THINKS
OF
BEYOND BIRTHDAY
Che cazzo volevano da me ora? Non avevo
fatto niente!
Questo era quello che pensavo mentre due
uomini di Roger mi
trascinavano per il carcere, verso il suo ufficio. Nei corridoi si
vedevano
pochissime persone, ma coloro che per caso capitavano, si scansavano in
fretta
rivolgendomi uno sguardo spaventato. Tutti mi conoscevano li, solo
perché ero
l’unico che era andato più di due colte in
quell’ufficio ed era ancora vivo.
Guardavo per terra, quegli sguardi mi
facevano troppa rabbia e
troppa pena.
Arrivammo, e mi fecero sedere, per poi
uscire. Roger non c’era. E
non mi avevano legato.
Mi guardai in torno, sicuro che ci fosse
qualcosa sotto. Cosa
stava succedendo? C’era qualcosa che non andava.
L’ufficio era naturalmente
normalissimo. Quando mi voltai vidi
tutto l’arsenale di Roger, e rabbrividii. Il possessore,
arrivò solo dopo
qualche minuto, e si sedette alla sua scrivania, con due
caffè in mano. Me ne
porse uno, ma io ero troppo occupato a guardarlo con gli occhi
sgranati. Ma
cosa cazzo faceva?
“Beh, B, non lo vuoi?”
mi chiese con quella falsità che ormai
faceva parte della sua voce.
“Cosa vuoi da me?”
“Come siamo freddi! E vedo che
sei anche dimagrito, come mai? Non
ti piace più la marmellata?”
“Cosa vuoi?” ribadii.
“Tranquillo, si tratta di una
formalità. Vedi, credo che tu
l’abbia sentito, ma in ogni caso: sta per arrivare un nuovo
componente di
questa grande famiglia, e visto che anche tu ne fai parte credo di
doverti dire
alcune cose prima che tu-”
“Sono arrivati molti nuovi da che
sono qui. Cos’ha questo di
speciale?”
“Beh B… se tu non
avessi la cattiva abitudine di interrompere la
gente quando parla lo sparesti. Dunque, questo nuovo componente,
è un po’
particolare, capisci?” chiese come se stesse parlando a un
neonato,
sorseggiando il caffè. Poi poggiò la tazzina, e
mi porse alcuni fogli.
Li presi, lanciandogli alcune occhiate al
di sopra di essi per
capire le sue intenzioni. Speravo di non dover uscire di li ancora
più
dolorante di quanto non fossi.
Guardai i suddetti fogli e riconobbi in
essi una specie di test
che Roger faceva fare per “Capire chi si unisce alla
famiglia!” a
coloro che stavano per arrivare nel
carcere.
Erano anonimi e c’erano poche
domande, che io personalmente avevo
giudicato stupide.
Come mai
hai ucciso?
Che
te ne frega?
Chi hai
ucciso?
Come
se non lo sapessi.
Ti sei
pentito/a?
No.
Hai
compiuto altre violzioni alla legge?
Questo
test comincia a stufarmi.
Ti senti
triste all’idea dell’esgastolo?
Immagino
che questa sia per capire se sono debole.
Vuoi
parlarne con qualcuno?
Ma
cos’è uno psicologo o il direttore di un carcere?
E andava avanti così per un
pezzo. La cosa che mi stupì, fu che
quelle risposte erano quasi le stesse che avevo dato io. alzai lo
sguardo, come
sempre impassibile.
“Cosa vuoi da me?”
chiesi per la terza volta scandendo
insistentemente le parole , guardandolo negli occhi e appoggiando i
fogli sul
tavolo.
“Ma come BB, non tradisci neanche
un po’ di stupore?”
Sbuffai, annoiato.
“Il punto è BB, forse
la tua mente perde colpi e non se lo
ricorda, che le sue risposte, sono quasi uguali alle tue, mi
segui?”
“Quante volte ti devo dire che
non sono idiota?”
“Ah-ah, BB, lo sai che devi darmi
del lei! Ma a questo pensiamo
dopo, d’accordo? Ora, devi
sapere che la
lettera che presto arriverà, è un soggetto
molto… particolare. E non vorrei che
tu, ne tantomeno la tua amica, E, stimolaste, come dire, la sua follia,
oltre
il necessario. Devi sapere che nel vecchio carcere, ha compiuto molte
azioni
illecite fino quasi a fuggire! Pensa un po’! E non voglio che
questo episodio
si ripeta, è chiaro BB?”
“Cristallino.”
“Bene, allora passo a
rimproverarti una mancanza che porti avanti
da molto tempo- dentro di me alzai gli occhi al cielo- ovverosia quella
di
dimenticare che io sono un tuo superiore.
Sappi che al prossima volta potrei arrabbiarmi BB.”
“Posso andare ora?” fu
la mia risposta, con una voce ancora più
annoiata di prima.
“Certo, ma ricorda che io posso
sentirti e guardarti in ogni
momento e in ogni luogo, va bene?”
“Perché concludi le
tue frasi con una domanda?”
chiesi alzandomi.
“Per sapere se ti è
chiaro tutto. Ma a quanto pare non è
così!”
Ebbi un momento di incertezza. Che
avevo… ma certo, avevo
dimenticato completamente di dare del lei a quel rospo sputacchioso!
A un suo cenno entrarono due guardie che mi
fecero sedere di
nuovo, e mi legarono come al solito. Sospirai. Cazzo, mi faceva ancora
male
tutto, specie quella maledetta spalla, e sicuramente mi avrebbe colpito
li,
vista la sua schifosa perversione verso il dolore. Altrui.
Lo guardai, chiedendomi come sarei uscito
di li.
Egli andò dietro di me,
fischiettando. Ma come faceva? Che uomo
era? Era un vigliacco, uno che aveva paura delle sue azioni,
era…
Ritornò nel mio campo visivo con uno strano pezzo di
ferro. Era una specie
di braccio di metallo, di cui non volevo capire la funzione. Sotto il
mio
sguardo, Roger lo aprì mediante una cerniera metallica, e
potei capire.
Al suo interno c’erano alcuno
punte, abbastanza sottili e profonde
per fare male senza essere fatali. Una specie di vergine di Norimberga,
a
dimensione braccio.
“Sai
BB, questo è un nuovo
acquisto, che sarai il primo a provare! Non sei orgoglioso?”
Distolsi lo sguardo.
IL GIORNO
DOPO
Venni sbattuto di malo modo in camera, e mi
permisi di chiudere
gli occhi per un momento e rilassare i muscoli. Ero messo abbastanza
male devo
dire. Sospirai, e
mi alzai.
Tre secondi dopo, come immaginavo, Eloin
irruppe nella stanza,
fermandosi sulla soglia.
“Si può sapere
cos’hai fatto ora a quel-”
Prima che continuasse la frase, la
raggiunsi di scatto, e le
tappai la bocca.
“Va tutto bene, ok?” le
dissi, nonostante mi tremasse il braccio
dal dolore.
Ella annuì, e io la lasciai. Era
pieno di microfoni e videocamere
in quel posto. Figuriamoci in camera mia.
…ma
ricorda che io posso sentirti e guardarti in ogni momento e in ogni
luogo, va
bene?
“Cos’è
successo?” mi chiese poi guardandomi negli occhi.
Stemmo li a guardarci per un po’,
mi venne persino da sorridere,
vedendola tutta preoccupata per uno come me. Per una volta, nessuno dei
due
aveva voglia di chiedere perché con aria critica.
Accettavamo semplicemente la
nostra amicizia per quello che era.
Erano passate un paio di ore, ed Eloin era
appena uscita per
andare dal suo ragazzo a giocare a Need for Speed. Io ero rimasto in
camera a
riflettere su quanto mi era stato detto da Roger. Avvertii una punta di
curiosità
verso l’indomani, verso l’arrivo di qualcuno che
magari, anche se non ci
speravo, poteva capirmi. Qualcuno che era quasi riuscito a scappare! Mi convinsi che il carcere in
cui era, doveva avere molte
meno forme di controllo che li. Non c’è
possibilità, mi dicevo, che si scappi
qui. Eppure in me si era insinuato quel raggio che è la
speranza, raggio che da
troppi anni non vedevo, e per millenni, per qualche secondo, mi cullai
in
quella luce divina che faceva vedere tutto più chiaramente
distorto.
Sentii il bisogno di confrontarmi con
quello ch era la realtà, per
non perdermi e per punirmi della mia leggerezza, e strinsi gli occhi,
provando
quasi subito quella strana percezione con la quale mi tormentavo da
giorni. Ce
l’avrei mai fatta a vincerla?
Era notte ormai. Saranno state le undici.
Eppure, Eloin non
dormiva. La sentivo muoversi ansiosa come un animale in gabbia.
Cos’aveva?
Riusciva a trasmettermi tanta irrequietezza che, preso da uno strano
coraggio
che non mi apparteneva, uscii dalla stanza e spalancai la sua porta,
mandando
lampi di impazienza, curiosità e irritazione allo stesso
tempo. Eloin mi
guardò, percependo quei lampi, e mi chiese come mai fossi
entrato con tanto
furore.
“Ma che hai? Avanti e indietro
avanti e indietro, ma non stai mai
ferma? Si può sapere che cosa ti impedisce di stenderti sul
letto e dormire?”
Alzò un sopracciglio, nella luce
artificiale della stanza,
scoppiando subito dopo a ridere.
“Scusa BB, non volevo metterti
ansia. È che… non posso fare a meno
di tormentarmi- disse tornando seria-
come mai oggi Roger ti ha fatto chiamare? E cosa ti
è successo al
braccio?”
“Tutto qua?”
“Si…”
ammise, spostando il peso da una gamba all’altra.
“è per il nuovo. E il
braccio… beh… sai cos’è una
vergine di
Norimberga?”
“Tipo una tomba piena di spunzoni
in cui si chiude una vittima per
trafiggerla e dissanguarla?”
“Si. Immaginatela dimensione
braccio.”
Fece una smorfia di dolore, e il suo
sguardo cominciò a tentare di
evitare il mio braccio, ottenendo un effetto contrario. Sbuffai.
“Ora dormirai?” le
chiesi, senza guardarla, irritato da quella
repulsione.
“Si, si, non ti secco
più.” Mi rispose con un filo di freddezza.
Vedendo che si voltava, aspettandosi un
saluto spiccio e una porta
sbattuta, sospirai dentro di me, chiedendomi cosa avessi di sbagliato
per
riuscire a toglierle sempre l’allegria che la caratterizzava,
con due parole. È
un’arte, mi risposi. D’altra parte, ciascuno ha la
propria arte, la mia è
questa evidentemente, continuai. Volendo però rimediare,
rendendo esplicito il
mio sospiro, le parlai tentando di rendere la mia voce più
amichevole.
“Scusa Eloin se non so sempre
essere l’amico che vorresti. ” e me
ne andai, sperando di aver fatto la cosa giusta.
La mattina seguente, come sempre, vennero a
ammanettarci e a
trascinarci per i corridoi, e come sempre fui compiaciuto dagli sguardi
di
timore e rispetto che mi lanciarono alcuni, distinguendosi dalla
pietosa massa
di occhiate compassionevoli dei loro compagni. Al solito, avevo a un
fianco
Mello e all’altro Near, che mi lanciò uno sguardo
nervoso, come quello che un
coniglio lancia a una volpe. Tentai di sedermi in maniera da rendere
sopportabile la scomodità delle sedie, e attesi, con uno
sguardo freddo e
tagliente che mi isolava dagli altri, che accadesse qualcosa. Eloin mi
disse
poi che era stupita e anche divertita da come tutti si muovessero e
dimenassero, o bisbigliassero, facendo un netto contrasto con la mia
immobilità. Lei stessa si mise a raccogliere chiacchiere sul
conto del nuovo
arrivo, tendendo le orecchie e ponendo domande ai suoi vicini. Quando
Roger
entrò calò uno strano silenzio, interrotto solo
da colpi di tosse trattenuti, e
da chi si muoveva sulle sedie. Allora, con questi silenzi da concerto,
è facile
lasciarsi prendere dalla’arte fine dell’ascolto. E
puoi sentire i fruscii più
intimi di due maniche di amanti nascosti che si sfiorano
impercettibilmente, o
lo scricchiolare delle rare scarpe nuove, o il rumore metallico di un
orologio
che viene consultato di nascosto, o infine, i rari se non unici
bisbigli incuriositi
da chi è qui da meno tempo e ha più voglia di
vivere, spettegolare, scoprire.
Vivere, spettegolare, scoprire. Ma
com’è possibile che qua dentro
si pensi a cosa del genere? Perché c’è
chi sembra non rendersi conto dell’aria
di morte, degli sguardi in cui leggi il suicidio imminente, delle
ferite e dei
lividi di alcuni, e degli occhi di altri, dalle pupille dilatate e
cicatrici
sulle braccia?
L’uomo a causa del silenzio
piacevole solo a me, camminò sino ad
arrivarci davanti, e poi si fermò, guardandoci con un grande
quanto finto
sorriso.
“Buongiorno ragazzi!”
esclamò poi, come un grande orso benevolo.
“BUONGIORNO ROGER”
rispondemmo con funerea esasperazione.
“Oggi, come avrete saputo, si
aggiunge alla nostra Grande famiglia- continuò
Roger includendoci in un
unico cerchio con le braccia -un componente nuovo! Mi aspetto che lo
accogliate con l’educazione che vi insegno ogni giorno, ma vi
devo mettere in
guardia rispetto a costui: stategli lontano o vi ridurrà a
quello che anche lui
è- disse rendendo la voce più seria e guardando
la porta da cui sarebbe
arrivato- ovverosia, un perdente.”
Pronunciò l’ultima
parola caricandola di disprezzo, e causando
curiosità fra le fila delle sue bestie da macello.
“Lascerò che si
presenti.” Concluse poi, discostandosi e facendo
cenno alle guardie di
portarlo dentro.
Chiusi per un secondo gli occhi, tentando
di non illudermi che chi
sarebbe uscito da quella porta avrebbe potuto avere qualche
possibilità di
comprendermi o anche solo di farsi osservare da lontano. Mi aspettavo
un
qualcuno di ombroso, di scuro. Un ragazzo che avesse come me vissuto
cose che
non doveva vivere, per sua spontanea volontà. Sapevo che non
avrei dovuto farmi
illusioni, ma non riuscivo a estirpare da me quel filo di speranza che
si era
insinuato con prepotenza nella mai testa.
Infine, dopo milioni
di anni, dopo pochi secondi, entrò.
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