Epilogo
Quando
la tempesta sarà finita, non saprai come hai fatto ad
attraversarla e a uscirne
vivo.
Anzi,
non
sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non
c'è dubbio.
Ed
è che
tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
(Kafka
sulla spiaggia, H. Murakami)
Lily era stata la prima ad
avvistare Harry, Al e Thomas. Teddy aveva visto la ragazzina alzarsi in
piedi ancor
prima che spuntassero dalla collina scoscesa che digradava verso la
rimessa
delle barche – luogo ultimo e sicuro in cui avevano deciso di
spostarsi.
“Sono
loro!” Gridò correndogli
incontro, insolitamente vitale per una mezza intossicazione da fumo. Ma
era la
forza di volontà, e soprattutto la tensione di saperli
ancora dentro, ad averla
tenuta in piedi fino a quel momento. Ad averli tenuti tutti,
in piedi.
Fu Albus a staccarsi dalla
piccola comitiva. Era il più malconcio e bruciacchiato dei
tre a giudicare
dallo stato della sua felpa sportiva, una volta verde, adesso
grigiastra e
piena di bruciature. Più malconcio, eppure ebbe la forza di
andare verso la
sorella e strizzarla in un abbraccio.
Teddy poté
immaginare
facilmente cosa si stessero dicendo, dalle lacrime della ragazzina e
l’aria
sollevata e un po’ irritata dell’altro. Lily doveva
star profondendosi in scuse
e il fratello maggiore doveva pensare che metà di esse fosse
dovute solo al
senso di colpa.
Andò loro
incontro, facendo
cenno a Dominique e Scorpius di restare seduti a respirare dalle
maschere di
ossigeno portatile che gli agenti tedeschi – preventivamente
avvertiti –
avevano portato con sé. Non controllò il giovane
Von Hohenheim; grazie a
Merlino, non era più affar suo.
“Scusa!”
Lily aveva l’aria di
averlo detto almeno cento volte. “Mi dispiace,
io…”
“Basta, Lils.” La fermò Al facendole una
carezza e sporcandola di fuliggine su
tutta la guancia. “Sai bene che non siamo qui solo per te.
Non fare
l’egocentrica.” Motteggiò senza asprezza.
Lily fece una piccola
smorfia
consapevole, guardando poi verso Tom. “Stai bene
Tommy?”
Thomas aveva
un’espressione molto
diversa dalla solita facciata d’indifferenza che approntava
per urbi et orbi. Doveva essere
piuttosto
provato. “Sì.” Disse. “Ed
è Tom.”
Lily ridacchiò e
poi andò ad
abbracciarlo. Sorpresa ulteriore, il ragazzo non si irrigidì
né si scostò
infastidito ma ricambiò con un certo trasporto. Rigido come
uno stoccafisso,
avrebbe detto James, ma era pur sempre un abbraccio.
Merlino,
voglio tornare da Jamie.
Era un desiderio
così acuto
che solo il buonsenso gli impediva di tentare una Smaterializzazione
intercontinentale.
Rivolse allora lo sguardo ad Harry che si stava pulendo gli occhiali
con il
risvolto del mantello d’ordinanza, infischiandosene
dell’etichetta e della
sacralità dell’uniforme. Notatolo,
l’uomo interruppe l’operazione e andò a
stringergli la spalla. “Teddy, credo di doverti la mia
completa gratitudine.”
Aggrottò lui stesso le sopracciglia al tono formale e si
sciolse quindi in
un sorriso. “Meno male che c’eri, ragazzo
mio. Meno male.”
Ted si sentì arrossire di disagio e piacere. Non era molto
virile, ma quello
era il suo padrino.
“Grazie
Harry.” Si schiarì la
voce. “Avrei voluto avere il potere di fermarli.”
Non chiese scusa e fu
straniante; ma anche stranamente giusto.
“Sappiamo benissimo che era impossibile!” Rise
infatti l’altro scuotendo la
testa. “Hai fatto quello che dovevi, li hai tenuti al sicuro.
Grazie.”
Ted strinse la mano sulla sua spalla. “Non pensarci neppure.
Dopotutto
rimangono miei studenti. Lo dico senza il rischio di sembrare fuori
luogo … ho
solo fatto il mio lavoro.”
Harry annuì.
“Con pessimi
studenti, oserei dire.” Suggerì con sguardo che
suggeriva tutt’altra opinione;
dietro l’aria doverosa da padre severo era chiaro come il
sole che fosse
orgoglioso dei suoi figli.
E
della loro capacità di attirare guai? Anche. Harry a
volte è proprio strano…
“Oh,
credimi, quest’anno i Tassorosso
hanno ottime probabilità
di vincere
la coppa delle Case.” Motteggiò di rimando.
“Cosa?”
Fu la voce di Tom a sorprenderli. “Significa che ci verranno
tolti dei punti per quello che abbiamo fatto?”
“Non se ne
parla!” Gli diede
manforte Lily. “Voglio dire, sono pronta a non uscire di casa
prima dei quarant’anni
e pulire tutti i gabinetti di Hogwarts con uno spazzolino da denti, ma non puoi togliere punti a Grifondoro
Teddy! Stavamo vincendo!”
“Veramente no.”
Le fece eco Al
inarcando le sopracciglia. “Mi ricordo i valori della
Clessidra, Lils. Eravamo
sopra a voi di almeno cento punti.”
“Ah, saranno sicuramente migliorati dall’ultima
volta!” Ribatté quella con
sicurezza. “I due secchioni di Serpeverde sono in gita e non
potevate fare
punti a Durmstrang.”
Lui ed Harry si guardarono
prima di mettersi a ridere; era bello vedere come nonostante tutto,
nonostante
le cicatrici che sia Lily che Tom avevano riportato, riuscissero ancora
a pensare
a cose come i punti delle proprie Case.
Va
bene. È ottimo. È buon materiale per lasciarsi
tutto
questo orrore alle spalle.
“Hai ragione Lily.
È meglio se
ti preoccupi della punizione che ti aspetta a casa.” Disse
Harry, e dietro il
sorriso era maledettamente serio. La quindicenne parve intuirlo
perché fece un
sospiro scornato e annuì. Gli occhi le andarono
immediatamente verso il falso Luzhin,
che, piantonato da due agenti e ammanettato, non muoveva muscolo. Teddy
l’aveva
però beccato più volte a fare lo stesso gioco di
Lily. Ma sempre in tempi
alterni; i loro sguardi non si erano mai incrociati.
“Sono arrivati gli
Auror … o
credo siano tipo Tiratori Scelti tedeschi.” Disse Lily
mordicchiandosi le
labbra. “L’agente Gillespie e lo zio ci stanno
parlando da un bel po’. Non
capisco il tedesco, ma credo li stiano interrogando. Hanno fatto
domande anche
a noi, in inglese.”
Il sorriso del padrino
scomparve come neve al sole. La realtà, oltre la
felicità di saperli tutti vivi
e in salute, tornò prepotente. “Bene.”
Disse. “Adesso vado a parlarci io. Al,
Tom … voi bevete e sedetevi, non voglio sentir rimostranze.
Lily, vale lo
stesso per te.” I tre ragazzi si avviarono ubbidienti verso
Scorpius e
Dominique; i due maschi furono accolti a pacche sloga - legamento e
borracce
d’acqua debitamente incantate con un Rabbocco. Lily si
limitò a sedersi vicino
a Dominique e ascoltarla ciarlare sconclusionatamente come suo solito.
Arrivò dunque il
momento delle
domande. “Von Hohenheim?”
“È
morto.” Ad una sua protesta
Harry levò una mano significativamente.
“È precipitato da venti metri di torre
e abbiamo visto il suo corpo venir aggredito dalle fiamme. Credo sia
abbastanza, e voglio che con Tom se ne parli il meno
possibile.”
“… È stato lui?”
Un lampo scuro passo nelle
iridi chiare del Salvatore. “No. Sono stato io. Tom non ha
levato la bacchetta
contro suo padre.”
Ted deglutì. “Va bene.”
Mormorò guardingo. Credeva ovviamente alle parole del
padrino, ma non era del tutto sicuro che l’adolescente che in
quel momento
stava bevendo acqua e scherzando con gli altri non ne sarebbe stato in
grado.
Meglio
così.
“Non
poteva essere diversamente.”
L’espressione dell’uomo era incredibilmente seria.
“Thomas non dovrà mai
uccidere nessuno, in nessuna
circostanza … la sua anima non ne reggerebbe il
peso.”
Ted aggrottò le sopracciglia, poi capì.
“È perché è già
stata divisa, vero?”
Harry annuì.
“Non sono bravo
in queste cose, ma credo che una settima parte di anima sia un
po’ poco per
reggere quello che un omicidio comporta. Von Hohenheim doveva saperlo,
è suo
figlio.” Sospirò. “Credo volesse farla
finita portandosi tutto ciò che aveva creato
con sé, Tom compreso. Il modo migliore era renderlo un
assassino. Nulla di
bello sarebbe accaduto alla sua anima, se avesse preso la vita di suo
padre.”
Voltò il viso verso il castello. La barriera che le
racchiudeva doveva aver
ceduto, e ormai l’intera struttura era in fiamme.
Ted si passò una
mano trai
capelli. Ci sarebbero voluti giorni perché tornassero
colorati e brillanti come
era la norma. Giorni e James.
“Farsi
uccidere…” Meditò.
“… sei sicuro che fosse questo il suo fine
ultimo?” Esitò
vedendo l’espressione dell’altro. “Voglio
dire … tutto quel che ha fatto … Per
farsi uccidere da suo figlio?”
Harry sospirò.
“Era pazzo.”
Scrollò le spalle. “In ogni caso non ha
più importanza. È finita.”
Ted annuì con un
sorriso. “Non
vedo l’ora di tornare a casa.”
L’altro si massaggiò la nuca con una smorfia.
“Merlino, a chi lo dici … Un
bagno di dieci ore e un buon the.” Spalancò gli
occhi quasi immaginasse quella
meraviglia. “Ma temo che prima ci siano alcune questioni da
sbrigare.”
Soggiunse a malincuore, guardando Von Hohenheim Nipote.
“Lui?”
“Non ha detto una parola da quando ve ne siete andati. Gli
agenti sono venuti e
l’hanno preso in consegna, credo che vogliano interrogarlo
alla loro centrale.
Per noi bastano semplici deposizioni, ma per lui…”
Harry annuì,
dandogli una
pacca sulla spalla. “Ma … quel ragazzo biondo?
Quello venuto con Al?”
Ted assunse
un’espressione
imbarazzata. “È scappato.” Si risolse a
dire grattandosi la guancia e guardando
verso la fitta foresta che si apriva a pochi metri dalla rimessa.
“Nessuno lo
stava sorvegliando perché … beh, tu e i ragazzi
eravate dentro, gli agenti
erano appena arrivati e bisognava spiegar loro la situazione
e…”
“Ed ha preso il volo.” Harry sospirò.
“Beh, c’era da aspettarselo. Credo fosse
stato messo in mezzo da Al.” Si strinse nelle spalle.
“Era un Magonò. Forse è
meglio così, non era giusto che venisse messo in mezzo. Non
è come se avesse
partecipato attivamente alla cattura di Lily.”
Ted convenne con un cenno
della testa, accompagnando il padrino verso gli agenti.
L’uomo si presentò
all’impeccabile agente-capo con due enormi baffi biondissimi
e l’aria marziale.
Da una certa latitudine, agli occhi di Ted, i maghi si somigliavano
tutti.
“Come stavo
spiegando alla sua
collega, Capo Auror Potter, prendiamo in consegna Sören Von
Hohenheim.” Esordì
questo. “Il caso, come potrà immaginare, passa
ufficialmente a noi per motivi
geografici. Tuttavia il nostro Ministero sarà lieto di
collaborare con il
vostro, nel caso lei e i suoi agenti vogliate prendere parte agli
interrogatori
… come ospiti.” Ci tenne a specificare, rimarcando
il fatto che il merito della
cattura sarebbe andato a loro.
Poco
giusto. Ma considerando le centinaia di regole e
regolette degli Statuti di Cooperazione Magica che sicuramente son
stati
infrante…
“Vi
ringrazio.” Sorrise Harry
con la sua miglior espressione da copertina. Era piuttosto affascinante
e energica,
e i tedeschi parvero gradirla da come si rilassarono immediatamente.
“Dateci
solo un po’ di giorni per riprenderci, poi saremo a vostra
completa disposizione.
Come potrete ben capire, voglio dedicarmi alla mia famiglia.”
“Natürlich!”
Esclamò il mago con aria
comprensiva. Ron ghignò alle spalle del suddetto.
L’obbiettivo principale della
messinscena del padrino era evitare la sua, di deposizione. E ci stava
riuscendo perfettamente.
Forse
Al è finito a Serpeverde per un motivo ben preciso.
L’ho sempre pensato, ma … è un
po’ come il Grande Segreto dei Potter. Sarebbero
potuti essere tutti degli eccellenti Serpeverde. Tranne James.
“Abbiamo
già completato le
deposizioni dei vostri figli, quindi credo che non ci sia motivo per
cui
restiate ulteriormente qui. Dell’incendio e la sicurezza
della zona ci pensiamo
noi.” Concluse il teutonico funzionario.
“Herr Blumstein ci ha
gentilmente
fornito una Passaporta per tornare a Londra.” Si
inserì Nora mostrando con un
certo divertimento uno stivale dall’aria vissuta.
“Chissà perché avete questa
fissazione per render le calzature Passaporte, qui in
Europa…” Soggiunse.
Harry ridacchiò
all’aria
perplessa del tedesco; era ovvio che ormai intercorresse un intenso
cameratismo
tra il padrino, Ron e la strega d’oltreoceano. Era raro che i
due uomini si
fidassero così apertamente di qualcuno, ad eccezion fatta
delle loro mogli.
Doveva essere una donna notevole.
“Bene!”
Esclamò con forza
Harry. “Credo sia ora di andare, oltre che il caso. Ginny ed
Hermione saranno
preoccupate a morte, per non parlare di Rose, Hugo e James!”
“Li troveremo
tutti alla Tana.”
Lo rassicurò Ron. “Certo però che
è meglio non perder tempo.”
Ted capì il sottotesto e si affrettò ad andare
dai cinque adolescenti che si
erano riuniti e stretti tra di loro, raccontandosi le vicendevoli parti
in
quella faccenda. Non gli sfuggì come Al e Tom stessero
accostati, dividendo la
stessa borraccia e battibeccando sulla suddetta – Tom non
voleva bere quanto l’altro
gli stava consigliando di fare. Non si tenevano per mano, ma quella
vicinanza
era più esplicita di un bacio da film.
Incrociò lo
sguardo di Harry,
che guardava proprio in quella direzione. Sorridendo.
Ma
lo sa?
Sarebbe stato il Secondo
Segreto dei Potter, sicuramente.
Harry
sa o meno di quel che succede tra Thomas e Al?
“Ragazzi, ora di
andare.” Li
riscosse. Scorpius fu il primo a saltare in piedi, mollando la
mascherina e
mettendosi a tracolla la borraccia.
“Grandioso! Devo
raccontare
quanto sono stato eroico alla mia Rosie. Mi amerà e non
faremo che fare sesso
per le prossime venticinque settimane!”
“Questo eviterei di dirlo in presenza di zio Ronnie, biondo.
Ci tieni ai tuoi
attributi, no?” Ghignò Dominique facendolo
impallidire vistosamente.
Lily non si alzò
come gli
altri. O meglio, si alzò, ma guardò ovunque
tranne che in direzione del padre e
della Passaporta. Guardava verso il falso Luzhin, o il vero Von
Hohenheim.
Teddy trovava piuttosto inquietanti quei suffissi.
“Lui…
che fine farà?”Chiese
con un filo di voce che non le si addiceva. Ted pensò che ci
sarebbe voluta più
di qualche risata condivisa e affetto familiare perché la
quindicenne superasse
quella storia.
Di
noi, forse è stata quella più colpita. Forse
persino
più di Tom.
“Lo ha preso in
consegna il
Ministero Tedesco, com’è ovvio che sia visto che
siamo in Germania e lui è tedesco.”
Le spiegò come se stesse parlando del tempo. Gli altri erano
tutti ammutoliti.
“Gli faranno delle domande, e se si dimostrerà
collaborativo…”
“Finirà a Nurmengard?”
Ted si trovò a
corto di parole
perché percepiva dolore nella voce dell’altra.
Sorprendentemente, fu Scorpius a
prendere la parola, prendendo anche da parte la ragazzina.
“Ascolta…
Sì, finirà in
prigione, perché quel che ha fatto non può
prevedere altro.” Gli sentì dire, in
tono pacato e maturo, così lontano dal suo solito smaccato e
gioviale da
sembrare quasi quello di un’altro. “Però
credo che saranno clementi con lui. Dopo
che l’avranno interrogato sarà chiaro come il sole
che ha fatto quel che ha
fatto perché suo zio gliel’ha ordinato. Non ci
andranno giù troppo pesanti,
specie perché è un testimone prezioso.”
“Sei sicuro?” Lily teneva gli occhi incollati alle
scarpe e ma tutto il resto
del corpo sembrava teso verso il tedesco, ad una decina di metri di
distanza.
Il suddetto sembrava non aver
notato
la cosa; ma aveva lo stesso atteggiamento fisico dell’altra.
Ha
notato che stanno parlando di lui, eccome.
“Ehi, stai
parlando con un
tizio che ha avuto metà famiglia ospite ad
Azkaban!” Sogghignò il biondo, con una
spigliatezza che nascondeva uno stato d’animo contrario. Lo
si capiva dagli
occhi. “Mio padre ha fatto cose poco carine quando era
giovane, ma è riuscito
comunque a trovare la sua strada ed avere una vita dignitosa. Una bella vita. Se Sören vuole,
può
uscirne.”
Favoloso
Scorpius
– Ted lo pensò con affetto. Quel ragazzo aveva
più cuore e cervello di
tanti suoi coetanei e di molteplici adulti.
Rose
non avrebbe potuto scegliere persona migliore.
Lily gli sorrise grata.
“Okay.” Si voltò di nuovo in direzione
degli agenti e del loro arrestato. Poi
guardò lui, l’autorità probabilmente
più vicina. “Teddy, pensi che possa andare
a salutarlo?”
“Lily, non lo
so…”
“Solo salutarlo!” Insistette, poi
inspirò. “Forse è meglio se vado a
chiedere a
papà.”
“Meglio, direi.” Si inserì Albus con
espressione poco contenta, ma senza aperte
rimostranze. La presenza di Tom e gli eventi che lo avevano reso
protagonista
quel giorno e l’anno prima non glielo permettevano.
Chiedere a suo padre una
cosa
del genere era come tirargli un calcio nel sedere mentre era chinato.
Una cosa
del genere. Sicuramente altrettanto urtante.
L’espressione con
cui accolse
la notizia infatti fu quella di chi aveva ricevuto un colpo
inaspettato.
“Voglio solo
salutarlo prima
che la Passaporta si attivi!” Inghiottì un groppo
di incertezza, perché anche
suo zio Ron e l’americana li stavano guardando. “Io
… credo di doverglielo.”
“Tu non gli devi nulla, Lils!” Sbottò
suo zio con forza. “Quel piccolo, viscido
bastardo…”
“Mi ha salvato la vita.” Lo interruppe ignorando
suo padre. Era molto più
facile parlare senza guardarlo in viso. “So benissimo quel
che ha fatto e non
intendo perdonarlo, ma devo dirgli addio.” Ecco le parole
giuste. “Se voglio
lasciarmi questa storia alle spalle … ecco, sento
che devo farlo.”
Sentì suo padre sospirare. “Va bene.”
Acconsentì facendo finta di non vedere
l’espressione
di protesta sul viso dell’amico di una vita. Si rivolse alla
strega. “Nora,
puoi spiegare la situazione agli agenti prima che si allarmino? Credo
che il
loro inglese sia limitato al gergo professionale.”
“Nessun problema.” Replicò sorridendole.
“Vieni.”
Lily sentì il
cuore
stazionarsi in zona gola quando si avvicinò agli agenti,
tipi enormi e
minacciosi. Sören era stato fatto sedere a terra e aveva le
mani legate da
manette magiche, dietro la schiena. Quando la vide sgranò
gli occhi ma non aprì
bocca. Riprese però colore, e questo era talmente palese che
non doveva esser
l’unica ad essersene accorto. Le guance pallide si erano
tinte di rosso.
Dannazione.
Lily sentì a
malapena le
parole che si scambiarono gli adulti in quell’idioma pietroso
che era il
tedesco; era infatti troppo presa a fissare l’altro e farsi
fissare di rimando.
Da fuori dovevano sembrare due idioti. Poi uno dei tre tedeschi disse
qualcosa
a Sören e questo si alzò immediatamente quasi
l’avessero caricato a molla. Era
rincuorante – anche se sbagliato
pensare che lo fosse – sapere che anche l’altro
voleva parlarle.
Come se non bastasse tutti – ma proprio tutti
– li stavano guardando come se fossero due pesci tropicali in
un acquario
babbano.
“Possiamo avere un
paio di
minuti? Da soli?” All’espressione degli agenti
crucchi mise su la sua migliore
aria contrita. “Per favore?”
Come
se volessi fargli scivolare una bacchetta in
tasca! Sarei la vittima, qui!
Nora parlottò
nuovamente con
quello che sembrava il capo, a giudicare dalle mostrine. Quello fece un
cenno
svogliato, ma accondiscendente. L’americana le mise una mano
sulla spalla.
“Solo un paio di minuti.” Le raccomandò,
allontanandosi poi con gli altri tre
maghi.
Sören
tirò un lungo sospiro, e
Lily si trovò di colpo a corto di parole.
Sono
un idiota.
“Lily…”
“Volevo solo dirti addio.” Impostò il
tono di voce nel modo più neutro che
poté. Il suo proposito si infranse miseramente sullo sguardo
dell’altro.
Dovrebbero
bandirli, occhi così. I cattivi devono esser
cattivi, i buoni buoni.
…
Sì, come se funzionasse così, nella vita reale.
“Grazie.”
Replicò Sören
distogliendo lo sguardo quasi avesse capito che la metteva a disagio.
“Lo
apprezzo molto.” Prese di nuovo un forte respiro.
“Io, Lilian … mi dispiace.”
“Lo so.” Ancora quel discorso. Non sarebbero mai
andati avanti e il tempo
sarebbe finito chiedendo e sentendosi dire quella stupida parola.
Scusa.
Non serve a niente scusarsi. Non cambierà quel
che è successo.
“Non sei
cattivo.” Buttò fuori
e evitò accuratamente di notare l’ espressione di
genuina sorpresa che ne
conseguì. Sören era troppo vulnerabile per non
farle male. Di nuovo. “Tu … non
sei una persona cattiva.” Ribadì. “Non
so se … se conterà qualcosa per gli
altri. Ma per me sì.” Le scarpe avevano la forma
più interessante del mondo
quando si volevano trattenere le lacrime.
Perché
dev’essere così … così
maledettamente
complicato?
“Grazie.”
Dovevano proprio
tenerlo ammanettato? Era maledettamente difficile non piangere quando
una
persona a cui voleva bene si rivelava un inganno. Era doloroso
realizzare che
l’affetto non era sparito di un’oncia. Sua nonna
– o le sue allucinazioni –
avevano ragione. Sören era sempre lì, non era
diverso dalla persona che aveva
conosciuto. Sorrideva nello stesso modo, schivo e incerto, la guardava
nello
stesso modo, come se fosse un mondo nuovo in cui era appena atterrato e
non
vedesse l’ora di scoprire.
Dannazione.
“Non
ringraziarmi.” Tirare su
con il naso non era come piangere, vero? “Diventa una persona
decente,
piuttosto.”
Qualcosa si accese nello
sguardo dell’altro. Lily si rifiutò
categoricamente di capire cosa.
“Te lo prometto.” Replicò.
“Posso…” Sören
guardò verso gli agenti. Era ben chiaro che il tempo si
fosse
già esaurito. “… Posso
scriverti?” Deglutì e lanciò
un’altra occhiata verso i
suddetti, in rapido ed efficiente avvicinamento. “Se ne
avrò la possibilità, si
intende.”
Lily lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Non si era
accorta di averle
tenute serrate al petto per tutto quel tempo. In fondo non era come una
promessa. Non era niente e…
No,
è decisamente qualcosa e dovrebbe dirgli di no.
Non
lo farai mai
- diceva la voce di quella gran stronza di sua nonna.
“Sì.
Non so se potrò
risponderti però.” Ammise sincera; era altamente
probabile che suo padre
avrebbe intercettati i Gufi, specie se provenienti da una prigione,
facendo poi
due più due.
Uguale
quattro. Uguale Lily non pensare neanche di
corrispondere con un galeotto che ha cospirato per farti rapire e quasi
uccidere.
Uguale
diamine papà, hai proprio ragione.
Era una promessa che non
aveva
senso, e doveva saperlo anche l’altro. Eppure.
“Non fa niente, ti
scriverò
comunque.” Le sorrise appena. “Addio
Lilian.”
Lily sapeva di essere una
persona irrazionale. Per questo, solo per la sua
irrazionalità, gettò le
braccia al collo di Sören e strinse forte. Forse gli fece pure
male, ma non lo
sentì irrigidirsi affatto per il dolore. Se c’era
un modo per ricambiare un
abbraccio ammanettato, Sören lo fece.
Lily si staccò e
corse via
senza voltarsi. Farlo sarebbe stato del tutto folle, dato quel che
sentiva
agitarsi nel petto. Tornò da Al e gli altri e fu grata a
tutti di non sentire
dire una sola parola sulla scena a cui sicuramente avevano assistito.
“La Passaporta
è attiva.”
Disse suo fratello. Lily annuì e si lasciò
portare via. Non guardò neanche una
volta verso Sören Von Hohenheim, verso Sören Prince.
Ma ebbe la certezza che
lui stesse guardando lei.
****
“Non posso credere
di essermi
perso tutta l’azione!”
Ted sorrise stringendo la presa sulla vita di James, seppellendo il
viso nell’odore
caldo e familiare della pelle del suo ragazzo.
“Se non altro ti
sei
risparmiato un intossicazione da fiamme magiche. Non sono mai stato
tanto
contento di aver abbandonato l’Accademia per
l’insegnamento…” Borbottò
mentre
il fuoco nel camino scoppiettava vivace e salvifico, considerando che
avevano
abbandonato i vestiti da un bel pezzo; avrebbero dovuto montare un
impianto di
riscaldamento quanto prima.
Ci
penseremo non appena inizieranno i lavori. Magari tra
un mese.
Il calore del camino e una
quantità bastevole di coperte e cuscini stesa a terra
componevano comunque il
giaciglio perfetto, fuori dal mondo, e Ted lo trovava perfetto per
concludere
una giornata a dir poco infernale.
Avevano cenato alla Tana,
raccontato, esplicato, rassicurato. L’intero Clan era accorso
da tutte le parti
della Gran Bretagna per accogliere i valorosi. Era stato rinfrancante,
allegro.
Ma non aveva fatto altro che desiderare portar via James per tutto il
tempo,
chiudere le porte della loro casa e sprangarcisi dentro per almeno una
settimana.
Me
lo merito, direi.
Nessuno infatti aveva mosso
obiezioni quando aveva declinato l’invito di Molly a restare
per la notte;
addirittura Harry aveva sorriso e aveva augurato loro serenamente la
buonanotte.
Beh,
c’è di peggio che immaginare me e James nello
stesso letto. Tipo, quello che è accaduto oggi.
Alzò lo sguardo
verso il viso
imbronciato dell’altro. Corrucciato, avrebbe detto il ragazzo.
Imbronciato,
decisamente.
“Jamie, posso
farti notare che
è stato pericoloso e piuttosto spaventoso?”
Considerò pigramente, baciandogli l’addome.
L’altro fece un sospiro compiaciuto, ma tenne il punto.
“Esatto! Sono un
allievo
auror, avrei dovuto esser presente più di tanti
a…” Gli tappò la bocca con un
bacio, e non ci furono rimostranze.
Devo
cominciare a rivalutare la fisicità. Non è tanto
male, se ci si pensa. Efficace, senza dubbio.
James gli passò
le dita lungo
i capelli, ritirandosi poi perplesso. “Teddy … te
lo devo proprio dire.”
Considerò. “Hai i capelli pastello.”
Ted inarcò le
sopracciglia all’espressione
con cui guardava la sua povera testa. “Mi sto già
adoperando nella cura.” Gli
fece notare, e l’altro fece un sogghigno.
“Vedo. E sento.” Mormorò
strofinandosi significativamente contro di lui. “Oh,
tho … ‘sti
colori accesi tutto di un tratto!”
Ted
ridacchiò, nascondendo il viso nell’incavo
del collo dell’altro. Il suo concetto di ‘riposo
del guerriero’ aveva l’odore
di erba appena tagliata, sudore e James.
Sfido
a trovarne uno migliore.
“Mi han detto che
sei stato
grandioso, là fuori. Davvero ti sei trasformato in un lupo o Malfoy ha avuto le
allucinazioni?” Chiese buttandosi nel
disastro di coperte, piumoni e cuscini e tirandoselo rudemente dietro.
Ted non
si lamentò.
“Ho solo fatto il
mio dovere.”
Replicò. “E poi, se fai Potter di cognome, o
Weasley di ascendenza non sai
badare a se stesso. È un po’ una costante a cui
bisogna porre rimedio. E chi
meglio di un Lupin?”
“Ma che
stronzo!” Gli mollò
uno schiaffo sulla schiena, però gli ridevano gli occhi.
“Ehi, comunque non
scherzo … Secondo me, il vero eroe di tutta questa faccenda,
mio Teddy, sei tu.”
“Lo pensi
davvero?” Chiese,
buttando la modestia dalla finestra per una volta.
James lo guardò
come se fosse
un cretino integrale. “Tu che dici? Hai tenuto insieme la
baracca per tutto il
maledetto tempo. Ti dovrebbero dare una medaglia, o almeno, dedicarti
un
brindisi!”
“Non vedo medaglie
o bottiglie
di Burrobirra.” Scherzò di rimando. “
… ma non mi lamento, ho qui tutto quello da
cui volevo tornare.” E su questo non scherzava.
James ghignò,
come suo solito per
nascondere un incipiente principio di occhi lucidi e commossi.
“Vorrei vedere.”
Si stese sui cuscini
e allargò le
braccia. “Bentornato a casa, mio eroe!”
Ted scoppiò a ridere.
****
Il ritorno a casa era stato
un’ordalia, ma anche precisamente come se lo aspettava.
Tom aveva dovuto infatti,
nell’ordine: telefonare ai suoi ed assicurargli che era sano
e salvo, oltre a
promettere che non sarebbe tornato immediatamente ad Hogwarts, ma
sarebbe prima
passato da loro per il fine settimana. Rassicurare tutti gli occupanti
della
Tana – ovvero tutto il Clan Potter-Weasley in seduta plenaria
– che era ancora
in sé e che non stava affatto
elaborando il lutto per la perdita di quell’immenso figlio di
puttana di Von
Hohenheim. Evitare di essere ingozzato a morte da Molly durante la
cena. Rispondere
poi a svariati Gufi, da quello di Meike, prioritario, a quello di Loki,
inaspettato. Infine, evitare di mettere le mani addosso ad Al in
presenza di Hugo
e Fred Junior, che avrebbero diviso la camera con loro quella notte.
Il
compito più difficile di tutti …
Aveva invidiato Lupin che,
con
una faccia di bronzo invidiabile, aveva salutato tutti e si era portato
via
James quasi di peso.
Sesso
post-guerra per loro. Il migliore.
La situazione era tornata
alla
normalità solo a tarda notte, quando finalmente tutta la
mandria di teste
più-o-meno-rosse aveva lasciato tavola e raggiunto le camere
da letto,
impilandovisi in più modalità.
Scorpius stesso aveva
lasciato
la casa solo una mezz’ora prima, portato via da un carro
trainato da funebri
cavalli neri, marchio Malfoy per eccellenza.
Dalle
triple porzioni che gli han servito e dal fatto
che potesse baciare Rose senza essere decapitato da Ron, è
indubbio che ormai
sia ufficialmente parte del clan.
Dopotutto
si è quasi fatto ammazzare. La prova di rito per
essere ammesso l’ha passata a pieni voti.
Lui non era andato a letto.
O
meglio, aveva finto, ma quando aveva sentito Hugo russare, Fred fare lo
stesso e
Al dormire profondamente era scivolato via, preso le scale e poi la
porta sul
retro, quella che dava sul giardino.
C’era una coltre
di neve che copriva
tutto; dimenticava sempre come il tempo in Inghilterra fosse bizzarro.
Era
lieto lo fosse, perché il silenzio della neve era quanto di
più pacifico vi
fosse.
Silenzio,
finalmente.
Ne aveva bisogno per restare
solo con i suoi pensieri. Non che avesse una gran voglia di pensare in
realtà,
per una volta. Quando riaprì gli occhi, scoprì di
non essere solo; Lily era
seduta sulla vecchia altalena legata alla quercia secolare che si
ergeva tra la
sterpaglia e i vecchi attrezzi babbani che Arthur tentava di usare
senza
successo ad ogni falciatura. Era fornita di sciarpa e una grossa felpa
appartenuta a James, a giudicare dai colori accesi nei toni del rosso.
Si guardarono brevemente,
poi
Tom la raggiunse.
“Ehi.”
Disse l’altra con un
mezzo sorriso. “Non dormi?”
“Potrei farti la
stessa
domanda.” Si sedette sul basso steccato, dopo aver spolverato
via la neve che
vi si era depositata. “Avremo la stessa risposta.”
Lily ridacchiò. “Credo di
sì.” Non vi era spensieratezza in quella
esternazione
e Tom perse la voglia di congedarsi e tornare dentro.
“È stata una giornata …
beh, trovalo tu un aggettivo, super-cervellone. Sei tu quello con il
vocabolario stampato in testa.”
“Non credo esista una parola adatta per
classificarla.” Scrollò le spalle e
guardò
la frangia della sua sciarpa di Serpeverde. Non sua; era tutta
spiegazzata.
Ho
di nuovo preso quella di Al.
“Già.”
Lily si spinse
sull’altalena che fece un cigolio forte quanto uno scoppio di
incantesimo. Si
fermò. “È finita, giusto?”
“Sì.”
Convenne guardando verso
la Tana. Era completamente immersa nel buio, eppure sembrava
più luminosa e
calda di una giornata d’estate. Doveva fare
quell’effetto avere un posto da
chiamare casa. “Ma non era questa la domanda,
vero?” Indovinò.
“Sei chiacchierone
stasera,
Tommy.” Motteggiò l’altra con una
piccola smorfia. Poi annuì. “Finirà
mai?
Voglio dire … questa sensazione schifosa. Come sentirsi
scollati dal mondo,
intendo.”
Tom capì
perfettamente quello
che provava; era la stessa cosa che aveva provato per otto mesi a
Rügen e che
stava sentendo in quel momento.
Sono
vivo, non è morto nessuno. Stiamo tutti bene.
Davvero?
Scosse la testa.
“Ci vorrà del
tempo. Comunque credo di doverti delle …”
“Se mi stai per chiedere scusa ti do un pugno sul naso. Ne ho
sentite fin
troppe. Per una vita intera, direi.” Lo fermò
aggrottando le sopracciglia. E
Tom intuì da chi altro le avesse sentite.
“Le mie hanno il
pregio di
esser vere.”
“Anche le sue.” Ritorse con forza, con rabbia. Non
le ribatté. “Non è questo il
punto, comunque… È che non servono a niente.
No?” Anche stavolta non diede
risposta. Non era come se ne fosse richiesta una. “Sai, ho
mentito a zio Ron …
quando gli ho detto che non ho perdonato Sören.”
Riprese. Per l’appunto, era un
monologo. Ma andava bene, perché non si sentiva
particolarmente loquace. “Non
l’ho perdonato, non ancora … ma so che lo
perdonerò, prima o poi.” Inspirò con
forza, dando un calcio ad un cumulo di neve che aveva scavato davanti a
se con
un piede. “È … è normale?
È giusto?”
“Perdonare?
Sì, per fortuna.” Si
strinse nelle spalle e un solo nome gli venne in mente; il proprietario
al
momento dormiva il sonno dei giusti, perché se si fosse
svegliato l’avrebbe
ammazzato per non essergli accanto a dormire come avrebbe dovuto.
“Parlo a
titolo personale, come puoi ben immaginare.”
Lily fece un mezzo sorriso,
ravviandosi
i capelli con le mani. La vide serrare appena le dita sulla cute.
“Merlino, che
schifo di giornata.” Mormorò facendolo sorridere.
L’umorismo era qualcosa che
apprezzava profondamente, in Lily. “Tutti a dirmi che
è finita, Tommy … ma perché
ho l’impressione che sia appena iniziata?”
Sospirò.
“Non finisce mai con
la morte del cattivo. È una cosa che succede solo nelle
fiabe.” E chi poteva
sapere meglio di lui? “Ma non dovrai mai affrontare tutto
questo da sola. Credo
che questo conti qualcosa.”
Non lo siamo, non lo sono. Questo fa
tutta la differenza del mondo.
Lily gli sorrise apertamente
stavolta. “Puoi giurarci.” Si aggrappò
alle corde dell’altalena. “Mi daresti
una spinta?” Chiese dal nulla.
La guardò
perplesso. “Non
abbiamo più cinque anni.”
“Come se l’avessi mai fatto quando li
avevamo.” Ritorse, poi il sorriso
vacillò. Appena, non si notava neppure, ma successe. Tom non
poteva classificare
quell’espressione, perché non era una LeNa e non
era neppure una persona
empatica.
Si staccò
comunque dalla
staccionata. “Cinque anni…”
Borbottò facendola ridacchiare. Però spinse e
l’avrebbe fatto anche se non aveva senso, per lui.
Era proprio questo essere
umani.
****
Bretch Van Der Linde
rincasò
tardi quella sera. Era certo di essersi dimenticato di dire agli Elfi
di lasciare
qualcosa in caldo per cena ma dopotutto andava bene così,
non aveva fame.
Von Hohenheim era morto.
C’era
di che festeggiare, ma esser stato un piccolo ingranaggio che aveva
contribuito
ad innescare quella serie di eventi lo rendeva comunque nervoso.
È
normale, è normale vecchio mio… Un buon
bicchierino e
tutto andrà a posto.
Essere
l’informatore della task-force
anti-Thule era stato un
rischio, ma calcolato; anonimo, puntuale e calcolatore, proprio
così. Von
Hohenheim andava fermato. E se il pazzo avesse parlato? Averlo fatto
prima di
lui gli avrebbe garantito un salvacondotto verso
l’immunità.
Che gli altri andassero pure
al diavolo, lamentandosi e disperandosi della perdita di un mago
geniale, Alberich
era stato un pazzo fino all’ora
della sua morte ed era stata un’autentica fortuna che fosse
morto portandosi i
loro nomi.
Sospirò, aprendo
la porta
dello studio con un colpo di bacchetta; l’indomani mattina
avrebbe fatto le
valigie, diretto nelle sue proprietà in Sudamerica. Con un
po’ di fortuna il
suo nome sarebbe sbiadito dalla memoria comune in qualche decennio.
Andò verso il
mobiletto di
cristallo che ospitava la sua amata collezione di bottiglie di rara
stagionatura e si versò un bicchierino di ErbaVerde delle
Ardenne,
sorseggiandolo con piacere.
Alla
tua memoria, Alberich.
Lo sputò
immediatamente quando
sentì le vie respiratorie chiudersi di colpo. Troppo tardi;
l’alcool tracimò
dalle sue labbra. Crollò a terra.
Veleno!
Fu allora che vide
un’ombra
scura, languidamente allungata sulla sua poltrona preferita, quella
più vicina
al fuoco. Qualcosa era appollaiato sopra lo schienale, come un
avvoltoio. No,
erano i suoi sensi sconvolti. Era una persona.
“Il buon vecchio
Brecht ha
sempre le stesse abitudini.” Cantilenò la voce di
un uomo, infantile e per
questo sballata, inquietante. “Sempre un bicchierino per
conciliare il sonno …
o la coscienza sporca.” L’avvoltoio si
chinò su di lui con un tanfo di tabacco
e pessimo whisky. Questo prima che anche il naso smettesse di
funzionare,
lasciandolo a boccheggiare come una carpa fuori dall’acqua.
“Beh, dovevi
aspettartelo
vecchio mio.” Rise la voce. “A nessuno piacciono
gli spioni.” La voce si
allontanò e tornò verso l’altra ombra.
“Non è vero, mia regina?”
Inside
this cold heart is a dream
That's locked in a box that I keep
Buried a hundred miles deep
Deep in my soul in a place that's surrounded by
aeons of silence¹…
****
Note:
Trolololo.
Ho fatto la troll fino
all’ultimo, ne sono consapevole. *occhi angelici*
Comunque,
questa¹
la canzone che chiude la storia.
Ascoltatela, è
bellissima,
azzeccata e … vabbeh, ho già detto belissimimisisimissima?
Ora, in chiusura…
Che dire, sono stati due
anni
(due anni!) lunghi e bellissimi. Ad Umbra Lumen non sarebbe stata
quello che è se
non fosse stato per VOI. Sì, tutte le persone che leggono,
disegnano, recensiscono
i miei disperati e mi contattano tramite fb. Un grazie immenso,
perché non
siete il carburante della storia, ne siete Il MOTORE.
I piani per il futuro degli
sciagurati … Come ho detto su Facebook, ho intenzione di
scrivere il Settimo
anno di scuola di Dominique e Violet, una specie di shot estiva e poi,
sì,
inevitabile: la Terza Parte.
(Dan-dan-dan!)
Sto già lavorando al plotting da un po’, quindi
non credo si dovrà attendere
molto. Forse addirittura prima di Settembre!
Insomma, diciamocelo: ci sono ancora molte cose da spiegare, no? :P
A presto quindi!
Dira
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