale, come suo solito.

« Pensi mai ai vecchi tempi? » mi fa, con lo sguardo fisso su quei tamburi che è ben consapevole di non poter ancora suonare, per via del braccio.

« Ogni giorno » gli dico.

Solo dopo qualche secondo mi accorgo che Tom è appena dietro la porta, e che probabilmente ha ascoltato tutto.

Appena mi volto, lui mi da le spalle e se ne va lentamente, senza cercare di nascondere la sua presenza.




Ormai ci siamo tutti abituati a vivere con Travis, gli abbiamo promesso che per questo mese staremo con lui.

« Divorziare proprio adesso è stato un errore, avrei potuto avere qualcuno che mi badava al posto vostro »

Lui è sempre stato così: uno che non si sbatte troppo per dei sentimenti non corrisposti. L'unica cosa per cui l'ho visto sputare sangue è sempre stata la musica, quella e nient'altro.

« Non dire così, sai che ci fa piacere farti compagnia »

« Ma non vi fa piacere farvi compagnia a vicenda » completò lui per me.

« Non è così, lo sai anche tu »

« Allora dimmi qualcos'altro che già so » mi dice, freddo, con quegli occhi glaciali puntati sui miei.

Non reggo il suo sguardo, rivolgo il mio un po' ovunque tranne che su di lui.

« Vado a dormire » cerco di dire, gesticolando forse un po' troppo.

Vado nella camera che Travis mi ha concesso, una delle tante in questa casa che sembra una reggia. Mi siedo sulla sedia davanti alla scrivania, e prendo in mano la chitarra. Voglio provare a fare una cosa.

La prima canzone che mi viene in mente è Adam's Song, perché credo sia quella che ci rappresentava al meglio.

La arrangio in chiave acustica per quanto ricordo, e mentre le mie dita scorrono incerte sulla chitarra, mi sento un po' più vivo di sempre.

« I never thought I'd die alone
I laughed the loudest who'd have known? »

La canticchio più per me stesso che per qualcuno, ma in un certo senso è una cosa che mi ferisce. Fa mal come lo fa un bel ricordo andato a pezzi, uno di quelli per i quali non vale la pena stare male, ma nonostante questo lo fai lo stesso.

« Im too depressed to go on... »

« ...you'll be sorry when I'm gone » continua per me una voce alle mie spalle.

Smetto di suonare e mi volto verso Tom, che stava lì a guardarmi da non so quanto tempo. Sorride con il volto malinconico e le braccia conserte, appoggiato allo stipite della porta. Per una frazione di secondo si sente solo il rumore dei grilli entrare dalla finestra aperta.

« Mi è sempre piaciuta questa canzone » mi dice, avvicinandosi.

Si siede sul mio letto, e allunga una mano. Un gesto muto per chiedermi la chitarra.

Glie la passo senza dire niente, e lui comincia a strimpellare gli accordi di qualche altra canzone che mi rimbomba in testa come una ninnananna infernale.

Mentre suona, metto una mano sulla sua e lo faccio fermare.

« Voglio solo che tu sappia che non ho mai voluto che tu scegliessi tra noi e tua figlia »

Non so perché l'ho detto, è stato un gesto involontario. Sentivo solo di dover puntualizzare il concetto, non mi è mai piaciuto passare per la parte dello stronzo, e forse una parte di me ci tiene davvero a salvare questa amicizia.

Lui mi guarda con la bocca aperta per qualche secondo, probabilmente non si aspettava questa affermazione.

Annuisce, guardando un po' oltre.

« L'ho capito troppo tardi » mi fa, con gli occhi lucidi.

Vedo una vita di scelte passargli davanti gli occhi in un baleno. Vedo le sofferenze e le rinunce e tutto il resto.

Per la prima volta credo di vedere Tom Delonge, quello vero. Che non è né l'adolescente che conoscevo, né l'uomo fatto e finito che ero convinto di non conoscere. Ora è solo Tom, ed è davanti a me senza pretese e senza maschere.

Ha negli occhi l'ombra del ragazzino che era, ma in cuor mio so che è lo stesso di sempre.

Ho pensato di impazzire per tutti questi anni, ho viaggiato come un'anima in pena in cerca di qualcosa di familiare negli occhi degli altri. In cerca di qualcosa che mi avrebbe fatto sentire come facevano loro, i Blink 182. Cercavo quell'atmosfera, e pensavo di essermi arreso, non rendendomi davvero conto che l'unico luogo dove potevo ritrovarla era negli occhi di chi quelle avventure le aveva vissute.

« Magari non è mai troppo tardi » gli dico, immobile.

« Non ci hai mai creduto a questa frase » ribatte, subito.

« Si può decidere di cambiare, tu ne sei la prova vivente. »

« Non sono cambiato quanto pensi. Sono sempre io, sempre lo stesso, solo con qualche anno in più » sorride. « Tutti siamo cambiati » aggiunge, poi.

Non quanto te – penso.

Non ho il coraggio di muovere un muscolo, l'aria è troppo pesante per poterlo fare.

Ho solo questa sensazione strana all'altezza dello sterno che si dirama fino alle punte delle dita, è qualcosa che rischia di farmi impazzire.

« L'importante è non dimenticare il passato. Non rinnegare chi siamo stati prima... »

« Non l'ho mai fatto, e questo tu lo sai. »

« No » dico, alzando un po' la voce, ma non troppo. « Non lo so. Non so niente di te, è questo il punto. »

« Sono Tom DeLonge, fondatore dei Blink 182. Ho vissuto una vita pazzesca con persone altrettanto pazzesche, e ho mandato tutto a puttane pur di non fare i conti con me stesso. Ecco chi sono » dice, tutto d'un fiato, con gli occhi puntati sui miei.

« Ed ero lì per voi » continua.

Lo guardo convinto che mi stia prendeno in giro, ma non posso ingannare anche me stesso. Conoscevo Tom, conoscevo il suo modo di fare e il suo modo di porsi alla vita; difficilmente i suoi comportamenti venivano fraintesi, lui era quello con le idee sempre chiare.

Forse è stato questo a mettermi in allarme, il fatto che improvvisamente neanche lui fosse sincero con se stesso.




Le fondamenta dei Blink 182 hanno iniziato a tremare quando ci siamo resi conto che I Miss You era diventata il simbolo dell'amore adolescenziale. Quando canzoni come Adam's Song o All The Small Things hanno iniziato a dare voce ad una schiera di gente notevolmente maggiore di quei quattro che venivano a sentirci durante i primi concerti, noi abbiamo iniziato a morire.

Succede che improvvisamente ti rendi conto di aver creato qualcosa di più grande di te. Tutto d'un tratto una tua canzone – quella che canticchiavi in un garage malmesso, quando far uscire quelle canzoni e darle al mondo era un piano reale solo nella tua testa – viene passata in radio, e non è il tuo sentirti al pari con Dio che ti preoccupa, ma il fatto che molta gente – molta di più di quella che ti aspettavi – si rispecchia in quello che volevi trasmettere, si lascia salvare. All'inizio può essere anche carino, ma non dopo, no. Dopo arriva il difficile. Le aspettative. Ti chiedi se capiterà mai ancora una volta che una tua canzone diventi una leggenda vivente, e sai per certo che non succederà.

Dopo tutto questo e molto altro, lui sta qui davanti a me con questo sguardo da cane bastonato e gli occhi supplichevoli.

Nota per me stesso: non fidarti di chi ti ha fatto del male, sarà capace di farlo ancora.

La mia parte razionale mi impone di essergli ostile, quella sentimentale mi sta convincendo a lasciar perdere tutto.

Allora gli sorrido perché è più forte di me.

Passiamo la serata a raccontarci le nostre vite.




Forse non avrei dovuto farlo, ma sento che qualcosa è cambiato.

Mi rendo conto che Tom non è l'uomo fatto e finito che credevo. Mi rendo conto di come sia stato catapultato in una vita diversa senza che nessuno gli dicesse come fare a viverla. Ora ha dei punti fermi: i suoi figli, sua moglie, la musica in generale; ma mi ha confessato di sentirsi incompleto, e mi ha confessato anche che è colpa dei Blink 182.

Per farla corta mi ha chiesto di riprovarci, lo ha fatto dopo essersi scoperto fino al midollo, lo ha fatto dopo una nottata di confessioni, dopo le lacrime e tutto il resto. Io l'ho guardato e me ne sono andato senza aggiungere altro. Ecco, non avrei dovuto farlo.

Io sono solito scappare, questo sì, ma non in questo modo.

La verità è che ho avuto una paura matta di sbagliare tutto di nuovo. Come cinque anni fa. In realtà le sue parole sono state come alcol sulle ferite ancora aperte, le ferite che lui stesso, assieme al tempo e a tutto il resto, ha inferto. E' un taglio della stessa lama di sempre, e brucia da far schifo.

L'ho visto cantare belle parole con un'energia che non ha mai avuto quando eravamo solo noi contro il mondo, quando non c'erano le complicazioni a mandarci in palla il cervello. Ma la vita non è solo questo, non è solo cazzate e scherzi infantili. La vita è semplice come il pane, ma piena di valore, piena di cose importanti.

Eravamo solo noi contro il mondo, avevamo in corpo la necessità di stare uniti, perché altrimenti saremmo affogati, e quando essa è venuta a mancare siamo comunque affondati, ma ognuno per conto suo, e ognuno in un angolo diverso, al buio,nascondendosi dagli altri.




La mattina dopo scendo le scale fino alla cucina, mi avvicino al frigo, lo apro e prendo il cartone del latte, e i cereali dalla credenza. Mischio il tutto in una ciotola e mi volto. Lui scende le scale, mi guarda con gli occhi stanchi più del solito e si siede dall'altra parte del tavolo. Io mi muovo in automatico, mi piazzo seduto davanti a lui con la prima cucchiaiata della mattina già in bocca. D'improvviso non ho più forze.




La mia vita dopo i Blink 182 è stata un lento dondolare su e giù tra la tristezza e la felicità. Una nenia insopportabile mi accompagnava sempre, una maledizione sulle spalle.

Quando cammini per strada riesci a vedere le vite degli altri riflesse nei loro occhi? Io sì.

Ho vissuto aspettando una fine che non è mai arrivata. Ho vissuto aspettando che qualcosa o qualcuno mi salvasse e concludesse la faccenda. Ma non c'era niente da concludere, niente da finire, solo da risolvere.

Lasciavo i resti di me stesso in inverno, e l'estate era solo un passatempo un po' più dolce. Aiutava ad indorare la pillola ogni giorno.

Sono un debole, questo l'ho capito.




Un mondo che si accascia contro di te proprio nel momento esatto in cui tu cadi verso di lui. È esattamente questo che mi è successo, ed è un po' come la terra che ti manca sotto i piedi. È uno schianto atterra di proporzioni amplificate. Onda d'urto.

Tom si alza di nuovo in piedi dopo essersi stirato un po' gli occhi con le punte delle dita, mi passa attorno e inizia a farsi il caffé.

Travis arriva e si piazza al suo posto, proprio davanti a me.

« Caffé? » gli fa Tom.

Travis lo guarda per qualche secondo di troppo con lo sguardo perso nel sonno.

« Certo » farfuglia, poi.

Ha la cresta altissima e ingellata come ieri sera, non cambia mai, sembra ce l'abbiano incollata.

Tom finisce di fare il caffé e lo porta al tavolo assieme a due tazze. Io continuo a mangiare i miei cereali.

Versa un po' di caffé per sé e un po' per Travis, poi si siede accanto a lui.

« Mi passi lo zucchero? » mi chiede, tra un silenzio e l'altro.

Lo zucchero è a pochi centimetri dal mio braccio.

Io lo guardo e lo riguardo, guardo Travis e penso che uno può decidere della sua vita in una frazione di secondo.

E in quel momento faccio la mia scelta, cambio la mia vita per sempre ancora una volta, ricerco la felicità che mi era stata negata.

C'è sempre una speranza per tutti.

Non esistono certezze, ma ci si può illudere.

Prendo lo zucchero e lo allungo verso Tom, lui mi sorride in segno di ringraziamento, e io faccio lo stesso, sincero dopo cinque anni.

Guardo Travis, e mi sorride anche lui.

Sorridiamo. E va oltre le cazzate e le cose inutili, e va oltre cinque anni di assenza, e va oltre il silenzio e gli sguardi. Oltre tutto.

Ho ricominciato a respirare, adesso, dopo l'assenza che in fondo era soltanto mia.


***


Note: Ecco la seconda parte della storia. E' notevolmente più corta della prima in quanto inizialmente dovevano essere pubblicate assieme sotto forma di oneshot. Nonostante nel complesso non sia una cosa molto impegnativa, mi ha toccato molto nello scriverla. Credo di aver sfiorato i sentimenti in modo reale, ma non so se sono riuscita a riportarli fedelmente. Fatemi sapere cose ne pensate e come sempre un grazie enorme a tutti quelli che hanno recensito.






   
 
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