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CAPITOLO 08
Nessun nome. Nessun
ricordo oggi del nome di ieri; del nome d'oggi, domani.
Se il nome è
la cosa; se un nome è in noi il concetto d'ogni cosa posta
fuori di noi;
e senza nome non si ha
il concetto, e la cosa resta in noi come cieca,
non distinta e non
definita;
ebbene, questo che
portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria,
sulla fronte di quella
immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace non ne parli
piú.
Non è altro
che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti.
(Pirandello)
[L’APPARTAMENTO 302, nel mondo reale]
La stanza da letto era completamente bianca, illuminata da una luce
tenue, opaca e candida che proveniva da fuori. Sembrava che il tempo
avesse deciso di fermarsi.
Henry era lì a fissare quella luce già da un
po’… quasi intimorito. Era
come se dall’inferno qualcuno avesse aperto una finestra.
L’aveva guardata a lungo, incapace di ricordare quanto tempo
fosse passato dall’ultima volta che aveva visto la sua casa
così.
Alzò la schiena dal materasso e guardò la
scrivania, le sue fotografie, l’armadio, il
comodino…era tutto in ordine.
Scostò appena il colletto della camicia e toccò
sotto il collo, leggermente tremante. Si accorse di non avere alcun segno inciso.
La testa, anche quella non doleva più. E questo gli
faceva paura.
Da quanto tempo non sentiva quel forte silenzio?
O, forse,
semplicemente, da quanto tempo non
viveva
la vita di Henry Townshend?
Abbassò lo sguardo e si accorse che la sua mente era
più leggera. Non pensava per davvero a nulla. Non aveva
alcun turbamento in corpo.
O, forse, semplicemente, non viveva la vita di Walter Sullivan.
Si alzò e la sua figura andò a confondersi con la
luce che usciva dalla finestra.
Poi aprì la porta e si diresse nel corridoio. Era
così bianco e luminoso. Ed era spaventosamente silenzioso.
Alla sua sinistra vide l’ingresso di casa.
Niente più catene.
Niente più spioncino gocciolante di sangue. Sulla
porta, non vi era alcuna scritta facente: “non
uscire!!” firmata da un
tale Walter.
Era tutto come a quel tempo…prima
di entrare negli incubi.
Fece per aprire la porta e uscire dall’appartamento. Essa si
aprì girando appena il pomello, mentre altra luce penetrava
nell’ambiente, accecandolo.
Chiuse poi la porta dietro di sé.
[L’APPARTAMENTO 302, nel mondo parallelo]
E' tutto una grande illusione.
E nessuno può
sapere…
…quando credi
di essere da solo.
Avverti gli occhi su di
te, lì, che guardano dentro.
Appaiono allora delle
ombre davanti ai miei occhi.
Dei suoni…un
eco irreale. È difficile da spiegare.
È qualcosa,
tuttavia, che ho già sentito…
(Cradle of Forest)
Il #302
Le campane continuavano a suonare.
Le pareti rossastre degli appartamenti di South Ashfield non avevano
mai smesso di pulsare e puzzare di organico, mentre le campane
suonavano, ancora…ancora…ancora…
Henry entrò nel suo appartamento, consapevole del suo ultimo
viaggio mentre Walter Sullivan lo richiamava...
La sua figura andò a incrociarsi
con il ragazzo di fronte a lui che stava appena uscendo
dall’appartamento 302 immacolato. Egli era sempre Henry, ma
nessuno dei due poté vedere l’altro.
Un
Henry era entrato e un altro Henry era appena uscito, invece?
Henry aprì la porta, girando appena il pomello, mentre il
buio tetro entrava nell’ambiente, oscurandolo.
Eppure prima c’era
la luce…oppure no?
Era sempre lo stesso
posto?
Quale era la
realtà?
Quale era il vero
Henry?
Egli chiuse poi la porta dietro di sé.
L’appartamento era tutto completamente rosso,
opprimente, devastato.
Un mondo corroso
era rinchiuso fra quelle quattro mura, ma Henry non ne era
più intimorito.
Già da tempo aveva smesso di ricercare un qualsiasi barlume. Era come
essersi abituati all’inferno. Dove non esistevano finestre per
far luce, e lui aveva imparato a muoversi nel buio.
Era abbastanza sicuro di poter affermare di essere incapace di
ricordare quanto tempo
fosse passato dall’ultima volta che aveva visto, nella sua
casa, la luce.
Luce e buio. Entrambi possono
nascondere.
S’inoltrò guardando distrattamente
l’ambiente.
Le catene
erano lì, inchiodate sulla porta. Lo spioncino gocciolava sangue. Sulla porta
vi era incisa una scritta facente: “Non
uscire!!” firmata da un tale Walter.
L’orologio impazziva, le finestre sbattevano, i muri erano
increspati, la poltrona era sporca di sangue e ruggine…
Era tutto come ricordava…era tutto come era sempre stato in
quella realtà
alternativa.
Scostò appena il colletto della camicia e toccò
sotto il collo sfregiato, con decisione. Il segno era inciso proprio
lì. Il segno 21/21.
La testa, tuttavia non
doleva più. E questo oramai non lo turbava. Da
quanto tempo non sentiva quel forte turbamento? Eppure prima quel mal
di testa era così opprimente..
Forse, semplicemente, aveva
cessato di avere mal di testa da quando non viveva più la
vita di Henry Townshend.
Dunque
cos’è reale: buio pesto o luce accecante?
Guardò dinanzi a sé, mentre nella sua mente
echeggiavano delle forti urla
di dolore. Era capace di sentirle nitide dentro di sé. Le
urla della vita di Walter Sullivan.
Provava quelle orribili sensazioni come se gli appartenessero
personalmente, come potesse provare sulla sua stessa pelle quel dolore.
Il suo stesso corpo reagiva di conseguenza scavandosi sempre di
più, delineando delle impronte di sangue scavate, cicatrizzate, profonde, eppure
inspiegabilmente fresche..
S’inoltrò nel buio
del corridoio sparendo nell’oscurità
più completa che andò ad avvolgerlo
sinistramente, mentre faceva per raggiungere la stanza murata in fondo.
Era così buio, grottesco e di un rosso accecante. Ed
era tutto spaventosamente vero
e vivo.
Non sono reali le tenebre.
Questo perchè il buio nasconde. Non è reale la
luce. Questo perchè può render ciechi.
Forse, semplicemente,
non esiste un qualcosa di reale. O magari è tutto il
contrario. Tutto è reale. Anche quell’inferno.
Reale è un
concetto. Reale è l’aggettivo che diamo a
ciò che è davanti ai nostri occhi.
Henry strinse gli occhi non appena entrò nel magazzino
murato.
Puzzava
ancora terribilmente.
Vide gli arnesi adoperati da Walter Sullivan all’epoca: una coppa d’ossidiana,
l’olio bianco,
il tomo cremisi
e il libro delle
memorie perdute del culto.
Era tutti ancora lì, sul quel tavolino sporco, assieme ad
una sega e ad un’ingente quantità di croste di
sangue maleodoranti.
Proprio di fronte al tavolino, vi era una cella frigorifera di mezzo
metro nella quale erano conservate dieci
buste di sangue. A fianco, invece c’era un’enorme
croce capovolta, dove un tempo vi era il corpo dell’uomo 11/21. Ovvero
Walter Sullivan.
Quel corpo ora non esisteva più, perché era
servito per completare i ventuno sacramenti. Era servito ad Henry
stesso per ucciderlo definitivamente.
“Mamma non si sveglia per colpa tua?”
Una voce infantile attirò l’attenzione del
ragazzo.
Henry si girò e vide che alle sue spalle era apparso Walter
Sullivan bambino. Era un po’ rannicchiato su se stesso e non
lo guardava in faccia. Stringeva un libro consumato fra le
mani.
“…è così?” chiese
nuovamente lui.
Henry scosse la testa.
“Lo sai che non è così.”
Il moro si avvicinò a lui. Si chinò poggiando le
mani sulle ginocchia. Vide il piccolo Walter tremare, come inquietato
da quel fetido e sinistro ambiente. Era come se non riuscisse a
rimanere lì dentro. La sua paura e la sua angoscia erano
talmente evidenti che Henry riusciva ad avvertirle anche solo
guardandolo.
Così sussurrò appena al ragazzino.
“Hai paura?”
Il bambino annuì.
“Mamma mi verrà a prendere.”
Detto questo, lo vide poggiare a terra il libro consumato ed andare
via.
Henry questa volta non lo inseguì. Invece prese il libro fra
le mani e cominciò a sfogliarlo.
Presto lo riconobbe nella
favola che trovò sul tavolo di casa del suo
appartamento del passato.
Quello di Joseph Schreiber.
“C'era
una volta un bambino
collegato
alla sua mamma attraverso un magico cordone.
Ma
un giorno il cordone fu reciso, e la madre cadde in un sonno profondo.
Il
bambino rimase tutto solo.
Ma
il bambino fece molti amici nella Wish House e tutti erano molto
gentili con lui.
Il
bambino era felice.
I
suoi amici gli dissero come svegliare la sua mamma.
Così
il bambino andò subito a cercare di svegliarla.
Ma
la mamma non si svegliava. Per quanto lui provasse, lei proprio non si
svegliava.
Questo
perché in realtà quello che lui stava cercando di
destare era il Diavolo.
Il
bambino era stato ingannato.
Povero
bambino.”
(Parte del documento
trovato nell’appartamento 302 del passato)
Chiuse il libro. Quel libro da dove proveniva?
Perchè lo teneva Walter Sullivan?
L’inconscio di Walter lo aveva donato a lui e poi
era fuggito via, come se non
potesse leggerlo.
Il bambino lo aveva stretto
a sé gelosamente, ma non lo aveva mai aperto.
“Il
bambino era stato ingannato.
Povero
bambino.”
Henry chinò il capo, comprendendo bene il perché
di quell’atteggiamento.
“Sei tu l’autore di quella favola…e
un autore conosce sempre il finale
della sua storia.” disse.
Henry lo avvertiva.
Walter sapeva perfettamente, in una parte dentro di
sé, che tuttavia non apriva mai, di essere
stato ingannato.
Walter conosceva la vera origine della sua insofferenza. Sapeva
benissimo perché non faceva altro che piangere.
Egli…piangeva il suo terribile destino.
Il terribile destino di chi non può, in realtà,
far nulla per cambiare le sue sorti.
Perché lui lo sapeva. Sua madre non sarebbe mai tornata. Lui
non avrebbe mai visto quel mondo di pace che il culto descriveva.
Anche attuando il rituale…lui aveva sempre e solo ambito al
grembo materno, per ritrovare l’amore a lui negato nella
vita.
Tuttavia Walter, in una parte dentro di sé, era consapevole
di non poter essere felice.
Henry poggiò a terra il libro. Si guardò attorno.
“Tu sei l’autore di questa storia,
Walter.”
Sentì, in quel momento, l’incubo richiamarlo a gran
voce. Le manifestazioni della casa, simbolo dei tormenti di Walter
Sullivan, si fecero più forti.
“Tu sei l’autore di questi
mostri…”
Osservò la coppa, l’ampolla, i due libri del culto.
“Tu però continui ad ingannarti.”
Il culto non gli avrebbe
mai restituito sua Madre.
…mia
carissima Madre.
Ma del
resto…Egli cosa ne poteva sapere di sua madre?
Cosa ne poteva sapere di suo padre?
Era solo un bambino in fasce a quel tempo.
E un bambino che cosa ne poteva mai sapere di loro?
Chi erano?
Perché avrebbe dovuto essere felice con loro?
Sei io
fossi morto, tu non avresti mai sofferto per me.
Tu
non mi sentirai mai dire:
‘Mi
dispiace’
E
se da qualche parte stessi piangendo?
Dov'è
la luce?
Non
c’è più niente che puoi fare,
adesso…
Walter, sua madre non
l’aveva potuta conoscere. E mai avrebbe avuto la
possibilità di farlo.
…mia
carissima Madre.
Addio.
Sei
sempre stato ciò che ho disprezzato.
Non
mi sono mai sentito abbastanza per te, per piangere.
Oh,
beh...
Il
dolce canto ora ti fa chiudere gli occhi...
Addio.
(Room
of Angels)
Ai piedi della croce, allora, apparve l’orma nera. Quella
che conduceva nel ventre della Madre. Nel posto dove Lui sarebbe rinato.
Henry fissò quell’orma che sembrava chiamarlo,
volerlo….
Allora s’immerse e sparì nello stesso istante in
cui saltò.
[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO
DELL’APPARTAMENTO #302]
Era buio. O forse…più che buio, non
c’era semplicemente niente in quel luogo. Definirlo un luogo era, quindi,
appropriato?
Henry, quando riaprì occhi, vide solamente nero attorno a
sé.
Solo una luce, una lampada, oscillava lentamente proprio sopra la sua
testa.
Egli era seduto su una sedia, con il capo chino e una terribile
fiacchezza in corpo.
Un’ombra si proiettò sul suo corpo.
Un’ombra che attirò la sua attenzione e lo
costrinse ad alzare il viso.
Di fronte a lui vi era l’assassino biondo, appeso in aria con
una catena arrugginita
sulla schiena, avvolto in un panno
sporco, che lo serrava come una camicia di forza
lungo tutto il corpo. Solo la testa era lasciata libera, e guardava
Henry incessantemente.
Sembra un fagotto,
dimenticato e abbandonato.
Henry lo osservò corrucciando appena il viso, mentre la luce
sopra di lui lo accecava non permettendogli di vederlo perfettamente.
Vide dopo un po’ Walter muovere le sue labbra, rivolgendogli
un sorriso malinconico.
“Ora lo sai?” gli chiese con voce bassa.
“Cosa devo sapere?” rispose Henry non comprendendo
quella domanda.
“Ora sai perché non sei più capace di
abbandonare il tuo appartamento?”
Henry abbassò il capo e sorrise.
“Il significato di quei richiami in questo mondo?”
gli chiese. Rise poi velatamente. “Si…lo
so.”
Si azzittirono tutti e due.
Erano l’uno di fronte l’altro. Walter Sullivan e
l’ultimo segno dei ventuno sacramenti.
Henry toccò nuovamente il marchio sotto il suo collo. Il
marchio 21/21.
Si sentì strano…
Sapeva fin dal principio che il giorno in cui l’avrebbe
ammesso a se stesso, sarebbe stato condannato definitivamente dalla
follia. Invece era lì e sorrideva. Quasi gli scappava da
ridere.
Di cosa aveva avuto paura? Perché aveva indugiato tanto?
Henry, dopotutto, sapeva da sempre la risposta.
“Quindi tu lo sai?”
Walter richiamò la sua attenzione. Lo guardava
beffardamente. Eppure sembrava sinceramente curioso. Henry allora
alzò nuovamente il capo e lo guardò. I loro occhi
verdi andarono ad incrociarsi senza timore.
“Accade perché io faccio parte del tuo inferno.
Io…”
Le parole gli si strozzarono in bocca.
Io…
Sono io stesso
un’ombra di questo regno macchiato di sangue.
Sono io stesso un segno.
Un simbolo di questo mondo.
Una parte di me
è morta nel momento nel quale ha messo piede in questo
appartamento.
Una parte di
me…muore qui.
Una parte di
me…vive qui.
Vive qui…
…finché
vive Lui.
Henry guardò Walter.
“Io sono morto..?”
“Non lo so.”
Henry si fece confuso, poi sospirò appena.
“Lo immaginavo.”
Walter a quel puntò rivolse nuovamente gli occhi al ragazzo.
“Avrei anche io una domanda per te, Henry.”
Henry s’incuriosì e lasciò che Walter
parlasse. Sgranò gli occhi quando vide che l’uomo
aveva un’espressione questa volta affranta, turbata.
Sbandò quando, davanti a lui, il corpo di Walter si
eclissò e al suo posto apparve il bambino dai capelli biondi.
“Sai, invece,
dirmi perché io non sono capace di abbandonare questo
appartamento?”
Il bambino prese a piangere e le lacrime caddero sul viso di Henry.
La luce sopra di Henry a quel punto si spense e anche lui non fu
più capace di ricordare cosa accadde poi.
[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO
DELL’APPARTAMENTO #302]
“Mamma…”
Henry sussurrò debolmente, mentre galleggiava sospeso
nell’aria. Aveva la mente vuota, libera da ogni pensiero.
Si sentiva bene.
“Mamma…”
Strinse le gambe tra le braccia. I suoi occhi erano chiusi. Sentiva uno
stato di benessere mai provato in vita sua.
Avrebbe dato qualunque cosa per
rimanere così per sempre…
Lì, le porte del tempo erano spalancate. Henry sentiva
finalmente di…
…di potersi
addormentare felice.
Il suo desiderio, infondo. Era sempre stato solo e soltanto quello.
Desiderava ardentemente tornare
da lei. Nel suo grembo.
Nell’appartamento
#302.
Allora aprì debolmente gli occhi, rendendosi conto di
galleggiare.
L’incanto di colpo svanì e Henry, lentamente,
poggiò i piedi a terra.
Madre…Addio…
Sentì le gambe pesanti mentre queste si abituavano a
riprendere l’equilibrio sul pavimento.
Guardò attorno a sé, accorgendosi di essere in un
luogo strano da descrivere in maniera umanamente concepibile.
Era una stanza circolare, avvolta da una densa nebbia rossa. Sembrava
allontanasse Henry da qualsiasi altra cosa presente nel resto del
mondo. Senza averne la certezza, sentiva come se, finché
fosse rimasto lì, nulla avrebbe potuto fargli del male.
Portò le mani di fronte al viso e le guardò,
leggermente turbato.
“Mamma..?” disse.
Henry allora avvertì un forte desiderio mai provato prima.
Il desiderio intrinseco di Walter Sullivan di tornare al tempo in cui
era felice con sua madre. Il tempo in cui lei lo aveva cresciuto dentro
di sé.
Subito si guardò attorno, frastornato.
Egli…quindi…dove si trovava esattamente?
In quel momento le dieci luci, poste lungo tutto il muro della stanza
circolare, s‘ illuminarono accecandolo. Si accorse che sui
muri vi erano delle orme rosse che prima non aveva notato.
“Cosa…diavolo?” disse, mentre si
avvicinava e notava qualcosa di sconcertante.
Quelle orme avevano un aspetto umano. Sebbene essenziali e senza alcun
connotato specifico, raffiguravano senza alcun dubbio delle persone.
Ai piedi di ogni orma vi era una targa. Henry le prese a leggere.
#01/21 - JIMMY STONE: Il
Re che creò l’inganno a Dio.
#02/21 - BOBBY RANDOLF: L’uomo
che voleva incontrare il Diavolo.
#03/21 - SEIN MARTIN: L’uomo
che volle conoscere dove incontrare la Santa Madre.
#04/21 - STEVE GARLAND: Il
cieco che non riconobbe davanti a sé Dio.
#05/21 - RICK ALBERT: Colui
che osò comandare al suo padrone.
#06/21 - GEORGE ROSTEN: L’uomo
che iniziò Dio alla Santa Madre.
#07/21 - BILLY LOCANE: Colui
il quale fu purificato dal peccato.
#08/21 - MIRIAM LOCANE: Colei
che non va divisa da colui cui Dio l’ha unita.
#09/21 - WILLIAM GREGORY: L’uomo
che poteva vedere Dio ma non poteva sapere chi fosse.
#10/21 - ERIC WALSH: L’uomo
che tentò di fuggire dall'occhio di Dio.
In tutti questi…l’orma rossa era scura meno che
sul torace.
“I dieci cuori…” sussurrò
Henry.
Continuò a leggere, girando attorno alla stanza circolare.
#11/21 - ASSUNZIONE: Dio
che morì e risorse nel cielo.
#12/21 - PETER WALLS: L’uomo
spento da una falsa felicità.
#13/21 - SHARON BLAKE: Colei
che entrò nella tana del Diavolo.
#14/21 - TOBY ARCHBOLT: La
bestia mascherata.
#15/21 - JOSEPH SCHREIBER: L’uomo
soffocato dalla conoscenza.
#16/21 - CYNTHIA VELASQUEZ: Colei che respinse la mano tesa
di Dio.
#17/21 - JASPER GEIN: L’uomo
che alla fine vide il Diavolo.
#18/21 - IL MAIALE GRASSO: Il
maiale punito da Dio.
#19/21 - RICHARD BRAINTREE: L’uomo
che rinnega la Santa Madre e vaga nel caos.
Gli ultimi due avevano una placca, ma senza nome. Le loro ombre erano
meno rosse delle altre e anzi, si percepivano appena.
#20/21
-
: La Madre
della Madre. Alla sinistra di Dio.
#21/21
-
: Colui che
riceve la saggezza di Dio. Alla destra di Dio.
Vi dovevano essere i nomi di Henry ed Eileen in quegli spazi vuoti..?
Guardò intensamente quelle parole.
Era impressionante pensare che in quelle targhe fossero stati destinati
ad esserci il suo nome e quello della sua vicina.
Socchiuse gli occhi e in quel momento il viso prese a bruciare.
Era giunto il momento di finirla.
Mentre era lì avvolto nel silenzio, un lieve sibilo
attirò la sua attenzione.
Si voltò e vide che ai suoi piedi era apparso un enorme
varco scuro. Era gigantesco.
Nel guardarlo, Henry aveva come l’impressione che, una volta
entrato, non sarebbe più tornato indietro.
Ma oramai non gli interessava più, perché lui
stesso voleva andare fino in fondo. Era giunto il momento
di fare i conti con Walter Sullivan.
Egli era lì sotto. Lo sapeva. Lo sentiva.
[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO
DELL’APPARTAMENTO #302]
Il suo appartamento era stato teatro di immensi scenari.
Era strano credere che in verità, Henry non aveva fatto
altro che attraversare varchi o saltare voragini.
Egli aveva viaggiato a lungo in passato, quando Joseph Schreiber
mostrò a lui l’unica possibilità di
salvezza.
Ovvero raggiungere la parte più profonda di Lui.
Ora era nuovamente lì. Con nuove consapevolezze. Di fronte
Walter Sullivan. Nell’ultima tappa del suo viaggio.
Si trovava un ambiente circolare, oramai annerito e corroso. Era come
morto.
Un’enorme vasca colma di sangue era al centro della stanza,
ove era immerso un inquietante meccanismo rotondo.
A quel tempo, quando Henry rischiò di essere ucciso da
Walter, quel marchingegno girava vorticosamente, smuovendo
quell’ingente quantità di liquido organico.
Ora invece era immobile e sembrava spento.
Anche il demone gigante dalla pelle cadente era sparito.
Tutto sembrava inanimato, a differenza di quel tempo. Eppure era
proprio lì dove Walter stava per portare a termine i ventuno
sacramenti.
“Benvenuto, Henry.”
L’ambiente rese molto altisonante quella voce, che
echeggiò vorticosamente in tutta la camera circolare. Henry
si voltò e il suo sguardo si posò sulle scale in
pietra poste in alto. Esse costituivano il passaggio che conduceva
direttamente nel liquido rosso.
Un tempo Eileen stessa aveva rischiato di finirci dentro, morendo sotto
quell’orrido meccanismo adesso spento.
Henry alzò il viso verso quella struttura, fino ad
incrociare finalmente gli occhi di Walter Sullivan.
Egli era in cima alla scalinata in pietra, e lo guardava sorridendo
malignamente.
Lo vide aprire la zip della giacca e fare per estrarre una pistola
automatica, mentre prese a scendere la scalinata.
I due si guardarono incessantemente in silenzio. Henry serioso, Walter
quasi beffardo. In entrambi s’intravedeva l’ira nei
loro occhi.
“Sono felice di vederti…vivo, Henry.”
Walter si pronunciò, ridendo. Guardò il collo di
Henry e lesse quei numeri rossastri lì incisi quasi
deliziato.
Henry aggrottò le sopracciglia e continuò ad
osservarlo severamente. L’uomo biondo rise ancora, quasi
sembrava trattenersi a stento.
“Ti avevo già detto che io non potevo morire.
Tuttavia questo avrebbe dovuto farti comprendere anche qualcosa su di
te. Hai paura, adesso?”
Henry non si lasciò turbare da quegli occhi violenti e
curiosi.
Anzi, lo guardò in silenzio non rispondendolo nemmeno.
Sullivan a quel punto sogghignò di nuovo, poi
saltò dalla scalinata, un lancio non indifferente in
verità, e fu subito di fronte ad Henry.
“Henry Townshend. Il segno finale.”
Walter lo squadrò dalla testa ai piedi, poi
allargò le braccia mostrando l’ambiente.
“Questo stage è creato apposta per te. Grazie al
tuo sacrificio, la Madre rivivrà e sul mondo
scenderà un regno di pace, lontano dal peccato. Il segno
finale doveva essere lo spettatore capace di comprendere le grandezze
di Dio, prendendo coscienza delle sue azioni e del suo
destino.” gli puntò l’indice contro.
“In verità, la sorte della ventunesima vittima
è la mia preferita. Dovresti esserne onorato. Ti ha permesso
di vedere più vicino di tutti gli altri Dio!”
La voce di Walter echeggiò sonoramente, mentre Henry, al
contrario, lo guardava con enorme disapprovo. Guardandosi attorno,
vedeva tutto immobile, corroso, come potesse crollare da un momento
all’altro. I ventuno sacramenti erano stati scongiurati,
possibile che Walter non se ne fosse accorto?
Schiuse dunque le labbra e parlò con voce bassa e ferma.
“Tu parli di Dio, ma sei sicuro che Dio sia vicino a te, in
questo momento?”
Walter corrucciò le sopracciglia guardandolo beffardamente,
mentre Henry intanto continuò il discorso.
“Hai agito secondo il volere del tuo Dio. Tuttavia egli ha
punito anche te, generando questo mondo contorto. Guardati
attorno.” Henry mostrò a lui l’ambiente
malsano che li circondava. “Credi che è questo
ciò che genererebbe un Dio magnanime? Piuttosto sembra
l’inferno. E Walter, tu lo sai…”
Walter solo allora smise di sorridere. I loro occhi si incrociarono
vitrei.
“…tu sei in questo inferno con me.”
concluse freddo Henry.
Il biondo lo guardò immobile per diverso tempo. Era di
fronte a lui e sembrava riuscire a trafiggerlo con un solo sguardo. Lo
vide poi sospirare.
“…inferno, dici? Ti compatisco. Comunque non
arriverai mai a conoscere la Santa Madre, perché presto
sarai morto.”
Il ragazzo dai capelli scuri scosse la testa, non potendo credere alle
sue orecchie.
“Walter, tu sei morto! Io sono…morto. O sono
vivo?” Henry abbassò il capo. “Io non so
più cosa sono.”
Walter s’incuriosì di quelle parole. Un suo
momento di umanità, forse? Sembrava voler comprendere i
sentimenti confusi del ragazzo, che ancora accettava a stento la sua
sorte contorta. Quella di essere anch’egli una traccia di
quel mondo.
Henry intanto riprese parola.
“So solo che io ti ucciderò. Poi sarai tu ad
uccidermi, e dopo perirò di nuovo…e
così andrà avanti ancora e ancora senza alcuna
finalità. Non te ne rendi conto?”
Il biondo sogghignò davanti a quelle parole.
“Lo so.” rispose, al di là di ogni
aspettativa. Stesso Henry se ne sorprese, infatti sgranò gli
occhi confuso. Walter gli si avvicinò guardandolo divertito.
“Ma ho sempre desiderato vedere cosa si provasse
nell’uccidere anche te.”
Corse e colpì violentemente Henry con una robusta mazza di
legno.
Henry fu ferito al fianco e il dolore che provò in
quell’istante fu lancinante. Si resse in piedi quasi a
stento. Non si era nemmeno accorto che egli avesse una mazza in mano.
Del resto, quello era il suo mondo, quello di Sullivan. Egli poteva
giocare il gioco che preferiva lì.
Il moro portò una mano sul fianco lesionato e
guardò Walter, mentre lo vedeva roteare la mazza che
brandiva in mano con nonchalance.
“Il ventunesimo sacramento. Il ricevitore di
Saggezza.” gli puntò l’asta contro,
indicandolo. “Dovevi conoscere, per questo sei
rimasto bloccato nell’appartamento fino a tempo debito. Anche
un idiota ci sarebbe arrivato. Ma non era importante che tu capissi.
Dovevi solo essere pronto quando io sarei venuto a prenderti. E
invece…”
Lo guardò con odio. L’odio verso chi gli aveva
impedito di realizzare i ventuno sacramenti.
Henry sbandò quando lo vide aizzarsi nuovamente contro di
lui, così fece per brandire la sua pistola e mirarlo.
Tuttavia, quando premette il grilletto, una forte fitta lo trafisse nel
cervello.
Era come se, facendo del male a lui, facesse del male anche se stesso.
Inevitabilmente, ora le loro anime erano connesse.
“Ah!!” urlò, piegandosi a terra.
Provò a premere nuovamente il grilletto, ma questo gli
provocò un’altra fitta.
Walter intanto prese a guardarlo con forte disprezzo.
“Dieci anni…” chinò il capo
lasciando che parte dei capelli biondi gli coprissero il viso scavato.
“Sono dieci anni che preparo i quattro segni
dell’ascesa della Santa Madre. E tutto è stato
interrotto…da un insignificante insetto come te?”
Parlò con veemenza e sembrò quasi perdere il
controllo. Più si lasciava andare, tuttavia, più
il dolore di Henry sembrava aumentare.
“Ho preparato il mio corpo a tutto questo! Dio mi ha dato il
potere! Lui mi ama, non mi condanna! Questo è il mio regno,
non la mia prigione! Io sono stato scelto! Io…”
urlò. “Sono morto dieci anni fa per fare tutto
questo!”
Gli occhi verdi di Walter ed Henry si andarono ad incrociare.
Quelli di Walter colmi di rancore, quelli di Henry accecati dal dolore
causato dallo stesso uomo che lo stava guardando.
Improvvisamente tutto si fece buio.
I sentimenti laceranti di Walter Sullivan lo condussero in un luogo non
ben definito, dove fu di nuovo spettatore delle vicende della sua vita.
***
[SOGNO I -
CORRIDOIO DEL TERZO PIANO, ALA OVEST. South Ashfield Heights]
Oggi ho fatto quello strano
sogno.
Quello con l'uomo con i
capelli lunghi ed il cappotto. Stava di nuovo piangendo e cercando sua
madre.
Vidi quell'uomo con il
cappotto 10 anni fa in questo palazzo. Stava salendo le scale e portava
un arnese pesante, una vecchia coppa ed una busta che perdeva sangue.
Poi non l'ho
più visto. Ma qualche giorno più tardi i vicini
si lamentarono di alcuni strani rumori provenienti dall'appartamento
302, che sarebbe dovuto essere vuoto. Diedi un'occhiata
nell'appartamento 302 e trovai tracce che qualcuno c'era stato, ma
niente altro. Fu allora che tutto cominciò. Ancora li sento
quei strani rumori che provengono dalla finestra 302.
Sunderland
(Il
diario di Frank Sunderland. Trovato alla fine della via verso
la parte profonda di Lui. Di fronte la porta #302 del passato)
Henry
aprì gli occhi, sorpreso di non provare più
dolore. Si ritrovò sdraiato su un pavimento bianco, freddo.
Subito si alzò, riconoscendo quel posto.
“Gli
appartamenti di South Ashfield Heights?” si girò
attorno e costatò che era proprio così. Il suo
viso si fece perplesso. “Come è
possibile?”
Si
alzò e si chiese che fine avesse fatto Walter Sullivan.
Ricordava solo quell’incredibile mal di testa che era
aumentato quando Walter aveva cominciato a inveire contro di lui.
Più
aveva parlato con rabbia e più Henry…aveva
provato dolore. Il dolore che Henry aveva avvertito, dunque, era lo
stesso che covava in corpo Walter?
Chinò
il capo verso il pavimento e fu allora che notò una striscia
rossa.
“Nh?”
Guardò
quel color rosso vivo, che sembrava indicargli una direzione da
seguire.
Girò
l’angolo e inorridì quando vide che le macchie di
sangue, assurdamente fresche, andavano ad aumentare proprio nelle
vicinanze del suo appartamento, il #302.
All’improvviso
vide qualcosa di non ben definito muoversi, come fosse una sorta di
ombra.
Henry dovette
strizzare gli occhi più volte per capire bene che accidenti
fosse. Per quanto si sforzasse, s’intravedeva a stento. Si
accorse poi che quell’ombra era proprio Walter Sullivan.
Era quasi
invisibile, di lui si delineavano appena i contorni.
Henry si accorse
che era lui che aveva gocciolato a terra quel putrido liquido rosso.
Egli infatti portava con sé un grande busta, ed era quella a
perdere sangue.
Lo vide aprire
una porta, anch’essa invisibile, meno che i contorni. Questa,
comunque, gli permise di accedere alla stanza #302 senza alcuno sforzo.
L’ombra
a quel punto svanì ed Henry si avvicinò. Fu per
la prima volta che notò di fronte al suo appartamento un
qualcosa cui non aveva fatto mai caso.
“Mani..?”
Si vedevano a
stento, ma erano proprio delle rosse impronte umane.
Contandole, Henry
costatò che fossero diciannove. Anzi, venti, visto che,
sebbene molto opaca, vi era un’altra orma vicino la
diciannovesima.
Quasi venti
impronte di mani sul muro di fronte casa sua.
A Henry ci volle
poco per capire che fossero anch’elle un marchio lasciato dal
rituale di Sullivan.
Sapeva anche,
quindi, che quelle mani in totale avrebbero dovuto essere ventuno.
Fece poi per
aprire la porta, ma un’energia gli impedì di
toccarla.
“Cosa
diavolo?”
Non riusciva ad
afferrare il pomello. Fu allora che l’ansia
cominciò ad assalirlo.
Henry…cos’era
diventato, ora? Era un fantasma anche lui?
Io…
Sono io stesso
un’ombra di questo regno macchiato di sangue.
Sono io stesso un segno.
Un simbolo di questo mondo.
Una parte di me
è morta nel momento nel quale ha messo piede in questo
appartamento.
Una parte di
me…muore qui.
Una parte di
me…vive qui.
Vive qui…
…finché
vive Lui.
Calò
lo sguardo. Erano delle parole sorte nella sua mente come se
già lo sapesse. Come se ne fosse stato sempre cosciente, in
verità.
Questo
significava che lui era morto? Era vivo? Cos’era adesso? Non
poteva semplicemente più…tornare a casa?
Alzò
gli occhi verso l’appartamento maledetto.
A quel punto,
visto che non poteva far altro che seguire Sullivan, fece per aprire la
porta invisibile che egli aveva aperto precedentemente. Tuttavia anche
lui in qualche modo la percepiva.
Essa
s’intravedeva a stento proprio sovrapposta alla porta #302.
Quella era la
porta dell’appartamento alternativo.
Sebbene non la
vedesse bene, fece per afferrare il pomello, che in teoria avrebbe
dovuto essere poco più avanti del pomello della porta del
mondo ‘reale’.
“!”
C’era
effettivamente qualcosa. Henry girò con un movimento del
polso e un rumore meccanico gli fece capire di aver aperto quella
porta. Si addentrò con fare cauto e leggermente incerto.
Dall’
“otherworld”, entrò nella
“realtà” esattamente come faceva Walter
Sullivan all’epoca, quando commetteva i suoi omicidi. Senza
chiavi, senza lasciare alcun indizio, come fosse un fantasma.
Si
ritrovò nell’appartamento infestato.
Sentì
dei rumori provenire in fondo al corridoio. Si affacciò fino
a raggiungere la porta murata, che poté attraversare come se
Henry non fosse più fatto di materia.
Si mise di spalle
alla scaffalatura proprio lì di fronte e scrutò
Walter Sullivan intento a frugare sul tavolo.
Strano pensare
che, quel che stava vedendo, fosse accaduto molto tempo prima del suo
trasferimento a South Ashfield.
Walter aveva uno
sguardo a dir poco malato. Non che non fosse sempre così. Ma
Henry si sentì turbato nel vederlo in quello stato.
Nonostante fosse
oscurato dalle tenebre, poteva vedere perfettamente il viso scavato e
l’espressione sul suo volto eccitata; ossessionata da
ciò che stava compiendo.
“Il
rito, il rito. Presto comincerà, presto..!”
Ripeteva in modo
martellante quelle parole. Tuttavia nei suoi occhi
s’intravedeva dell’esitazione.
Il cadavere era
già posto alle spalle di Walter, ed Henry lo vide
avvicinarsi ad esso per nascondere le chiavi
dell’appartamento nel taschino della giacca.
Sul muro vi era un grosso mostro
dalle sembianze umane, dalla pelle scarlatta, che girava
ininterrottamente una valvola rossa.
A quel punto vide
Walter bloccarsi.
Il suo sorriso
sparì e, credendo di essere completamente da solo, assunse
un’espressione più umana.
Henry si sorprese
di vederlo con un’espressione simile.
Il biondo
guardava, quasi tremante, il suo stesso corpo morto. Lo
toccò sfiorandolo appena, come se volesse egli stesso donare
un gesto gentile a quell’uomo che aveva tanto sofferto nella
vita terrena.
“Mio
caro fu Walter Sullivan.” sospirò. “Ora
le tue pene non esistono più. Per quanto dolorose fossero,
ora puoi finalmente cessare di vivere. Tocca a me ora dannare la mia
eternità e portare ad adempimento anche il terzo ed il
quarto segno.”
Walter aveva
usato per davvero la parola ‘dannare’?
Egli…era conscio del significato dell’otherworld?
Il mostro dalle sembianze umane,
intanto, continuava a girare ininterrottamente la valvola rossa.
Il rumore di quella
valvola rugginosa era terribile da sopportare.
Henry
osservò quel mostro. Si chiese se non fosse lui quel
demone-vassallo Valtiel.
Egli intanto rimaneva attaccato
al muro e continuava a girare, girare, girare…
Walter riprese le
preparazioni del rito. Tuttavia i suoi occhi sembravano ancora
spaventati.
“Sono
morto per te, Madre! Ho ucciso me stesso e ora…accogli
questo tuo figlio. Io creo questo mondo unicamente per te!”
Walter sembrava
scosso. Più si ostinava per l’attuazione del
rituale, più sembrava, paradossalmente, crollare.
“Sarà
tutto perfetto, Santa Madre.”
Egli stesso
sentì qualcosa dentro di sé vacillare. Forse
perché ancora scosso per la sua morte.
Anch’egli
non riusciva a reggere il mondo alternativo?
Henry aveva il
presentimento che Walter si stesse già rendendo conto che
quel mondo non era ciò che si aspettava.
Si era
già accorto che ciò aveva creato era
l’inferno, il quale gli si era ritorco contro, mostrandogli i
demoni del suo passato in maniera cruda, sferzante.
Eppure era
lì, che incessantemente terminava di preparare il rituale
della sacra assunzione.
Mentre rimase ad
osservare la scena provando persino pietà per lui, tutto
divenne sfocato e lentamente, senza neanche accorgersene,
quel ‘sogno’ finì.
***
[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO
DELL’APPARTAMENTO #302]
“C-cosa?!”
Henry si ritrovò immediatamente, dopo quella visione, nel
luogo dove si stava dando battaglia con Walter.
La stanza #302 si era eclissata davanti ai suoi occhi in un attimo,
trascinandolo nuovamente lì.
Walter era di nuovo di fronte a lui e toccava il capo dolorante.
“Argh..!!”
Henry sgranò gli occhi, sorpreso.
Anche lui aveva avuto quella visione?
In quel momento, l’intero edificò mutò.
Tutto si tinse di rosso. Le pareti cominciarono a pulsare. Il
meccanismo posto al centro della stanza circolare prese a muoversi
vorticosamente.
Henry assisté a tutto quello impotente.
Guardò Walter che era ancora dolorante a terra, mentre si
inarcava con la schiena riuscendo a stento a reggere quella sofferenza.
“T-tu…” disse con aria frastornata e gli
occhi colmi di rabbia. In quel momento, sulla sua mano, apparve una
motosega arrugginita. Henry indietreggiò a quella visione.
Walter intanto continuò a parlare, tenendo una mano sulla
fronte e una sull’arma, cercando di ignorare il dolore.
“Quegli ignobili! Quei putridi! Bestie! E non fissarmi in
quel modo, Henry! Io mi sono vendicato! Sono stato stesso io a
punirli!”
Henry corrucciò il viso mentre lo vide inveire contro di
lui.
“Loro e quella schifosa macchina della morte! Ah, padre
Rosten. Padre Stone. Il porco... sono tutti stati giustiziati.
È stato fantastico condannarli con le mie stesse mani. Ovvio
che io sapessi che a loro serviva che io attuassi il rito.”
Walter prese a sogghignare. Il suo viso sudato e i suoi movimenti
instabili fecero comprendere al ragazzo che provava ancora dolore.
Henry provò a parlargli.
“Sei…consapevole di quel che ti è
accaduto nel culto?” gli chiese con fare incerto.
“Alla Wish House avevo già pronta la mia vendetta,
cosa credi? Insulsi! Ingannatori! Che misera fine che hanno fatto poi,
eh? Lo hai visto tu, infondo. E dire che mi hanno fornito stesso loro
le armi che avrei utilizzato per massacrarli!”
Walter, a quel punto, accese la motosega e corse verso Henry. Il
ragazzo riuscì fortunatamente ad allontanarsi prima di
essere decapitato, tuttavia il suo viso fu colpito violentemente.
“Aaah!”
Urlò, sentendosi bruciare gli occhi. Portò le
mani sul volto, mentre il sangue prese a scorrere, incanalandosi tra le
sue dita.
I suoi occhi…lui…
Henry sentiva di non vederci più.
Dalle palpebre grondava molto sangue e per quanto si sforzasse, il
dolore gli impediva di aprire gli occhi. L’aria si fece
più pesante, e la paura di essere lì da solo con
Walter crebbe ancora di più.
Il cuore di Henry prese a battere forte e la sua mente
cominciò ad abbandonarlo, mentre sentiva Walter ridere,
ridere come un folle…
***
[SOGNO II - IL
MONDO DEL PALAZZO. A South Ashfield. Dove Walter rapì il se
stesso bambino]
Sembra
che i mostri siano attratti dalla luce.
Ecco
perché quelli che hanno bisogno di luce per vedere sono la
loro preda naturale.
Se
vuoi continuare a vivere, faresti meglio a startene in silenzio e al
buio. Ma anche cosi probabilmente non ti salveresti.
(Silent hill 2)
Henry non
riusciva ancora ad aprire gli occhi. Non riusciva a vedere nulla.
Non vedeva la
luce.
Non riconosceva
l’ambiente circostante.
In quel
momento…si ritrovò in un baratro di follia, al
culmine della disperazione.
Perché
Walter l’aveva accecato?
Era rimasto
turbato dal fatto che lui ‘vedesse’ ?
Che vedesse la
sua vita, i suoi sentimenti…che vedesse dentro di
lui…?
Cadde in
ginocchio e sentì le lacrime scorrere sul viso.
Tuttavia dovette trattenersi perché il dolore scaturito
della ferita gli impediva persino quel pianto silenzioso e solitario.
Come doveva essere, per
uno come Walter Sullivan, rievocare
i suoi tormenti?
In certi casi,
sarebbe stato meglio esser ciechi.
Tuttavia, per
quanto si possa stare nascosti in un angolo al buio, prima o poi
bisogna sempre riaprire gli occhi e far luce.
Per
questo…Water l’aveva reso cieco.
Perché
egli non voleva vedere la ‘luce’.
La ‘luce’
che avrebbe animato i suoi ‘mostri’.
In questo
senso…ciò che gli occhi di Henry Townshend
avevano rappresentato, era la ‘luce’.
La luce che in
quel momento l’aveva ferito e che aveva voluto spegnere.
Una volta
calmatosi, Henry si accorse di sentire il vento soffiare sulla sua
pelle. Non c’era più quell’aria
tagliente e soffocante. Toccando a terra sentì il ruvido del
cemento consumato, e si rese conto di essere in un altro ambiente,
diverso dalla stanza circolare. Non vedendolo, non poteva esserne
certo, ovvio, ma sembrava essere stato trasportato altrove, esattamente
come era successo precedentemente.
Si
alzò e cercò di camminare, tastando vicino ai
muri in modo da farsi strada.
Allora
sentì dei bisbigli. Costeggiando il muro e stando ben
attento a non fare rumore, cercò di riconoscere chi stesse
parlando. Era un ragazzino.
“Walter..?”
disse, ma udendo un’altra voce, quella di un uomo adulto,
subito si bloccò.
Era la voce di
Walter Sullivan adulto.
Henry rimase in
silenzio ad ascoltare, trattenendo quanto più
poté il respiro.
Sentì
il Walter adulto prendere parola per primo.
“Sai
cosa sono i ventuno sacramenti?”
Walter
incrociò le braccia ed inarcò il sopracciglio,
guardando il bambino biondo con aria sufficiente. Il bambino gli
rispose. Dalla voce, sembrava parecchio arrabbiato.
“Libererò
mamma! Per farlo studierò il rito…non
intralciarmi!”
Walter adulto
scosse la testa. Si poggiò a terra, sedendosi, e
guardò spettrale il suo stesso io infantile.
“Se
speri di trovare tua madre così, sei uno stupido.”
Henry si sorprese
di quelle parole. Intanto il piccolo Walter cominciò
strillare.
“Zitto!
La mamma mi aspetta. Non posso perdere tempo! I ventuno sacramenti mi
porteranno da lei!”
Walter gli rise
in faccia.
“Sei
uno stupido e un piagnucolone. Aspetta ancora un po’ e
capirai che troverai qualcosa di diverso, nel rituale.”
A quel punto
Henry udì i passi del piccolo Walter mentre scappava via. Lo
sentì rivolgersi all’uomo biondo
un’ultima volta.
“Tu fai
paura!” gli disse.
“Io…incontrerò mamma! Lei si
sveglierà.”
A quel punto si
eclissò definitivamente. Walter sogghignò appena,
compatendo quel bambino.
“Tu
cerchi la Santa Madre, piccolo Walter…mi spiace.”
sussurrò.
Eppure nei suoi
occhi, in quel momento, qualcosa si spense. Come se stesso lui
avvertisse un profondo turbamento, che cercava di ignorare oramai
invano.
Il
bambino…stava cercando la mamma.
Walter Sullivan
invece cosa cercava…? Stava cercando la Santa Madre?
Ma
dopotutto…perché?
***
[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO
DELL’APPARTAMENTO #302]
“Argh…!”
Henry toccò la testa, provando un dolore terribile.
Aprì istintivamente gli occhi e si accorse di poter vedere.
Toccò il viso sconcertato e appurò che era
sparito il sangue e non vi era alcun segno dello sfregio subito.
“Cosa..?” disse scioccato.
Di fronte a lui c’era di nuovo Walter Sullivan. Erano
entrambi nuovamente nella stanza circolare.
Anche l’uomo biondo aveva le mani sul capo, sofferente.
Henry lo vide mentre si dimenava non sopportando quel dolore.
Ora che ci pensava, anche lui, quando aveva cercato di sparare a
Walter, aveva provato quella insopportabile fitta lancinante. Era forse
così anche per Sullivan? Erano davvero connessi?
Ogni loro contatto aveva l’effetto di una scarica elettrica,
sconvolgente e straziante per entrambi.
Walter intanto fece per sollevarsi e inveì contro di lui
digrignando i denti.
“Smettila!” urlò. Sembrava disperato.
“Non ne posso più di questi stupidi viaggi
mentali! Smettila!!”
Henry sgranò gli occhi non potendo credere a quelle parole.
Quella frase avrebbe dovuta dirla lui, piuttosto!
“Che cosa diavolo dici?! Sei tu che mi mandi nel mondo
parallelo!”
“Zitto!”
Henry si azzittì per davvero. Si accorse che lo stesso
Walter non era esattamente padrone di quello che stava accadendo.
Così lo ascoltò, rimanendo allerta.
“La foresta, l’ospedale, la
prigione…” guardò Henry con odio.
“Io ti ammazzo sul serio se continui a vedere tutte queste
cose!”
Walter fece per puntargli contro l’arma, ma
un’altra fitta la cervello lo trafisse, e la motosega
sparì dalla sua mano.
In quell’istante, anche le pareti smisero di pulsare, e il
meccanismo circolare cessò di girare.
Tutto tornò com’era in origine… di quel
color grigio spento, morto come prima.
Walter s’inginocchiò a terra, non potendone
più di quel dolore. Henry, a quel punto, si
avvicinò a lui.
“Stai perdendo potere? O a vacillare è la
sicurezza?” gli chiese.
Walter lo guardò in cagnesco.
“Che dici?!” urlò.
Henry gli mostrò l’ambiente che stava diventando
davanti ad entrambi consumato e spento.
Era il simbolo stesso del suo potere che stava calando repentinamente.
E se l’intero mondo parallelo rappresentava Walter, allora
anche nella sua mente, in quell’istante, qualcosa si stava
frantumando.
Il biondo assassino sembrò adirarsi per quelle parole,
comprendendone benissimo il senso.
Tuttavia, sapere che quel ragazzo di fronte a lui stesse prendendo
consapevolezza di quel mondo e della sua mente, lo mandò in
escandescenza.
“Non osare parlare di ciò che non ti
compete!” gli urlò, rimanendo sulla difensiva.
Henry tuttavia non si smosse. Questo fece adirare Walter ancora di
più. “Tu chi sei per esprimere giudizi?! Sei il
ventunesimo segno! Non devi far altro che…morire! Ti
torturerò! Ti flagellerò! Ti renderò
una disgustosa massa indistinguibile! È questo il tuo
destino!”
Henry continuava a fissarlo negli occhi, mentre Walter, al contrario,
calò lo sguardo. Egli andò in uno stato di
completa confusione mentale e prese ad inveire perdendo il controllo
completamente.
“Sei qui perché abiti nella casa di Dio! Non sei
nessuno! Non ti ho scelto per nessun’altro motivo, lo sai?
Che ci sei tu e non un altro, è solo un curioso scherzo del
destino. Tu dovevi solo ‘vedere’. E…poi
dovevi morire! Sei qui perché vivi
nell’appartamento dove io sono nato come uomo!”
Fece una pausa poi, ansimante, con gli occhi gonfi, continuò.
“Sono nato nell’appartamento #302 di South Ashfield
Heights. Sono morto nell’appartamento #302 di South Ashfield
Heights. Ed è qui, nell’appartamento #302 di South
Ashfield Heights dove dovevo rinascere assieme a Dio!”
Henry, a quelle parole, strinse gli occhi.
“Io lo so…” fece una pausa, parlando con
voce bassa. “Lo so che sono qui solo per colpa tua. Sei tu
che hai deciso il mio destino. Non ha una ragione effettiva la mia
presenza qui. Soltanto perché banalmente abito
l’appartamento #302, io sono il ventunesimo
segno…”
Guardò se stesso compatendosi.
Egli era lì, imprigionato per sempre in
quell’incubo, senza un reale motivo, senza un reale
perché che lo riguardasse come Henry Townshend.
Era lì solo come lo sfortunato inquilino di un appartamento,
apparentemente qualsiasi. Tutto questo per un banale, futile, scherzo
del destino… esattamente come aveva detto Sullivan.
Qualcosa in Henry si spense nell’essergli ricordato quella
consapevolezza e Walter sembrò farci caso.
Henry riprese parola.
“Dio sarebbe sorto con i ventuno sacramenti. E
dopo?” si fermò. “Ricordi le tue parole?
Quelle stesse che hai detto nella tua forma infantile?
Perché lo sai, no…? Quello…sei
comunque tu.” Poi lo guardò trafiggendolo.
“Tu lo sai perché hai fatto tutto
questo.”
Walter a quel punto chinò il capo, seccato da quelle parole.
Il moro sospirò, mentre continuava a guardarlo
dall’alto.
“Rinneghi l’evidenza. Eppure lo sai
bene.” sospirò ancora. “Ti ricordi cosa
mi avevi chiesto, prima di riportarmi qui?”
Walter alzò debolmente gli occhi verso di lui.
A quel punto, come se le luci si spegnessero, tutto si
tinteggiò di nero.
***
[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO
DELL’APPARTAMENTO #302]
Era tutto buio.
Non s’intravedeva nulla, meno che una sedia illuminata da una
lampada posta proprio sopra questa.
Sulla sedia era seduto Henry Townshend.
Di fronte non c’era più l’uomo
infagottato appeso sul soffitto incontrato precedentemente.
Ora quell’uomo era di spalle, con addosso il suo lungo
cappotto blu scuro, dietro delle barre di ferro che lo separavano dal
ragazzo dai capelli bruni.
Delle voci presero a echeggiare nel silenzio.
Stupido
piccolo piagnucolone!!
Presto---fa
le valigie!
Questo
è il mio sogno e non sai nemmeno come mi chiamo?
Esatto. E' solo un sogno. Ed un
sogno davvero terribile. Spero di svegliarmi presto.
Finalmente l’ho
incontrato! Quello di cui parlava il ficcanaso…il DIAVOLO!!
16/21…17/21…
Oh mio
Dio…Walter mi vuole uccidere! Walter mi vuole uccidere!
Vai via, prima che
m’incazzi davvero!
Un... un....un bambino?!
Quello... quello... quello non è un bambino. E'...
è... è l'uomo 11121..!!
18/21…19/21…
Me l'ha data Miss Galvin tanto,
tanto tempo fa... Era più giovane allora. Sembrava
così felice stringendo la mano di sua
madre... Tieni, te la regalo.
E' terribile...quel povero
piccolo bambino... I suoi genitori lo abbandonarono subito
dopo la sua nascita... Poverino... Crede davvero che
l'appartamento 302 sia sua madre.
Devo...devo
aiutarlo.
E'
Walter... sta piangendo...
Anche
completando i 21 Sacramenti, non sarà d'aiuto al ragazzino.
Sto tornando indietro, Henry...
nella stanza dov'è lui. Siamo gli unici... gli unici che
possono fermarlo.
20/21…
(bisbigli
vari, incomprensibili. Pronunciati vorticosamente.)
…21/21…
L’eco di quelle parole continuava ad echeggiare continuamente
nell’ambiente oscuro.
Walter mosse le labbra e prese parole.
“Sai, invece,
dirmi perché io non sono capace di abbandonare questo
appartamento?” gli si rivolse penetrante.
“Era questa la domanda che ti avevo posto. La risposta qual
è?”
Il moro strinse le spalle e scosse la testa.
“Mi dispiace, nessuna. Ho cercato di rispondere, prima di
accorgermi che non potevo farlo. Questa era la stessa domanda che avrei
voluto fare a te.”
Walter sospirò. Poggiò la schiena sulle barre di
ferro alle sue spalle e portò il capo
all’indietro. Chiuse gli occhi.
“..hai detto ‘era’? Vuoi dire che questa
domanda non ti assilla più?” chiese.
Henry annuì confermando le sue parole. Sorrise appena,
assumendo un’espressione malinconica.
“Io volevo scoprire perché non potevo abbandonare
l’appartamento 302. Facendo così, tuttavia, ho
scoperto che, nella realtà parallela, avevo io stesso
lasciato una traccia di me…” alzò lo
sguardo verso la figura girata di spalle di Walter.
“…una parte di me è destinata a vivere
qui. E io rappresento quella traccia rimasta legata a questo mondo.
”
“Io…”
“Per questo
non posso abbandonare il #302”
“Una parte di
me vive qui…”
“Una parte di
me more qui…”
“Finché
esiste Lui.”
Walter, nell’udire quell’eco di parole,
inarcò le sopracciglia e rise velatamente.
“Io, infondo, sono sempre stato prigioniero di questo
appartamento.” disse all’improvviso il biondo.
Egli riportò alla mente dei ricordi lontani.
Un’inquietante calma lo circondò, e in quel
momento andava più che bene.
“Lo sai, adesso. Da bambino mi dissero che avrei potuto
risvegliare mia madre. Da allora quell’appartamento
è sempre stato la mia prigione. Un chiodo fisso. Un posto
dal quale non sono mai potuto uscire, pur non essendoci mai
entrato.”
Girò appena il capo, guardando con la coda
dell’occhio Henry. “…che fai Henry,
sorridi? Non mi dirai che ti piace stare in prigione, adesso.”
Walter lo provocò un po’ con quella frase. Henry,
in verità, stava sorridendo sul serio. I suoi occhi erano
calati verso il basso e osservava il suo stesso corpo divenire sempre
più opaco. Quasi trasparente.
“Prigione, uh? Non avevo mai pensato che
quest’incubo potesse essere una prigione per entrambi
…” disse, sarcasticamente.
Egli…
Era da tempo, oramai, prigioniero di quell’appartamento
maledetto.
Era una dura consapevolezza che gli apparteneva da sempre.
E il discorso non valeva solo per Henry… ma anche per Walter
stesso.
***
[???: DA QUALCHE PARTE OLTRE L’ORMA NEL MAGAZZINO MURATO
DELL’APPARTAMENTO #302]
E’ una bella prigione,
il mondo.
(Shakespeare)
Henry e l’assassino Walter Sullivan erano di nuovo
l’uno di fronte l’altra.
Walter, con volto severo, puntò la pistola nera contro il
ragazzo.
Henry fece lo stesso, allungando le braccia, brandendo la pistola in
mano.
Prese la mira e tirò giù la sicura della pistola,
attendendo assieme al suo carnefice il momento fatale.
“Sullivan...”
Henry si pronunciò chiamando l’assassino.
“C’è qualcosa che vuoi dire
prima?” gli chiese il biondo.
In quel momento, tuttavia, accadde qualcosa che fece sorprendere
persino un uomo scaltro e disincantato come Walter Sullivan.
Henry, guardandolo continuamente dritto negli occhi, lasciò
cadere dalla sua mano la pistola che andò a battere
violentemente sul pavimento.
Walter osservò quell’arma corrucciando il viso,
quasi disturbato dall’azione dell’uomo di fronte a
lui. Henry l’aveva lasciata cadere senza alcun indugio. Poi,
aveva calato le braccia e aveva continuato a fissare
l’assassino. Schiuse le labbra e parlò.
“Siamo morti entrambi.”
Allargò le braccia e mostrò a Walter il luogo
circostante. La stanza circolare corrosa e spenta. La loro prigione
personale. Il fulcro dei ventuno sacramenti.
“Vuoi uccidermi? Sono degno o meno di incontrare Dio? Vuoi
invece che sia io a ucciderti? Scegli pure. Ma sappiamo bene che
è inutile.”
Walter tese il braccio sinistro verso di lui e tirò
giù la sicura dell’arma. Sparò Henry di
striscio, ferendolo appena su una gamba.
I suoi occhi erano spenti, vogliosi solamente di distruggere tutto.
Henry tuttavia non si mosse. Era oramai consapevole di non poter
fuggire, salvarsi o…morire.
Walter continuò a sparare, colpendolo di striscio
più volte. I suoi occhi s’ iniettavano di rabbia
sempre di più, davanti a quell’uomo capace di
leggere quella famosa e irritante ‘parte profonda dentro di
lui’.
Quella parte che lui stesso non avrebbe mai pensato di dover rievocare.
Quanto era costato per lui, effettivamente, evocare la Santa Madre?
Forse era stata per davvero una mera condanna meschina, quella.
“Muori!” urlò, mentre ferì
Henry a un piede, e a quel punto il ragazzo si accasciò.
“Uhg…” Henry toccò il piede
insanguinato, tuttavia non smise di rivolgersi a Walter con sfida.
“Avanti, fallo. Sparami, torturami, uccidimi. Fa quello che
ti pare. Anche se questo non cambierà nulla, lo
sai.” disse.
Un altro paio di colpi andarono a ferirlo sulla spalla, impedendogli
gran parte dei movimenti.
Henry urlò dal dolore e sentì il cuore palpitare
nell’avere davanti a sé Walter Sullivan con gli
occhi di un diavolo spietato.
Egli era una macchina assassina violenta e crudele. Disumana e
devastata. Egli era oramai prigioniero di se stesso ed era caduto in un
baratro, in una fossa, che aveva scavato egli stesso con tutte le sue
forze, ma che lo aveva solo avvicinato ancora di più alla
cecità completa.
“TACI!” urlò Walter nuovamente.
Incrociando gli occhi verde pallido del ragazzo, provò
un’infinita rabbia.
Lo odiava. Lo disprezzava. Egli aveva scongiurato i suoi ventuno
sacramenti.
Egli…
Gli aveva impedito di ricongiungersi a sua madre.
Ma Walter, tuttavia, non avrebbe mai incontrato la madre.
Perché infondo, lui…
Già…
Già lo sapeva.
Guardò Henry spietatamente.
Quel che il ragazzo non sapeva, era che Walter aveva già da
tempo aperto quel libro.
Quello stesso che aveva stretto sul petto, senza sfogliarlo.
Invece aveva letto il suo contenuto già da tempo.
Semplicemente, tuttavia, l’aveva letto rifiutandone il
significato.
C'era una volta un bambino
collegato alla sua mamma
attraverso un magico cordone.
Ma un giorno il cordone
fu reciso, e la madre cadde in un sonno profondo.
Il bambino rimase tutto
solo.
Ma il bambino fece molti
amici nella Wish House e tutti erano molto gentili con lui.
Il bambino era felice.
I suoi amici gli dissero
come svegliare la sua mamma.
Così il
bambino andò subito a cercare di svegliarla.
Ma la mamma non si
svegliava. Per quanto lui provasse, lei proprio non si svegliava.
Questo perchè
in realtà quello che lui stava cercando di destare era il
Diavolo.
Il bambino era stato
ingannato.
Povero bambino.
(Parte
del documento trovato nell’appartamento 302 del passato)
Walter puntò la pistola proprio sulla fronte di Henry.
Strinse le labbra, facendo per premere il grilletto. Henry era
lì a fissarlo immobile, vedendolo pronto a dargli il colpo
fatale.
Senza sapere, invece, di aver appena dato scacco matto al
Re.
Regnò il silenzio quando Walter abbassò la
pistola.
Egli fece calare il braccio lentamente, lasciando poi cadere la pistola
rumorosamente a terra.
Allora cominciò a tremare. Prese a tremare di rabbia, di
dolore, di sconforto, di delusione…
“ARGH!”
Sotto gli occhi di Henry, prese a urlare, non potendone più
di quell’inferno. Henry lo vide stringere i pugni fino ad
arrossare le mani ruvide.
Calò il capo e la lunga frangia cresciuta coprì
il viso corrucciato.
Abbassando gli occhi, Henry si accorse che delle gocce trasparenti
stavano cadendo leggere sul pavimento opaco, proprio davanti ai piedi
dell’assassino.
Fu allora che si rese conto che Walter Sullivan stava piangendo. Egli era
crollato. Crollato di rabbia e di disperazione.
Lo vedeva stringere i denti quasi deluso di sé. Deluso che
qualcosa, dentro di lui, stesse vacillando. La rabbia lo faceva tremare
e oramai era incapace di nascondere l’esaurimento scaturito
dopo trentaquattro anni di mente devastata.
Trentaquattro anni, in cui aveva dedicato la sua vita completamente al
compimento dei ventuno sacramenti, dove aveva incontrato mille
ostacoli, al fine di incontrare la sua Santa Madre.
Egli l’aveva quasi invocata e non aveva potuto adempire al
suo destino per colpa della persona di fronte a lui.
Ma egli…per davvero…chi voleva incontrare?
Era davvero la Santa Madre? Lei lo avrebbe condotto alla
felicità?
Sentiva la sua mente bloccarsi, incapace di comprendere. Di tirar fuori
quel ricordo.
Ma la
mamma non si svegliava. Per quanto lui provasse, lei proprio non si
svegliava.
Questo
perchè in realtà quello che lui stava cercando di
destare era il Diavolo.
Il
bambino era stato ingannato.
Povero
bambino.
“Argh!”
Urlò nuovamente, poi cadde violentemente in ginocchio,
crollando di fronte ad Henry, che lo guardava con sguardo stanco e
sgomentato. La stessa espressione che, oramai, aveva assunto anche
Walter Sullivan.
Il biondo assassino rimase immobile, mentre la testa tuttavia
scoppiava. La rabbia e l’incomprensione lo assalivano
ferocemente.
Infine…a devastarlo fu poi solo quel forte senso di
devastazione e di solitudine.
Ripensò al culto. Ai precetti che aveva imparato. Alla sua
vita sacrificata. Alle persone uccise. Ripensò alla Santa
Madre. La sua dolce Santa Madre. Quella che non era riuscito a destare.
Quella che non era riuscito a salvare. Quella che non lo aveva mai
abbracciato. Quella che lo aveva abbandonato.
Walter calò gli occhi verso il basso e parlò con
voce profonda.
“Mamma…” sussurrò, senza
nemmeno accorgersene.
***
[PIANEROTTOLO DEL TERZO PIANO, ALA OVEST. South Ashfield
Heights. Di fronte l’appartamento #302]
A quel tempo, Henry
cominciò a fare sempre lo stesso sogno.
Era reale? Oppure no?
Non lo sapeva, allora.
Nel suo sogno, vedeva un
uomo imprigionato nell’appartamento #302. Era spaventato e
disorientato.
La casa puzzava e vi era
un’aria opprimente in giro. Veniva assalito dalla sua casa
stessa, come fosse viva…questo senza poter in nessun modo
scappare, salvarsi o…morire.
Subito
dopo…Henry scoprì di non poter più
abbandonare la sua dimora.
Lo aveva imprigionato
dentro.
Così era
stato per lungo tempo, senza che il vicinato si accorgesse di nulla.
Questo finché
qualcuno non cominciò ad avvertire dei rumori provenienti
dall’appartamento #302.
Questo segnò
solo l’inizio di un terribile mondo paradossale. Questo
segnò solo l’inizio di una verità
legata a quegli appartamenti fino in quel momento nascosta e ignorata.
Era con quella
consapevolezza nel cuore…che sperava non sarebbe accaduta
mai più qualcosa di simile.
“Henry! Sono Eileen, apri!”
Eileen bussava incessantemente alla porta di Henry. Aveva paura. Aveva
un terribile presentimento.
“Riesci a sentirmi? Apri!”
Le mani cominciavano a dolerle, ma non si fermò nel bussare
e a suonare al campanello.
Aveva paura…paura che potesse riaccadere…paura
che Henry, come a quel tempo, non potesse più abbandonare
l’appartamento #302.
Eileen continuò a bussare. Sentiva il cuore battere.
Dentro
l’appartamento, un ragazzo dai capelli castani, era seduto
sulla poltrona nel salotto.
Aveva un viso assorto
e spento, come fosse in uno stato catatonico.
La ragazza continuava a battere alla porta. All’ennesimo
silenzio, decise di scendere le scale e cercare il custode degli
appartamenti di South Ashfield Heights, il sovrintendente Frank
Sunderland.
Eileen lo sollecitò a far velocemente qualcosa, prima che
fosse troppo tardi.
“La prego…ho paura che possa accadere qualcosa di
terribile!”
“Ho qui con me le chiavi. Non si preoccupi. Eccole.”
L’uomo anziano girò le chiavi forzando
così la serratura.
Eileen chiuse gli occhi, terribilmente spaventata. Si chiedeva se la
porta fosse di nuovo bloccata. Si chiedeva se avrebbe mai
più rivisto Henry. Si chiedeva che stesse accadendo. Si
chiedeva il perché di quel brutto presagio che covava in
corpo da giorni.
Ah, se solo Henry le avesse dato retta e fossero fuggiti via assieme da
South Ashfield…
Clank
Ci fu un rumore meccanico che indicò che la porta si era
smossa. Era aperta.
“Cosa?!” disse Eileen, frastornata.
Frank rimise le chiavi a posto.
“E’ aperta, miss Galvin.”
Eileen lo ignorò.
“Henry!” urlò, inoltrandosi nella porta,
illuminata da una grande luce bianca. Tuttavia, girandosi attorno,
Eileen non vide nessuno.
Il divano, il tavolo, la cucina, il corridoio…
Solo l’accecante luce bianca mattutina era sovrana in
quell’appartamento. E di Henry nemmeno una traccia.
Soave la luce illuminava l’ambiente. Soave la luce nascondeva
le ombre dell’appartamento.
In parallelo, un uomo
dai capelli castani e il viso spento, sedeva sulla poltroncina di casa
e guardava fisso dinanzi a sé. Era quasi completamente buio
lì dentro, dove egli si trovava, nel suo appartamento.
Le pareti erano
increspate, l’aria era soffocante. Ed era tutto buio. Un buio
accecante.
Guardava dinanzi a
sé ed era da solo. La porta era bloccata da una serie di
catene rugginose.
Chinò il
capo, con viso stanco e affranto.
“Henry?”
Eileen si avvicinò alla poltroncina, guardò
attentamente e poi passò oltre affacciandosi alla finestra.
Dopo di che s’inoltro nella camera da letto del ragazzo,
chiamando ancora il suo nome. Era tutto in ordine, ma di Henry non
c’era traccia.
Il custode vedeva preoccupato Eileen, mentre si dimenava disperata alla
ricerca del ragazzo.
In parallelo, Henry
Townshend rimase immobile sulla poltroncina.
E dire che erano
così vicini, Henry ed Eileen.
Eileen si
avvicinò nuovamente alla poltrona dove il moro era seduto.
Se avesse allungato
la mano, avrebbe potuto anche sfiorarlo, se solo non fossero stati in
due mondi paralleli. Due mondi vicini e lontani allo stesso tempo.
Quale dei due fosse
vero era difficile stabilirlo. Più di quanto una risposta
impulsiva potesse dire.
Il custode s’inoltrò anch’egli nella
stanza, costatando, suo rammarico, che per davvero non vi fosse nessuno
lì dentro.
Si affacciò alla finestra e fu allora che
richiamò l’attenzione della fanciulla.
“Miss Galvin. Henry è lì.”
disse, chiamando la ragazza con voce sorpresa.
Eileen sentì il cuore a mille, mentre corse verso il custode
e si affacciò anch’ella alla finestra.
“Dove?” disse, spaventata.
Il custode Frank Sunderland indicò il ragazzo poggiato sul
ciglio del portone della palazzina.
Egli aveva un viso assorto e spento. Era sul ciglio assolato della
palazzina di South Ashfield Heights.
Il sole era accecante ma egli se ne stava lì incurante, con
il capo chino e la schiena poggiata sul portone del palazzo.
Eileen, a quella visione, sgranò gli occhi. Era Henry! Era
proprio lui.
Ma quando era apparso, esattamente?
Tuttavia quello non era il tempo delle domande. Lasciò Frank
per correre sulla scalinata.
Frank fu sorpreso di quell’impulsività, ma non
poté far a meno di sorridere del suo comportamento dettato
dal cuore.
Del resto, egli non poteva di certo sapere cosa nascondessero, in
realtà, quelle quattro mura. Cosa avesse destato
l’inquietudine di Eileen Galvin.
Eileen si precipitò lungo le scale, perdendo anche una
pantofola e rischiando di cadere. Ma nulla le impedì di
raggiungere quel ragazzo che non vedeva da giorni. Non sapeva che
dirgli. Non sapeva quale domanda porgli per prima. Pensò
solo ad aprire l’anta del portone non appena raggiunse il
pian terreno.
“Henry!” urlò.
Il ragazzo dai capelli castani si voltò verso di lei.
“Eileen..?”
Parlò a stento, con la sua solita voce profonda e riservata.
Eileen rimase immobile di fronte a lui per diversi istanti, con il
respiro affannato. Lei…non lo vedeva da giorni. Era sempre
stato distante in quel periodo. E ora era lì di fronte a lei
e…e…
Corrucciò all’improvviso il viso e gli
mollò uno schiaffo. Henry rimase senza parole.
“Stronzo!”
Henry la guardò perplesso, ma non disse nulla. Prese solo a
toccarsi la guancia dolorante. Vide poi gli occhi di Eileen inumidirsi.
“Come…puoi…dopo tutto questo
tempo…dove diamine sei stato?!”
Henry a quel punto le sorrise. Eileen corrucciò il viso
sempre di più, adirata da quell’espressione invece
così soave.
Henry…dal suo canto, era semplicemente felice di rivederla.
Di vedere che stesse bene. Di vederla circondata dalla luce del sole e
non dalle tenebre, il sangue e la ruggine. Di vederla vicino a
sé.
Velocemente l’avvicinò, stringendola in un
inaspettato abbraccio che lasciò la ragazza con gli occhi
sgranati.
“Scusa.” le disse.
Eileen non rispose. Lui prese a stringerla più forte.
“Sono sempre stato dannatamente in ritardo con te. Mi
dispiace…”
“Henry, che stai dicendo?” gli chiese lei con un
filo di voce, leggermente confusa.
Henry la prese per le spalle e l’allontanò appena
per poter vedere i suoi occhi luminosi.
Le catene del suo
appartamento rimbombavano ancora dentro di lui. Incessanti.
Angustianti. E lo volevano lì, fra le mura del #302.
“Non…non voglio più indugiare. Voglio
stare con te, Eileen. Lontano da qui.”
Le catene della porta
richiamavano ancora e ancora, come un martellante richiamo che lo
assillava ferocemente.
Eileen era sempre più sorpresa. Mai prima di allora, Henry
aveva parlato del loro trasferimento in quel modo.
Mai come allora le aveva chiesto ardentemente di andare via assieme.
Henry si
sforzò di allontanare da sé
quell’incessante richiamo. Si sforzò di ignorare
quel sussurro che lo accompagnava e che probabilmente lo avrebbe
accompagnato per sempre.
Il richiamo
dell’assassino Walter Sullivan che rivoleva indietro la sua
vittima.
“Sarai in grado di aiutarmi? Di non farmi scappare
via?” le sorrise debolmente.
Eileen a quel punto non poté fare a meno di ricambiarlo.
Subito si strinse nuovamente a lui sorridendogli.
Aveva tante domande, troppe.
Non sapeva da dove Henry fosse sbucato fuori. Non sapeva quel che era
accaduto e quel che sarebbe accaduto. Ma andava bene così.
In quel momento, in quell’istante, andava bene
così.
Rise appena, guardando Henry e stringendolo a sé.
“Oh, beh. Allora penso che sia arrivato il momento di trovare
una nuova casa, Henry.”
Henry annuì.
Era giunto il momento di scegliere in che posto stare. Era giunto il
momento di chiudere quella porta.
Era giunto il momento di andare…
Lontano
da Walter Sullivan…
Lontano
da Henry Townshend/Colui che riceve saggezza…
Anche se una parte di sé sarebbe stata legata
all’appartamento 302 per sempre.
***
[APPARTAMENTO 302, South Ashfield Heights]
Quell’appartamento gli era sempre piaciuto. Bianco, pulito,
fresco…
Era perfetto per cominciare una nuova vita.
Dopo aver attraversato l’ingresso, sulla destra vi era un
ripostiglio. Sulla sinistra invece vi era la cucina bianca contornata
da una serie di banconi.
Poi c’era il salotto. Era la stanza più ampia
della casa. Era arredato con un largo divano, un tavolino basso e una
poltroncina.
In un angolo del muro vi era una piccola libreria con molti libri
riguardanti Silent Hill, una città che un tempo amava
visitare spesso. Vi era poi un televisore datato e una cassapanca
capiente.
Due finestre illuminavano quella stanza, donando una luce che aveva
quasi un che di sacro.
Il corridoio conduceva al bagno e poi alla camera da letto. Anche
questa illuminata da una luce candida e opaca.
Un ragazzo era seduto sulla poltrona nel salotto.
Era alto circa un metro e ottantacinque ed era di
bell’aspetto. Aveva dei capelli disordinati castani, gli
occhi verde pallido e una rasatura sul viso leggermente trascurata.
Indossava una camicia bianca e dei jeans scoloriti.
I suoi occhi, fino a quel momento rivolti verso il basso, andarono a
cadere sul tavolino al centro della stanza, dove era poggiato un
pacchetto di sigarette. Lo prese fra le mani.
Henry era un tipo più nevrotico di quanto sembrasse in
realtà. Era stata dura per lui ridurre l’uso del
fumo. Da quando aveva cercato di darci un taglio, si concedeva una
sigaretta solo quando lavorava.
Nemmeno, da quando conosceva Eileen, completamente contraria al fumo.
“Suppongo di poter fare uno strappo alla
regola…” disse, sorridendo.
Accese la sigaretta con un fiammifero e ispirò
profondamente, lanciando via il fumo lentamente, mentre sentiva la
mente spegnersi e riposare. Gli occhi bruciavano appena,
così come la testa e il petto. Aveva ancora impresso il
marchio 21/21 sul collo.
Dalla poltroncina, sbirciò oltre la finestra alle sue
spalle, e nel cortile vide la sua bella Eileen Galvin.
Sembrava davvero…felice. Sembrava felice a fianco a quel
Henry Townshend.
Presto avrebbero cominciato una vita assieme. Henry sorrise,
invidiandoli un po’, in verità.
Fu allora che, davanti a sé, apparve l’uomo col
cappotto. Egli si avvicinò lentamente, rimanendo sul ciglio
del corridoio.
Henry accavallò le gambe e lanciò nuovamente il
fumo dalla bocca. Con un gesto della mano gli indicò il
divano.
“Accomodati.”
Walter si guardò attorno. Dopodiché prese posto
sul divano. Fissò Henry in silenzio, scrutandolo. Vedendolo
assorto nei suoi pensieri, sbirciò anch’egli in
direzione della finestra, dopodiché gli si rivolse.
“Rimpianti?” gli chiese.
Henry non rispose immediatamente.
“Solo un po’. E tu?”
“Solo un po’.”
Rimasero entrambi in silenzio. La luce era bianca e illuminava
quell’ambiente che fino a qualche istante prima era stato
avvolto dalle tenebre.
Henry spense la sigaretta nel portacenere e guardò il biondo
in silenzio, ripensando a ciò che era accaduto in quel lasso
temporale.
Egli era stato rinchiuso nel suo appartamento per quasi sei giorni.
Aveva visto gente morire.
Aveva conosciuto un folle assassino e aveva combattuto per la prima
volta nella sua vita.
Era stato prigioniero del suo stesso appartamento, teatro di una
macabra storia nella quale mai avrebbe potuto immaginare di trovarsi.
Qualcuno gli aveva detto di cercare la sua parte profonda. E
così aveva fatto.
Quello, tuttavia, non aveva segnato la fine dei suoi viaggi.
Dopo, Henry aveva dovuto conoscere una realtà che lo avrebbe
accompagnato per tutta la vita.
Aveva dovuto ammettere a se stesso il paradosso della vita di
quell’uomo.
Walter Sullivan era una mente spietata, diabolica. Aveva ucciso a
sangue freddo diciannove persone, massacrandole tutte spietatamente.
Elettrocuzione, pestaggi, colpi d’armi di ogni
genere…
Walter Sullivan era un uomo da condannare per i suoi crimini.
Walter Sullivan tuttavia era anche l’uomo ingannato.
L’uomo che era stato deturpato dalle menti del culto.
L’uomo che fu abbandonato in fasce dai suoi stessi genitori.
L’uomo che non aveva mai conosciuto la clemenza, che non
poteva sperare nella luce. L’uomo che era morto ancora prima
di nascere. L’uomo che avrebbe dovuto riposare in pace e
invece era anch’egli prigioniero dell’oblio.
Walter Sullivan era vittima e prigioniero del suo infausto destino.
Ed Henry, in tutto questo, giocava il ruolo più curioso.
Egli era destinato a conoscere profondamente il suo inconscio. Era
destinato a comprendere e a scavare nella parte profonda di Lui.
Henry, nel momento nel quale si era trasferito
nell’appartamento #302, senza saperlo, aveva firmato il suo
destino, consegnandolo nelle mani di Walter Sullivan. Aveva in quel
momento, dichiarato che una parte di sé sarebbe rimasta
lì per sempre.
“Per
questo non posso abbandonare il #302”
“Una parte di me vive qui…”
“Una parte di me more qui…”
“Finché esiste Lui.”
Henry sorrise, ridendo velatamente.
“Sei a casa tua, adesso. Cosa si prova?” chiese a
Walter con fare colloquiale.
Il biondo portò i gomiti sulle ginocchia e sorrise
ironicamente.
“Ci devo pensare.”
A quel punto, Henry lo guardò. Il marchio 21/21 non sembrava
fare poi così male, adesso. Henry si chiese se fosse per via
dell’abitudine. O magari per davvero ormai non importava
più tanto.
Guardò il ragazzo dai capelli biondi intensamente, prima di
rivolgerglisi.
“Walter. C’era qualcosa che volevo chiederti, ma
non l’ho mai fatto perché non facevi che
ammazzarmi.” gli disse.
Walter alzò gli occhi verdi verso lui. Si lasciò
incuriosire da quelle parole. Henry gli parlò con calma,
senza alcun remore.
“Tu invece cos’è che vedi qui in questo
pandemonio?”
A Henry sembrò, nella sua arroganza, che Walter rimase
sorpreso di quella domanda.
Lo vide sogghignare e chinare il capo e…ridere sotto i baffi.
Anche Henry a quel punto sogghignò assieme al suo assassino,
in quell’inferno destinato a essere per sempre il purgatorio
del curioso e triste destino dell’uomo dai capelli biondi.
In origine, gli uomini non
avevano nulla. I loro corpi dolevano e i loro cuori contenevano
solamente odio. Combattevano senza sosta, ma la morte non giungeva mai.
Si disperavano, bloccati in questa eterna sofferenza.
Un uomo offrì
al sole un serpente e pregò per la salvezza. Una donna
offrì al sole una saetta e chiese in cambio la gioia.
Provando pietà per la tristezza che avvolgeva il mondo, Dio
nacque da quelle due persone.
Dio creò il
tempo e lo divise in giorno e notte. Dio tracciò la via per
la salvezza e diede agli uomini la gioia.
E Dio tolse agli uomini
il dono dell'eternità.
Dio creò gli
esseri viventi per tenere gli uomini in obbedienza a lei.
Il Dio rosso,
Xuchilbara; il Dio giallo, Lobsel Vith; molti dei e angeli.
Infine, Dio
iniziò a creare il Paradiso, dove bastava entrare per dare
agli uomini la felicità.
Ma Dio esaurì
le forze, e crollò a terra. Tutti gli uomini del mondo
piansero per questo sfortunato evento, finchè Dio
esalò il suo ultimo respiro. Essa ritornò
polvere, promettendo il suo ritorno.
E così Dio
non è perduto. Dobbiamo pregare e ricordare la nostra fede.
Attendiamo con speranza
il giorno in cui la via del Paradiso verrà aperta.
(Il credo del Culto)
Un bambino fu
abbandonato a South Ashfield Heights.
La madre lo
abbandonò appena nato. Egli aveva ancora il
cordone ombelicale
attaccato al corpo. Il sovrintendente di
quel palazzo, un
tale Frank Sunderland, lo trovò e lo salvò da
morte certa. Ma
non ebbe mai notizie di lui da quel momento
in poi. Gli venne
solo detto che il bambino era sopravvissuto e
che ora risiedeva
presso strutture più adeguate.
In quel bambino
era già nato un forte senso di devastazione. Un
disturbo mentale
verso il mondo e il grembo materno. Nella sua
mente
l’utero e il cordone ombelicale divennero una curiosa
ossessione, dovuta
a una mancanza d’affetto infantile, mista al
disprezzo e al
senso di abbandono.
Visse come orfano
alla Wish House. Li fu scelto per lui il nome di
Walter Sullivan.
Il prete George Rosten lo prese sotto la sua ala e
lo
allevò secondo il culto di Valtiel. Egli fu scelto per
attuare i 21
sacramenti. In
quel periodo, vide molti suoi amici morire nella
Wish House.
Egli venne
più volte picchiato dai membri del culto e dal
sorvegliante
Andrew De Salvo, quando disobbediva e finiva
nella prigione
cilindrica.
Già
allora decise che un giorno si sarebbe vendicato dei torti
subiti.
Nacquero
già all’epoca i primi demoni della sua vita,
nonché
la violenza che un
giorno lo avrebbe caratterizzato.
Ancora
giovanissimo, un membro del culto fece vedere
a quel
bambino chiamato Walter Sullivan l’appartamento 302.
Da allora si
convinse che lì viveva sua madre. Avendo una mente
già
all’epoca devastata, si convinse che sua madre fosse
l’appartamento
stesso. Dahlia Gillespie e altri membri del culto
approfittarono del
suo status mentale, del suo desiderio di tornare
dalla madre, e gli
fecero dunque credere che l’unico modo per
ricongiungersi
a lei, e salvarla dalla corruzione del mondo, fosse
l’attuazione
dei 21 sacramenti.
Così
fu.
Walter
credé a quelle parole e si cimentò
nell’impresa studiando sodo.
Nel frattempo,
sebbene fosse un bambino, andava a
visitare spesso
South Ashfield, usando l’autobus, la metropolitana,
e incontrando
tanta gente schiva e meschina che lo derideva.
Lo denigravano. Ma
egli non demorse. Anzi.
Il suo odio per il
mondo crebbe a dismisura e lo aiutò a cimentarsi
più a
fondo nello studio del rituale. Il mondo andava purificato.
Se ne convinse
sempre di più.
Visitò
spesso gli appartamenti a quel tempo, destando prima
curiosità,
poi malcontento nella palazzina. Frank Sunderland, nel vederlo
sempre
più spesso, si chiese se quello non fosse proprio il bambino
che
un tempo aveva
trovato nell’appartamento 302.
Richard Braintree,
infastidito da quel piccolo orfano, più volte lo
picchiò e
lo fece scappare.
Walter fu anche uno dei testimoni del famoso
“scuoiamento
di Mike”, giorno in cui Braintree diede clamorosamente
di testa.
Raggiunti i sedici
anni, spesso gli capitava di essere fuori casa.
Continuava a
visitare South Ashfield.
Conobbe in
quell’anno una bambina, la giovane Eileen Galvin, che
commosse
quel giovane con il suo atto di clemenza.
Egli non aveva mai
ricevuto alcuna attenzione dal mondo intero.
Ella invece si
preoccupò per lui vedendolo solo e abbandonato.
Gli
donò così una preziosa bambola che lui
custodirà negli anni a venire.
Di lì a
poco ebbe l’occasione anche di parlare con Cynthia Velasquez,
all’epoca
una tredicenne,
per la quale sentì di provare sentimenti diversi.
Un qualcosa che
non ebbe il tempo di maturare comunque, perché
ella
rifiutò la sua mano tesa e bisognosa di un contatto umano.
Ricevette una
ulteriore delusione da una donna.
Se da un lato ora
esisteva sua Madre. La dolce bambina.
Ora esisteva anche
la Tentazione. La donna ingannatrice e violenta.
Una volta
abbandonata la Wish House, studiò presso
l’università
di Pleasant River.
Era finalmente
pronto per attuare la prima fase del rituale dei
21 sacramenti.
In dieci giorni,
all’età di ventiquattro anni, uccise dieci persone,
portando a termine
il primo segno. Le sue vittime:
Jimmy Stone.
Fondatore del culto di Valtier. Ucciso con un’arma da
Fuoco.
Bobby Randolf.
Attirato nel campus di Pleasant River e ucciso tramite
soffocamento.
Sein
Martin. Attirato nel campus di Pleasant River e ucciso tramite
strangolamento.
Steve Garland.
Ucciso nel suo negozio di animali con una mitraglietta.
Rick Albert.
Proprietario dell’Albert’s sport nel quale Walter
lavorava
part-time. Ucciso
con una mazza da golf nel negozio.
George Rosten.
Colui che lo aveva allevato ed educato. Ucciso nel
bosco di Silent
Hill con un tubo di ferro.
Billy Locane.
Ucciso a Silent Hill. Fatto a brandelli con un’ascia.
Miriam Locane.
Uccisa a Silent Hill. Fatta a brandelli come il fratello.
Eric Walsh. Ucciso
a casa sua con un colpo d’arma da fuoco.
William Gregory.
Ucciso con un cacciavite.
A tutti i corpi
mancava il cuore. Nei corpi vi erano incisi i seguenti marchi:
01121, 02121,
03121, 04121, 05121, 06121, 07121, 08121, 09121, 10121
Water Sullivan
completò la prima fase del rituale, ma fu catturato
dalla polizia di
Silent Hill e accusato dell’omicidio dei due fratelli Locane.
In prigione si
recise la carotide con un cucchiaio, morendo per emorragia.
Quello che
sembrava un suicidio, in verità, era solo
l’attuazione del secondo
Segno del rituale.
Egli doveva sciogliere i vincoli della carne. Egli, in quel
momento,
creò la realtà parallela secondo il volere di
Valtier. Divenne Dio.
Persa la sua
umanità, nella sua mente si creò
un’ulteriore voragine dalla
quale, oramai, non
sarebbe più potuto uscire.
In quel tempo,
Joseph Schreiber, un giornalista, si trasferì a South
Ashfield
Heights.
Venne data di
lì a poco la notizia di un omicidio copycat, simile a quelli
attuati da
Sullivan. In verità, egli stesso li attuava dal mondo
parallelo,
dove egli era
sovrano.
Morirono altre tre
vittime, e Joseph Schreiber indagò su questi strani
casi copycat.
Morì
Peter Walls, tossicodipendente. Ucciso massacrato fino alla morte.
Morì
Sharon Blake, annegata e trovata nel bosco di Silent Hill.
Morì
Toby Archbolt, sacerdote della setta della Santa madre. Spinto da
una scogliera nel
Messico.
In tutti e tre i
corpi questa volta il cuore era intatto. Ma i seguenti numeri
erano incisi sopra:
12121, 13121,
14121.
Joseph Schreiber,
mentre indagava su quella gente uccisa, comprese di
essere
anch’egli vittima di Sullivan. Presto si accorse anche di non
poter
lasciare
l’appartamento 302 nel quale rimase intrappolato.
Dedicò
comunque la sua
vita alla ricerca della verità su Sullivan.
Scoprì
che il caso Walter Sullivan aveva molte ombre. Scoprì il suo
passato.
Scoprì
la natura malsana della Wish House. Scoprì che il corpo di
Walter
Sullivan era
sparito dalla tomba.
Scoprì
di non avere alcuno scampo. Scoprì che Joseph
Schreiber era l’uomo
15121.
I temi del
“vuoto”, delle
“tenebre”, dell’
“oscurità” e della
“disperazione” erano
stati eseguiti con
successo.
Sei mesi
più tardi, Henry Townshend si trasferì
nell’appartamento 302.
Per due anni la
sua vita scorse tranquilla. Poi un giorno cominciò
a fare curiosi
incubi. La sua casa venne sigillata da Walter Sullivan.
Egli fu costretto
a utilizzare un varco, la sua unica via di fuga, per uscire.
Vide, senza mai
incontrare Sullivan, i frammenti del suo passato.
Egli
incontrò le sue paure, desideri, angosce...che si mostrarono
a lui
come demoni.
Mostri deformi e disturbanti.
Vide le vittime
del terzo round di omicidi.
Vide morire
Cynthia Velasquez. Uccisa pestata a morte nella
metropolitana di
South Ashfield.
Vide morire Jasper
Gein. Ucciso nella Wish House arso vivo.
Vide morire Andrew
De Salvo. Ucciso nella stanza degli
interrogatori
della prigione cilindrica.
Vide morire
Richard Braintree. Morto nel suo stesso appartamento
tramite
elettrocuzione.
Sui loro corpi vi
erano incisi i numeri: 16121, 17121, 18121, 19121.
A quel punto era
chiaro. Tutti quei numeri altro non erano che un elenco.
L’elenco
di ventuno vittime che presto sarebbero state uccise.
Quei numeri
andavano letti ##/21.
In tutto questo,
un macerante senso di inquietudine colpì Henry,
che sapeva che
presto sarebbe toccato a lui.
Comprendendo che
la vittima 20/21 era la sua vicina di casa, Eileen Galvin,
Henry
riuscì a portarla con sé nel mondo profondo di
Walter
Sullivan. Questo
grazie agli indizi fornitogli da Joseph Schreiber
che gli disse che
la risposta e la salvezza l’avrebbe trovata lì.
Nella parte
profonda dell’assassino. Fino a trovare la Verità
assoluta.
Henry, tuttavia,
trovò tutt’altro che un’arma da
utilizzare contro
Walter, una volta
giunto al capolinea. Trovò invece la terribile
verità
che si
celava nel passato oscuro dello spietato killer.
La
verità gelante di un uomo abbandonato, strumentalizzato e
ingannato.
Henry si chiese
allora che ruolo avesse nell’intera vicenda.
Si chiese cosa
significasse essere il ventunesimo sacramento.
Si chiese cosa
significasse essere “Colui che Riceve Saggezza”.
Uccise Walter
Sullivan, salvando così lui ed Eileen. Walter
Sullivan non
portò a compimento l’ultima fase del rituale.
Non comprendendo
in tempo che, anche attuando i ventuno
sacramenti, non
avrebbe mai riavuto l’amore perduto della
madre.
La Santa
Madre…per lui era sempre stata la mamma. Questo
porterà
Walter Sullivan ad un’ulteriore espiazione. Un purgatorio
nato apposta per
lui, creato dall’inferno dal suo stesso rituale.
Un purgatorio dove
saranno destinati a vivere lui e i suoi demoni.
Compresa la gente
uccisa dalle sue mani. Compresi coloro
che sono fuggiti,
ma che hanno lasciato una traccia nel suo
mondo…
-FINE-
Ecco qui l’ultimo capitolo di Haunting apartment…
Giuro che ho il batticuore. Finire una fan fiction è sempre
una grande gioia, ma allo stesso tempo procura un po’ di
dispiacere…
Mi sarebbe piaciuto scrivere ancora su Silent Hill 4, questo gioco per
me è fantastico a livello di trama, personaggi, atmosfere,
tematiche e simbolismi.
C’è una grande fetta di fan che lo considera un
Silent Hill di poco conto, io invece, lo considero uno dei migliori.
Senza dubbio è il mio preferito.
Sono da sempre fan di questa saga (e di questo SH) e da tempo avrei
voluto scrivere qualcosa a tema.
Come già scrissi nel mio primo capitolo, per me questa saga
è una preziosa reliquia. Non ero sicura, nonostante il mio
fanatismo estremo per la saga xD, di riuscire a scrivere qualcosa degno
del gioco. Capace di regalare spunti di riflessione ed emozioni forti.
Ho fatto del mio meglio. Ho fatto il possibile per affrontare le
tematiche che vi volevo proporre in modo fluido e chiaro.
Ho
aggiunto svolti alternativi, enigmi, citazioni, traduzioni di
testi e canzoni fatti tutti da me. Ho rigiocato più
volte i punti descritti per rendere meglio l’idea degli
ambienti e delle atmosfere.
Sapevo che sarebbe stato un lavoro impegnativo per me, ma volevo fare
così questa fan fiction, mettendoci tutta me stessa.
Per questo ringrazio a tutti voi per il sostegno. A Waltersullivan24 e Liquid King soprattutto
per le loro splendide recensioni che sono state un forte
incentivo per me nell’andare avanti con il lavoro celermente.
Un bacio anche a tutti quelli che mi hanno sostenuto da lontano.
Il mio scopo era mostrare quanto questo gioco avesse da offrire.
Più di quanto non sembri. Nonostante Silent Hill 4 stesso
sia pieno di tematiche forti
e fantastiche,
io ho mostrato con la mia fan fiction quegli aspetti invece
più velati e che non sono stati mostrati nel gioco
direttamente (sono presenti per lo più nei file).
Dimostrando (spero!) quanto questo videogame sia ricco.
E il gioco era già splendidamente ricco di suo. SH4 scoppia di tematiche,
di emozioni e di paradossi.
In tutto questo, desideravo fortemente parlare di Henry e Walter, ma
nella maniera più realistica possibile.
Credo di essere una delle poche fan a sostenere che Henry sia un bel
personaggio, e ho cercato di mostrarvelo con la mia fanfiction. Di
mostrarvi per me il suo senso nel gioco e lo spessore che egli ha ai
miei occhi. Spero fortemente di avervi trasmesso tutto questo.
Uno degli incentivi per la realizzazione della fan fiction è
sicuramente stato il desiderio di parlare di lui.
Parlando dell’ultimo
capitolo, ho lanciato di tanto in tanto un amo che vi
mostrasse fin dai primi capitoli il perche Henry non potesse
abbandonare la stanza 302. L’Henry con cui noi abbiamo avuto
a che fare durante tutta la fan fiction è
l’hauntings che troviamo dietro lo spioncino della porta.
Henry, a sua volta, quando ha cominciato a viaggiare nella mente di
Sullivan, ha creato quella manifestazione.
Una manifestazione nata
dal terrore di rimanere intrappolato lì per sempre come
ventunesima vittima.
Proprio come viene scritto nella fan fiction, egli è
perfettamente consapevole che una parte di sé è
morta quando è entrata in contatto con Sullivan.
Per questo esistono, in un certo senso, due Henry. L’Henry
manifestazione di “Colui
che riceve Saggezza”, una mera traccia,
un’ombra; e l’Henry vivo, che si salva, ma
avvertirà sempre il richiamo per la room. Perchè una parte di
lui vivrà sempre lì, finché
esisterà Walter e il suo peccato.
Parlando del nostro Walter, egli è morto, ma ha avuto un
destino simile alla sua ventunesima vittima. La sua ombra è
rimasta legata al suo incubo. E come nell’inferno,
è destinato a vivere il suo peccato in eterno.
Silent Hill è sempre stato facilmente assimilabile a un purgatorio per
questo immagino questo destino per Walter.
Henry è colui che vive con lui il suo peccato, come simbolo della vittima finale
che doveva morire e che invece ha distrutto
il suo castello. Un castello che, comunque, sarebbe andato a sgretolarsi
inesorabilmente per via dell'inganno del culto. E così
diverranno connessi in questo bizzarro destino. Nonostante siano
una vittima e l’altro il suo carnefice.
Un carnefice
poi, anch’egli a sua volta vittima di
qualcos’ altro.
Il finale è anche ispirato in parte al film di
Silent Hill. Nel finale del film, la madre della bambina
rimane “macchiata” da
Silent Hill e dal peccato e, nonostante riesca a fuggire,
vivrà per sempre nella Silent Hill alternativa.
Il finale di Henry può anche essere inteso così.
Probabilmente sono vere entrambe le interpretazioni.
Vorrei dire tante cose, ma, pensandoci, ho già detto tutto,
la mia concezione di Silent Hill 4, tramite la mia fan
fiction. Ringrazio davvero tutti! Diate rispetto alla
mia opera che non è sicuramente perfetta, ma
c’è tanto lavoro dietro. E
c’è, soprattutto, l’amore di una fan che
ama follemente questa saga e questo capitolo.
Un bacio a tutti! Scriverò senz’altro altre fan
fiction su Silent
Hill, ora vi lascio, spero di rivedervi tutti presto!
Fiammah_Grace
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