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Autore: Morgaine You    16/08/2012    1 recensioni
Cesare non aveva alcun rispetto e considerazione per le donne, finchè non incontrò Lucrezia.
Cesare, ignaro dei suoi natali, è convocato a Roma da papa Alessandro VI.
E' un devoto novizio, desidera dedicare anima e corpo alla Chiesa.
Ma, l'incontro inaspettato con la figlia del papa, Lucrezia, farà annegare la sua anima in un mare oscuro di tormenti.
Di tutte le serie tv sui Borgia, quella tedesca con Mark Ryder é quella che mi é piaciuta di piú, e questa mia storia vuole renderle onore.
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cesare non aveva una  grande considerazione per le donne: esse portavano in grembo il peccato originale.
Le lunghe ciglia e le ampie gonne di raso non avevano quasi mai avuto alcun effetto sulla sua mente, sul suo  corpo o sul suo spirito; o almeno, fino ad allora.
Quel pensiero lo sgomentava.
Cesare, attirato come un animale e imbrigliato nell’invincibile trappola del desiderio, del peccato?
Si sentiva soffocare, e non trovava rimedio a questa costante pena che da un paio di settimane lo opprimeva.
Aria fresca? Mai, il profumo di lei si sarebbe insediato nelle sue narici senza più uscire.
Un bagno forse? No, nel riflesso dell’acqua avrebbe certamente visto  il volto di lei.
Avrebbe potuto scrivere  una lettera ad Alessandro; ma per quale fine? Raccontargli il suo dolore, ben più forte di un semplice malessere fisico, causato dalla presenza di lei?
Doveva sicuramente essere una turbolenza passeggera. Era un uomo anche lui d’altronde.
Aveva un compito da assolvere ben più importante del sospirare per una graziosa fanciulla.

Decise di uscire.
Non sapeva dove andare, ma qualunque luogo sarebbe stato meglio del Vaticano.
Dopo il lungo colonnato, prese la via dei mercati; era mercoledì, ed era piuttosto affollato.
Piccole gocce di sudore gli percorrevano le linee dei suoi muscoli scolpiti sotto il farsetto nero come la pece.
Con una mano si asciugò la fronte; i ricci capelli rossi erano oramai incollati al suo collo.

Imboccò la via degli speziali; l’odore di garofano e ginepro si mescolavano all’assenzio in un tumulto di insieme.
Passò in rassegna i volti delle donne; vecchie sfigurate da piaghe, giovani prostitute in cerca di clienti, ma anche nobildonne di rango pari al suo, riparate da ventagli di foggia spagnola o turca.
In ognuno di quei volti si rifletteva la sua ossessione; si calò il pesante cappello sugli occhi, così da non vedere altro che la strada, le pietre, la polvere.
Svoltò alla sua sinistra; le voci di donne e uomini si levavano stonate e troppo alte in quelle sporche vie di Roma. Il Papa avrebbe dovuto ripulire radicalmente la città da quegli esseri la cui esistenza era inutile.

La rabbia e la vanità gli attanagliavano le membra, e immerso com’era nei suoi cupi pensieri non si accorse di urtare violentemente una persona; una giovane donna, a giudicare dalla sua voce.
“La prego di fare più attenzione la prossima volta, signore. Mi ha quasi fatta cadere al suolo. I miei preziosi abiti avrebbero potuto rovinarsi”
Quella voce.
Cesare si levò il cappello, e alzo gli occhi sulla donna.
Lucrezia.
Quale fato meschino li aveva fatti incontrare, in mezzo ad una strada malfamata come quella, proprio mentre lui cercava di rifuggire al pensiero di lei?
Cesare mormorò una veloce preghiera sottovoce.
“Perdonatemi, madonna. I miei pensieri a volte sopraffanno le mie volontà. Non vi avevo vista”
Lucrezia incrociò i suoi occhi, e riconobbe le sfumature d’azzurro intenso che tanto l’avevano colpita in precedenza.
“Ma voi siete don Cesare! Non vi avevo riconosciuto” abbozzando un sorriso, fece un leggero inchino, sollevandosi la gonna verde smeraldo.
Il corpetto che le avvolgeva la vita era riccamente decorato di fili d’oro, mentre i lunghi e ondulati capelli vermigli su muovevano al vento come guidati da una musica inudibile se non da quell’angelo che tanto adombrava Cesare.
“Permettetemi di riaccompagnarvi a casa, madonna; non è bene che una giovane dama come voi giri sola per le strade di una città come questa!”
Il tono irruento di Cesare la sorprese; vide una strana luce nei suoi occhi, ma non la preoccupò.
Cesare, dal canto suo,non era riuscito a controllarsi, al pensiero di quello che le sarebbe potuto succedere.
“Oh, ma non sono affatto sola; la mia damigella Pantasilea mi segue fedelmente, non corro alcun rischio”
“Vi accompagnerò ugualmente”
Il fiato di Cesare si era fatto corto, e un lieve rossore gli colorava le guance.
A quella vista, Lucrezia si intenerì.
“E così sia”

I tre si avviarono docilmente verso il palazzo papale; era quasi ora di pranzo, ma Cesare non sentiva i morsi della fame.
Arrivati davanti al portone degli appartamenti di madonna Lucrezia, Pantasilea li lasciò soli.
“Ho delle commissioni urgenti” si scusò.
Lucrezia, accordatole il permesso di ritirarsi, si rivolse nuovamente a Cesare.
“Vi ringrazio infinitamente per la vostra gentilezza. Non so chi voi siate, ne per quanto potrò godere ancora dei vostri servigi, ma so che posso fidarmi di voi. Lasciate che vi ricambi il favore…”
Cesare, che fino ad allora era rimasto immobile, vide Lucrezia avvicinarsi a lui con dei movimenti lenti e sensuali che lo avrebbero facilmente trascinato all’inferno.
Si scambiarono un bacio appassionato.
Le loro lingue si incontrarono in giocosi movimenti infuocati, mentre le mai di Cesare cingevano gli esili fianchi di Lucrezia, spingendola con le spalle al muro.
I tessuti che avvolgevano i loro corpi non sembravano un ostacolo al loro piacere.
Cesare sentiva il sangue ribollirgli nelle vene come mai prima d’allora; si accorse lentamente di perdere le forze. Stava per essere soggiogato dal diavolo.
Qualcosa gli disse che non poteva continuare, e così si stacco, districandosi dal lussurioso abbraccio della
sua amante.

“Qualcosa non va Don Cesare?”
Gli occhi di lei si riempirono di calde lacrime.
A quella vista, Cesare non resistette; senza degnarsi di rispondere, le voltò le spalle e scappò via.

Corse, corse, corse.
Uscì dal colonnato vaticano, e si immerse nel grande parco interno.
Continuò a correre, finchè il fiato gli venne meno, e così si accasciò al suolo.
Le palpebre, ormai pesanti, non ressero, e, addormenta dosi, gli sembrò che uno stiletto affilatosi infilasse nel suo petto, fino al cuore.

   
 
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