Hei, ciao, qualcuno si ricorda di me? no? si? boh.
Comunque, vi ricordate quella storia un po' brutta e appena un po'
incomprensibile che si chiamava Bakup?
(http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=828114&i=1)
Ecco proprio quella! Questa storia è una specie di continuo.
No, mi spiego, non è precisamente un continuo.
Vi ricordate che nell'ultimo capitolo Mina, una cooprotagonista, si
ammazzava? Ecco, praticamente questa fan fiction rivela finalmente il
suo passato e intanto fa vedere come se la cavano i sopravvissuti. Si
insomma che ne so! bah! mah!
...
Non me lo dovete dire che è una cosa stupida, lo so!
Però se vi va di leggere vi sarò grata a vita e
vi beatificherò di nascosto in caso crediate. In caso
contrario vi farò un bel monumento, che ne dite? Bene!
Allora perdonate il mio delirio e se avete voglia leggetevi questo
inizio!
NOTABENE: in caso qui capitasse qualcuno che NON HA LETTO LA PRIMA
STORIA DELLA SERIE sappia che non è necessario, a
mio parere può capire benissimo la trama comunque! :D
Grazie ancora e buona lettura!
THINKS OF BEYOND BIRTHDAY
Mina era morta da tre mesi precisi quel giorno. Il giorno in cui con un
grande
sforzo, declinando l’invito di L a venire con me, ero uscito
di casa con una
grande borsa nera sulla spalla, salito in macchina e guidato fino al
grande
edificio circondato da un prato ormai selvaggio con una grande targa
dorata sul
cancello: la casa di Wammy. Scesi
dalla
macchina sotto la neve gelida che aveva cominciato a scendere. Si era
ai primi
di gennaio e il freddo si insinuava come sempre dappertutto, sotto i
guanti e
le sciarpe, fra i capelli, nella schiena, nelle scarpe. Ciononostante,
abbandonai l’asciutto e caldo abitacolo della macchina senza
pensarci due volte
o forse non l’avrei fatto. Ma non volevo essere vigliacco.
Così, mi fermai
davanti al cancello sbirciando l’interno mentre estraevo un
mazzo di chiavi
dalla tasca della giacca a vento e ne collaudavo una nella serratura
del
lucchetto. Ne provai tre prima di riuscire ad aprirlo. Spinsi, e con un
profondo e perforante cigolio, cedette sotto le mie mani. Entrai,
lasciando
leggere impronte sulla neve fresca e rivelando un prato non curato.
Alcuni
grossi e tetri alberi si protendevano nel giardino, scheletrici per
l’inverno.
Non volli pensare che fosse per il luogo nefasto dove avevano messo
radici.
Avanzai verso l’edificio e vecchi ricordi si fecero vivi
senza permesso. Chinai
il capo e tenni lo sguardo sui miei piedi, scacciandoli. Finalmente,
dopo
quella che mi parve un’eternità, arrivai alla
porta. Feci un respiro profondo.
Esitai. Volevo davvero entrare? Per risentire nella mia mente urla,
voci
antiche di morti, per ricordare volti ormai mangiati dai vermi o
consumati dal
mare, per rivedere mura che mi avevano quasi fatto impazzire? Mi spinsi
a
prendere una chiave a caso e infilarla nella serratura. Ero sfortunato:
era
quella giusta. La porta si aprì, stavolta senza cigolii
troppo evidenti. Salii
i due gradini dell’ingresso e li mi fermai. Strinsi gli
occhi, ma non potei
scacciare le immagini che già si stavano creando, vivide,
quasi reali, nelle
mie retine influenzate. Mi costrinsi a pensare solo a dove mettere i
piedi e
feci i primi due passi, verso destra. Trovai le scale in fondo al
corridoio e
cominciai a salirle, sebbene sospettassi che non avrebbero retto molto
più del
mio peso a giudicare dai sonori rumori di protesta che emettevano a
ogni
gradino. Era brutto essere li da solo, ma forse sarebbe stato peggio
essere con
gli altri. Si, decisamente, era un gran bene che non avessi detto ad
altri che
L ciò che volevo fare.
Appoggiai una mano al corrimano, ma la ritirai quasi subito, vista la
precipitosa caduta che esso fece, come per dispetto, sollevando una
nube di
polvere qualche gradino più in basso. Sospirai o sbuffai,
non lo capii bene
neanche io, e continuai a salire fino al sesto piano senza
più degnare il
corrimano di uno sguardo, trovando molto più interessanti le
mie scarpe così risolute,
che salivano gradino per gradino ogni rampa di scale. Misi i piedi sul
pianerottolo e non potei fare a meno di lanciare un’occhiata
in giro. Avanzai,
imboccando uno stretto corridoio e mi girai verso la seconda porta a
destra.
Cautamente, con una paura ingiustificata, poggiai la mano sulla
maniglia di
falso ottone, molto economica, e aprii lentamente. Camera mia. Feci
qualche
passo nell’angusta stanzetta
riconoscendo in essa alcuni segni del mio passaggio. Il vetro era
crepato per
un pugno che Mello vi aveva tirato una volta.
il letto aveva le molle rotte dopo che l’avevo preso a calci
e a pugni una
volta che mi avevano punito severamente facendomi solo arrabbiare di
più. La
scrivania era piena di scritte dei miei amici. Non le lessi. La sedia
era a
terra. Non la sollevai. Non toccai nulla se non un libro che trovai
come
sapevo, sotto un’asse del pavimento che avevo staccato con
pazienza a forza di
calci e unghie rotte.
“Ci sono bambini a zig zag” diceva il titolo.
L’unico libro che avevo e non certo legalmente diciamo. Lo
misi nella borsa con
un sospiro e lanciai ancora un’occhiata alla camera.
Uscii velocemente dalla stanza: non era per quello che ero li.
Continuai a
percorrere il corridoio. Sapevo bene che dietro ogni porta
c’era una vita
segnata, una storia da raccontare, ma lo ignorai, arrivando
all’ultima porta a
sinistra. Con qualcosa di metallico, avrebbe potuto essere uno dei suoi
braccialetti pieni di borchie, aveva inciso una profonda ed elegante M su di essa.
Sospirai sentendo una strana sensazione farsi strada sotto la maglietta
e la
felpa. Sentivo l’aria viziata scendere nei polmoni e
ritornare su ancora più
avariata e avevo bisogno di una boccata almeno una di aria fresca,
pensai. Esco
un momento in giardino e torno subito qui, mi dicevo convinto, ma
sapevo che se
l’avessi fatto non sarei più entrato in quella
camera. Appoggiai di nuovo la
mano sulla maniglia percependone la freddezza metallica e le
zigrinature vaghe.
Inspirai. Espirai. Lo feci di nuovo. ricordai il volto di Mina la prima
volta
che l’avevo visto. Poi subentrò nella mia mente
l’immagine dell’ultima.
“Così non va!” borbottai, aprendo con un
gesto che voleva essere deciso quella
maledetta porta.
La tentazione di chiudere gli occhi e fuggire era tanta ma…
mi trattenni e
diedi un’occhiata alla stanza.
La finestra era aperta, notai per prima cosa, e l’aria era
fresca come fuori.
me ne riempii i polmoni con sollievo. Poi vidi le pareti.
Già, mi ero scordato
come Mina tenesse le pareti. Da ogni angolo spuntavano poster, foto,
pagine,
scritte, incisioni… qualsiasi cosa. il pavimento
addirittura, era completamente
inciso, pieno di parole, citazioni…
Il mio piede poggiava sull’inizio di una frase che le avevo
sentito dire alcune
volte: L’affermazione
è la regola della
piena libertà.
Camminai verso la scrivania, per controllare ciò
che già sapevo esserci:
una parte di Romeo e Giulietta, la sua parte preferita:
Ma quale luce apre l’ombra da quel
balcone?Ecco l’oriente e Giulietta è il
sole… Alzati, dunque, o vivo sole e
spegni la luna già fioca, pallida di pensa perché
ha invidia di te, tu che la
servi! E se ha invidia di te lasciala sola. Il suo manto vestale ha
già un
colore verde di palude, e nessuna vergine lo porta. Gettalo via!
Oh, è la mia donna, è il mio amore! Ma non lo sa!
Parla e non dice parola: il
suo occhio parla, e a lui risponderò!
Ma che folle speranza; non è a me che parla.
Due fra le stelle più lucenti, che girano ora in altre zone,
pregano i suoi
occhi di splendere nelle sfere senza luce, fino al loro ritorno. E se i
suoi
occhi fossero nel cielo veramente, e le stelle nel suo viso? Lo
splendore del
suo volto farebbe pallide le stelle, come la luce del giorno, la fiamma
d’una
torcia! Se poi i suoi occhi fossero nel cielo veramente, quanta luce su
nell’aria,
tanta che gli uccelli credendo finita la notte, si metterebbero a
cantare!
Sorrisi leggendola e ricordando con quanta passione lo faceva
lei. Adorava
recitare, mettere maschere, mettere allegria sul volto delle
persone… non era
certo capitata nel posto giusto però.
Sospirai di nuovo, sedendomi dove mesi prima (era passato
così poco tempo?) si
era seduta lei. mi chinai sulla scrivania e trovai un capello verde che
le era
appartenuto. Lo presi fra le mani. C’è ancora un
po’ di Mina al mondo, mi
ritrovai a pensare, mentre alcune lacrime mi scendevano impudentemente
sulla
faccia. Le asciugai con rabbia e aprì con un gesto deciso il
primo cassetto. Vi
trovai alcuni libri che poggiai con gesti
cauti sulla scrivania. Presi il primo e con una carezza, tolsi la
polvere dalla
copertina. Naturalmente era Romeo e Giulietta, c’era da
aspettarselo. Lo sfogliai
delicatamente, come temendo che potesse andare in pezzi da un momenti
all’altro
e notai che vi erano parecchie note in matita, frasi sottolineate. Non
mi ci
soffermai più del necessario però,
l’avrei fatto in seguito. Il secondo libro me
lo ricordavo bene: me lo aveva prestato più volte e
l’avevo sempre letto
volentieri: Qualcuno con cui correre
era il titolo. Quello non lo sfogliai, passai direttamente al terzo, un
libretto sottile: Il gabbiano Jonathan
Livingston. In sequenza, trovai e misi da parte sulla
scrivania questi
libri:
Cime tempestose; Il giro del mondo in 80 giorni; Ventimila leghe sotto
i mari;
L’inventore dei sogni; La collina dei conigli; Abbaiare
stanca; In viaggio con
Erodoto; Le commedie di Shakespire; Tre uomini in barca; 1984.
E li finì la sua piccola biblioteca personale. Ricordavo
bene il traffico di
libri che teneva con tutti gli altri, di nascosto dai sorveglianti.
Sembrava proprio
che si divertisse a fargliela sotto il naso, infatti prestava sempre
tutti i
libri (tranne naturalmente quelli di Shakespire per i quali provava uno
strano
attaccamento.) Mi
assicurai di mettere
bene i libri nella borsa, non
volendo
rovinarli, e passai al secondo cassetto.
Tentavo di non pensare che tutte quelle cose erano appartenute a lei,
che le
aveva toccate, lette, usate…
Nel secondo cassetto c’erano una serie di quaderni con una
rigida copertina
nera. Saranno stati sei. Persi il primo con curiosità. Che
fosse ciò che
cercavo? Il diario? Lo aprii e subito fu chiaro che non era
così. Lessi la
prima pagina. Era una storia. Il quaderno era completamente ricoperto
dalla
fitta scrittura, non un angolino aveva trovato salvezza. Non potevo
leggerli
subito però, quindi li infilai uno a uno, dopo averli
sfogliati per un momento,
nella borsa. In fondo al cassetto trovai un mp3 molto vecchio e un bel
po’
graffiato con attorcigliate sopra, un paio di cuffie bianche. Presi
anche
quello.
Aprii l’ultimo cassetto, o almeno tentai visto che era chiuso
a chiave. Già. Sbuffai,
guardandomi intorno e chiedendomi dove avrebbe potuto nascondere una
chiave. Riaprii
i due cassetti per vedere se avevano un doppio fondo. Niente.
Contrariato,
estrassi un coltellino dalla borsa e forzai il cassetto, venendo meno
alla
promessa che mi ero fatto, cioè di lasciare tutto come
l’avessi trovato.
Il cassetto era vuoto, a parte un foglio scritto a mano in bella
calligrafia
quasi gotica, un sacchettino e un piccolo e spesso quaderno marrone
scuro. Presi
il foglio per primo e lessi questo:
Heilà,
brutto
scassinatore di cassetti di persone defunte!
Guarda che lo so che hai scassinato il cassetto: la chiave ormai
è persa per
sempre, perciò non hai scuse!
Comunque: se sei un sorvegliante, va al diavolo e restaci, chiaro? Non
voglio che
un vecchio mefitico ostricone del Bengala stracotto dal sole
dell’Alaska sappia
qualcosa di me, perciò come ho appena detto, giù
le mani! Brucia il foglio,
buttalo nel cesso, non mi interessa (ma stai attento ai canguri mi
raccomando!).
Hei, ancora leggi con una faccia interessata? Qualche lacrima? Ah, ma
allora
tutto si spiega, devi essere un mio amico, e io devo essere morta, non
è così? Ebbene
avevo ragione! Hahaha! Le mie previsioni di morte prematura non erano
mica
false vero? Bene! Dunque, suppongo che dovrei mettere per iscritto qui
le mie
ultime volontà, così non buttate la mia roba va!
Che conoscendovi… allora chi
sei? Alma? Jen? L? BB?
Va bè, va bè, andiamo avanti che se no qua non
finiamo più!
Ecco a chi vanno i miei averi:
§
Il
mio basso va a Mello che gli fa sempre il filo per provarlo e al quale
non l’ho
mai fatto toccare, proprio lui! Non mi ringraziare biondino, te
l’aspettavi, lo
so! Se me lo righi, all’inferno ti ammazzo, chiaro? Bene!
§
I
miei vestiti (ves-ti-ti non
accessori,
mi raccomando) vanno tutti a quella punk di Alma, che non si chieda di
nuovo
dove li ho presi e se lo fa, tirale un ceffone amico. Se sei Alma, in
mia
memoria, fallo lo stesso.
§
I
miei accessori dateli tutti a Jennifer, le starebbero così
bene con quella
carnagione chiara, lo dice anche lei, ma dice sempre anche che non sa
come
procurarseli, perciò che li tenga lei.
§
La
mia tinta, se non è finita fatene un po’ quel che
ve ne pare, non è che me ne
freghi molto. Guardate la data di scadenza però!
§
I
miei libri vanno tutti a Near.
§
Cos’ho
ancora? Beh, ci sono le storie che ho scritto. Quelle che vadano a
Alma, lei
scrive sempre, saprà cosa farne.
§
A
Federica lascio il sesto quaderno nero, dove sono annotate
accuratamente tutte
le mie imprecazioni.
§
Per
L e BB, c’è il diario marrone che tu (oh
profanatore di cassettiere tarlate!)
hai trovato ora. Decidano loro se farlo leggere anche agli altri,
vedranno loro
se è il caso. Mah…
§
Per
Matt (non non mi sono dimenticata del fumatore di sott’aceti
fritti) c’è una
cosa che si trova a Londra. Si lo so che è un casino scomodo
farsi il viaggio
fino a Londra per questo, ma non ho avuto la possibilità di
recuperarlo. Dunque,
una volta a Londra, Matt deve andare in Princess May rd al numero 13,
dove
troverà, se ha fortuna, un mio vecchio amico. Se gli
dirà che viene da parte
mia, magari facendogli vedere una mia foto e simili, il sunnominato lo
porterà
in una camera. Capirà da solo qual è la cosa che
deve prendere. Certo, se vuole
prendere altro non è un problema per me. Faccia pure.
E con
ciò ho
finito il testamento. Dei soldi sinceramente non me ne frega niente, li
prenda
chi vuole. Tanto con quel riccone di L che probabilmente mantiene tutti
non ne
si ha certo bisogno. Dateli in beneficienza va! Così fate
una buona azione e
via! ;)
Bene allora, ti saluto mio caro, chiunque tu sia! Va a te il sacchetto,
ok? Fanne
ciò che vuoi.
Addio!
Mina
Rimasi a fissare il foglio per qualche
minuto buono, poi lo
rilessi e solo
allora alzai lo sguardo
dalla carta e mi permessi di tirare un profondo respiro. Quindi potevo
leggere
il quaderno marrone? Presumibilmente proprio il… diario?
Misi il foglio nella
borsa e lo presi fra le mani. Ero tentato di leggerlo subito, ma poi lo
misi un
momento da parte e presi curiosamente il sacchetto.
tirai i lacci per aprirlo e al suo interno trovai molte liquirizie di
quelle
che piacevano a lei. e in fondo, scorsi un luccichio. Così,
svuotai il
sacchettino sulla scrivania, annusando volentieri l’aroma
forte che emanava e
trovai un anello di quello che sembrava vero oro molto raffinato, con
una
piccola pietra verde sopra. Lo esaminai da vicino. Da dove
l’aveva preso
quello? Nessuno che io sapessi, l’aveva mai visto. Ma quante
cose potevo dire
di sapere di lei, dopotutto? Quasi niente.
rimisi le liquirizie e l’anello dentro il sacchetto e me lo
misi in tasca.
dopodiché mi alzai, con ancora un sospiro e andai ad aprire
l’armadio, con la
borsa sottobraccio. Vi riposi uno a uno tutti i vestiti, un paio di
anfibi e le
catene, i bracciali e braccialetti, gli orecchini e
quant’altro ella avesse (li
trovai riposti in uno spazioso cassetto).
Ora che l’armadio era vuoto e la borsa praticamente piena, mi
avvicinai un’altra
volta alla scrivania e presi il diario in mano, indietreggiando sino al
letto. Mi
ci lasciai cadere mollemente e il suo odore, rimasto prepotentemente
nelle
lenzuola e sul cuscino, m’investì in pieno,
dolorosamente. Mi rialzai subito,
ma misi nella borsa anche il cuscino, per un motivo a me ignoto. Mi
guardai
intorno (Ridere è il linguaggio
dell’anima;
A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e
togliere ogni
dubbio;).
Guardai il pavimento (Due cose sono
infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo
l'universo ho ancora dei
dubbi; Mi sveglio sempre in
forma e mi deformo
attraverso gli altri;)
Alla fine mi decisi a uscire dalla camera, dopo averle lanciato ancora
un
ultimo sgaurdo. Mi ritrovai di nuovo nel corridoio, ancora abbagliato
da ciò
che avevo trovato. Come mai aveva lasciato un testamento?
Decisi di non pensarci subito. Invece mi affrettai a uscire, respirai a
fondo
la neve e richiusi il cancello a chiave.
Entrai in macchina e feci un altro respiro profondo. Presi
il diario fra
le mani e aprii alla prima pagina.
Caro
diario (se così posso chiamare questa
raccolta di fogli a righe che ancora non conosco),
ho intenzione di riempire la tua candida concezione di spazio con
lettere nere
che nessuno a parte me leggerà forse. Ma se qualcuno sta
veramente leggendo
queste righe, allora vuol dire che, come mi ero immaginata, sono morta
prima
dei venticinque anni.
Mi fermai dopo quattro righe, decidendo di
leggerlo solo con L. Da
solo non me la sentivo. Era così cinica a volte quella
ragazza! Anche da morta!
Scossi la testa e accesi il motore, accingendomi a tornare a casa.
|