Cesare non aveva una grande considerazione per le donne: esse
portavano in grembo il peccato originale.
Le lunghe ciglia e le ampie gonne di raso non avevano quasi mai avuto
alcun effetto sulla sua mente, sul suo corpo o sul suo
spirito; o almeno, fino ad allora.
Quel pensiero lo sgomentava.
Cesare, attirato come un animale e imbrigliato
nell’invincibile trappola del desiderio, del peccato?
Si sentiva soffocare, e non trovava rimedio a questa costante pena che
da un paio di settimane lo opprimeva.
Aria fresca? Mai, il profumo di
lei si sarebbe insediato nelle sue narici senza
più uscire.
Un bagno forse? No, nel riflesso dell’acqua avrebbe
certamente visto il volto di lei.
Avrebbe potuto scrivere una lettera ad Alessandro; ma per
quale fine? Raccontargli il suo dolore, ben più forte di un
semplice malessere fisico, causato dalla presenza di lei?
Doveva sicuramente essere una turbolenza passeggera. Era un uomo anche
lui d’altronde.
Aveva un compito da assolvere ben più importante del
sospirare per una graziosa fanciulla.
Decise di uscire.
Non sapeva dove andare, ma qualunque luogo sarebbe stato meglio del
Vaticano.
Dopo il lungo colonnato, prese la via dei mercati; era
mercoledì, ed era piuttosto affollato.
Piccole gocce di sudore gli percorrevano le linee dei suoi muscoli
scolpiti sotto il farsetto nero come la pece.
Con una mano si asciugò la fronte; i ricci capelli rossi
erano oramai incollati al suo collo.
Imboccò la via degli speziali; l’odore di garofano
e ginepro si mescolavano all’assenzio in un tumulto di
insieme.
Passò in rassegna i volti delle donne; vecchie sfigurate da
piaghe, giovani prostitute in cerca di clienti, ma anche nobildonne di
rango pari al suo, riparate da ventagli di foggia spagnola o turca.
In ognuno di quei volti si rifletteva la sua ossessione; si
calò il pesante cappello sugli occhi, così da non
vedere altro che la strada, le pietre, la polvere.
Svoltò alla sua sinistra; le voci di donne e uomini si
levavano stonate e troppo alte in quelle sporche vie di Roma. Il Papa
avrebbe dovuto ripulire radicalmente la città da quegli
esseri la cui esistenza era inutile.
La rabbia e la vanità gli attanagliavano le membra, e
immerso com’era nei suoi cupi pensieri non si accorse di
urtare violentemente una persona; una giovane donna, a giudicare dalla
sua voce.
“La prego di fare più attenzione la prossima
volta, signore. Mi ha quasi fatta cadere al suolo. I miei preziosi
abiti avrebbero potuto rovinarsi”
Quella voce.
Cesare si levò il cappello, e alzo gli occhi sulla donna.
Lucrezia.
Quale fato meschino li aveva fatti incontrare, in mezzo ad una strada
malfamata come quella, proprio mentre lui cercava di rifuggire al
pensiero di lei?
Cesare mormorò una veloce preghiera sottovoce.
“Perdonatemi, madonna. I miei pensieri a volte sopraffanno le
mie volontà. Non vi avevo vista”
Lucrezia incrociò i suoi occhi, e riconobbe le sfumature
d’azzurro intenso che tanto l’avevano colpita in
precedenza.
“Ma voi siete don Cesare! Non vi avevo
riconosciuto” abbozzando un sorriso, fece un leggero inchino,
sollevandosi la gonna verde smeraldo.
Il corpetto che le avvolgeva la vita era riccamente decorato di fili
d’oro, mentre i lunghi e ondulati capelli vermigli su
muovevano al vento come guidati da una musica inudibile se non da
quell’angelo che tanto adombrava Cesare.
“Permettetemi di riaccompagnarvi a casa, madonna; non
è bene che una giovane dama come voi giri sola per le strade
di una città come questa!”
Il tono irruento di Cesare la sorprese; vide una strana luce nei suoi
occhi, ma non la preoccupò.
Cesare, dal canto suo,non era riuscito a controllarsi, al pensiero di
quello che le sarebbe potuto succedere.
“Oh, ma non sono affatto sola; la mia damigella Pantasilea mi
segue fedelmente, non corro alcun rischio”
“Vi accompagnerò ugualmente”
Il fiato di Cesare si era fatto corto, e un lieve rossore gli colorava
le guance.
A quella vista, Lucrezia si intenerì.
“E così sia”
I tre si avviarono docilmente verso il palazzo papale; era quasi ora di
pranzo, ma Cesare non sentiva i morsi della fame.
Arrivati davanti al portone degli appartamenti di madonna Lucrezia,
Pantasilea li lasciò soli.
“Ho delle commissioni urgenti” si scusò.
Lucrezia, accordatole il permesso di ritirarsi, si rivolse nuovamente a
Cesare.
“Vi ringrazio infinitamente per la vostra gentilezza. Non so
chi voi siate, ne per quanto potrò godere ancora dei vostri
servigi, ma so che posso fidarmi di voi. Lasciate che vi ricambi il
favore…”
Cesare, che fino ad allora era rimasto immobile, vide Lucrezia
avvicinarsi a lui con dei movimenti lenti e sensuali che lo avrebbero
facilmente trascinato all’inferno.
Si scambiarono un bacio appassionato.
Le loro lingue si incontrarono in giocosi movimenti infuocati, mentre
le mai di Cesare cingevano gli esili fianchi di Lucrezia, spingendola
con le spalle al muro.
I tessuti che avvolgevano i loro corpi non sembravano un ostacolo al
loro piacere.
Cesare sentiva il sangue ribollirgli nelle vene come mai prima
d’allora; si accorse lentamente di perdere le forze. Stava
per essere soggiogato dal diavolo.
Qualcosa gli disse che non poteva continuare, e così si
stacco, districandosi dal lussurioso abbraccio della
sua amante.
“Qualcosa non va Don Cesare?”
Gli occhi di lei si riempirono di calde lacrime.
A quella vista, Cesare non resistette; senza degnarsi di rispondere, le
voltò le spalle e scappò via.
Corse, corse, corse.
Uscì dal colonnato vaticano, e si immerse nel grande parco
interno.
Continuò a correre, finchè il fiato gli venne
meno, e così si accasciò al suolo.
Le palpebre, ormai pesanti, non ressero, e, addormenta dosi, gli
sembrò che uno stiletto affilatosi infilasse nel suo petto,
fino al cuore.
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