NEI CAPITOLI PRECEDENTI:
Draco ed Hermione sono riusciti a fuggire
dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton,
che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per
uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione,
ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno,
le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere
nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco.
Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di
recarsi in un luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza
sapere che la ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è
parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha
convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff, Raissa, che
le ha detto che l’unico modo per tornare libera, sarebbe concentrarsi
sull’amore che Draco nutre per lei. E per farlo, le mostra i ricordi che Draco
ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora
fosse accaduto qualcosa a Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta rivivendo i
ricordi di Draco, essi sembrano scomparire nel nulla. Al suo risveglio,
Hermione apprende che cosa Draco sta facendo: si è rivolto ad un demone,
Adamar, per ottenere i poteri necessari per difendere Hermione e Serenity da
Astoria. Il prezzo per tale demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa, la
cosa più preziosa che ha, per questo essi sono scomparsi. Se Draco fallisse la
prova oppure decidesse di ritirarsi dalla stessa, Adamar gli restituirebbe i
suoi ricordi. Ad Hermione, non resta che aspettare che Draco ritorni. Insidiata
da Dimitri il fratello di Raissa ed oramai vicina a perdere le speranze, una
sera di pioggia, Hermione distingue un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa
di Pansy. È Draco che misteriosamente è riuscito a tornare. I due finalmente si
riuniscono e passano la notte assieme. Trascorrono dieci giorni assieme di
perfetta felicità: decidono di contattare Harry per rivelargli la loro
situazione, ma il Ministro è ignaro che Astoria abbia una spia nella sua
cerchia più fidata. Nonostante i tentativi di Blaise e Draco, la spia non viene
individuata e, quindi, sono costretti ad usare Daphne Greengrass e una sua
passata relazione con il Ministro, per contattare Harry, in modo che non lo
sappia nessuno. Daphne verrà avvicinata da Pansy, la sera del suo compleanno,
quando dà una festa a casa sua. Nella stessa occasione, Draco chiede ad Hermione
di sposarlo: la ragazza, raggiante, sta per accettare, ma vedendo l’anello con
cui Draco la chiede in moglie, che è lo stesso anello di Helena, crolla e
decide di prendersi del tempo per pensare, dilaniata dal dubbio che Draco non
la ami quanto abbia amato Helena stessa. I due si lasciano momentaneamente, ed Hermione
esce nel giardino della villa. Intanto nel futuro, dopo cinque anni, Hermione è
tornata a casa di Pansy Parkinson assieme a Seth e a suo figlio Alex. Pansy,
che adesso è sposata con Dean, però, non sa dove Draco sia. Dean, però, le rivela che Draco, cinque anni
prima, è andato via da lì con Raissa Karkaroff, la sorella di Dimitri. Hermione,
sempre più vicina a perdere le speranze, ricordando gli eventi degli anni
passati, ripete che la sera del compleanno di Pansy è stata l’ultima sera in
cui ha visto Draco.
Capitolo 36 –
The butterfly effect
Sono una brava mamma.
Negli anni, soprattutto negli ultimi cinque, ho
avuto dubbi su ogni cosa tranne che su questo: non sono mai stata così brava
come studentessa, fidanzata, amica, pseudo-moglie, Auror, strega e cameriera,
come lo sono da mamma. E non l’avrei mai detto.
Per essere madre devi essere ermetica, a
chiusura stagna. Devi seppellire le cose nel tuo profondo, lasciare che
macerino il tempo necessario per trasformarsi in una poltiglia densa che possa
al massimo soffocare il tuo di respiro, ma mai disturbare anche solo
il sonno del tuo bambino.
E io, dopo che ho finito di parlare con Dean,
dopo che… quel giorno Draco è andato via con Raissa. E crediamo che siano ancora
assieme… non ho mosso un muscolo.
Sono tornata in casa quando il sole ha finito la
sua curva rovente nel cielo, ho sorriso ad Alex che giocava con Charisma, l’ho
rimproverato perché non ne voleva sapere di mangiare, l’ho rimproverato ancora
perché non voleva andare a letto, troppo preso dal gioco con la piccola di
Pansy e Dean. Gli ho letto per l’ennesima volta la favola del Piccolo principe
perché lui me l’ha chiesta di nuovo. Arrivata a leggere del piccolo principe
che incontra le rose sulla Terra e parla della sua, ho trattenuto il groppo in
gola e ho continuato a leggere stoica, come se ne andasse del destino
dell’intero Universo. Ho schiarito la voce un paio di volte fingendo un colpo
di tosse e ho scandito: “Non si può
morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi
rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che
ho innaffiata. Perché è lei che ho messo sotto la campana di vetro. Perché è
lei che ho riparato col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo
due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o
vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa.”
L’effluvio di una rosa
bianca sul comodino della camera che Pansy ha destinato a me ed Alex, mi ha
fatto pizzicare gli occhi e pungere il naso.
“Mamma…” mi ha
sussurrato Alex, gli occhi grigi già ridotti a due fessure per il sonno
incombente “Ma quando andiamo da papà?”.
E io che sono una
brava mamma, gli ho sorriso, gli ho accarezzato i capelli biondi e gli ho detto
che ci andiamo molto presto.
Alex si è
addormentato, gli ho rimboccato il lenzuolo e sono uscita fuori chiudendomi la
porta alle spalle.
E dopo qualche passo, dopo
solo qualche passo, sono caduta in ginocchio nel corridoio. Tappandomi la
bocca con la mano, soffocando ancora per paura che Alex mi sentisse, ho pianto
le lacrime che avevo in corpo dal tramonto. Le ho piante tutte, una dopo
l’altra: dalla rabbia alla frustrazione, alla sofferenza, al dolore, alla
nostalgia, all’odio e all’amore. Non piangevo così da cinque anni.
E poi mi sono alzata
come sempre, solo un po’ malferma sulle gambe, tornando in salotto.
Anche Charisma
dormiva. Anche Pansy poteva smettere di essere una brava mamma e Dean poteva
smettere di essere un bravo papà.
Potevamo tornare noi
stessi, smettere i panni dei genitori che devono essere sempre i supereroi dei
loro figli e tornare per qualche ora i fallaci esseri umani che andiamo alla
ricerca della salvezza.
Seth no. Lui credo che
un supereroe lo sia davvero.
Mi sono seduta di nuovo
sul divano, le mani poggiate sulle ginocchia. Seth accanto a me, mi ha subito
preso la mano. L’ho stretta forte nella mia.
Pansy e Dean, di
fronte a me, nemmeno si sfioravano. Non ne avevano bisogno.
Solo quando ho aperto
bocca, hanno vacillato un pochino. Dean ha chiuso gli occhi e Pansy ha
contratto le spalle.
“Perché diamine
nessuno mi ha mai detto che era andato via con lei?”.
Quando ho deciso di
tornare in Inghilterra, ho messo in conto molte cose.
Ho preso mentale
annotazione di decine di particolari da ricordare, tutti oltremodo importanti
specie se riguardavano Alex.
Mio figlio ha sempre
vissuto in Italia: parla inglese, ma lo parla con un accento diverso dal mio o
da quello di Ron, spesso frammenta i discorsi con parole italiane. Oppure è
abituato ad un determinato stile di vita, ad andare a letto più tardi dei suoi
coetanei, ad andare ogni giorno a mare d’estate, ad una temperatura umida e
calda. Ha un temperamento aperto, caloroso, colmo di allegria, meno tipico dei
bambini inglesi.
Le cose da considerare
su Alex erano tantissime: ne avevo persino scritto un enorme blocchetto da
leggere con solerzia alla prima maestra che avrei trovato, non appena l’avessi
iscritto a scuola.
Su di me avevo solo
una cosa da ricordare. Sempre, continuamente, come una filastrocca imparata
all’asilo.
Sono passati cinque anni.
Sembra la più grande
delle ovvietà mai udite, ma davvero ho avuto sempre bisogno di ricordarmelo.
Cinque anni sono
lunghi.
Certo ci sono periodi
temporali molto più lunghi, ma nel mio caso hanno una consistenza fisica che è
tangibile, percepibile, incontestabile.
Tutta la vita di mio figlio
si è svolta in questi cinque anni. E da mamma, essa mi sembra così immensa anche
se forse è solo perché ha stravolto la mia stessa essenza. Ripenso a quando è
nato e al ciuffetto di capelli biondi che spuntava fuori dal cappellino
azzurro. Ripenso alla sua prima pappa di riso e alla smorfia assurda che fece
mangiandola. Ripenso ai suoi primi passi e all’Incantesimo di Appello che usai
per impedire che inciampasse in un peluche. Ripenso alla sua prima parola
“mamma” e al mio pianto incontrollabile di commozione che ne venne fuori.
Ecco, se proietto
questi cinque anni su Alex, io so con coscienza che sono passati. Cinque anni
fa, lui non esisteva e ora è un respiro lieve al piano di sopra e un pensiero
costante nella testa.
Se li proietto su me
stessa sciogliendomi da ogni dimensione di essere la madre di un bambino di
cinque anni… ecco, io sono rimasta bloccata alla sera del compleanno di Pansy.
Annegata nella
gelatina di un tempo trascorso solo a parole. Come se, a parte la
trasformazione fisica del mio corpo che da ragazza mi aveva candidata a madre
attraverso la curva crescente della mia pancia, io non fossi cambiata e mutata
per nulla… ed è assurdo, a ripensarci.
Perché cinque anni
sono passati sul serio, non devo scomodare il pensiero di mio figlio per
saperlo. Ho davanti agli occhi due persone che cinque anni fa probabilmente
facevano fatica persino a ricordarsi, e che adesso sono marito e moglie. Ho
accanto un ragazzo che cinque anni fa non sapeva nulla del mio passato ed era
innamorato del suo capo, e che adesso mi chiede costantemente di fargli degli
Incantesimi per vedere come starebbe biondo e che ha un fidanzato di nome
Kevin.
Tornare poi qui a casa
di Pansy non aiuta, non sta aiutando e non aiuterà. All’assassino tornare sul
luogo del delitto dà la macabra sensazione di poter rivivere il suo crimine:
ucciderebbe con più crudezza, ucciderebbe prima o non ucciderebbe affatto.
Io, mentre Pansy cerca
le parole, riesco solo a pensare alla sera del suo compleanno: a che cosa
sarebbe accaduto se non fossi uscita affatto dalla camera che dividevo con
Draco.
Quest’anello è
maledetto.
Hermione per un minuto
lo pensa davvero.
Uscendo fuori dalla
casa di Pansy, afferrando distrattamente un cardigan azzurro da una poltrona
all’ingresso dove lo aveva lasciato, lo ha tenuto sempre stretto tra le mani.
L’anello l’ha seguita senza che lei se ne accorgesse.
Seduta sull’erba
fresca, il pianto in gola, lo guarda nel palmo aperto rifrangere le stelle e
riflettere la luna; con un accenno di risata amara le viene da urlare al cielo,
al paradiso, all’inferno… ad Helena… Le viene da urlare.
“Che c’è, Greengrass,
è un altro dei tuoi stupidi segni divini che lo debba avere io? Mettiti l’anima
in pace, dovunque tu sia, Helena… io quest’anello non lo indosserò mai.
Scordatelo dalla tua presunta onniscienza e misericordia.”
Quel pensiero blasfemo
le fa salire altre lacrime agli occhi, le asciuga distrattamente come se ne
avesse vergogna. Guarda la casa illuminata a festa, sente la musica allegra
rompere la monotonia della notte silenziosa, eppure insegue ancora la piccola
luce soffusa della stanza al primo piano. È la terza finestra da destra,
proprio sopra il gazebo di pietra accanto al quale ha trovato rifugio. La luce
balla, traballa, si muove liquida, ma non si spegne.
Ed Hermione sa che lui
è dentro quella luce, sa persino che adesso si muove nervosamente avanti ed
indietro, sa che ha preso a pugni qualcosa, sa che probabilmente alla fine si è
accasciato sul pavimento, la testa reclinata, le mani tra i capelli.
Ma la luce non si
spegne, lui non prende la porta, non scende le scale, non corre nel giardino e
non viene a strapparle l’anello dalle mani.
E lei, ipnotizzata
barchetta dalla luce di un faro che solo apparentemente è salvezza e
benedizione, rimane lì, seduta dietro il roseto, le lacrime che le velano il
viso. Gli occhi le bruciano, le fanno male nel tentativo assurdo di ordinare a
quella piccola luce di spegnersi… ma al contempo se essa si spegnesse, ma Draco
restasse lì non scendendo da lei… quella sarebbe la peggiore delle beffe. Ed
Hermione non è in vena di accettare i tiri sinistri e comici di un destino che
ancora decide per lei.
Sospira a lungo, non
che lei possa oggettivamente fare qualcosa, non che abbia il potere di
srotolare il tempo all’indietro per…
Già, per fare che?
Impedire a Draco di conoscere Helena? Impedire la morte di lei? Impedire che il
mondo stesso si avviti per anni intorno ad un pazzo sanguinario, che decide che
se sei una Mezzosangue ed una Grifondoro, non sei degna dell’attenzione di un
Purosangue Serpeverde?
Dovrebbe cancellare il
mondo, Hermione, per cancellare il suo destino. Cancellare infine persino sé
stessa e Draco per avere un futuro diverso, più facile e forse anche più roseo.
Ma non è possibile.
Non le resta che
accettare quanto prima che non può cambiare tutto.
Decide quindi di
aspettare il sole, di aspettare Harry: decide di aspettare da lì, dalla sua fortezza
umida e odorosa di rose. Aspetterà che il mondo vada a posto da solo senza che
lei debba come sempre muoversi convulsamente per fermarlo.
Quando inizia a
sentire la musica abbassarsi, segno che la festa sta arrivando alle battute
finali e che forse tra un’oretta qualcuno inizierà ad uscire per tornarsene a
casa, decide perlomeno di alzarsi e di andare a nascondersi vicino ai pioppi
bianchi che delimitano la proprietà. Non ce la farebbe adesso a fingere anche
di essere Calista Parkinson… si strappa la collana dal collo e la getta dietro
il cespuglio di rose.
Seminascosta dalla
penombra dell’albero accanto al cancello, si regge alla corteccia del pioppo
con la mano libera. Un’ondata di tristezza e di stanchezza si mescola nel suo
corpo dandole la nausea. Si china, una mano sulla bocca, reprimendo l’istinto
di rimettere, poi l’aria fresca della notte le soffia sul viso dandole
sollievo. Tornando dritta, nota improvvisamente qualcosa che non aveva notato
prima. Una strana ombra fuori dal cancello, sembra una donna supina.
Si chiede solo per un
secondo se la barriera di Raissa le impedisca ancora di uscire da lì, ma ha
notato subito che ha potuto avvicinarsi al pioppo senza sentire nulla, senza
sentire quella sgradevole sensazione di impotenza che aveva sempre provato.
Quindi suppone che la barriera non ci sia più. Sorpassa il cancello ed esce
fuori, correndo vicino a quella che si rivela essere davvero una giovane donna
svenuta. È stesa bocconi sull’erba, il volto semiaffondato nel terreno,
apparentemente priva di sensi. La luna bassa le illumina i capelli non appena
Hermione si avvicina.
Sono biondi. È Daphne
Greengrass.
Non preoccupandosi del
fatto che qualcuno possa riconoscere il suo vero aspetto, Hermione si piega
sulle ginocchia chinandosi all’altezza della ragazza. Le sposta i capelli dal
viso, la scuote per un braccio e lei emette un breve rantolo. È viva, ma
incosciente, probabilmente è stata Schiantata. Ma da chi? Con un brivido sulla
schiena nuda, Hermione rimane ferma, immobile, in attesa. La mano afferra la
bacchetta sotto il vestito, mentre si alza in piedi, iniziando ad
indietreggiare verso il cancello aperto. Chiamerà qualcuno all’interno per
aiutare Daphne… e con una stretta allo stomaco, si ricorda di aver buttato via
la sua collana e di riavere di nuovo il suo aspetto solito. Può chiamare solo…
Draco.
Non fa in tempo a fare
un solo passo, comunque. Un fascio di luce azzurra compare all’improvviso
davanti a lei, lo schiva scartando di lato e cadendo per terra di fianco. Batte
il gomito su una pietra, sente il sangue colarle lungo l’avambraccio. Non
lascia però che il dolore la stordisca o disorienti, si rialza subito in piedi
puntando la bacchetta davanti a sé, il respiro affannato dall’adrenalina.
“Eccola la vera
Hermione Granger…” sente sussurrare nel velluto della notte una voce lasciva
“Non la puttanella di Malfoy…ma la vera ed autentica Regina dei Grifondoro…”.
Hermione riconosce
subito la voce, prima ancora che Dimitri faccia qualche passo, rivelando il suo
viso. Il mantello blu notte oscilla alle sue spalle, assecondando i suoi
movimenti sinuosi, mentre si ferma a pochi passi da lei. Con la punta dello
stivale, volta il corpo disteso di Daphne ed aggiunge: “Troppo semplice,
Granger… dovresti diventare più disinteressata… mia sorella ha previsto ogni
misura per non farmi più rientrare… ma ha scordato di impedire a te di uscire…
deve essere distratta ultimamente…”. Hermione deglutisce pesantemente, la
bacchetta ancora sguainata. L’incantesimo di Raissa era ancora presente, per
questo voleva che uscisse fuori. Daphne era solo una trappola.
“Che diamine vuoi?!”
chiede furiosa, il braccio teso, la presa salda sulla bacchetta “Stavolta non
finirà come le altre volte… avvicinati di un altro passo e ti pentirai di
essere tornato…”.
Dimitri agita noncurante
la mano come ad allontanare una mosca molesta: “Dov’è finita l’educazione,
Granger? Frequentare Malfoy ti sta facendo decisamente male…”. Una smorfia
involontaria fa contrarre le labbra di Hermione che si serrano in una morsa
dolorosa, sentendo il nome di Draco. Dimitri studia con attenzione le linee del
suo viso, sorride appena e fa un altro passo, piegando la testa di lato ed
inumidendosi le labbra: “Ti ha già fatto piangere vero? Anzi no… non ti ha solamente
fatto piangere …”, come se cercasse qualcosa nei suoi occhi la rimira a lungo
alla ricerca della risposta, poi il suo sguardo si illumina gioioso e
bisbiglia: “Ti ha spezzato il cuore… povera piccola mia…”.
“Dì un’altra sola
parola e giuro che ti dovranno raccattare con il cucchiaio…” ringhia Hermione,
ricacciando indietro le lacrime, la bacchetta che trema.
“Non posso dirti di
non averti avvisato…” mormora lui comprensivo, la voce è dolce, roca, bassa, da
far sciogliere qualunque donna, Hermione indietreggia mentre lui si fa ancora
avanti “E’ per la Greengrass, vero? Per Helena… ha te e trova ancora il
coraggio di pensare a quella…”. Un raggio di luce rossa parte fulmineo dalla
bacchetta di Hermione, lo colpisce ad una spalla, Dimitri constata il danno e
la guarda sconcertato, spalancando gli occhi blu.
“Ti ho detto di non
dire un’altra parola…” sibila lei, fredda, gelida, il volto rosso e gli occhi
di ghiaccio, la sua voce si spezza mentre sussurra: “Non ti azzardare a
nominarlo mai più…”. Dimitri la guarda ancora, un sorriso sghembo sul volto, gli
occhi illuminati dal desiderio. È come se la guardasse in trasparenza, come se
andasse oltre pelle, vestiti, ossa e carne, e penetrasse ostinato dentro il suo
cuore, la sua anima, la sua testa, leggendole pensieri e sentimenti.
“Vieni con me…
stanotte… Hermione…”sussurra carezzevole, facendo un altro passo verso di lei.
Ha lo sguardo dolce, caldo, colmo dell’amore di un principe delle fiabe,
Hermione lo guarda attonita, le lacrime che le affollano la vista e le
impediscono di metterlo a fuoco. La bacchetta quasi si abbassa, facendola
arrendere, facendola cadere come non è mai caduta in tutti questi mesi. Pensa
davvero per un solo singolo secondo ad arrendersi, ed è molto peggio di quanto
non sia accaduto quella mattina nel giardino di Pansy. Quel giorno Draco non
era tornato, non era una presenza fisica eppure lontanissima nella casa
illuminata alle sue spalle.
Per un attimo Hermione
pensa davvero a rinunciare a lui, stavolta per sempre. Pensa davvero che
l’amore, quello vero, le ha rovinato l’esistenza. Sente l’inquietante nettezza
del cuore spezzato in petto, ne sente il peso opprimente, desidera smettere
solo di pensare. Potrebbe andare via con lui, Draco non la cercherebbe più,
Astoria non gli farebbe più del male, lui sarebbe al sicuro con Serenity. E lei
non dovrebbe più affrontare questo cupo, sordo e cieco amore che le sta
accartocciando l’esistenza.
Non scioglierebbe mai
il dubbio su Helena. Non aspetterebbe mai più la sua risposta.
Dimitri la chiuderebbe
in un castello nero, proteggendola dall’amore. La ricoprirebbe d’oro e di
magia, di sapienza e di gloria, non pretendendo mai l’amore da lei.
È un attimo, un solo
secondo.
Poi la bacchetta
ritorna salda, la punta scintilla di bianco e rosso e sprizza qualche scintilla
che fa indietreggiare Dimitri.
Hermione sa già come è
rinunciare all’amore, sa già che cosa si prova. Si è felici, immensamente,
liberi, leggeri, come farfalle di seta. E si è morti.
Non accetterà mai più
le fogge serpentine di uno Zahir, anche se adesso ha il colore degli occhi di
Dimitri Karkaroff.
L’uomo di fronte a lei
serra la mascella e contrae i pugni, trasformato di nuovo nel lupo cattivo
pronto a divorare la bambina che scioccamente si è avventurata nel bosco.
Hermione non ha paura, non ne ha affatto, il sangue dell’Auror pompa ossigeno
nelle vene assieme all’adrenalina, respira lungamente e lo studia senza timore.
Il cuore spezzato le dà la forza, le dà l’energia e il coraggio di affrontarlo…
perché la rabbia adesso monta e mulina come un turbine di vento dentro di lei.
Vuole farla finita con lui, vuole farla finita con ogni cosa che da troppo
tempo sta subendo passivamente. Non può cambiare il cuore di Draco, non può
cambiare il fatto che sia dilaniato in due tra l’amore per lei e il ricordo per
Helena. Non può cambiare nemmeno il suo di cuore, non può cambiare che lo
voglia intero l’uomo della sua vita e non può cambiare che non si accontenterà
mai di meno.
Ma tutto il resto… può
cambiarlo. Per fortuna. Iniziando da Dimitri Karkaroff.
Impugnando la
bacchetta e puntandogliela contro, Dimitri muove appena le labbra, lo
scintillio dei suoi occhi irati spezza il nero della notte: “Non era una
domanda, Granger… tu stasera vieni con me…”.
“E non era un
avvertimento amichevole, Karkaroff… sparisci immediatamente da qui…” minaccia
lei, la gola secca, osservando ogni movimento di lui.
L’aria crepita d’elettricità
come prima di un temporale, un attimo
prima che Dimitri rompa gli indugi ed apra le danze. Hermione evita un nuovo
fascio di luce violetto, saltando di lato e prendendo a correre verso il bosco.
Le hanno insegnato a confondere le tracce, le hanno insegnato a scegliersi il
campo di battaglia e a mettersi subito in una posizione vincente: per lei è la
foresta, dopo una vita passata nei boschi con Ron ed Harry a cercare gli
Horcrux. Corre trafelata tra gli alberi, gli occhi annebbiati dalla mancanza di
luce, pronti ad accogliere ogni minimo spruzzo d’argento che filtri dalla luna
attraverso il fogliame pesante. La milza punge, il fiato manca, ma Hermione
continua a correre veloce, come una saetta.
Dimitri la insegue
senza fretta, convinto di riuscire a farla finita in breve tempo, i passi dei
suoi stivali che spezzano le foglie secche. Ride, guardando la schiena di lei
che si allontana e i lunghi capelli castani agitati dal vento, la vuole più di
ogni cosa al mondo, più di qualsiasi altra cosa abbia mai desiderato. Lascia
fremere le mani sulla bacchetta, lascia che la voglia lo porti ad un passo
dall’impazzire del tutto per la mancanza del corpo di lei tra le sue braccia, lascia
che sia enormemente più eccitante la caccia che il momento in cui lei sarà
finalmente sua. Spera quasi che lei corra ancora di più, che non si fermi, che
continui a mettere distanza tra loro come una gazzella inseguita dal leone. Non
sarebbe lei, se gli rendesse tutto troppo facile.
La risata, ad un certo
punto, gli si gela sulle labbra: si guarda furiosamente attorno, voltandosi a
destra e sinistra. È sparita.
Panico nel petto,
inizia a correre a sua volta, imponendosi di non chiamarla, di non urlare il
suo nome, di non mostrarsi così maledettamente disperato dal fatto di averla
perduta. Se lei lo capisse, se lei sentisse quell’urgenza nella voce, che non è
solo voglia o desiderio o senso di possesso, forse capirebbe il potere immenso
che ha su di lui. E Dimitri non vuole che lo capisca, non lo vuole
assolutamente. Ribalterebbe ogni regola del gioco: quella dove lui è signore e
lei inerme pedina.
Non conosce Hermione
Granger, la sottovaluta e già piange di averla persa.
Pensa che sia caduta
in un dirupo o pensa che sia inciampata in una radice perdendo i sensi. Stima
di lei la forte guerriera, ma è ancora convinto che sia una principessa
innocente pronta a cascargli tra le braccia.
Improvvisamente
qualcosa lo fa cadere supino al suolo, impreca con la faccia premuta contro il
muschio. Una pressione lieve ma decisa sulla schiena, dalla forma allungata.
Una bacchetta. Sorride, sollevato: è lei.
La spia di sottecchi,
il volto affannato, il seno ansante, l’abito trasfigurato di colore perché il
rosso era oggettivamente troppo visibile. Era sparita solo rendendo il suo
abito nero come la notte. E deve essere anche salita su un albero, ha le mani
striate di sangue, deve aver semplicemente aspettato che lui le passasse
davanti.
“Accio bacchetta…”
dice stentorea, la bacchetta di Dimitri vola dalla sua mano in quella di
Hermione.
“Credo di averti
sottovalutato… un errore venale…” commenta con nonchalance Dimitri, guardandola
di sbieco “Consentimi di dirti che non sembri affatto una Mezzosangue… ma
dovrei aspettarmelo, sei sempre il Capo degli Auror…”.
Hermione non risponde,
la presa sulla bacchetta che non diventa meno salda. Lo guarda con odio, con
rancore, la guancia graffiata e i capelli spettinati, pronta anche a farlo
fuori. È stanca, enormemente stanca. E non c’entra niente la corsa nel bosco,
non c’entra niente il fatto di essere come sempre presa sottogamba perché è una
Mezzosangue, non c’entra nemmeno l’ostinazione con cui Dimitri la rivendica
come una cosa sua. C’entra solo che è stanca, dentro, nel punto dove è sempre
esistita la forza di lottare e di combattere. Draco gliela ha spazzata via. E
vorrebbe solo dormire, almeno per un po’, e smettere di dibattersi come un
pesce all’amo. Ricaccia indietro una lacrima, guardando Dimitri dall’alto in basso.
“Ma è un errore che
non farò mai più… Hermione Granger…”. Dimitri non ha nemmeno finito di parlare
che Hermione si sente sbalzata indietro da una folata di vento, sbatte
violentemente al suolo, la schiena contro un albero. Il volto sporco di
terriccio, si solleva a fatica. Dimitri è di nuovo in piedi, ha di nuovo la sua
bacchetta. La guarda ghignando e leccandosi il sangue dalle labbra.
E non è più da solo.
Hermione sente il
cuore perdere un battito, ne sente il tonfo terrorizzato nel petto. Rimettendosi
seduta, valuta se esista una via di fuga che al momento non trova. Quindi i
suoi occhi tornano di fronte a lei, quasi pregando di aver visto male.
Ma non è così. Le sue
preghiere non sono mai state molto fortunate.
Alla destra di
Dimitri, l’espressione di una dea pagana crudele e pronta al sacrificio, c’è
Astoria.
Pucey e Montague
compaiono alle sue spalle, ancora più incattiviti di quanto non li avesse già
visti in passato.
Hermione li osserva ad
occhi sgranati, terrore ed ansia adesso nel petto che si alza e si abbassa,
cerca di farsi indietro ma tocca la corteccia rugosa dell’albero che le graffia
la schiena. Prima che la sua mano raggiunga di nuovo la bacchetta, Astoria
gliela allontana con un gesto flessuoso ed annoiato del braccio. Hermione la osserva
a lungo, per un attimo chiedendosi scioccamente se non sia la sua sosia, quella
che ha lasciato a casa di Pansy.
Ma quella ragazza
aveva l’espressione solare e raggiante, un sorriso pieno sulle labbra rosa, gli
occhi di chi ha conosciuto la somma felicità.
Astoria, pallidamente
illuminata dalla luna, non è più la Summer che ha conosciuto lei, o la sciocca
bambinetta dei tempi di Hogwarts.
Sembra non essere
nemmeno interessata al suo aspetto da viandante, al vestito azzurro che pende
sul suo corpo magro e denutrito. Ha le guance scavate, le unghie sporche di
terreno, l’aspetto sciupato. Gli occhi, invece, brillano sinistri, non lasciano
un attimo il suo viso, la divora con lo sguardo come se fosse un cucciolo e lei
una crudele fiera. Pucey e Montague, alle sue spalle, sembrano temerla, la
guardano in adorazione e pendono dalle sue labbra.
“Ti sei alleato con
lei…” commenta Hermione, sentendosi stupida, cercando di rialzarsi in piedi.
Astoria, ancora, la fa cascare violentemente al suolo.
“Mai fidarsi dei
serpenti, Granger…” risponde Dimitri, chinandosi alla sua altezza e guardandola
dolciastro “Dovresti ringraziarmi… lei ti voleva morta… e io invece l’ho
convinta che basta solo separarti da Malfoy per ucciderti davvero…”.
Hermione si ritrae
ancora, il terrore che la paralizza come una bestia ferita. Astoria non dice
una parola, la guarda e basta, contraendo le labbra per il disgusto.
“Io non verrò mai con
te…” sussurra Hermione con un filo di voce, chiudendo gli occhi. Per un attimo
le appare sotto le palpebre chiuse il volto di Draco, la sera in cui tornò a
casa dei Parkinson. Gli occhi grigi, il sorriso strafottente, la mascella
contratta, le mani calde che le accarezzano il viso. Lo immagina nella loro
stanza, lo immagina che ancora non sa che cosa le sia successo, lo immagina
chino su Serenity mentre ne guarda preoccupato il sonno.
Pensa al momento in
cui non la troverà più, pensa al momento in cui si sentirà in colpa come mai
nella vita, pensa a quando la cercherà disperato, pensa a quando troverà il suo
cadavere lì in quel bosco. Le lacrime sfuggono senza controllo, contrae le
labbra cercando di fermarle. Di quello si tratta. Lei tra poco sarà morta, che
Dimitri dica quello che vuole. Non sarà sua, se non da morta. Glielo ha già
detto.
“Mi dovrai uccidere
prima…” dice, riaprendo gli occhi e sollevando il mento orgogliosamente “Io
sono sua… non sarò mai più di nessun altro, tantomeno tua…”.
Un raggio di luce
gialla le colpisce lo zigomo, facendolo sanguinare, Astoria alle sue spalle
respira fremente di rabbia, la bacchetta ancora sollevata. Non parla, non dice
nulla, nemmeno urla. Sembra che le abbiano tolto la voce, ma è bastato che lei
alludesse a Draco per farle perdere il suo autocontrollo. Dimitri la guarda in
cagnesco, intimando a Pucey di trattenerla.
Hermione si asciuga il
viso, rialzando fiera gli occhi e ripetendo stoica: “Dovrai uccidermi…”.
“Non essere
melodrammatica Granger…” ride Dimitri, facendo un cenno alla sua destra a
Montague che si allontana con un cenno deferente del capo “Esistono molti modi
per convincerti… potrei persino ammazzare il tuo Malfoy per fartelo capire… ma
ho un patto da rispettare con Astoria… ed in fondo gli devo ancora la vita,
l’onore è tutto per me, Granger…”. Si volta alle sue spalle, mentre Montague
riappare, trascinando qualcosa che striscia pesantemente sul terreno.
Hermione aguzza lo
sguardo e ciò che vede la lascia senza parole. Si porta una mano alla bocca,
ora davvero terrorizzata. Hanno il potere di fare qualsiasi cosa, lo capisce in
un attimo. Capisce che non può scappare. Morire sarebbe stato infinitamente
meglio. Persino per Draco. Perché può solo immaginare che cosa c’entri lui con
la parte del patto che è stata riservata ad Astoria e a cui Dimitri ha
parzialmente alluso. Non si faranno scrupoli pur di ottenere quello che
vogliono.
Montague getta per
terra con malagrazia il corpo di Hayden. Ha il volto tumefatto, gli occhi
chiusi e pesti. Hermione, singhiozzando, ricorda il giorno in cui l’ha
conosciuto, la profonda calma che le trasmetteva, il bacio dolce che le diede
quella sera di pioggia al Petite peste. Urla con tutta la voce che ha il corpo
il suo nome, si acquatta per arrivare a lui, chiede gridando che cosa
c’entrasse lui. Lui non c’entrava niente. Niente. Era rimasto nella sua mente
come una dolce luce spensierata, un calore troppo tenue per riscaldarla davvero
ma che l’aveva trattenuta sull’argine della pazzia anche quando era sotto il
controllo dello Zahir. Aveva deciso di incontrarlo, al suo ritorno a Londra, di
parlargli, di dire anche a lui tutto, come con Seth.
Gli voleva bene, gli
vuole bene.
Piangendo, si rialza
velocemente e si avvicina a lui, lo scuote per una spalla mentre constata
superficialmente che è ancora vivo. Una profonda ferita, però, gli inzuppa di
sangue la camicia sulla schiena. Gli sposta il tessuto lercio ed inorridisce. È
una ferita profonda, infetta, da cui gronda pus biancastro. Lo hanno ferito da
parecchio tempo, chissà da quanto è incosciente.
“Potevamo prendere uno
qualunque, ovvio…” commenta annoiato Dimitri, guardandola dall’alto “Tu avresti
lottato per qualunque stupida vita avessi minacciato di togliere… ma sai com’è?
Se una persona la conosci, è anche meglio…”, la sua voce scende di tono e
riprende duro: “E’ anche per dimostrarti una cosa… tutti i limiti del tuo
Draco…”. Hermione, china su Hayden, abbraccia le sue spalle proteggendone il
corpo, solleva lo sguardo umido su Dimitri digrignando i denti.
“Ha pensato a
proteggere tutti, tranne lui…” ride Dimitri senza allegria “Probabilmente
sperava anche che lo facessimo fuori… quando invece avrebbe solo dovuto sperare
che tu scegliessi lui… il babbano, per esempio, non ti avrebbe portato a me…”.
La risata sul volto di lui si smorza, ostaggio di memorie lontane: “… non ti
avrei mai conosciuto… ed avrei pensato che tu… non esistessi…”.
Hermione, sempre china
su Hayden, sussurra a mezza bocca interrompendo i pensieri di Dimitri: “Verrò
con te… ma lascialo andare…”. Non c’è soluzione, non c’è. Hayden è ferito,
probabilmente è grave. Devono lasciarlo andare.
“No, tesoro… tu verrai
con me… ma non lo lascerò andare… è il solo modo per impedirti di fare qualcosa
di stupido ed insensato mentre sei con me…”.
Stupido ed insensato…
certo… uccidersi… come aveva già deciso di fare pur di non andare con lui. Ma
adesso che c’è anche Hayden… deve restare in vita per lui. Nella prigione che
Dimitri le sta per destinare.
Pucey e Montague
sollevano di nuovo il corpo incosciente di Hayden, strappandolo dalle braccia
di Hermione che li osserva impotente mentre spariscono con un pop trattenuto.
Dimitri le porge cerimonialmente la mano, prima di dire la formula di
Smaterializzazione.
“Mi cercherà…”
sussurra Hermione, mettendo la sua mano in quella di Dimitri “Draco non avrà
pace fino a quando non mi avrà trovato…”.
Dimitri contrae la
mascella: “No… non ti cercherà mai più… no, se sei tu stessa a dirgli di
lasciarti andare…”. Hermione sgrana gli occhi, guardando l’espressione
compassata di Dimitri, si puntella con i piedi in un ultimo disperato tentativo
di resistere, ma lui l’afferra per un polso e si smaterializza. Hermione sente
lo strappo all’ombelico e vola lontano, le lacrime che restano nella foresta
come gocce di rugiada.
L’ultima cosa che vede
sono gli occhi azzurri di Astoria che la guardano sorridendo con cattiveria.
Non si è
Smaterializzata assieme a loro.
Chiudo gli occhi, serrandoli come se fossi
sotto una luce troppo forte. Cerco di lasciar fuori dalla mia mente quel
ricordo, ma sebbene siano passati cinque anni e sebbene adesso io sia al
sicuro, quel ricordo ha un odore forte ed intenso che lo fa stagliare
distintamente nell’oceano della mia memoria. Lo ritrovo sempre quando lo cerco,
quando disgraziatamente la mia mente mi riporta indietro: odora di conifere, di
rugiada, di rose calpestate. Di lacrime, sangue e sudore. La pelle di Draco, i
suoi occhi, le sue labbra, le sue parole… quelle sensazioni negli anni sono
evaporate, sono solo una stretta allo stomaco e il ricordo di come mi sentissi.
Perfetta, mi sentivo perfetta tra le sue braccia. Ma giorno per giorno,
come la cascata di granelli di sabbia che svuotano una clessidra, la nettezza
di quei ricordi è sfuggita via, solo gli occhi di Draco li ricordo
perfettamente perché sono gli occhi di Alex. Invece, sebbene cerchi
disperatamente di dimenticare, quella notte è scolpita come pietra nei miei
pensieri. È iniziato tutto lì. O meglio, è finito tutto lì.
Sollevo gli occhi umidi, fissando Pansy e Dean
di fronte a me. La mia mano stringe ancora più saldamente la mano di Seth,
mentre a bassa voce biascico nervosamente: “Dimitri ci ha fatto tutto questo… e
tu hai permesso a Draco di andarsene con sua sorella?!”. Dean apre la bocca per
obiettare, ma Pansy lo fa tacere con un cenno brusco della mano.
“Vorrei ricordarti, Granger, che fino a
stamattina io non sapevo minimamente che cosa ti fosse successo…” sciorina
Pansy ovvia, stringendo le labbra rosse “Non riuscirete né tu, né Draco a farmi
sentire in colpa per qualcosa che non ho fatto… magari non te ne sei accorta,
ma lui non è un bambino… e io non sono la sua balia… quando è andato via era
perfettamente in grado di decidere chi volesse ancora nella sua vita… e non
voleva ovviamente più te…”, la sua voce si abbassa e si addolcisce, Dean la
guarda preoccupato mentre aggiunge con un filo di voce: “… e non voleva
tantomeno me…”. Pansy, captando la tenerezza che sta adesso sciogliendo il mio
di sguardo, riprende a parlare dura come le appartiene solitamente: “Se c’è
qualcuno con cui dovresti prendertela, è Potter… lui ha deciso questo brillante
piano… se mi avesse perlomeno detto qualcosa, se mi avesse raccontato la storia
nei dettagli… bè, perlomeno avrei evitato di renderti oggetto di pratiche
voodoo nel corso degli anni…”. Reprimo una stupida risatina nervosa che mi sta
venendo inconsapevolmente fuori, arrancando tra le lacrime che non smetto di
piangere, mentre per fortuna interviene Seth: “Andiamo Pansy… sai benissimo che
Harry non poteva parlare… né con te, e né con nessun altro… ne andava della
sicurezza di Hermione ed Alex… altrimenti lei se ne stava tranquillamente in Inghilterra
e tutto sarebbe andato per il meglio: sarebbe andata al matrimonio di Ginny ed
Harry, al vostro… e tanto per non tralasciare niente, avrebbe anche impedito
che mi arrampicassi sulla torre della polizia per dichiarare il mio amore a
Kevin… rompendomi la clavicola… e il femore…”.
“Dubito che quello l’avrei impedito pur stando
qui…” commento acidamente, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano
“Avresti chiamato un tentato suicidio un gesto d’amore… e me, com’era, un’insensibile
donna fredda priva di slanci sentimentali…”.
“Era frigida donna fredda, priva di
slanci sentimentali…”.
“Giusto, avevo rimosso l’endiade…”.
“L’endi-che??!”.
“Dio, mi ero dimenticato come era parlare con
te, Hermione…” commenta stancamente Dean, passandosi una mano tra i capelli e
guadagnandosi una mia occhiataccia “Potremo gentilmente tornare al punto della
questione? Vorrei ricordare che Pansy è partita per la Francia, quindi pur
volendo non avrebbe nemmeno potuto parlare con Harry… era troppo impegnata ad
incontrare il suo destino…”. Dean chiude la sua sviolinata con uno sguardo
tronfio e presuntuoso, al quale Pansy replica acida: “Ma che bel destino…!
L’avessi saputo sarei annegata nella Senna…”.
“Andiamo piccola, tanto lo sanno tutti che mi
ami perdutamente!” ripete Dean, passando un braccio sulle spalle della moglie
che si divincola con sguardo assassino: “Chiamami un’altra volta piccola,
specie in presenza di ospiti non propriamente graditi… e vai in bianco per un
anno intero…”.
“Lo vedi come è il romanticismo?” tuba Seth
con gli occhi a cuore, guardandomi quasi commosso, al che inarco un
sopracciglio scettica non volendo nemmeno sapere il tenore delle conversazioni
con Kevin se chiama questo, romanticismo. Scuoto il capo e non riesco a
fare a meno di sorridere, mi era mancato tutto questo, mi era mancato come
l’aria. Ovvio che mi era mancato Seth: dopo tanti anni, dopo tutto quello che
mi è accaduto, so con certezza che è e resterà sempre il mio migliore amico.
Non a caso, appena sono tornata in Inghilterra, sono andata subito da lui,
prima che da Harry o da Ginny o da chiunque altro. E gli ho raccontato tutto,
di me, di Draco, del nostro passato, del mondo della magia, degli ultimi cinque
anni. Ho parlato per circa tre ore ininterrottamente, lui non mi ha mai interrotto.
Sebbene dopo cinque anni poteva anche chiudermi la porta in faccia, mi ha fatto
parlare. E quando ho finito, mi ha guardato incredulo dicendomi che pensava
spesso a me, al giorno in cui ci saremmo rivisti. E pensava che solo raccontare
della scomparsa di Danny e Serenity, dell’aver rilevato il Petite Peste
diventandone il solo proprietario e dell’aver conosciuto Kevin, sarebbero stati
grandi scoop.
“Ed invece mi devi battere sempre in tutto!”
ha riso, ravvivandosi i capelli ricci “Sei persino stata a letto con Danny,
anzi no, aspetta Draco… mah mi piaceva di più Danny…! E avete anche un figlio
assieme!!”. E mentre ancora ridevo, lui ha aggiunto con nonchalance: “Bè,
quando andiamo a riprenderci il tuo Principe azzurro?”.
E sono felice, davvero, di averlo qui con me.
Sono felice anche di aver ritrovato Dean,
sapevo per sommi capi da Ginny che aveva sposato Pansy Parkinson, me lo aveva
scritto in una lettera quando ero ancora in Italia. Ed ero cascata dalla sedia,
facendomi decisamente male. Ma poi era stato quasi confortante, in un modo
abbastanza egoista. Era come vedere il riflesso irrealizzato di me e Draco in
due altre persone. Era come sapere tramite l’esperienza di altri che tra me e
lui poteva essere possibile. Il Grifondoro mezzosangue e la Serpeverde acida:
sembrava una favola. Certo, ora che li ho visti, tutto sembrano tranne che una
favola, anzi sono tipo una commedia tragica che spero preveda decine di anni di
repliche.
Rivedere Dean, rivederlo padre e marito,
rivederlo così felice… ha avuto il sapore dolce e pieno dell’assoluzione.
Strano a dirsi, ma è così, ancora dopo cinque anni da quando ci siamo lasciati,
mi sentivo tremendamente in colpa nei suoi confronti. Ero convinta di avergli
rovinato la vita. Ma lui sta bene adesso. E’ felice. E mi è mancato in uno
strano modo anche lui, mi è mancato come una presenza nella mia vita che non
saprei chiamare “amico” e non potrei nemmeno liquidare come “ex”. Sono solo
contenta che lui ci sia ancora, che tutto non sia andato a scatafascio, che
possiamo persino scherzare sui nostri due anni assieme senza che ci si
frapponga contro un inutile imbarazzo o uno sconveniente rancore.
E mi è mancata anche Pansy, già, se glielo
dicessi probabilmente vomiterebbe succhi gastrici da oggi fino al 2076.
Quindi non glielo dirò mai.
Mi è mancato il suo essere così maledettamente
Serpeverde… perché mi ricorda Draco… la sincerità mai rigettata, il sarcasmo,
l’orgoglio. In cinque anni, io non ho mai visto nessuno così. E mi mancava
terribilmente. Quando ti abitui a parlare con loro, difficile è tornare ai tuoi
soliti legami. Con Ron, nonostante tutto, a volte ero anche felice, ma non era
una sfida continua come era Draco e come spesso, a suo modo, è anche Pansy. E
adoro sia Helder che Hayden… ma non era la stessa cosa.
I miei pensieri, che per un attimo si erano
fatti scintillanti e spensierati, si oscurano di nuovo. Mentre Dean e Seth
continuano a ridere e punzecchiano Pansy che risponde a tono, ancora la
dimensione profonda della mancanza di Draco in questa stanza con me e con i
nostri amici, oppure al piano di sopra con nostro figlio, mi acceca e mi toglie
il fiato.
Lui non è qui, non è qui, dannazione. È con Raissa, o chissà con chi
altra. Senza volerlo, senza averlo premeditato, mi
piego e nascondo il volto tra le mani, piangendo.
Le risate cessano all’istante, immediatamente
le braccia di Seth si chiudono sulle mie spalle abbracciandomi: “Scusami
tesoro… ci siamo lasciati prendere la mano…”.
“N-no, non è per voi…” biascico ancora china
su me stessa “… ma… lui… Draco… dovrebbe essere qui… con me, con voi… e
con Alex…”.
“Se lo avessi visto quel giorno, capiresti che
non poteva restare qui un attimo di più…” mormora Pansy, scuotendo il capo, mi
drizzo a sedere e la guardo senza capire. Lei senza scomporsi, prosegue: “Quello
che vi è successo, è ingiusto… ma è giusto che lui non ci sia, Granger…”.
“Che diamine vuol dire?!” chiedo già iniziando
ad alterarmi, stringendo violentemente i pugni.
“Dico solo che per come sono andate le cose,
per lui è normale non essere qui adesso…” riprende incolore, guardandosi le
unghie apparentemente disinteressata “Io ti ho raccontato com’è andata…
ma non ti ho fatto vedere com’è andata… ed è giusto che tu lo sappia…
così smetterai di pensare che io o chiunque altro avessimo qualche potere su di
lui, non l’abbiamo mai avuto su di lui normalmente, figuriamoci quel giorno… tu
l’hai fatto a pezzi, Granger…”.
“Io non ho fatto nulla, non ero io!” urlo
addolorata, anche se Pansy lo sa, anche se adesso tutti lo sanno che quella
mattina ad incontrare Draco non fui io. Seth mi tiene stretta per gli
avambracci, quasi impendendomi di muovermi, mi dibatto come un uccellino in
gabbia.
“Lo so… ora so che era Astoria…” commenta
piatta Pansy, guardando la finestra, lo sguardo di Dean corre veloce da lei a
me “Ma quel giorno… sembravi tu in tutto e per tutto… l’odore, la forma dei
capelli, il modo di parlare… non era Pozione Polisucco, non era tantomeno un
Confundus…”.
“Era Cordis Imitatio…” ribatto stancamente, cercando di parlare a voce più
bassa e calma, Seth finalmente mi lascia andare “Ho fatto delle ricerche in
Italia, avevo il sospetto che Astoria avesse fatto qualcosa di simile… quel
giorno non si smaterializzò con me e Dimitri… e pensai che avesse fatto
qualcosa per dividermi da Draco… non avevo la certezza che non lo avessero
ucciso, avevo solo la speranza che non fosse così, anche perché Dimitri aveva
sempre parlato di una parte della loro collaborazione per cui chiaramente
Astoria aveva un vantaggio e riguardava Draco, poteva solo voler dire che non
avesse mai rinunciato all’idea di diventare la signora Malfoy…”, sospiro
lungamente prima di riprendere: “Non mi aveva strappato dei capelli o altro…
non era Pozione Polisucco. E tantomeno un Confundus, forse ve ne sareste
accorti, abituato com’era Draco ad usarlo al Petite Peste anche quando c’era
Astoria… e trovai quest’Incantesimo. Vecchio, antico, quasi perduto, ma che
ovviamente Dimitri con tutta la sua conoscenza magica, sapeva come fare… letteralmente
si chiama Imitazione del cuore… due persone unite dallo stesso sentimento
entrano in risonanza l’una con l’altra. Una delle due ne può rubare per qualche
ora aspetto, ricordi, emozioni. A patto che l’altra persona sia
sufficientemente debole… ed io lo ero, ero sotto il controllo di Dimitri. Ed
Astoria in fondo, a suo modo, non ha mai smesso di amare Draco…”. Chiudo gli
occhi, una sequela di ricordi uno peggiore dell’altro mi si affastellano
davanti agli occhi e cerco di lasciarli al passato a cui appartengono.
Sospirando concludo con un filo di voce, rivolgendomi a Pansy: “Avevo fatto
sogni strani… tu… che piangevi… e Draco… che…”. Non riesco a finire la frase,
quell’immagine era stata così straziante che mi ero chiesta che cosa avessi
potuto pensare di così terribile da fare un sogno simile. Poi, quando avevo
avuto modo di riflettere, avevo ipotizzato con angoscia che poteva essere
successo davvero.
“Draco che perdeva il controllo? No,
quello non puoi averlo visto…” dice sadica Pansy, un sorriso amaro sulle labbra
sottili. Estrae la bacchetta dalla tasca della sua gonna, la punta alla tempia
e ne esce un rivolo argentato. Con un altro movimento flessuoso fa comparire un
Pensatoio in cui riversa il ricordo appena estratto dalla sua memoria.
Con un sospiro greve, mi sporgo con Seth oltre
la superficie tremolante del Pensatoio, dove fluttua e prende definizione il
ricordo di quella mattina di cinque anni fa.
Un reggiseno rosso
sotto il tavolo della cucina.
Pansy lo afferra con
due dita schifata, china in ginocchio sul pavimento, e lo getta distrattamente
nel sacco dell’immondizia che Lyria tiene aperto. Borbotta afona insulti e
maledizioni all’indirizzo della misteriosa “donna scarlatta” che ha pensato
bene di dare sfoggio delle sue doti amatorie nella sua cucina, alla sua
festa di compleanno. Non che la sua festa, quell’anno, fosse stata il massimo
del divertimento… Robert, quel dannato vecchio che sopportava solo perché era
l’avvocato dei suoi genitori, era caduto in una delle fontane del giardino facendo
scappare l’ultimo esemplare di cigno bianco di sua madre. Daphne Greengrass si
era ubriacata ed era svenuta in giardino, peraltro dimenticando tutto quello
che era successo nelle ore precedenti, compreso il ricatto di Pansy per
l’incontro con Potter. E adesso doveva dirle tutto daccapo… come se non
bastasse, Pansy aveva cercato di cancellare Blaise dalla sua mente, pomiciando
con uno che conosceva appena e che aveva pensato bene di vomitarle tutto il punch
alla frutta sull’ultimo paio di scarpe di velluto che possedeva.
Pansy riemerge da
sotto il tavolo sudata ed accaldata, è una mattina umida di fine giugno, di
quelle dove persino respirare è faticoso e dove ti senti sempre appiccicaticcia
e nervosa. Lyria è abituata alle sue intemperanze acide, ai suoi rimproveri
caustici e alle sue frecciate pungenti, quindi, vedendola scura in volto, pensa
bene di arretrare e di fingere di guardare attentamente il contenuto del sacco
dell’immondizia.
Pansy non avrebbe mai voluto
fare una festa per il suo compleanno, spendere soldi inutili, fingere di
adorare persone che odia, nascondere la piaga purulenta che eruttava quando
Blaise le passava accanto e volutamente le sfiorava la schiena, una spalla, una
ciocca di capelli. Lei chiudeva gli occhi tremante, stringeva le labbra e
lasciava che il corpo si godesse la carezza per un attimo. E poi apriva gli
occhi e vedeva Draco e la Granger.
Provava schifo per
loro due, come negarlo. Di primo acchito la coglieva incredulità, repulsione,
l’insana speranza che fosse tutto uno squallido sogno. Era di Draco Malfoy che
si stava parlando, il suo amico, il principe dei Serpeverde, quello che, se al
mondo pazzo in cui vivevano non fosse saltato in mente di esplodere, avrebbe
potuto avere ogni donna del mondo. Aveva avuto persino Helena Greengrass… e
adesso si accontentava della Granger.
In quei momenti a quel
pensiero, le veniva quasi da gridare per il nervosismo: avrebbe legato Draco ad
una colonna, lo avrebbe fustigato fino alla follia e lo avrebbe fatto
rinsavire, ecco.
E quella stessa
identica fantasia si era materializzata quando lui le aveva detto con la più
ingenua e beata delle espressioni, che voleva chiedere alla Granger di sposarlo.
Con l’anello di sua madre. Dopo solo dieci giorni che stavano assieme.
Pansy in quel momento,
aveva aperto e chiuso la bocca come se stesse andando in iperventilazione,
mentre Draco le mostrava l’anello di Narcissa. Come se non se lo ricordasse… da
ragazzina era stato la sua ossessione. Un diamante di un carato, tagliato a
cuscino, circondato da una doppia fila di ulteriori brillanti. E diamanti anche
sulla fedina. Era tipo una leggenda, tra le Purosangue della sua età.
Tramandato di generazione in generazione dai Malfoy, era il sogno proibito di
ogni ragazza.
E lei ricordava
perfettamente come lo sfoggiasse fiera Cissy… e, a quel pensiero, aveva avuto
un travaso di bile non da poco. Adesso sarebbe diventato della Granger, che
manco ne avrebbe apprezzato il valore.
Aveva aperto la bocca,
pronta ad una sequela di insulti… che non erano arrivati. Era bastato guardare
Draco per fermarsi.
La luce che aveva il
suo viso al pensiero di chiedere in moglie la Granger, era tipo più
luminescente di ottomila diamanti da quindici carati. E quella luce non era una
novità: l’aveva dalla mattina successiva al suo ritorno, quando salutando Pansy
stessa a malapena, aveva passato tutta la colazione a guardare la Granger che
beveva uno stupido succo di frutta.
Draco lo avrebbe fatto
lo stesso, anche senza la sua approvazione… ma senza di essa, lo avrebbe perso.
Quindi aveva
pronunciato qualche velenosa frase di convenevoli, gli aveva dato un pacca
sulla spalla di incoraggiamento ed era uscita, una stretta insopportabile alla
bocca dello stomaco. Che non era gelosia, invidia, o altro. Certo, aveva amato
Draco, molto, era il suo primo amore. Ed era il suo migliore amico. Quindi
ovvio che le dispiacesse che volesse stare con la Granger… ma non era questo.
Non era nemmeno
l’invidia per un diamante da decine di migliaia di sterline, anche se le
sarebbe sembrata la spiegazione più ovvia, vista la vita da poveraccia che era
costretta a fare.
Ma invece che
invidiare dell’amore quel suggello luccicante da poter mostrare e sfoggiare ad
ogni piè sospinto, lei invidiava l’amore stesso. Quello che fa superare ogni ostacolo, quello che ti fa
decidere di stare con una persona anche se tutto l’Universo ti si rivolterà
contro. Blaise poteva regalarle anelli come quello se solo l’avesse chiesto, se
solo il suo orgoglio fosse morto ed avesse deciso di chiederglielo. Le avrebbe
regalato un anello con gioia, perché facendoglielo mostrare alle amiche, lei si
sarebbe sentita soddisfatta ed appagata, non chiedendo niente di più. Ma lei
non avrebbe mai potuto dire che era un anello di Blaise, ci mancherebbe. Era
l’amore, quel tipo particolare di amore, che Blaise non poteva darle.
Quell’amore che era al
contempo, salvezza e dannazione… quello che se ti colpisce come un fulmine a
ciel sereno, devi solo arrenderti e basta. Quell’amore che aveva condotto Draco
a portarle la Granger in casa, pretendendo la sua approvazione, senza nemmeno
chiederla, perché sapeva che, disapprovando lei, avrebbe al contempo rigettato
lui. Quell’amore che aveva inumidito gli occhi della Granger mentre le diceva:
“Quando tornerà, perché lui tornerà, arriverò a cambiare anche tutto il mondo
pur di restare con lui, senza bisogno dei consigli di una come te... subite
pure il mondo che vivete, io ho smesso di farlo…”. Facendole spezzare il cuore.
Perché, per lei, nessuno avrebbe cambiato il mondo. Per lei, al massimo, lo si
subiva.
Pansy Parkinson non è
abituata all’onestà nemmeno con sé stessa. Quei pensieri come una lanugine
biancastra le ingolfano la mente, facendola sentire solo confusa e vagamente in
colpa. Per una come lei, non è normale, sano ed auspicabile trovarsi ad
invidiare Hermione Granger. Come se avesse a che fare con della sgradita
polvere, nasconde quella punta d’insoddisfazione sotto una carrellata di pensieri
sciocchi e futili tra cui primeggia il suo programma di attività, non appena
sarà giunta a Parigi.
Ma non fa in tempo a
pensare a nulla che un tramestio per le scale la fa trasalire improvvisamente,
Lyria spaventata molla il sacchetto dell’immondizia che ricade per terra con un
tonfo secco.
“Raccoglilo…” le
ingiunge gelida Pansy, sollevandosi da terra e attraversando la cucina. Apre la
porta per raggiungere le scale, pregando in tutte le lingue del mondo compreso
il serpentese, l’eschimese e il cinese mandarino di
saper fingere in modo convincente un infarto del miocardio, se il rumore è
stato provocato dalla Granger che vuole raccontarle della proposta di
matrimonio.
Ma a scendere le scale
non è stata Hermione Granger, con un anello al dito e l’espressione di chi ha
appena vinto la lotteria del destino.
A scendere le scale è
stato Draco Malfoy, il completo grigio della sera prima ancora addosso
completamente spiegazzato, i capelli arruffati di chi si è appena svegliato,
gli occhi cerchiati e rossi. Fermo ai piedi della scala, il respiro ansante, si
guarda furiosamente attorno, il respiro convulso.
Di primo acchito,
Pansy non lo guarda in viso, lui le dà le spalle e continua a guardare a destra
e sinistra, percorrendo con lo sguardo tutto l’ingresso, non accorgendosi di
lei. E Pansy automaticamente incrocia le braccia al petto, rotea gli occhi con
fastidio ed apre le labbra pronta a dire qualcuna delle sue frasi velenose, che
in realtà nascondono l’affetto per il suo amico. Forse per un solo istante,
mentre pensa di esordire con un commento caustico sul completo grigio usato
come pigiama, è davvero contenta per Draco, gli augura la felicità con Hermione
Granger, spera che Serenity lo veda come un padre. Per un momento, un fosco
momento nella luce pallida del primo mattino, Pansy Parkinson è prodiga di
benedizioni che, piovendo come incenso sul capo di Draco, di riflesso vanno ad
indorare anche quello meno gradito della Granger. E non la invidia più, perché
se rende felice Draco, merita di essere felice anche lei.
Per un momento, Pansy
augura il bene a chi ama e per quello, a tempo debito, lei stessa avrà la
ricompensa di un amore che sfida tutto, compresa sé stessa.
Ma è solo un momento.
Poi Draco si gira e le
sue labbra si serrano perché lei non resterebbe mai a bocca aperta, mostrandosi
sconvolta. Solo le sue braccia abbandonano il loro confortevole posto
incrociato e le cadono lungo i fianchi, dandole l’aspetto di una che sta
aspettando una spada di fuoco che le piova dal cielo senza preavviso e senza
scampo alcuno. Pansy non ha mai capito il tono orgoglioso e tronfio di chi
sostiene di conoscere qualcuno meglio di sé stesso: non capisce, né capirà mai
una rinuncia così palese ed ingiustificata del proprio sano egocentrismo, né
tantomeno cosa ci sia di così meraviglioso in un’osmosi di sentimenti e umori
da rendere pazzo chiunque la viva.
Chi desidererebbe mai
soffrire per un dolore altrui, che riesce a riconoscere perfettamente nel volto
di un’altra persona?
Pansy ama le
sensazioni represse per pudore ed orgoglio, ama le zone nascoste dell’anima,
ama i segreti soffici, ama l’eco dei pensieri nella sua testa quando non
diventano parole rivelate a qualcuno. Eppure, anche se non l’ha mai desiderato,
anche se non l’hai cercato, anche se, qualora se ne rendesse compiutamente
conto, probabilmente si sentirebbe non meno che agghiacciata, lei conosce Draco
meglio di sé stessa.
Ne conosce soprattutto
il dolore, perché a quello Draco si è abituato bene nella sua breve vita.
Draco si volta e Pansy
ne distingue ogni minima crepa nel viso contratto che ora la fissa, negli occhi
allucinati di cui resta solo un cupo riflesso di perla, ormai inghiottito dal
nero della pupilla terrorizzata. Conosce quel sudore freddo sulla fronte
madida, la pelle del collo che pulsa bianca, conosce il cuore che sembra quasi
esplodere fuori, conosce quei gesti mozzicati, goffi ed ineleganti che non
conoscono più la galanteria fredda che hanno imparato sin da bambini.
In fondo, chiunque sa
che la paura è sempre molto poco educata.
Lui non avrebbe
nemmeno bisogno di parlare, che Pansy ha già capito: quando il dolore ti
trasfigura il viso, quando è così evidente nei tratti che sono sempre stati
abituati a celare, il dolore può essere solo riflesso della gioia.
Quando ti distruggono
la più grande felicità che tu abbia mai provato, per contrappasso vieni
ripagato con il dolore più sterminato di cui tu possa mai soffrire.
Pansy allora pensa di
essere fortunata, è un attimo ma lo pensa davvero. Perché lei non è mai stata
così felice come Draco in questi dieci giorni: amava Blaise, certo, lo ama
ancora, ma è sempre stato un sentimento di ripiego, di quelli a cui non lasci
nemmeno l’ombra di un sorriso sulle labbra per paura di risultare patetica o
per paura che qualcuno se ne accorga e te lo strappi via. Draco invece aveva
profuso gioia per giorni, si era inginocchiato alle promesse del tempo che
aveva creduto benevolo, si era affidato ad un destino o ad un Dio che oramai da
lui aveva preteso troppo, prendendosi tutto. Ed ora il conto salatissimo era
arrivato.
Pansy avrebbe finto di
dimenticare in fretta il viso di Draco di quel giorno, perché le cose che le
spezzavano il cuore, lei le nascondeva sempre in fondo a sé stessa, così da
poter negare persino che ce l’avesse un cuore.
Ma quel viso era un
monito, per lei: sarebbe spuntato una mattina di sole inquieta a Parigi, due
anni dopo, quando avrebbe detto ad un ragazzo nato babbano, che lo amava,
mentre lui le porgeva un libro che aveva dimenticato.
Quando l’avrebbe
stretta, quando l’avrebbe baciata, quando le avrebbe risposto allo stesso modo
facendola volteggiare in Place de l’Opera… lei
avrebbe ricordato il viso di Draco. E lì, avrebbe avuto paura di essere felice.
Da quel momento in avanti, Pansy avrà sempre paura di essere felice.
“Dov’è?!” Draco si
volta verso di lei, le mani contratte in due pugni silenziosi, il respiro
ansante “Dov’è lei?”.
Non la chiama per
nome, non usa il suo nome di battesimo, come se non lo volesse sciupare, come
se lui potesse usare un pronome femminile solo per parlare di Hermione Granger,
non per parlare di una qualsiasi altra donna al mondo.
Pansy vorrebbe avere
una risposta qualsiasi, vorrebbe anche avere una di quelle frecciatine
sarcastiche che sono sempre a sua disposizione come i dardi di una faretra, ma
invece resta in silenzio, attonita, come se avesse avuto uno schiaffo. Pensa al
alla luce sfarzosa dell’anello di Cissy … e l’istinto della donna le dice che
lei, la Granger, non ce l’ha fatta. Pensa subito che non ha voluto. Ma l’amica
fa tacere la donna, si dice che è impossibile, che la Granger in fondo ama
Draco, che lo sposerà sicuramente, che non è così stupida da buttare all’aria
un amore così. Un lampo le curva la schiena, facendole drizzare i capelli sulla
nuca, la ricorda davanti a quello specchio la sera prima, le spalle incassate,
gli occhi rivolti vergognosamente in basso.
Non risponde alla
domanda di Draco, in un attimo la donna prevale e le sembra ovvio chiedere:
“L’anello… quello di tua madre… l’hai dato anche ad Helena vero?”.
È come aver preso un
coltello ed averglielo calato nelle viscere: Draco si piega, il respiro si
spezza, gli occhi si eclissano. Pansy constata con terrore che vorrebbe persino
piangere, ma si sta trattenendo perché davanti a lei, alla sua amica, a quella
che erroneamente lo crede invincibile, lui non piangerebbe mai. Si scompiglia i
capelli, tentando di sembrare disinvolto, ma stringe forte le ciocche nella
mano come a strapparli con forza dal cuoio capelluto.
Sussurra con un
tremito della voce: “Ho fatto una cazzata… la più grande che potessi fare in
tutta la mia vita… era l’anello di mia madre, prima che essere quello di
Helena… e io non volevo che pensasse… per me era solo importante, per me era
solo dirle che è importante come mia madre, come Helena… più di loro due messe
assieme… ma… lei…”. Non aggiunge altro, si accascia sulle scale, si prende la
testa tra le mani, i gomiti poggiati sulle ginocchia che tremano. Da qualche parte
giunge ancora la sua voce, è un flebile bisbiglio che sembra lasciare a fatica
la sua bocca come se fosse un peccato pronunciare quelle parole.
“Dice che non riesco a
lasciare andare Helena…”.
Pansy fa qualche passo
incerto sulle gambe, si siede sul gradino accanto a lui e sospira lungamente.
Concede solo quello a sé stessa e a lui, non conosce come si dice una parola
gentile, sa solo spronare a suo modo con insulti al vetriolo. Si ferma mentre
sta per abbracciarsi le ginocchia come quando era piccola e c’erano i
temporali. Non sapeva allontanarsi dalle finestre e dai vetri scossi dai tuoni
e sferzati dal vento, ma si abbracciava le ginocchia come a trattenersi tutta
intera, come a racchiudersi in un bozzolo che la tempesta avrebbe trovato
sempre inaccessibile.
Si stira un’invisibile
piega sulla gonna cremisi e mugugna solo: “Gli incantesimi di Raissa non si
sono mai spezzati… sarà qui da qualche parte…”.
“E poi? E poi che
succede Pans?” le dice Draco implorante, sollevandosi dritto e guardandola
negli occhi come non aveva mai fatto. Pansy trasale, chiude gli occhi, alla
fine si abbraccia le ginocchia.
L’amore è analgesico
della paura, lo seda e lo mette a tacere, lo trasforma in coraggio spavaldo, in
voglia famelica di vivere, in arroganza verso chiunque non provi amore
esattamente come te. Quando l’amore vacilla, quando chi ami sparisce, quando
spezzi il cuore che ti ha somministrato in vena l’eroina più buona che potrebbe
esistere al mondo, quando vai in astinenza da onnipotenza, il buio viene
portato sul piedistallo della tua testa. Ti riscopri codardo come coniglio,
timoroso di ogni rumore e di ogni respiro più intenso, spii il tuo stesso fiato
nei polmoni e lo conti nel timore che sfugga via, lasciandoti esanime. Pansy sa
che cosa intende Draco: lei non c’è, la Grifondoro che gli ha iniettato la
forza e la pretesa della felicità non è accanto a lui. E ora Draco teme il
futuro, la vita, il caso. Teme lei stessa, teme l’amore e teme ogni cosa. Ha
avuto un assaggio di cosa succede quando la droga scarseggia, quando non c’è
più a darti l’estasi colorata dei sensi. Che farà lui, allora? Cerca risposte,
cerca un’altra forza che non ha.
Pansy si dondola sulle
ginocchia chiudendo gli occhi, le parole marciscono in lei come foglie morte. È
il momento, adesso o mai più. Lo può afferrare dall’orlo del precipizio, farlo
tornare indietro e salvarlo. Disintossicarlo, chiuderlo in una stanza soffice e
sicura ed impedirgli di soffrire. Perché lei lo farà soffrire, è ovvio, e una
parte nascosta della sua testa le suggerisce che anche lui farà soffrire lei.
L’altro lato della medaglia di quell’amore è quella sofferenza e quel dolore.
Chi ama così tanto, è
condannato.
Può salvarlo adesso.
Può salvare anche Hermione Granger adesso, per quanto le importi. Li ha
entrambi ad un tiro delle sue dita chiuse, basta una sola parola, basta un solo
fiato.
“Che cosa devo fare?”
sussurra ancora Draco, più a sé stesso che a lei. L’attesa suggerisce la sola
risposta, la risacca del coraggio sferza le sue parole rendendole già più
ferme, già meno vacillanti. La schiena torna più dritta, gli occhi più intensi,
le labbra si serrano in una morsa decisa ed implacabile. Ma aspetta la risposta
di Pansy, la aspetta ancora, come una rassicurazione in fondo voluta, come se
davvero ne avesse bisogno. Pansy gli è grata per questa ricerca del suo
consenso.
E lo lascia a penzolare
nel vuoto con un sorriso: se c’è anche una sola possibilità che Hermione Granger lo faccia
volare, lontano dal fondo limaccioso in cui le serpi come loro hanno sempre
strisciato, vale anche prendersi il rischio che si sfracelli al suolo.
“E’ semplice Draco...
fai la sola cosa che la tratterrà accanto a te…” bisbiglia sofferta,
sciogliendo la presa sulle ginocchia e poggiando le braccia dietro di sé “ E
sai perfettamente qual è…”.
I lineamenti del viso del
ragazzo si addolciscono, spunta persino un sorriso sulle sue labbra ed una luce
nuova negli occhi: è un bambino che si lambiccava su un problema di matematica
difficilissimo, prima di capire che bastava una sottrazione per risolvere il
tutto. Draco deve sottrarre Helena dal suo cuore, se vuole che ci abbia casa e
dimora perenne Hermione Granger. E’ così semplice che a Pansy viene quasi
scioccamente da ridere, ma sa che le cose più sembrano semplici, più in realtà
sono voragini ed abissi intricati di difficoltà e sforzi. Estirpare Helena da
sé, per Draco, sarà la cosa più complicata che esista… ma esiste una cosa più
complicata per lui. Vivere senza Hermione Granger. Quindi tutto il resto,
necessariamente, deve essere semplice, deve diventarlo per un logico principio
di sopravvivenza: senza il ricordo di Helena, senza il pensiero di vendicarla,
lui perde una parte di sé. Senza Hermione Granger, lui perde tutto.
Perché lei ormai gli è
entrata dentro, e Pansy se ne accorge dal gesto sciocco che fa adesso, mentre
sembra più disteso e ha il respiro più calmo. Le mette un braccio sulle spalle,
la attira verso di sé e lascia che appoggi la tempia sulla sua clavicola.
Le bacia da fratello
la testa, prima di lasciarla andare. E Pansy non fa nulla per fermarlo, non fa
nulla per rinfacciargli quel gesto, anche se capisce che non è suo, anche se
comprende fino a che punto Hermione gli sia entrata nel sangue. Forse è anche
dentro di lei, dentro le lacrime che le affollano gli occhi, mentre cerca con
un gesto noncurante della mano di rimandare al mittente quell’imbarazzato
ringraziamento.
È entrata dentro a
tutti loro, dannata Mezzosangue.
Improvvisamente
sentono un rumore su per le scale, Draco si alza in piedi di scatto come una
molla, sperando che si tratti di Hermione. Sulle scale, invece, avvolta in una
vestaglia nera di seta, c’è Raissa. Le spalle di Draco si afflosciano su sé
stesse, mentre lo sguardo da cane braccato riprende vigore sul suo viso. La
Granger ancora non si fa vedere. Pansy solleva lo sguardo verso Raissa,
sollevandosi in piedi a sua volta, cerca di farle capire con un’alzata di
spalle o un’occhiata sarcastica che i piccioncini di casa hanno di nuovo
litigato, e che loro ne andranno di mezzo. Certo, non è una lite come le altre,
anzi è LA LITE, con tutte le maiuscole e i grassetti del caso, ma questo lei
non lo direbbe mai, a meno che non vi accennasse Draco stesso.
Non si fida di Raissa,
Pansy non si è mai fidata. Ovviamente è più simile a lei di quanto lo sia la
Granger, e questo ha fatto sì che tra le due si innescasse una sorta di
confidenza storta, la quale si nutre di occhiate e cenni del capo a cui non c’è
bisogno di dare spiegazioni e significati. Ma Pansy descriverebbe quell’idea di
intimità con una stanza in cui si è rinchiusi per ore con due persone: una che
parla la tua lingua, mentre l’altra ha un idioma completamente diverso. Ecco,
ovvio che parleresti di più con quella che parla come te, limitando all’altra
gesti affrettati e mozzicati da tradurre di volta in volta… ma questo non significa
che effettivamente ci sia un legame con la data persona.
E Pansy, sebbene non
se lo direbbe mai apertamente, si affiderebbe più ad Hermione Granger e alla
sua lealtà smisurata e ridicola, che a Raissa Karkaroff e alla sua presunta
onniscienza gelida.
La guarda con gli
occhi socchiusi, anche adesso ha qualcosa nell’atteggiamento che non la
convince. I capelli sono perfettamente in ordine, gli opali che porta sempre
alle orecchie tintinnano lievemente, persino la seta della vestaglia non ha la
benché minima piega come se lei nemmeno respirasse… ma sotto le palpebre, nel
vederli, passa rapido un guizzo di luce che sparisce subito dopo. Pansy lo
nota, però, così come nota la mano che si stringe attorno ad un libro che ha in
mano. Ha il frontespizio azzurro tutto rovinato, sotto spicca il rosa di una
vecchia copertina. Il titolo del libro stesso è illeggibile, rimangono solo
sparuti segni dorati.
Quel libro non è di
Raissa, è della sua libreria, Pansy lo riconosce perché è un libro vecchio che
si ripromette sempre di gettare via, ma che invece sopravvive quasi con
dispetto, longevo, godendo delle sue dimenticanze e delle sue mancanze come
padrona di casa. Non ricorda di che parli, forse non lo ha mai nemmeno aperto,
non è nemmeno così vecchio da essere prezioso, perché altrimenti lo avrebbe
venduto, sicuramente. È un libro vecchio come tanti altri.
Raissa ha venduto
l’amore per suo padre per ottenere una smisurata conoscenza. Sapeva tutto dello
Zahir e di Adamar, due dei segreti più vecchi e nascosti della storia della
magia.
Che se ne fa di un
libro della sua biblioteca? L’aiuta a dormire, leggere cose che conosce
perfettamente?
Pansy continua a
guardarla mentre scende pigramente le scale, il libro ancora tra le mani, le
unghie smaltate di rosso scuro graffiano la copertina.
Pansy getta uno
sguardo in tralice a Draco, ovviamente perso nei suoi pensieri. Dovrà cavarsela
da sola. Al più presto, dovrà mettere mano su quel libro.
“Raduno mattutino?”
commenta Raissa con tono di voce strascicata, finendo di scendere gli ultimi
gradini “La festa non deve essere stata granché se siete in piedi già adesso…”.
Draco non la fa nemmeno finire di parlare, trafelato le chiede: “Hai visto
Hermione?”. Pansy nota ancora l’esitazione che ha per un secondo nel
rispondergli, sa che anche Draco se ne accorgerebbe se fosse in pieno possesso
delle sue capacità analitiche, ma ovviamente lui non ci fa il benché minimo
caso. Pansy socchiude gli occhi, fissandola con attenzione. Ci ha messo solo un
secondo di più del dovuto per dire: “Non lo so… io non la vedo da ieri
pomeriggio…”. Ha dovuto pensarci, e questo a Pansy continua a non piacere.
Un nome si forma nella
sua testa, rapido, come un bagliore diffuso di tenebra. Dimitri.
Lo ricaccia indietro con
un nodo in gola, guardando alternativamente Raissa e Draco, ha bisogno di
parlare sola con lui. Se non trovano subito la Granger, la sola spiegazione può
essere che Raissa l’ha venduta a suo fratello. D’accordo, hanno litigato ma lei
non si sarebbe mai allontanata da lì. Non è così stupida… e tecnicamente
nemmeno può, gli incantesimi la relegano nella villa. A meno che…
“Gli incantesimi che
impediscono alla Granger di uscire… ci sono ancora?” chiede in un soffio,
guardando Raissa negli occhi. Draco la guarda senza fiato, per un attimo il
mondo attorno gli sembra improvvisamente di nuovo esistente, lo sente chiudersi
a cerchio attorno a loro e premere come un serpente. Si aggrappa alle labbra rosse
di Raissa che, giudice di ultimo grado, sussurra solo dispiaciuta: “Non credevo
che servissero più… era complicato per me tenerli in piedi… ho lasciato solo
quelli che impedivano a Dimitri di entrare… non a lei di uscire… ma perché,
pensiate che sia andata via? Non lo farebbe mai…”.
Draco prende con
collera un vaso colmo di fiori rossi da un tavolino, lo scaglia violentemente
al suolo bestemmiando ed urla di rabbia ed angoscia. Pansy non distingue il
fragore, non sente le gocce d’acqua colpirle i piedi, non avverte la sofferenza
agonizzante dei suoi fiori che perdono il contatto con la vita liquida e
surrogata che li fa sopravvivere. Sente solo le eccessive parole con cui si è
giustificata Raissa. Sente solo che ha detto troppo. Sente solo che, a quelli
come loro, basta molto meno per dire qualcosa. E sente solo il tono sommesso di
chi ammette un errore. Loro, non lo fanno mai. Raissa l’ha appena fatto.
La Granger poteva
uscire dalla villa. Raissa ha volutamente lasciato che le difese cadessero. Là
fuori c’è Dimitri. Troppo facile fare due più due: Draco non la rivedrà mai
più.
Lui, però, è sedato
dall’amore e dalla speranza e non vede niente con chiarezza: vede solo il suo
sbaglio, quello che ha la durezza di un diamante donato con troppa leggerezza.
Quell’anello che le ha voluto regalare senza pensare alle conseguenze, illumina
la mente di Draco di mille screziate sfaccettature una peggiore dell’altra, ma
sono riflessi ciechi che isolano tutto il resto e mettono al centro solo loro
due, in modo egoisticamente desolante.
Draco pensa che il suo
errore sia stato chiedere ad Hermione di sposarlo con l’anello di Helena, crede
che lei è andata via per ricongiungersi a quel mondo che era solo suo e che ha
continuato ad alitarli addosso, da fuori quel cancello.
Pansy inizia invece a
pensare che l’errore di Draco sia stato farla uscire dalla loro camera quella
notte, perché un amore del genere, per sopravvivere, te lo devi legare al polso
con una corda corta. La libertà, in amore, loro non se la potevano concedere.
Sta pensando a quello,
sta pensando di dirlo a Draco, sta pensando alle parole giuste perché ormai lei
pensa anche alle parole giuste da dire, non le dice e basta senza curarsi del
risultato… quando l’artefice delle sue riforme a livello lessicale, compare
improvvisamente in un angolo della stanza, dopo essersi smaterializzata. Pansy
non sa, non se lo aspetta e non lo immagina, ma quel sollievo che adesso ha
sentito nello stomaco sarà la cosa di cui maggiormente si vergognerà nella
vita.
Lo troverà ancora in
fondo a sé stessa un’ora dopo, quando tutto il suo mondo si sarà rovesciato. Ed
odierà Hermione Granger come non ha mai nemmeno lontanamente fatto in passato.
L’ha sempre odiata per cose che non avevano a che fare con lei. Nessun motivo
personale, solo l’eredità nauseabonda di un sangue sporco. Ora l’avrebbe odiata
per tutto quello che aveva a che fare con lei, per tutto ciò che suo malgrado,
aveva conosciuto di lei.
E, per aver conosciuto
quelle cose, avrebbe odiato sé stessa ancora più di quanto odiasse lei.
Ad ogni passo della
Granger nel salotto, il respiro di Draco si scioglie, si calma. Le mani si
decontraggono, le spalle si rilassano, i fortunali negli occhi cessano di
spargere fulmini. Pansy respira a sua volta, chiude gli occhi per un istante,
per poi riaprirli mentre la guarda con il solito sguardo tagliente. Mette anche
le mani sui fianchi, pronta ad una ramanzina acida delle sue, si dimentica
completamente di Raissa alle sue spalle che stringe con forza il libro nelle
sue mani, il labbro che le trema.
Quando Hermione
compare nel cono di luce della finestra, Pansy lascia ricadere le braccia lungo
i fianchi e si chiede se non è diventata paranoica. È lei, è la Granger, ma al
contempo appare diversa. Non è più vestita come la sera prima, ha un paio di
jeans ed un gilet sempre dello stesso tessuto, su una maglia bianca a maniche
corte. I capelli sono lucidi ed annodati in una treccia che le cade su una
spalla, ai piedi ha delle scarpe da ginnastica rosse di tela. Al collo, non c’è
più la collana che le ha dato la sera prima. Il viso è pulito, tranquillo,
apparentemente privo di alcuna traccia di turbamento. Le labbra sono distese in
una piega rilassata e gli occhi sono limpide pozze calme. Pansy crede persino
di distinguere un sorriso, lieve, fumoso, stridente.
Poi solleva gli occhi
e si accorge di loro. Improvvisamente un’onda di marea le rapisce la calma e la
freddezza, torna sé stessa in un attimo e cambia completamente. Si mordicchia
nervosamente il labbro, gli occhi diventano lucidi e rossi, le spalle si
incassano, appare persino più spettinata e meno ordinata nell’abbigliamento. I
passi si arrestano proprio di fronte a loro, mentre, a testa bassa, rimane
immobile al centro dell’ingresso come una condannata che aspetta il giudizio.
“Si può sapere dove
diamine sei stata?!” Draco non fa un passo nella sua direzione, non si muove,
ha il contegno severo e sollevato di un padre che vede rientrare la figlia
troppo tardi. Pansy, a disagio, vorrebbe allontanarsi, lasciarli soli, ma è
inchiodata al pavimento. Raissa, dietro di lei, prende a salire le scale in
silenzio, diventando inaspettatamente veloce sui gradini più in alto, e
sparisce nel corridoio. Il rumore della porta della sua camera che si chiude,
risveglia Pansy che, senza dire una parola, sale a sua volta le scale e svolta
nel corridoio. Ma poi, semplicemente curiosa, inaspettatamente sospettosa,
inconsciamente interessata, resta con la schiena contro la parete, origliando
che cosa si stanno dicendo.
“Non potevo restare
qui, te l’ho detto… avevo bisogno di schiarirmi le idee…”. La voce della
Granger è velata, soffusa, sembra persa in un mondo tutto suo. Un mondo che già
ha scavato solchi e fossi tra lei e Draco.
Pansy non sa come
distingue il respiro di lui accelerare di nuovo, lo sente fare un piccolo e
minuscolo passo, che però riecheggia enormemente nell’androne deserto mentre
calpesta un frammento del vaso che ha rotto poco prima.
Il tempo scompare di
nuovo, mentre la Granger implora sofferta, la voce incrinata, il respiro a
pezzi: “Per favore… resta lì… non ti avvicinare… h-ho bisogno di parlare…”.
“Non abbiamo parlato
abbastanza ieri sera? Non hai già espresso in tutti i modi le tue interessanti
quanto poco veritiere riflessioni?”. Draco ha di nuovo gli accenti duri e rochi
del suo consueto conversare, flette le parole di rabbia repressa a stento. La
notte appena passata, l’alba senza di lei, l’angoscia al pensiero che se ne
fosse andata senza una spiegazione… tutto gli provoca rabbia. Pansy sente il
mulinare dei suoi sentimenti come un uragano di vento che acquista velocità.
“Veramente per i miei
standard ho anche parlato poco… e ho espresso un decimo di quello che volevo
dire…” Hermione ovviamente, come sempre è stato e come sempre sarà, non si fa
alcuna remora nel rispondergli, le sfugge il solito tono di voce caustico ma
con una punta di veleno che non ha mai avuto. Poi ancora la voce le si spezza e
prosegue incerta: “…ma se mi facessi la grazia di lasciarmi finire di…”.
“Il problema è
l’anello, vero? E quello che credi che ci sia dietro… è così?” Draco la
interrompe ancora, ha la voce affannata, celere, rapida. Sembra persino che
abbia il fiatone.
“Draco, non è per
quello… c’è anche che…”.
“Ascoltami, per una
benedetta volta!” le urla contro, sordo alle sue rimostranze, Pansy se lo
immagina con il volto chiazzato di rosso e gli occhi ciechi di nervosismo “Non
hai solo tu l’esclusiva del diritto alla parola, te l’ha mai detto nessuno?!
Chiudi quella bocca ed ascolta…!”. Dopo un po’, riprende al silenzio della ragazza:
“Finalmente… veniamo alla maledetta storia dell’anello… che peraltro hai ancora
tu, quindi non credo nemmeno che tu non l’abbia gradito per nulla…”.
“Non lo vorrai
indietro adesso, spero…!” bercia nervosamente la Granger, balbettando a
disagio. Pansy si appoggia meglio alla parete, lo sguardo fisso sul dipinto di
fronte a lei, è una scena in stile amor cortese con un cavaliere che accetta un
omaggio dalla sua dama, una specie di fazzoletto ricamato. Pansy ha sempre
detestato quel quadro, ma piaceva molto a sua madre quindi non ha mai cercato
di rivenderlo per pagare i debiti. Lo fissa senza davvero vederlo, come quando
si hanno le orecchie assorbite da suoni così pressanti da rendere cieca la
vista. Forse è la sua mente così abituata a fare calcoli venali sul valore
degli oggetti, o forse è la permeabilità della mente di una bambina cresciuta
con quadri romantici e favole luccicanti. Non crede più a quelle cose,
ovviamente, ma esse sono sopravvissute riplasmandosi in un romanticismo più a
misura d’uomo e donna di tutti i giorni. E quindi è normale chiedersi dove la
Granger abbia cacciato quell’anello dal valore inestimabile e perché appaia
così terrorizzata al pensiero che lui lo rivoglia indietro… avrebbe dovuto
ridarglielo appena lo avesse visto, magari lanciandolo drammaticamente ai suoi
piedi. Non l’ha buttato via, quello no, non sarebbe da lei. Lo percepisce: Hermione,
con tutta la rabbia del mondo, non avrebbe mai fatto sparire l’anello della
madre dell’uomo che ama. Ma allora, dove ha messo l’anello?
“Non mi interessa
granché al momento…” riprende Draco con un filo di voce, ed anche Pansy si
convince che in fondo non importa dove abbia messo il prezioso solitario “Quell’anello
era di mia madre, prima di essere di Helena… lo sai perfettamente, hai visto i
miei ricordi, non c’è persona che sa queste cose meglio di te… e sai anche che
in realtà non è mai stato di Helena. Lei non l’ha mai indossato, non ci siamo
mai realmente sposati. Era solo un simbolo… una rivalsa solo mia per legarla a
me, quando lei apparteneva ad un’altra vita e ad un altro uomo…”, riprende
fiato prima di proseguire, la voce che vibra dell’attesa angosciosa di non riuscire
a spiegarsi: “Io amavo Helena, la amavo come non ho mai amato niente nella mia
vita… e poi sei arrivata tu… e tutto quello che credevo… tutto quello che
sapevo… tu me l’hai strappato di dosso pezzo per pezzo… sai che l’amavo, sai
anche quanto l’amavo, perché purtroppo conosci i miei ricordi… ma non è… come…
con te…”.
A Pansy fa male il
cuore nel petto, le fa male il silenzio cupo della Granger, le fa male la sua
resistenza. Lei sarebbe già saltata addosso a chi le avesse detto parole
simili. Ma lei è una Serpeverde, e non ha orgoglio. La Granger sì, per quello
Draco è costretto ancora a proseguire: “Ti ho dato quell’anello non perché tu
ti sentissi in competizione con Helena, o per dimostrarti che non l’ho mai
dimenticata… tutto il contrario. Per me… era un cerchio che si chiudeva. Non lo
avrei mai dato ad una donna che non avessi amato nello stesso modo… se non di
più… era delle donne che amavo, non pensi che darlo a te significa esattamente
lo stesso? Che ti amo come amavo loro?”.
Dal tono di Draco,
dalla linea scarna delle parole, dalla sequenza razionale delle frasi, a Pansy
sembra inconcepibile pensare che effettivamente le abbia dato l’anello per
motivi diversi da quelli che sta enumerando. Sembra persino ovvio che l’abbia
fatto solo per tributarle un riconoscimento pari a quello della prima donna
amata e della madre. È persuasivo, senza essere pressante, e convincente, senza
sforzarsi di esserlo. È solo vero, onesto. La Granger non può non capirlo.
“Io non la vedo così…”
la voce della Granger lo sfida, e Pansy sconvolta è quasi tentata di uscire
fuori allo scoperto e di iniziare ad urlarle in faccia. Poi si ricorda che
tecnicamente lei dovrebbe fare il tifo perché si lascino, non perché restino
assieme.
“Ok… lasciamo stare
questo benedetto anello…” prosegue Draco stoico, come se avesse trovato solo
una buca sulla strada e dovesse solo limitarsi ad aggirarla “Ammettiamo che
questa cosa poteva mandarti in confusione, ammettiamo che io ci ho visto
qualcosa di bello e che tu invece non hai visto tutto questo… ok va bene, te lo
posso riconoscere…”, sta persino ammettendo di aver sbagliato. Che diamine gli
hai fatto Hermione Granger?
“Dammi quell’anello e
facciamola finita con questa storia…” il tono scarno e sicuro fa sobbalzare
Pansy nel suo nascondiglio improvvisato, si tappa la bocca con la mano.
La Granger riprende il
suo tono da pulcino terrorizzato e biascica: “Che cosa? C-che vuoi farne?”.
“Distruggerlo… è un
diamante da migliaia di sterline… uno spreco, ma sai, sono un pragmatico… qualche modo deve esistere per distruggerlo,
chiederò a Raissa…”.
“Perché vuoi
distruggerlo?!!”.
“Ti dà fastidio che
esista? Ti dà fastidio che te l’abbia regalato? Pensi che te l’abbia dato
perché pensavo ancora ad Helena e volevo renderti ufficialmente la sua
sostituta?” Pansy sente i passi di Draco che lo avvicinano alla Granger, i
cocci di porcellana che si riducono in polvere mentre li calpesta. Si ferma,
forse ad un tiro dei suoi occhi, e sussurra, la voce calda e soffice: “Lo farò
a pezzi… e ti chiederò di sposarmi con un anello fritto di cipolla… quello, ad
Helena non l’ho mai dato… ed un giorno spero che guardandolo, vedrai quante
cose io non ho mai dato ad Helena, ma solo a te… visto che ancora non sei in
grado di vederlo…”.
Pansy si tocca le
guance, sono calde come se avesse la febbre. Si è ricordata cosa amava di
Draco, di cosa si era perdutamente innamorata anni prima, cosa l’aveva spinta a
concedergli il suo cuore, dopo avergli dato anche la sua verginità. Si è
ricordata del modo caldo che ha di parlare, di come sceglie le parole sempre,
sia nel caso in cui voglia colpire al cuore, sia qualora voglia semplicemente
farti a pezzi. Ha riconosciuto di nuovo quanto sia monogamo nei sentimenti: sebbene
sia un Serpeverde della peggiore risma, se qualcosa mette radici nel suo
essere, verdeggia e fruttifica come un albero dal rigoglioso splendore. Quando
ama, è per sempre. Si sente fiera di lui in un goffo modo che è solo amicizia,
affetto, memorie condivise, complicità.
Sa che la Granger non
potrà resistere, al pari suo: anzi per lei sarà peggio, perché quelle parole
sono per lei, perché lo ama, perché lui ha cambiato tutta la sua vita solo per
sfiorarla lievemente. E se lui le è entrato dentro anche solo la metà di quanto
lei è entrata dentro a lui, accetterà di sposarlo stasera stessa. Non ci
penserà un solo secondo, pur di non farselo scappare più via.
“Non è mai stato per
l’anello, Draco… l’anello, per me, è sempre stata una scusa…”. Pansy trasale,
senza accorgersene scivola e cade al suolo in ginocchio, una mano ancora sulla
bocca per reprimere un solo sospiro che le è uscito fuori. La voce della
Granger le è giunta attutita, sa che lui l’ha abbracciata, si deve essere
divincolata e ora ha detto quella frase senza senso, piangendo, imponendogli di
stare alla larga da lei.
“I-io non capisco…”
Draco non capisce sul serio, non ammanta la voce di sicurezza disinvolta o di
disincantato cinismo, non la prende nemmeno in giro come farebbe in altri casi.
Non capisce sul serio. Ci riprova ancora, ma già la voce si è incrinata, già ha
perso lo smalto, già improvvisamente teme di averla persa sul serio, in una
notte sola. Pansy vorrebbe dirgli che è impossibile, la bile le sale in gola e
vorrebbe urlargli che, se l’ha già persa, vuol dire che non l’ha avuta mai. Ma
non vuole dirlo, inaspettatamente non vuole avere ragione, non adesso, non con
lui, non con lei.
“E’ per Helena? Non
capisco, Hermione… vuoi che rinunci all’idea di vendicarla? L’ho già fatto…
inconsciamente l’avevo già fatto quando ho deciso di vivere accanto a te… cosa
altro vuoi? Cosa altro cerchi?”, la sua voce si carica di elettricità mentre
sussurra tagliente: “La sola cosa che ti è rimasta da farmi, è puntarmi una
stramaledetta bacchetta alla gola e farmi scordare davvero tutto di lei… ti
basterebbe questo?!”.
Forse la guarda, forse
legge qualcosa in lei che non sta dicendo, forse improvvisamente perde tutte le
speranze. Forse è tutto questo assieme.
Perché, quando Draco
parla daccapo, dice solo con un filo di voce: “… ma non è Helena il problema,
vero? Il problema… siamo io e te… giusto?”.
Pansy resta seduta per
terra, gli occhi chiusi, si abbraccia le ginocchia piegate. Sente le parole
della Granger, le sente una dopo l’altra che si inanellano perfette nell’aria
che li separa, come i granelli di una clessidra che inesorabile scandisce il
tempo che manca alla loro separazione. Ogni parola recide una speranza, ogni
parola le piega il petto in uno spasmo inconsapevole, ogni parola la convince
che Draco ha osato troppo, ogni parola le ricorda il mondo di cui hanno fatto
parte da secoli e che li candida ancora come le due metà dell’Universo. Ogni
parola dipinge la Granger di colori da Serpeverde: argentea di codardia e verde
di bugia. E se questo è ciò che sente lei, se immagina a che cosa sta pensando
Draco, le viene da graffiarsi il viso dall’ansia.
Farebbe di tutto per
risparmiargli quelle parole. La Granger poteva andarsene e non tornare più,
rifugiarsi nella sua torre d’avorio e dimenticarsi di lui. Invece ha dovuto
strappargli il cuore dal petto.
Perché lo sta facendo?
L’ha mai amato, allora?
No. Avrebbe dovuto
salvare Draco quando poteva… non l’ha fatto. E ora la Granger lo sta uccidendo
sotto i suoi occhi.
“Quando sono andata
via… stanotte, dopo che mi hai chiesto di sposarti con l’anello di Helena… ho
avuto modo di pensare. Tanto. A questi mesi… da quando ho messo piede al Petite
Peste fino ad ora. Ogni cosa mi è sembrata tornare al suo posto. L’amore per te
mi ha reso cieca, mi ha impedito di vedere tutto chiaramente… fino a stanotte,
fino a quando non sono rimasta davvero sola, fino a quando tu non mi hai
spezzato di nuovo il cuore e io te l’ho lasciato fare. È stato come mettere
distanza tra una falena ed una fiamma… sebbene mi mancassi, sebbene sentissi
che eri lontano, non andavo più a fuoco, non stavo bruciando. E finalmente
potevo vedere tutto in un modo completamente vero… onesto… reale. E sono
arrivata alle mie conclusioni. Sono scontate, ovvie, naturali… ed avrei dovuto
vederle come tali fin dal primo momento.
“Ho creato uno Zahir…
un incantesimo proibito da secoli, pericoloso per me e per te, pericoloso
persino per le persone con cui sarei venuta in contatto. Questo non fa parte di
me, se rivedo la persona che sono stata in questi mesi, accanto a te, io non mi
riconosco più. Mi era così insopportabile l’idea di essermi innamorata di te
che ho fatto una cosa del genere… e in questo Astoria aveva ragione. Ma lo
volevo negare a me stessa, volevo dirmi che era la sofferenza che mi era
insopportabile, che derivava tutto da una bugia che mi avevi detto, quella di
non amarmi… ma non è così. Pensaci Draco… pensaci davvero… non smetteremo mai
di farci del male, amare te non smetterà mai di spezzarmi il cuore. Avevamo
promesso di non farlo più… e tu mi avevi chiesto se mi saresti bastato anche
così. La verità è che non posso farmi bastare questo, non posso farmi bastare
questo dolore continuo alternandomelo con qualche istante di felicità. Perché
per cinque minuti di gioia, ne esisteranno sempre dieci di sofferenza… e non lo
posso sopportare. Non posso scegliere autonomamente una persona che mi farà
sempre soffrire… dovremmo stare con chi ci rende grati di essere vivi, non con
chi ci fa desiderare di morire… non con chi ci fa creare uno Zahir. Io non sono
in grado di amarti, come tu vorresti… come meriteresti, anche… dopo come è
finita con Helena.
“E sono anche convinta
che tu non l’abbia mai dimenticata… che quell’anello era un segno, era un modo
per prenderti una rivincita sulla vita che vi ha separato… come se volessi dire
al destino che avevi trovato un’altra Helena. Ho iniziato a piacerti solo
perché, in qualche confuso modo, ti ricordavo lei, non mi avresti mai
trattenuto al Petite Peste se non te l’avessi ricordata mentre dormivo… e
persino Pansy, che di me e te non sa nulla, me l’ha confermato. Mi ha detto che
non posso competere con lei, che non sarò mai come lei… e che tu non mi amerai
mai come hai amato lei. Da lì, dalle sue parole, mi si è aperta una breccia in
testa… e a quel punto nemmeno Helena era davvero un problema…
“Il problema è la
persona che tu mi fai diventare. Io odio me stessa, stando con te… divento
gelosa, sospettosa, vendicativa, infida. Non sono mai stata questa persona. Né
mai lo sarò… non posso lasciartelo fare, non posso lasciare che tu mi soffochi
giorno per giorno, facendomi diventare chi non sono. Una Serpeverde. Io non
sono nata per questo, sono nata per sposare Ron, per avere dei figli da lui,
per diventare la cognata di Harry e Ginny… ma quando mi sono resa conto che
questo non sarebbe più potuto succedere, la terra mi è franata sotto i piedi.
Ho perso tutto. E ho creduto di non essere più quella persona. Di non esserlo
mai stata. E ho fatto cose inconcepibili, per me… come innamorarmi di te. Ma
forse, a conti fatti, non ti ho mai davvero amato… ero solo confusa,
disorientata… o magari ti ho amato sul serio, sennò non avrei creato lo Zahir… al
momento non lo so, non mi capisco nemmeno…
“Non voglio ferirti,
non ho mai voluto davvero farlo… ma non posso sposarti, né ora né mai. Non
posso restare qui un secondo di più… per far star bene te, io finisco per
distruggere me stessa. Non c’è parola, non c’è singola parola o promessa che
possa convincermi del contrario… ho troppi mesi e troppi giorni alle spalle per
sapere che non andrà mai bene tra me e te… mai e poi mai, perché semplicemente
non siamo nati per questo. Ho contattato una mia amica del Ministero,
un’Indicibile… lei mi nasconderà per un po’… e sarà lei a curarsi che Harry
sappia tutto di Astoria e del resto. Non te ne devi più preoccupare… vivi la
tua vita con Serenity... e non cercarmi mai più. Sarà solo più difficile per
entrambi, se lo farai… e mi costringerai a ripeterti le stesse identiche cose.
E lo farei, Draco… ti direi tutto daccapo. Ma tu potresti sopportarlo ancora?
Potresti sopportarmi ancora che dico tutto questo?”.
Pansy sente in un
angolo remoto della sua mente che Draco risponde solo con un filo di voce: “No…
credo che tu sia stata sufficientemente chiara…”. Le guance di Pansy si bagnano
inconsapevolmente mentre lo sente risponderle, non ha nulla a cui aggrapparsi
ancora, volutamente la Granger gli ha tolto qualsiasi galleggiante che potesse
impedirgli di affogare. Non ha nulla da risponderle ancora. Cosa si può dire ad
una persona che ammette candidamente di odiarsi per amarlo? Ha detto tutto ciò
che Draco temeva di sentirle dire un giorno… e ha detto persino tutto quello
che Pansy temeva di sentire, l’allusione alla loro conversazione della sera
prima. Non era stata così categorica, come lei l’aveva dipinta, ma Draco
avrebbe creduto a lei.
Ne aveva tutti i
motivi, era ancora la donna che amava, lo aveva appena lasciato… e lei invece
era solo l’amica che non aveva mai voluto quell’unione.
Per molto tempo, dopo
le parole della Granger, la mente di Pansy non avrebbe funzionato a dovere.
Aveva erto lei stessa una potente barriera collosa che tenesse fuori il mondo,
e il momento inevitabile in cui avrebbe guardato Draco negli occhi. Registra
con una parte sommaria dei suoi pensieri le inutili parole che Draco dice alla
Granger, qualcosa che vuole ancora cercare di convincerla a restare, una serie
di promesse grosse e friabili, una sequenza di scuse, un carnevale di
ripensamenti. Ode i monosillabi di lei, il modo caparbio in cui ripete: “Non
cercarmi più…”, la voce che le si alza di tono in tono mentre alla fine urla
che ha ripreso ad amare sé stessa, soltanto odiando lui. Viene allora il
silenzio, vengono allora i singhiozzi falsi di lei, viene allora il rumore
buffo della Smaterializzazione. Ed infine il frastuono, tessuti lacerati, piatti
e bicchieri rotti, mobili divelti, vetri infranti. Draco che fa a pezzi casa
sua.
Raissa ricompare sulle
scale, trafelata, sentendo il fracasso della distruzione. Non fa caso a lei,
ancora seduta per terra, che si abbraccia le ginocchia.
Dice solo con la voce
straordinariamente sicura, rivolta a Draco: “Vuoi andartene da qui?”.
“Immediatamente…”
risponde lui, la voce strozzata.
Pansy solleva lo
sguardo verso Raissa, sa che lei la sta guardando con la coda dell’occhio
mentre sentenzia crudele: “Non vuoi avvisare prima Pansy?”.
“Per me è morta cinque
minuti fa…”.
“Sai già dove
andare?”.
“Sì… ma… al momento
non sono lucido… non voglio far spaventare Serenity… potresti venire con me?”.
Raissa guarda Pansy,
ha un sorriso sardonico sulle labbra che lei non dimenticherà mai.
“Naturalmente…”.
La colla dei pensieri
di Pansy si scioglie solo quando li sente andare via, solo pochissimi istanti
dopo. Ma è già troppo tardi per fermarli.
La nebbia del Pensatoio si dirada in ampie
volute di fumo, lasciandomi a riprendere fiato. Pansy si alza in piedi
nervosamente dal divano, va avanti ed indietro per la stanza con passo
innervosito, congiunge le mani in una stretta morsa in cui poi respira dentro
con la bocca. Dean rimane seduto, lo sguardo preoccupato che segue la moglie,
finché la chiama lievemente per nome e lei torna seduta, apparentemente più
calma. Le scioglie le mani incrociate e ne prende una tra le sue, baciandola
con le labbra chiuse. Seth si scompiglia i capelli sconcertato, la magia è una
novità ancora per lui e non riesce a credere di aver appena vissuto un ricordo
di Pansy stessa… e non riesce nemmeno a credere che quella nel Pensatoio non
fossi io.
A quello, per poco, non credevo nemmeno io.
Non avevo mai visto quell’Incantesimo, non
sapevo come fosse, avevo solamente supposto che potesse trattarsi di quello,
considerando come aveva ingannato tutti, compreso Draco. Una parte di me, anche
quando aveva fatto quella supposizione, era comunque rimasta sorda e muta di
fronte alla ragione dei fatti: lui si sarebbe dovuto accorgere che non ero io,
ma che era Astoria. E se non lui, l’avrebbe dovuto capire Pansy perché
sicuramente lei avrebbe mostrato qualche gesto molto più flessuoso dei miei,
più da Serpeverde, o avrebbe usato delle parole più fredde e caustiche. Pensavo
anche che Astoria, in un certo modo, si tradisse, usasse troppa rabbia, oppure
perdesse il controllo.
Una parte di me trovava inconcepibile che Draco
non mi avesse mai cercato, dopo aver parlato con Astoria che assumeva le mie
sembianze.
Sposto una ciocca di capelli sudati dalla
fronte, l’angoscia mi fa sentire caldo e il senso di oppressione al petto mi fa
respirare irregolarmente, come se fossi stata per minuti interi in apnea.
Quella ero io.
L’aspetto era identico, ma questa è la parte
minore. Le movenze, i gesti, il modo di parlare, l’intercalare in determinate
frasi… quello ci poteva anche stare, poteva anche essere somigliante al lavoro
meticoloso che fa un’attrice. Ma i pensieri… quelli che Astoria ha usato nel
suo discorso… erano indiscutibilmente miei. Tutti, dal primo all’ultimo. Erano
i pensieri dei mesi in cui non capivo l’effetto che mi faceva Draco, erano i
pensieri che mi avevano portato alla creazione dello Zahir, erano i pensieri di
quando lui era stato con Adamar, erano i pensieri di quando effettivamente mi
aveva dato l’anello di Helena… ma erano pensieri rapidi, fuggevoli. Erano i
pensieri di quando ero stanca o demotivata o triste, ma poi sparivano sempre,
quasi subito, perché io amavo ed amo Draco e quello, per me, contava più di
tutto.
Lui mi aveva insegnato una nuova me stessa, che
amavo più di quella vecchia, più di quella probabilmente “destinata” ad amare
Ron. A volte, avevo rifiutato l’ingresso di quella nuova Hermione nel mio corpo
e nella mia anima, ma alla fine mi ero arresa ad essa. Lui mi aveva resa
migliore, non peggiore: più tollerante verso chi non era dal mio lato della
guerra e della vita, più aperta verso il prossimo, persino più spigliata e
divertente. Mi ero scoperta meno inquadrata, meno rigida, meno bacchettona,
meno sputasentenze.
Ero diventata, e mi viene quasi da ridere a
ripensarci, più elastica come si è sempre augurato Dean.
Non fossi stata così, non avrei mai potuto
accettare di diventare mamma del figlio di un uomo, che probabilmente non avrei
rivisto mai più.
Respiro profondamente, cercando di calmarmi e di
escludere mentalmente la fitta al cuore che mi ha provocato la visione di Draco,
oltre che le sue parole. Aveva deciso di lasciare andare Helena, aveva deciso
di provarci, aveva capito la mia sofferenza. Sarebbe potuto tutto iniziare
quella mattina, ci saremmo potuti sposare quel giorno stesso… e probabilmente
di lì a poco, sarei stata in grado di dire a Draco che stava per diventare
padre. Invece io l’ho scoperto nel peggiore dei modi, in una cella buia e
fredda, prigioniera di un uomo che voleva fare di me la sua schiava e la sua
regina. Trattengo le lacrime, le ricaccio indietro perché ormai piangere non ha
senso, non ha scopo e non ha nemmeno utilità.
Da quando sono mamma, piango sempre poco, cerco
sempre di evitarlo. Alex non mi ha mai visto piangere e non deve accadere mai. Ma
non piangere, cercare di non farlo… alla fine ti comprime il petto e te lo
squarcia. Persino il cuore va a fuoco. Ed anche se sapevo come era andata, anche
se sapevo che Draco non mi aveva mai cercato, anche se sapevo che dovevano aver
usato dei meccanismi potenti… non credevo che fosse andata così. Pansy aveva
ragione: dopo queste parole, è normale che Draco non mi avrebbe mai più cercato.
Mi aveva sentito dire tutto quello che temeva:
che io mi odiassi, perché amavo lui.
Gli occhi pungono, mi si affolla la mente di
pipistrelli neri, e tutto sembra trattenersi dolorosamente in me sul ciglio di
un’esplosione.
Pensavo che oramai tutto il dolore fosse alle
spalle, pensavo che ormai il grosso fosse passato, pensavo che nulla mi avrebbe
potuto ferire di più di quanto non avessi già subito… stringendomi il petto con
la mano, mi rendo conto che non era assolutamente vero. E Pansy, almeno non ha
visto Draco in viso quel giorno… almeno questo mi è stato risparmiato.
Chiudo gli occhi, cercando di calmarmi e
cercando di tornare lucida. Se c’è una cosa che però sicuramente non sapevo fino
a questo ricordo, che Raissa potrebbe aver sempre saputo tutto.
E, adesso, potrebbe essere ancora con Draco.
“Raissa poteva aver sempre saputo tutto…” rendo
evidenti i miei pensieri, dopo essermi schiarita la voce ed aver rotto il
silenzio.
“Ne sei sicura?” commenta Dean, lasciando la
mano di Pansy. Lei chiude gli occhi e li riapre, sospirando: “In quel momento
ebbi la netta impressione che avesse qualcosa da nascondere… ma dopo che
Astoria parlò, ovviamente tutto passò in secondo piano…”, la sua voce si vela
di amara ironia mentre sottolinea: “E se vogliamo dirla tutta, ci avevo visto
giusto anche su Astoria… avevo notato che era terrorizzata al pensiero che
Draco le chiedesse l’anello…”.
“Ovvio…” bisbiglia con un filo di voce Seth
“L’anello ce l’aveva ancora Hermione…”. Traffico nella mia tasca, uscendone un
cofanetto azzurro. Dentro, brilla ancora l’anello di Cissy Malfoy, che avevo
ritrovato nella tasca del cardigan azzurro, che avevo preso di fretta la sera
del compleanno di Pansy.
“Una pietruzza da due soldi…” biascica
innervosito Dean, guardando storto Pansy “Ora capisco perché storcesti il naso
al mio solitario…”.
“Ci voleva il microscopio per vederlo…”.
“Ma era purissimo al cento per cento…!”.
“Ovvio, le imperfezioni non ci sarebbero entrate
nel diamante… minuscolo com’era…”.
“Kevin mi ha regalato uno smeraldo! Lo sai Herm?
Uno smeraldo vero! In un orologio, però… se mi faccio un anello, dici che è
troppo?!”.
Mi gratto la tempia, mettendo a posto l’anello.
Dio, questi se li lascio fare partono per la tangente ogni volta!
“Possiamo gentilmente abbandonare il campo
dell’oreficeria?!” borbotto, incrociando le braccia, interrompendo le manovre
di Pansy che mette a paragone le dimensioni del suo solitario con un minuscolo
bottoncino della sua camicia. Recuperata la loro attenzione, sospiro lungamente
per riprendere il filo del discorso, anche se una pericolosa risata mi sta
uscendo di nuovo inconsciamente, ma ne va della mia autorevolezza se iniziassi
a ridere per le loro scemenze!
“Perché credi che Raissa sia andata con Draco?”
chiede Seth a Pansy, sistemandosi meglio sul divano “Credi che gli
interessasse… in qualche senso romantico?!”. Un groppo in gola mi costringe
a deglutire più rumorosamente di quanto vorrei, mentre Pansy si ferma a
riflettere. Poi esordisce sicura: “No, non credo… o perlomeno non credo che in
quel momento, lo abbia seguito perché ne era follemente innamorata… anche se
questo non esclude che possa essere successo qualcosa con il tempo… se sono
rimasti assieme per cinque anni, potrebbe anche essere accaduto… devi farci i
conti anche con questa possibilità, Granger…”.
Annuisco senza partecipazione, pigolando un:
“Sono passati cinque anni, Pansy… lo so perfettamente… e se non è Raissa,
potrebbe essere qualcun’altra…”.
“Appunto…” mormora lei, incrociando le braccia
“Per lui, è tutto finito quella mattina… e quell’Hermione gli ha fatto capire
che non era storia… e come se non bastasse, lui ha anche una figlia da
crescere… potrebbe aver pensato a darle una madre… come tu a tuo modo, hai
pensato a dare un padre a tuo figlio…”.
“La faccenda tra me e Ron è leggermente
diversa…” mi inalbero subito, stringendo i pugni “Sai perfettamente che non
siamo davvero sposati… ed Alex non l’ha mai considerato suo padre…”.
“Sì che lo so, Granger, accidenti…!” ribatte lei
annoiata, guardandosi le unghie “Ma mettiamo in conto che lui ti abbia cercato…
mettiamo in conto anche che ti abbia trovato… mettiamo che per ipotesi assurda
l’avesse saputo, che cosa avrebbe pensato? Hermione vive in Italia nella
casa dei suoi nonni, ha un figlio ed è sposata con Ron Weasley.”.
Sobbalzo, stringendomi nelle spalle, a questo
non avevo mai davvero pensato. So che è abbastanza improbabile che Draco mi
abbia cercato e soprattutto che mi abbia trovato, considerando tutte le premure
che al Ministero hanno preso. Ma ammettiamo che ci fosse riuscito… vai a
spiegare che non sono davvero sposata, che non lo sono mai stata, che ho finto
di esserlo.
Vai a spiegare che mio figlio non ha il volto
spruzzato di lentiggini e i capelli rossi, ma è una peste immatricolata in
Malfoy.
Spero davvero a questo punto che Astoria lo
abbia ferito al punto tale da non farmi mai cercare…
“Comunque tolta l’ipotesi dell’amore folle di
Raissa per Draco, credo che lo abbia seguito solo per tenerlo d’occhio…”
riprende Pansy dopo un po’, assolutamente incolore “Quando eri nelle mani di
Dimitri, credo che abbia semplicemente controllato che lui non si facesse
venire l’idea di venirti effettivamente di nuovo a cercare… in quel caso, credo
che abbiano di nuovo assoldato Astoria… e quando invece tu sei riuscita a
liberarti da Dimitri, credo che potrebbe essere rimasta con lui per farti
uscire allo scoperto... qualora avessi contattato Draco, lei lo avrebbe saputo
ed avrebbe avvertito Dimitri…”.
L’analisi di Pansy non fa una piega, annuisco
sovrappensiero. La sola cosa che rimane meno chiara è come mai Raissa aiutasse
suo fratello. Non mi era mai sembrata così d’accordo con i suoi modi, non mi
aveva mai torto un capello ed anzi aveva cercato di allontanarlo da me in più
di un’occasione. Mi aveva ammonito di stare attenta a suo fratello, aveva anche
temuto che Draco non tornasse in tempo per impedire che Dimitri si incaponisse
troppo su di me. Perché poi avrebbe dovuto aiutarlo?
“Certo è che, ora che Dimitri è morto,
probabilmente Raissa non ha più motivo di restare con Draco, no?” sciorina
ovvio Dean, distendendo le braccia stanche. Annuisco ancora, ricordando la
lettera di qualche giorno fa che mi è stata recapitata in Italia. La lettera
che mi informava che l’esilio mio e di mio figlio per motivi di sicurezza, in
Italia, era finito. Avevano trovato i cadaveri di Astoria e di Dimitri in un
fiume, poco a sud di Birmingham. A quanto pareva, si erano uccisi tra loro
probabilmente in un diverbio. Quella notizia ha decretato anche la fine del mio
matrimonio-farsa con Ron. Peccato che lui non avesse mai davvero capito che
fosse una farsa.
Ho sempre avuto dubbi su Ron e sul vero motivo
per cui avesse scelto di vivere in quel modo, accanto a me, come mio marito.
Nei primissimi tempi non ne avevo mai avuti: egoisticamente non pensavo a lui,
pensavo solo a me stessa e al tempo che si ripiegava e si contorceva su sé
stesso, allontanandomi da Draco. Poi ovviamente, se non altro per deviare dai
pensieri inconcludenti e frustranti che non mi portavano mai a nulla, avevo
iniziato a pensare anche a Ron. Il candore con cui aveva accettato quella commedia
solo per proteggere me ed Alex era stato sporcato dai miei ragionamenti e
dall’osservazione di tanti piccoli dettagli della nostra vita assieme:
rifuggiva le rose, non nominava mai Draco, non alludeva mai al tempo che
avevamo passato divisi, non si riferiva mai ad Alex come al figlio di Draco
Malfoy. E soprattutto, anche quando non era più necessario, anche quando la
porta di casa si chiudeva e non eravamo sotto lo sguardo di estranei
potenzialmente nemici, lui continuava a comportarsi come mio marito. Mi baciava
sulla guancia, raccontava ad Alex aneddoti di quando eravamo bambini.
E lì, chiaro, stentoreo, potente, mi si è acceso
un allarme nella testa.
L’ho affrontato una sera di maggio, il sole era
basso nel cielo della Sicilia, circondava di rubino i limoni del nostro
giardino rendendoli screziati. Ron era seduto su una sedia a sdraio, gli occhi
socchiusi e l’espressione beata. Per un attimo, ferma sulla soglia della
veranda, avevo pensato alla possibilità di lasciar perdere tutto. Avevo un
figlio di due anni che dormiva placidamente in casa, non era egoista continuare
a dirgli che doveva chiamare “papà” l’uomo lontano che non aveva mai visto e
che forse ci aveva dimenticato? Non sarebbe stato più facile dirgli di
considerare genitore l’uomo vicino, quello che gli dava da mangiare, lo portava
al mare a giocare e lo metteva a letto tutte le sere? Non era egoista
aggrapparmi con disperazione a Draco?
“Mione che cosa c’è?” aveva detto Ron,
voltandosi improvvisamente, il sole che rendeva i suoi capelli quasi una fiamma
rossa.
“Lo sai che tutto questo finirà un giorno,
vero?” la mia voce non aveva avuto alcun dubbio, era uscita da sola senza
lasciar adito ad alcuna reticenza o tentennamento. Le spalle di Ron si erano
contratte, aveva stretto un pugno ed aveva sussurrato: “Certo che lo so…
tornerai da Malfoy, un giorno o l’altro… ammesso che ti voglia indietro…”.
Non mi aveva ferito, non poteva ferirmi con la
verità. La verità non ferisce se sei vero anche tu… Ron non lo era. Per questo
la verità lo aveva ferito invece come una spada scagliata nel cuore.
“Io non sono davvero tua moglie…” avevo
sussurrato guardandolo in viso “Il nostro matrimonio non esiste da nessuna
parte, è invalido persino nella carte… ti sono grata di quello che stai facendo,
lo sarò per sempre, hai scelto di proteggere me ed Alex… ma questo non cambia
niente, Ron. Noi non siamo davvero sposati… e Draco con questo non c’entra
nulla… fosse anche che non mi voglia più, che io arrivi a non volerlo più, sarà
una cosa tra me e lui…”, inspirando avevo aggiunto stoica: “… tra me e te è una
recita, Ron… niente ci restituirà il tempo passato e il male che ci siamo
fatti… niente…”. Mi aveva sorpassato rientrando in casa, furibondo. Ed aveva
implicitamente sciolto il mio dubbio.
Per questo, la sua reazione alla notizia che
Dimitri ed Astoria erano morti, e quindi io ed Alex non avevamo più motivo di
nasconderci in Italia, lo aveva sconvolto e destabilizzato. Ed aveva rotto quel
vaso nell’ingresso e se ne era andato via, furibondo. Non ci siamo nemmeno
salutati, prima che io partissi. Avrei voluto farlo, ma sarebbe diventato tutto
più difficile. Gli sarò per sempre grata per quello che ha fatto, e spero un
giorno di potergli parlare, di potergli spiegare bene tutto, di poter tornare a
chiamarlo amico. Adesso no, adesso è troppo presto.
Due che sono stati prima migliori amici, e poi
fidanzati, non dovrebbero mai fingere di essere sposati, fosse anche per
supreme ragioni di sicurezza. Ma le cose sono andate così, allora. E come per
tutto il resto, recriminare serve a poco. In questi cinque anni mi sono trovata
bloccata in un ingranaggio, che non era mai messo in moto da me. La mia parte
di decisione è stata solo quella di tornare in Inghilterra tre giorni fa e di
cercare Draco. Per il resto non ho mai deciso nulla in questi cinque anni, non
ho preso una sola decisione da quando Dimitri mi ha rinchiuso nel suo castello.
Stringo la camicetta tra le dita all’altezza del
petto, mentre i miei amici continuano a fare supposizioni su Raissa e Draco.
Per un attimo, mi estranio da loro. In questi
cinque anni mi è stato tolto potere decisionale in tutto, persino nella scelta
di essere madre.
Mi manca il fiato nel pensarci, ma oggi potevo
anche non esserlo affatto. Il mio grembo poteva restare vuoto, la stanza al
piano di sopra poteva essere piena solo delle mie cose, l’ultimo legame con
Draco poteva essere reciso e spezzato come il filo sfilacciato di una veste
logora.
Posso odiare Astoria per avermi costretto a
creare lo Zahir, per aver ingannato Draco… ma poi, dovunque sia adesso, sono
costretta a perdonarla per il suo folle dono da egoista.
Lei mi ha donato la più grande delle
benedizioni: mio figlio.
Anche se lo fece solo per i suoi di motivi.
La fortuna è essere quasi sempre incosciente di
mattina.
Ad Hermione la mattina piace da morire, le piace
il sole che buca le nuvole, le piace quella sensazione di aspettativa, di
promessa, di rinascita.
A casa, si alzava sempre all’alba da letto,
qualsiasi cosa dovesse fare, perché le piaceva enormemente avere delle ore di
vantaggio sul mondo e sulla vita stessa. E se per qualche caso, finiva per
alzarsi tardi, si sentiva come se avesse sprecato preziosi attimi che poteva
impiegare proficuamente in qualche altro modo. Dean la rimproverava sempre, le
diceva che l’unico vantaggio di non lavorare era che poteva restare anche a
letto a poltrire. E lei allora si impuntava come una bambina piccola, metteva
la sveglia anche prima ed alzava il volume del trillo, così da svegliare anche
lui. Alla fine, borbottando lui e ridendo a crepapelle lei, facevano colazione
assieme sul balcone di casa.
Al Petite Peste, alzarsi presto era naturale,
era scontato perché doveva lavorare. C’era da preparare il caffè per gli
affannati broker della City, c’era da riscaldare le brioches per i ragazzini
che andavano a scuola, c’era da fare il tè per le mamme che si trattenevano
qualche minuto dopo aver accompagnato i loro figli in classe. E lei si alzava
sempre come una furia, correndo in bagno a farsi velocemente la doccia e a lavarsi
i denti. Poi c’erano anche ragioni logistiche, legate al possesso del bagno.
Seth ci moriva dentro per ore, e Draco non era granché diverso, anzi… spesso ci
mettevano il doppio del tempo netto che ci metteva lei. Quindi puntare la
sveglia prima, significava assicurarsi per prima il bagno, ridendo ancora per
quanto Seth o Draco avessero distrutto la porta a suon di pugni, intimandole di
uscire.
Se già ricordare il tempo ordinario le provoca
dei vuoti d’aria nel torace, rimembrare poi il tempo straordinario le fa salire
le lacrime agli occhi, persino nel sonno dell’incoscienza.
Il tempo straordinario sono stati i dieci giorni
accanto a Draco, a casa di Pansy Parkinson. Sono state quelle mattine di luce
fragrante, in cui si svegliava accanto a lui. Draco dormiva ancora, lei
sorrideva ai suoi occhi chiusi e quasi sempre tendeva a stropicciarsi
vigorosamente gli occhi per non credere di sognare di averlo vicino.
Generalmente tendeva a farlo con troppa energia, o comunque aveva la
caratteristica di fare qualche rumore che comunque invariabilmente lo
svegliava. Draco roteava gli occhi, fingendo di sbuffare, e l’apostrofava con
una serie di aggettivi scherzosi. Lei fingeva di prendersela, faceva la mossa
di alzarsi dal letto e di allontanarsi da lui. Draco la tirava giù per i
fianchi, la riportava a letto ridendo e le ingiungeva severo: “Non ci pensare
nemmeno un istante, Granger, ad andartene da qui…”. Facevano l’amore, ancora,
dolcemente, e poi lui faceva comparire la colazione. Caffè nero bollente per
lui, e “quel maledetto succo d’ananas da carie” per lei.
Nel sonno, Hermione trasale, sobbalza per un
momento. Draco non l’ha cercata, non la sta cercando. Ne è certa, in qualche
confuso modo ne è sicura. Non sa da quanti giorni è prigioniera, il tempo ha
una sua cognizione completamente scevra da lei, ma sa che è così… perlomeno le
risparmiano il sorgere del sole, il momento in cui dovrebbe ammettere a sé
stessa che è iniziato un altro giorno in quella gabbia. La preservano dai
ricordi che la colpirebbero troppo violentemente.
La giornata, paradossalmente, inizia a pranzo,
quando Pucey con malagrazia scende le scale dei sotterranei e deposita vicino
alle sbarre della sua cella una ciotola di zuppa maleodorante. Il clangore che
provoca, la sveglia sempre e per un attimo, le pupille non distinguono nulla
nella lama di luce che proviene da una minuscola finestra in alto, anch’essa
inevitabilmente sbarrata. Scivola nella polvere della cella, si lava
distrattamente il viso in una bacinella d’acqua, si costringe a mangiare perché
deve restare in vita, deve andarsene da lì. Deve sopravvivere, prima che per
Draco, per Hayden.
Si avvicina a lui, che come sempre giace
incosciente nel suo giaciglio di paglia e sacco, abbandonato di malagrazia sul
pavimento sconnesso della cella. La ferita alla schiena va sempre peggio, è
infetta, continua ad eruttare liquido biancastro e sangue. Lui rinviene poco,
delira per la febbre. Ed Hermione usa quel poco di energia magica che possiede
nelle vene per arginare l’infezione, come una volta le ha insegnato Ginny. Ma è
debole, l’incantesimo deve farlo senza bacchetta, trascorre tutto il pomeriggio
in quel modo, alla sera è sfinita. E non è nemmeno certa che comunque Hayden ne
tragga beneficio: la preoccupa e la strazia il fatto che le gambe del ragazzo
sono diventate insensibili. Non reagiscono agli stimoli, non si muovono.
Ogni minuto lì, gli toglie la possibilità di
guarire del tutto.
Dimitri si fa vedere di sera, la esamina con lo
sguardo sofferto attraverso le sbarre, la prega come sempre di salire in camera
da lui. Ma lei è stata chiara fin da primo momento, non è una sua gradita
ospite, non vuole una stanza, vuole una cella perché lei è sua prigioniera e
così deve essere trattata. Salirà su in camera, solo se lasciano andare Hayden.
Ma ovviamente Dimitri non è d’accordo, teme quello che farebbe se non avesse
lui a trattenerla al di qua della morte e della scelta di essa. Al contempo non
la costringe, è convinto che il ragazzo morirà presto e che Hermione, piegata
dal dolore e dagli stenti, si lascerà alla fine andare. Non sa del coccio di
vetro che Hermione nasconde sotto il letto, non sa che, quando verrà meno ogni
speranza che Draco la trovi e quando Hayden morirà da vittima innocente di una
colpa non sua, lei si taglierà le vene e tanti saluti.
Astoria non scende mai con Dimitri nelle
segrete, e questo spaventa Hermione più di tutto. È convinta che abbia fatto
qualcosa a Draco, qualcosa che l’ha concretamente convinto a non cercarla più.
Sa che sta bene, è certa che Astoria abbia ancora interesse a diventare la
signora Malfoy in qualche arcano modo, ma al contempo devono averlo ferito più
di quanto lei immagini se non si dà alcuna pena di vedere che fine abbia fatto.
Qualche giorno prima, ha sognato Pansy che piangeva disperatamente… e Draco che
faceva a pezzi dei mobili, rompeva un vaso, urlava come un animale colpito a
morte… si è svegliata piangendo, urlando, con le mani nei capelli. Ha sentito
dentro che non era un sogno, ha saputo in qualche modo che era successo
davvero. Hayden ha ripreso i sensi solo quella volta, solo quando l’ha sentita
piangere ed urlare. E lei è riuscita a raccontargli tutta la verità, del mondo
della Magia, di lei e dello Zahir, di Draco.
Hayden è stato colpito da un raggio di luce
giallastra alla schiena, appena uscito dal museo dove lavorava: un raggio
partito da una specie di bacchetta, che gli era puntata contro da un uomo che
sembrava russo.
Non ha fatto fatica a credere a tutto quello che
Hermione gli ha raccontato. Si è riaddormentato, madido di sudore freddo,
mentre lei gli prometteva che in qualche modo lo riporterà a casa.
Quando Dimitri, poco dopo mezzanotte, torna in
camera sua, Hermione si addormenta, piegata in posizione fetale nel letto
lercio delle segrete.
Si sveglia solo all’ora di pranzo, ma sa che non
è la stanchezza, la rabbia o la paura che la fanno addormentare così
profondamente.
È Dimitri.
Entra nella sua testa, la confonde, fa alternare
nel suo cervello ricordi e fantasie. Hermione si vede vestita da regina sul
balcone di un palazzo immenso con lui accanto, le fa sognare di fare l’amore
con lui, la fa gridare nel sonno di desiderio e passione mentre la possiede in
ogni modo concepibile. Hermione, però, non cede. Nel sonno, urla, piange, lo
implora di smetterla… oppure sta ferma, immobile, subisce tutto quello che lui
le fa, ma richiama alla mente Draco. E Dimitri è costretto a sgusciare fuori
dai suoi sogni, gemendo innervosito per non riuscire a violarla nemmeno nella
mente.
Vuole ancora che lei lo desideri in modo
autentico, vuole che lei si convinca, vuole che lei lo ami sinceramente. Non la
tocca, non la sfiora, non le fa del male in alcun senso fisico.
Intanto, cerca di carpire il segreto della sua
magia, la tiene incosciente anche per quello, per arrivare al fulcro del suo potere,
per capire da dove prende tanta forza. Ma anche in quel caso fallisce… ma lì
Hermione non sa perché ciò avvenga. Quando di sera lui fa avanti ed indietro
nervosamente fuori dalla sua cella, imprecando e chiedendole come mai la sua
energia magica sembra così compromessa e sporcata da qualcosa di estraneo, lei
biascica nervosamente che è prigioniera in una gabbia polverosa e sporca, ci
mancherebbe pure che sia al meglio del suo potenziale magico. Ma sa che mente,
lo fa solo per farlo arrabbiare, perché lo odia, lo ammazzerebbe con le sue
mani.
In realtà non sa perché questo accada, perché è
impenetrabile ad ogni suo tentativo di carpirle l’essenza magica. Pensa che sia
perché usa tutta la sua forza per aiutare Hayden, restando quindi distrutta, ma
sa che non è così.
C’è qualcos’altro che impedisce a Dimitri di
arrivare al cuore della sua magia, per capire da dove derivi tutto il suo
potere.
C’è qualcos’altro di misterioso ed arcano che
riesce a proteggerla, senza che però Dimitri capisca da dove arrivi quella
barriera.
Ovviamente Hermione non se ne preoccupa, non
immagina che cosa sia, è convinta che alla fine Dimitri, purtroppo, violerà
anche quella resistenza. E non è nemmeno il sommo dei suoi problemi.
Perdere la sua energia magica, i suoi poteri, nel
caso in cui a Dimitri salti in mente persino di sottrarglieli… la terrorizza,
certo, ma ci sono cose peggiori.
La gabbia, nei giorni, inizia a fiaccarla
psicologicamente e mentalmente: la pelle ha bisogno d’aria pulita, gli occhi
hanno bisogno del sole, la mente ha bisogno dei colori della vita. E lei vede
solo polvere, sente solo grigio, respira solo buio. Piano, inizia a temere che
il tempo rimanga inalterato così per sempre e che nulla cambi. Teme di
dimenticare il sapore della libertà: se un essere umano vede a rischio la
propria stessa sopravvivenza, si abitua e si adatta alla nuova situazione.
E lei non vuole rassegnarsi ad essere
prigioniera.
Quell’ipotesi ha la consistenza della gelatina
nei suoi pensieri, e, come sabbia mobile, attira in basso tutti gli altri
timori: quello che Dimitri deponga la sua cortesia e la costringa a salire in
camera da lui; quello che Hayden muoia, senza che lei possa fare nulla per
impedirlo; quello che lei stessa muoia, prima di aver salvato almeno l’amico.
E poi c’è il timore peggiore, quello a cui cerca
di non pensare, quello su cui scatena tutta la sua residua forza: il timore che
facciano qualcosa di così grave che lei davvero perda Draco.
Quella paura le inzuppa la schiena di sudore, le
fa battere i denti, la fa muovere nervosamente avanti ed indietro come un
topolino in trappola, le fa scuotere le sbarre della prigione e la fa
abbandonare a lunghi lamenti, colmi di pianto.
Più i giorni passano e più lei si abitua alla
prigione, più si convince che devono aver ferito Draco in modo irreparabile:
più passa il tempo e meno sono le speranze che, tornando libera, possa far
tornare tutto a posto.
Forse, e questo è il terrore peggiore di tutti,
nemmeno riuscirà più a trovarlo.
La mattina in cui si sveglia e non si stupisce
di trovarsi lì, decide con la sua solita tenacia che, per tenersi sana di
mente, farà un gioco: annotarsi mentalmente tutte le cose che non ha ancora
detto a Draco. Tutte quelle che gli deve ancora dire.
Non gli ha mai detto che odia quando usa il gel,
perché sembra che gli abbia leccato i capelli una mucca.
Non gli ha mai detto che adora quando ha le mani
occupate e le lascia libero il mignolo, così lei lo possa comunque stringere
nella sua mano.
Non gli ha mai detto che detesta sinceramente quando
si mette a mangiare a letto, perché riempie le lenzuola di briciole.
Non gli ha mai detto che, quando hanno ballato,
aveva l’impressione che il mondo fuori fosse finito.
Non gli ha mai detto per un numero sufficiente
di volte che lo ama, che vuole sposarlo. E non gli ha mai detto che ha paura di
Helena, ha paura che lei continui ad attrarlo a sé dall’alto dei cieli.
Ha appena iniziato quel gioco, in un giorno
qualunque di quella prigionia, e ne è talmente presa che non si accorge che è
sveglia di mattina. Non si rende conto che quella mattina Dimitri non ha
tentato di sedurla nella sua testa, o di attentare al suo potere. È così
assorbita dai suoi pensieri, che la sola parte cosciente di sé la lascia
impegnata a mormorare l’incantesimo che argina la ferita di Hayden. È così
assorta che nemmeno si rende conto dell’arrivo di Dimitri ed Astoria, fino a
quando non sono davanti alla sua cella. Anche se non fosse stata, però, così
persa nei suoi pensieri, Hermione non avrebbe mai potuto sapere che quella è la
mattina che cambierà la sua vita per sempre.
Quando vede i suoi carcerieri, Hermione si alza
bruscamente in piedi, preoccupata che si accorgano delle cure che presta ad
Hayden. Ci manca soltanto che decidano di spostarlo in un’altra cella,
allontanandolo da lei e dalle poche cure che in grado di dargli. Solleva
fieramente il mento, guardandoli, li odia come non ha mai odiato nulla nella
sua vita. Vorrebbe ferirli, colpirli, ucciderli persino. Dimitri che è
ossessionato dal pensiero di averla, come se lei fosse una sciocca bambolina di
porcellana da mettere su una mensola, ed Astoria, che ancora non si convince
che ha distrutto da sola il suo mondo, senza che né lei né Draco ne abbiano
avuto la benché minima responsabilità.
La mano, che stringe il coccio di vetro che è la
sua sola arma, si serra troppo forte ed inizia a sanguinare.
La guardano, oltre le sbarre, senza dire una
parola, e curiosamente Hermione nota che quella mattina si sono invertiti le
espressioni: è Astoria quella curiosa nei suoi confronti, la guarda a labbra
dischiuse, una scintilla negli occhi chiari. Dimitri invece stringe i pugni, ha
la bocca arricciata di disgusto e lo sguardo nervoso. Solo in quel momento, dal
raggio di luce che dalla feritoia in alto colpisce i loro visi, Hermione si
rende conto che è mattina.
Sta per succedere qualcosa. E’ cambiato
qualcosa, nella routine stantia di quei giorni. E non può essere in meglio.
Astoria la studia con ingordigia, si sporge persino
tra le sbarre come se potesse arrivare a captare qualcosa di lei in modo più
netto, diminuendo la distanza tra loro. Hermione trasale, nasconde meglio nel
palmo il pezzo di vetro, medita di colpire chiunque dei due si avvicini a lei.
Spera che sia Dimitri, Astoria sarebbe più facile da far fuori in qualche altro
modo. Pensa a qualche incantesimo muto da fare senza bacchetta, calcola la
distanza con la porta, cerca di riflettere sul modo in cui potrebbe poi
trascinarsi dietro Hayden. Viene, però, interrotta dalla voce impaziente di
Dimitri che si rivolge spazientito ad Astoria: “Falle questo maledetto
incantesimo, Greengrass… se glielo potesse fare un uomo, ti avrei già preceduto
da ore…”.
Hermione non sente la seconda parte della frase
di Dimitri, sente solo la prima. Riprende a sudare freddo, si stringe nelle
spalle e si guarda furiosamente attorno alla ricerca di un riparo. Ha troppa
poca forza nel sangue, per ricacciare indietro una maledizione. E se poi è
l’Avada Kedavra… bè, la prenderanno di certo.
Non può morire… non può ancora morire, prima di
aver salvato Hayden… e, tonfo al cuore, prima di aver detto tutto quello che ha
ancora da dire a Draco… non glielo dirà mai… non potrà farlo mai… le lacrime le
si affacciano prepotenti agli occhi, non se ne andrà senza combattere. Morirà,
combattendo come ha sempre fatto. Spera solo che, dovunque vada a finire, possa
continuare a guardare Draco vivere, possa continuare a proteggerlo e a tenerlo
in salvo.
Prende la rincorsa, pronta a scagliarsi contro
le sbarre e a colpire Astoria che è ancora mollemente appoggiata ad esse, ma la
strega bionda è più veloce. Sguaina la bacchetta, la punta contro di lei e dice
con un sorriso storto poche parole.
Lì, in quelle parole, c’è già tutto il destino
di Hermione Granger da quel momento in avanti.
“Matris revelatio”.
Hermione non sente dolore e ringrazia la Morte
per essere stata così misericordiosa. Poi riapre gli occhi e trova ancora la
cella, la polvere, il corpo di Hayden svenuto. Guarda oltre le sbarre e vede Astoria
che sorride follemente, quasi saltella, con uno sguardo allucinato ed esaltato
che non le ha mai visto. Dimitri sputa per terra, con disgusto, dà un calcio
alla parete, urla di rabbia e livore come se lo avessero picchiato.
Hermione non capisce, si guarda attorno e solo
allora nota il bagliore aranciato che le illumina il ventre. Una nebbiolina
quasi dorata la circonda all’altezza dei fianchi, ha un odore di rose che le fa
salire le lacrime agli occhi. Non riconosce l’incantesimo, non lo ha mai visto.
Guarda interrogativa prima Astoria, e poi Dimitri. Lui non si degna nemmeno di
guardarla, come se improvvisamente persino la sua vista le fosse
insopportabile, mentre Astoria riprende a ridere allegra e gioviale.
“Che diamine mi hai fatto?!” urla alla fine
Hermione, raggiungendo le sbarre e scuotendole forte come un animale in
trappola.
Astoria smette di ridere, la guarda con il suo
solito sguardo stomacato e le ingiunge: “Vedi di stare calma, Granger… fallo
con le buone… anche se non avrei nessuno scrupolo a narcotizzarti per nove
mesi, pur di farti stare tranquilla…”.
“Che diamine vuoi dire?!” grida ancora Hermione,
un secondo prima che la consapevolezza la travolga in pieno e le faccia cedere
le gambe, mentre ricade seduta.
“Sei incinta di Draco Malfoy…” ride ancora
Astoria, un misto di folle gioia e di sfrenata follia “ E non c’è cosa migliore
al mondo che potesse capitare…!”.
I primi minuti da madre di Hermione Granger,
sono solo angoscia e terrore. Come se improvvisamente il corpo si fosse ricordato
della gravidanza, dopo essersi accasciata al suolo, Hermione viene scossa da un
forte conato di nausea, si chiude la bocca con la mano destra e tenta di
reprimere l’istinto a vomitare. La testa vortica come al centro di un tornado,
fatica a restare cosciente. Si chiede come diamine possa essere successo e se
Astoria non stia mentendo, ma ammette con sé stessa che sarebbe un giochetto
mentale abbastanza inconcludente, considerando che l’hanno praticamente alla
loro mercé da giorni. E che vantaggio potrebbe portare, farle credere di essere
incinta?
Forse farla impazzire… e se quello è il piano,
ci stanno riuscendo perfettamente.
Piegata sulla schiena, gli occhi sbarrati, la
mano ancora premuta sulle labbra, Hermione combatte con la nausea e con i
pensieri. Lei e Draco non sono mai stati attenti in quel senso, non se ne sono
minimamente preoccupati: tra loro è sempre stato come vivere in un momento
strappato, rubato, trafugato, dall’invidiosa vita che li voleva divisi. Erano
inconsciamente sempre consapevoli di avere sempre poco tempo e, quando facevano
l’amore, semplicemente non pensavano.
Hermione, che pensava sempre, non aveva mai
pensato in quei momenti. E lei, che era sempre cauta ed attenta, ora era
prigioniera ed incinta. E il secondo aggettivo sembrava quasi una ripetizione
del primo. Era prigioniera, anche perché era incinta.
Non voleva diventare madre adesso, non voleva
esserlo a ventiquattro anni, quando ancora non sapeva nulla di sé stessa e
della sua vita. Non voleva prendersi cura di un’altra persona, più piccola e
costantemente bisognosa di lei, non era in grado nemmeno di prendersi cura di
sé stessa… non era stata in grado nemmeno di prendersi cura di Draco. Come
poteva crescere un bambino? Come poteva crescerlo, spiantata come era?
Le voci di Astoria e Dimitri la riportano ancora
di più al terrore del presente, ripensa al coccio di vetro che stringe ancora
nelle mani e sa che, adesso, non può nemmeno sentirsi libera di tagliarsi le
vene. Perché è la culla di quel bambino non nato, perché è l’ancora che lo
tiene aggrappato alla vita, facendolo galleggiare sul mare dell’inesistenza.
Con la testa che le gira ancora, immagina i mesi successivi in quella prigione,
immagina il pancione che cresce nella polvere, immagina il parto con accanto
Hayden incosciente, immagina il bambino che le viene messo accanto sulla lercia
brandina dove dorme… e finalmente, come se tutto fosse troppo, vomita riversa
per terra.
Non può essere vero, non può essere… con la
mente anestetizzata, sente Astoria dire: “E’ normale che non riuscivi a captare
la sua essenza magica, Karkaroff… il potere del bambino interferisce con quello
della madre… cerca di proteggerla…”, Hermione sobbalza e trasale, quella specie
di piccolo mollusco nella sua pancia cerca di proteggerla, chiude gli occhi e
gli chiede nella mente chi diamine glielo faccia fare. Astoria continua con
voce gaia: “E’ potente, ovviamente… è il nipote di Lucius Malfoy e Narcissa
Black… il figlio di Draco…”. Il tono sognante di Astoria, che riduce Hermione
ad un semplice guscio che protegge il figlio di Draco Malfoy, mette la ragazza
in allarme più di tutto il resto. Solleva stancamente il capo, guardando i due
che se ne stanno ancora fermi fuori dalla cella. Si aggrappa alle sbarre, si
solleva in piedi e, reggendosi, li sfida con gli occhi.
Quelle scarne parole di Astoria le hanno messo i
sensi in allerta, l'ha metabolizzato solo adesso in un momento di lucidità.
Lei aspetta il figlio di Draco.
Ignora volutamente che è anche suo figlio, cerca
di non pensarci adesso e cercherà di non farlo per molto tempo, finché quel
bambino un giorno se lo sentirà davvero dentro, finché lo sentirà muoversi e
nuotare in lei, finché per la prima volta lo chiamerà compiutamente con il suo
nome, accarezzandosi la pancia. Alexander Leo Malfoy.
Ma per ora, Hermione non vuole pensare che
quell’ospite dentro il suo corpo, sia suo figlio. Non vuole pensare al fatto
che, probabilmente, sarà la persona con cui condividerà più cose nella vita,
non vuole collegare lei stessa e quel bambino se non per un particolare: Draco.
Lui è l’uomo che lei ama, ed è il padre di quel bambino. Lei ha il dovere, anzi
l’obbligo, di proteggere il figlio dell’uomo che ama.
“Quindi basta liberarsene, no?” mormora Dimitri,
avvicinandosi alle sbarre ed estraendo la bacchetta. Hermione, terrorizzata,
indietreggia come può, trovando il muro con la schiena, già con l’istinto di
proteggere il suo cucciolo. Razionalmente non riesce nemmeno a dire la parola
“mamma” nella testa, associandola a sé stessa; visceralmente il suo corpo, già
va per conto suo, già la candida genitrice del bambino che ha in grembo. Cerca
la fuga, cerca scampo, dimenticandosi tutto quello che non sia lei stessa e il
figlio non nato. Dimentica persino per un momento, Hayden e il senso di colpa
per averlo trascinato lì. Deve andarsene. Adesso. Ora. Subito.
Ma prima che possa fare qualsiasi cosa, Astoria
si para davanti a Dimitri ed estrae la sua bacchetta, urlando sconvolta:
“Lasciala stare!”.
“Levati di mezzo Greengrass!” urla a sua volta
Dimitri, ma Astoria per tutta risposta, si smaterializza nella cella, parandosi
davanti ad Hermione con la bacchetta tesa.
“Io voglio questo bambino!” urla con la voce
stridula e graffiata di sofferenza “Non posso avere figli! Non ne avrò mai…! E
tantomeno ne potrei avere da Draco! Ma la Granger porta in grembo suo figlio… e
Draco non rifiuterà mai suo figlio! Se gli dico che sono sua madre… avrò la
sola possibilità per cui davvero accetti di sposarmi…! Non puoi toccarla! Fallo
ed immediatamente Montague avviserà le autorità sul luogo in cui ci troviamo,
con la Granger prigioniera… ti sei mai chiesto perché non è mai qui con noi?!”.
Astoria ha il fiatone per lo sforzo per aver parlato così velocemente, Hermione
ne guarda la schiena mentre si ritrae contro la parete. Il figlio di Draco… è
la sola cosa al mondo che Astoria non avrebbe potuto mai avere.
Lei gliela ha offerta su un piatto d’argento.
Dimitri impreca, gettando qualcos’altro per
aria, e scompare su per le scale. Astoria sospira lungamente, si volta verso di
lei e le dice freddamente: “Vedi di mangiare, oggi… ti farò portare della
carne…”. Qualcosa, poi, sembra attirare la sua attenzione e, con un movimento
rapido, le strappa il frammento di vetro dalle mani, portandoselo via.
Hermione non riuscirà più a dormire da quel
momento in poi. Trascorrerà il giorno, curando Hayden, e la notte con gli occhi
aperti, una mano sulla pancia. Farà il gioco del “non ho mai detto a Draco” per
cercare di addormentarsi, ma non riuscirà lo stesso a prendere sonno. Perché
tutte le frasi si areneranno sempre in una sola.
Non ho mai detto a Draco che aspetto suo figlio.
Riapro
stancamente gli occhi, lasciando indietro nel fondo della mia memoria i ricordi
della mia prigionia in Russia, nel castello di Dimitri. Sono stata lì poco tempo,
solo una decina di giorni, eppure ricordo quelle giornate perfettamente, una
meglio dell’altra. Avevo avuto paura, certo, quando mi avevano catturata, ma la
mia solita incrollabile fiducia in me stessa, in Draco e nei miei amici mi
aveva fatto andare avanti i primi tempi. Una parte di me era convinta che sarei
riuscita a trovare un modo per liberarmi, o comunque ero certa che Draco mi
avrebbe cercato.
E
qualora tutto quello fosse fallito, prima o poi anche ad Harry, Ron o Ginny,
sarebbe saltato in mente di venirmi a cercare.
Le
cose, purtroppo, non erano così facili come le dipingevo.
E
me ne resi compiutamente conto solo nel momento in cui seppi che ero incinta di
Alex. Diventare madre è, automaticamente, diventare un essere terrorizzato e
ansioso. O perlomeno, quella fu la prima impressione che ne ebbi. La paura si
impadronì di me in un modo così totale che non ne trovavo paragoni nemmeno in
guerra, o in viaggio per trovare gli Horcrux. Non aveva nessun genere di
confronto con il terrore che poteva avermi assalito negli anni al pensiero che
capitasse qualcosa ad Harry o a Ron, né tantomeno aveva qualcosa in comune con
la sana angoscia che potesse capitare qualcosa a me stessa. Era invece qualcosa
di così cupo e totalizzante, da annullare ogni altro pensiero. Forse fu un
bene, chissà, perché per la prima volta da mesi esisteva qualcuno più
importante di Draco, e quindi ciò mi impediva di concentrarmi su di lui, cosa
che mi avrebbe rapidamente condotto alla follia. Al contempo, era anche un
male: ero completamente responsabile del piccolo individuo che mi cresceva
dentro, non potevo più agire solo ed esclusivamente per me stessa, non potevo
più mettere a repentaglio la mia vita in modo così avventato da uccidere me
stessa e il mio bambino. E questo fu terribile, perché ero e sono una
Grifondoro: ero e sono il coraggio incarnato della leonessa.
Ma
persino la più fiera delle regine della giungla deve, ad un certo punto,
diventare subdola e sfuggevole come una iena se vuole salvare i suoi piccoli.
E
quindi, lentamente, iniziai a riflettere in un modo che aveva tutto della
paranoia e quasi nulla della razionalità.
Era
oramai evidente che Draco non mi avrebbe cercato: sebbene allora non sapessi
della parte di Raissa in questa vicenda, anzi persino la ponevo tra i miei
ipotetici salvatori, ero comunque relativamente convinta che lui doveva essere
stato allontanato a forza da me, con qualche inganno e stratagemma. Se così non
fosse stato, Draco mi avrebbe immediatamente cercato e probabilmente anche
trovato, perché era chiaro come il sole che Dimitri mi voleva per sé. Il dubbio
poteva essere solo tra lui ed Astoria, ma in ogni caso Draco li avrebbe trovati
entrambi se fosse venuto al castello di Dimitri. Ed invece lui non arrivava a
salvarmi. Perciò concretamente o doveva credermi al sicuro, o doveva essere
stato convinto che non avevo bisogno di lui, cosa che poi effettivamente era
avvenuta. Deducevo che l’inganno ai suoi danni, molto probabilmente, doveva
aver fatto cadere in trappola anche Pansy e Raissa. E quindi escludevo anche
loro.
C’erano
i miei amici, poi, ma anche nel loro caso, sapevano che io avevo sostenuto
l’esame per entrare nel Wizengamot e che stavo trascorrendo del tempo da sola,
ad Hogsmeade. Ci aveva pensato, ai tempi, Zabini a quella messinscena, facendo
girare una specie di ologramma con le mie sembianze per il paese. Ed ammesso
che mi avessero cercato, probabilmente i raggiri di Dimitri e di Astoria
avrebbero potuto mettere comunque una toppa… e poi, certamente, nel peggiore
degli scenari per loro, comunque non avrebbero collegato la mia scomparsa a
Dimitri ed Astoria.
Harry
nemmeno sapeva dello Zahir, della trappola della Greengrass, non sapeva nemmeno
che io e Draco eravamo innamorati. Per arrivare a ricostruire i pezzi, ci
avrebbe messo troppo. E comunque c’era sempre la famosa spia di Astoria nella
cerchia del Ministro: qualsiasi mossa strana di Harry sarebbe stata subito
riferita e controbilanciata.
Non
mi sforzavo nemmeno di considerare, poi, i miei amici babbani, anzi mi auguravo
che non li saltasse mai in mente di venirmi a cercare. Hayden era in pericolo
di vita, e loro ne avrebbero condiviso la fine. Ed in ogni caso, dubitavo che
comunque potessero trovarmi. Seth sapeva che avevo bisogno di tempo per
dedicarmi a me stessa, ed anche lui non si sarebbe preoccupato se non fosse
riuscito a rintracciarmi, perlomeno per un paio di giorni.
Restavo
solo io con le mie esili possibilità di fuga. Ed uso l’aggettivo “esili” per
essere tardivamente positiva. Ero incinta, terrorizzata, priva di bacchetta,
con l’energia magica a pezzi e la mente confusa. E c’era Hayden che non era in
grado di spostarsi da solo, anzi… non era nemmeno cosciente, per la maggior
parte del tempo. Non potevo smaterializzarmi, probabilmente nessuno poteva
farlo nemmeno nel perimetro del castello; con il passare dei giorni, al
crescere del mio terrore, divenni sempre meno lucida. E mi resi conto
rapidamente di quale sarebbe stato il mio destino: potevo sperare
nell’indulgenza di Dimitri per i successivi nove mesi, fino a quando non avessi
al mondo il figlio di Draco. Astoria se ne sarebbe impossessata subito, avrebbe
ingannato Draco dicendo che era suo figlio, lui ci avrebbe creduto. Allora
Dimitri, inselvatichito da quei mesi di impotenza, mi avrebbe preso di forza e
portato nella sua camera. E lì sarei morta davvero, svuotata dell’amore per me
stessa e privata di quello per mio figlio e per il mio uomo. Hayden, intanto,
probabilmente sarebbe morto, gravandomi la coscienza di un’ulteriore colpa.
Mentre
nella mia mente, mio malgrado, si srotola di nuovo quel terrore, i miei amici
continuano a parlare animosamente, convinti che io li stia ascoltando.
Astoria,
a suo modo, ha salvato mio figlio, non posso portarle troppo rancore. Era una
donna sola, rigettata dal suo mondo, convinta di poter valere qualcosa solo
accanto a Draco Malfoy. Persino quando ero in Italia ed ogni volta che lasciavo
giocare Alex in giardino con l’ansia che lei si nascondesse ovunque per
portarmelo via, comunque provavo sempre un pizzico di pietà per lei.
Con
Dimitri, è diverso.
Lui
mi ha distrutto la vita, in ogni senso possibile.
Ha
lasciato una cicatrice così profonda in me che quella dello Zahir non è
assolutamente nulla. E quest’ultima c’è, c’è sempre, come una macchiolina
sporca sull’anima, come il segno di un peccato originale che non potrò mai
purificare in un battesimo. Dimitri si è insinuato nelle piccole cose, come il
serpente che era. È la paura degli spazi chiusi, quando resto sola. E’ nei
momenti di estraniamento come questo, in cui il vecchio panico di quei giorni
torna prepotente. È la repulsione per i contatti fisici con gli estranei. È
nella luce che lascio accesa quando vado a letto.
È,
ovviamente, nella distanza tra me e Draco.
Naturalmente
è nella mancanza di ricordi di Alex su suo padre.
È
nella ferita che ho inferto a Ron, lasciandolo in Italia. È nelle gambe di
Hayden, che non camminerà mai più. E’ negli occhi di Helder, quando scrutava il
tramonto e lo cercava all’orizzonte.
È
nello sguardo di pietà che curva gli occhi di Dean. È nella repressa
compassione di Pansy. È nella mano sempre stretta sulla mia di Seth.
Quando
ho saputo che era morto, non ho provato sollievo. Non ho sentito quella stretta
calda allo stomaco nel sentirmi finalmente al sicuro, e libera. Mi sono sentita
defraudata della sua uccisione.
Volevo
ucciderlo io, come non ho mai voluto farlo in tutta la mia vita. Persino da
Capo degli Auror, sono riuscita ad evitare di infliggere la morte. Adesso
volevo disperatamente ucciderlo, io.
Sono
arrivata a capire Draco, quando cercava gli assassini di Helena. Ma Pucey e
Montague erano due disperati e folli vendicativi, che volevano farla pagare a
colui che aveva portato via le loro persone care. Dimitri non aveva mai amato
nessuno. Non agiva per amore.
Solo
per potere, quello che voleva su di me.
E
soprattutto non ha fatto solo una vittima, ma decine. Draco, Alex, Hayden, Helder, Ron. E ha ucciso una parte di me stessa.
Sorrido
a Dean che continua a fare supposizioni, che Pansy stronca ogni minuto con
semplici monosillabi, mentre Seth continua a spanciarsi dal ridere.
Credono
di avere davanti la solita Hermione Granger e non si danno pena della mano che
non smette di tremare, unico sfogo ai miei pensieri. Perché, anche se sono
tornata a casa adesso dopo cinque anni, anche se sono riuscita a salvare me
stessa e mio figlio, anche se sono al sicuro, anche se finalmente ho la
possibilità di cercare Draco… una parte di me, nemmeno tanto piccola, è ancora
chiusa nel castello russo di Dimitri. Una parte di me non è mai stata liberata
quella notte calda di inizio luglio.
Quando
ci ripenso, quando ancora sento le pareti della stanza chiudersi su di me come
se mi intrappolassero, senza accorgermene tendo a sfregarmi forte le labbra con
il dorso della mano.
La
traccia di Dimitri sulla mia bocca, non se ne è mai andata da cinque anni fa.
È
stata l’ultima persona che ho baciato. E mi ha tolto anche l’ultimo calore
quieto che mi era rimasto di Draco.
Tra
le altre cose, mi ha tolto anche questo: l’ultima consolazione. Perché se tento
di ricordare il sapore delle labbra di Draco, immediatamente sento quelle di
Dimitri addosso. E le mie labbra prendono a bruciare come l’inferno.
Esattamente come in quella notte di cinque anni fa.
“Non devi prendermi in giro, Hermione…
piccola…l’ho capito che non camminerò mai più…”.
“NO! Non devi dirlo, io non te lo permetto!
Quando ci libereremo, quando usciremo da qui… Ginny… è un Medico dei Maghi…
potrà fare qualcosa, sicuramente lei potrà…”. La voce le si spezza, mentre
segue la sua mano che, senza accorgersene, ha stretto la gamba di Hayden.
Dovrebbe sentire male, dovrebbe avvertire dolore, gli sta facendo male. Lui
invece non reagisce minimamente, non dice nulla. Chiude gli occhi, tira
indietro la testa, sospira. Un minuscolo singhiozzo gli riecheggia in gola.
Hermione stacca la sua mano come se si fosse
ustionata, ricade seduta sul pavimento accanto al suo letto, le spalle piegate
dal peso del mondo tutto.
Hayden sta meglio, se così si può dire. La
gravidanza le ha dato un enorme ascendente e potere su Astoria, l’ha minacciata
di lasciarsi morire di fame se non avesse portato una medicina per guarire la
ferita di Hayden. La mattina precedente, lei ha portato una boccetta dal
liquido verde acqua che ha fatto ingerire ad Hayden, non prima che Hermione si
premunisse di assaggiarla per non constatare la presenza di un veleno. Astoria
ha stretto gli occhi, guardandola oltre le sbarre, ma Hermione ne ha sorretto
orgogliosamente lo sguardo mentre beveva. Per nove mesi, potrà aggrapparsi ad
ogni premura di Astoria, preoccupata spasmodicamente che lei resti viva e porti
a termine la gravidanza.
Non appena Hayden ha ingerito la pozione, la
ferita si è rimarginata e la febbre è calata. Ha ripreso coscienza, ha
ricominciato a parlare, lentamente ha ripreso anche a mangiare. Eppure le sue
gambe sono rimaste immobili, insensibili, assolutamente morte. Ha tentato di
fare qualche passo, di muoversi, ma nulla. È sempre cascato al suolo, senza
forza. La ferita, troppo profonda, deve avergli intaccato qualche nervo spinale.
Hermione lo guarda e non riesce a smettere di
piangere, non riesce a fare altro. Non si meritava tutto questo, solo per
averla conosciuta in uno stupido parco divertimenti. Non si meritava lei, non
si meritava la sua vita disastrata, non si meritava di stare in quella cella.
Perché hanno dovuto prendere lui e fargli del male? Perché? Non pensavano che
l’avrebbero già spezzata, dividendola da Draco? Ci voleva il colpo di grazia
finale alla sua combattività?
Certo che ci voleva, Hermione inconsciamente lo
riconosce. L’hanno divisa da Draco, ma lei sa di voler tornare da lui, ha
ancora speranza. Lo Zahir non ha sedato il suo amore, figuriamoci se possono
riuscire delle sbarre in questo. Se lo riprenderà, lo troverà, appena uscita da
qui. Ne è certa.
Però il senso di colpa per Hayden le impedisce
di pensare a qualsiasi cosa di vagamente volitivo. È come se fosse paralizzata
lei stessa, ma in un pantano appiccicoso che le impedisce anche solo di pensare
di muoversi. Annega nelle sabbie mobili e nulla la trattiene al di qua della
fossa che la trascina giù. Quando Hermione ci ripenserà anni dopo, capirà
agevolmente quanto Hayden fosse stato utile a Dimitri. Era il modo con cui lui
ha potuto tenerla oggettivamente segregata lì, prima nel cuore, e solo
secondariamente con il corpo. Ed è stato anche il vero ed autentico modo in cui
l’ha divisa da Draco. Non riesce a pensare a lui, si sente colpevole a farlo.
Hayden sta patendo tutto quello, non solo perché
l’ha conosciuta, ma anche perché lei non ha corrisposto il suo affetto, se non
addirittura il suo amore. Perché amava Draco.
E pensarci adesso, aumenta la colpa sulla colpa.
In quei giorni, Hermione cerca di pensare di
rado anche al bambino che porta in grembo, non ne immagina viso, colori e
gesti, ma lo relega in una parte della sua mente dove ha solo l’obbligo di
continuare a respirare e a mangiare, per tenerlo in vita.
È l’arma che usa contro Astoria. Ed è al
contempo un’arma contro Dimitri: non ha più voluto vederla, da quando ha saputo
che era incinta. Non viola la sua mente, non tenta di sedurla, non fa
assolutamente nulla. La ignora, ecco. La sua espressione alla scoperta della
gravidanza, del resto, era stata abbastanza inequivocabile: Hermione lo
disgustava. Perché diamine allora non la lascia andare, perché non lascia
andare Hayden? Semplice. Tra nove mesi, Hermione non lo farà più inorridire,
quando si libererà dell’ultimo scomodo regalo di Draco Malfoy. Solo allora
Dimitri non avrà più davanti agli occhi la prova tangibile che Hermione ha
sempre amato e sempre amerà Draco Malfoy.
Hermione abbraccia le ginocchia, poggiando la
fronte sulle gambe piegate. Cerca di reprimere i singhiozzi, non vuole che
Hayden la veda piangere. Lui non conosce questo mondo, deve essere lei ad
incoraggiarlo. Ma ha perso tutto, ha perso ogni cosa. Ormai persino la speranza
è diventata stantia come naftalina.
Sobbalza quando sente la mano di Hayden che le
accarezza piano i capelli, solleva il viso e lo vede sorriderle stancamente,
disteso sempre sul letto. Lo stesso instancabile sorriso che aveva il giorno
che l’ha conosciuta. Le lacrime ignorano le sue proteste e inondano gli occhi,
riversandosi poi sulle guance rosse.
“Non è stata colpa tua…” sussurra Hayden,
continuando ad accarezzarle il capo “Non voglio che tu lo pensi nemmeno per un
secondo, ok? È un caso che ci sia qui io, o non lo so, Seth… o April…”.
Hermione deglutisce rumorosamente, non gli confessa che Draco ha protetto loro
ma non lui. Non crede a Dimitri, è convinta che Draco semplicemente non abbia
pensato che Astoria potesse colpire lei attraverso Hayden. Non crede che
l’abbia fatto deliberatamente, come dice Dimitri. Non lo crederebbe mai.
Eppure ad Hayden non dice nulla, eppure protegge
Draco.
Forse protegge solo sé stessa: lei che, quando
Draco le aveva parlato delle misure di sicurezza che aveva preso, non aveva
minimamente pensato che Hayden potesse essere in pericolo. Forse, egoista
com’era, a lui non aveva pensato proprio.
Un ulteriore singhiozzo le fa tremare le spalle,
Hayden le solleva il mento con una mano: “Voglio che tu mi prometta una cosa,
Hermione…”.
“Tutto quello che vuoi…” bisbiglia lei.
I suoi occhi si fanno seri, intensamente lucidi,
sembrano due pezzi di vetro verde scheggiati di luce: “Se avrai la possibilità
di andartene da qui… se hai anche una sola minuscola idea che ti conceda di
salvarti, ma non la stai nemmeno rendendo reale a te stessa perché sai che non
posso seguirti… non farlo. Devi andartene da qui, sono stato chiaro?”.
“NO!” urla Hermione, staccandosi bruscamente
dalla sua stretta “Non esiste al mondo! Io non me ne andrò mai senza di te, hai
capito?!”.
“Sì che lo farai…” ripete testardo Hayden,
guardandola negli occhi “Sei incinta, hai un bambino…! E ho capito che cosa
vuole quel Dimitri da te… vuole tutto quello che hai…”, fa una pausa, lunga,
sofferta, respira a fatica: “… e con tutto quello che hai, intendo davvero
tutto… il tuo cuore, la tua magia, il tuo corpo… tutto…”, le prende il viso tra
le mani, le sue dita si bagnano delle lacrime che le cadono incessanti dagli
occhi: “Ti ucciderà, Hermione… se non in modo fisico, si prenderà tutta te
stessa… devi andartene da qui…”.
“Sarei già stata con lui, se avessi avuto la
certezza che ti avrebbe liberato…” confessa Hermione tutto d’un fiato,
chiudendo gli occhi.
Hayden si stacca da lei, la guarda con
espressione addolorata, capisce che non cambierà mai idea.
“A Draco non pensi? Non pensi a cosa accadrà se
non ti vedrà tornare?”.
Hermione trasale, trema e si aggrappa all’angolo
del letto. La mente le si spalanca di tutti gli Universi possibili a cui cerca
di non pensare da quando è stata catturata. Serra forte gli occhi, trattenendo
fuori quei pensieri, ma l’effetto che ne ricava è di sentire solo un forte
rumore nella testa, simile ad uno scoppio.
“Ahia…” si lamenta, portandosi le mani alle
tempie. Hayden si china con il busto su di lei e le chiede: “Che c’è? Hai di
nuovo la nausea? O è la testa… che ti fa male?”.
“Ho sentito come uno scoppio nel cervello…”
bofonchia Hermione, tranquillizzando il ragazzo “Gli ormoni forse mi fanno
brutti scherzi…”. Non fa nemmeno in tempo a finire la frase che il rumore,
nella mente, si ripete di nuovo, stavolta però accompagnato da una voce
femminile che la chiama per nome: “Hermione…”. La ragazza, di primo acchito, si
mette istintivamente le mani sulle orecchie, premendo forte, convinta che sia
solo uno dei trucchi di Dimitri per farle perdere quel poco di cervello che
ancora possiede. Quando la voce, però, riprende a parlare, qualcosa scatta
nella mente di Hermione che riesce a collegare di averla già sentita.
“Hermione… mi senti?” la voce lo chiede ancora
con tono più sommesso, ed Hermione finalmente riesce a capire di chi si tratta.
Con le lacrime agli occhi, sente la speranza guizzare in fondo al suo ventre
come un pesce argenteo.
“Helder!” urla nella sua mente, cercando di
concentrarsi il più possibile. La voce dell’amica le arriva lontana, come se
fosse distante chilometri. Hayden la guarda senza capire, Hermione solleva
semplicemente il palmo della mano e cerca di fargli capire che va tutto bene.
“Riesci a sentirmi?” ripete ancora Helder, la
voce leggermente più netta.
“Sì… adesso un po’ meglio… come faccio a
sentirti? Come ci riesci?” chiede Hermione, lieta che la voce della sua testa
sia più forte di quella della sua gola che sicuramente si sarebbe profusa in
singhiozzi.
“Ti sei scordata che sono un’Empatica?” la voce
di Helder sembra quasi ridere nella sua mente, Hermione se l’immagina persino
scuotere la testa incredula “Di base è semplicemente Legilimanzia… ma io non ho
bisogno di bacchetta o di eccessiva vicinanza… solo di sentimenti forti… e nel
tuo caso so per esperienza che sono una tua prerogativa…”.
“Lo Zahir… è distrutto…” si sente quasi in
dovere di spiegare, a disagio, come se in qualche modo fosse importante
dirglielo, come se a suo modo Hermione volesse sconfessare il momento di quella
debolezza “Ed è stata Astoria Greengrass… insomma… a convincermi a crearlo…”.
“Avrei dovuto capirlo…” dice Helder con tono
grave “Nessuno sa niente dello Zahir… devi stare tranquilla su questo… era una
pozione proibita, finirei prima io nei guai e poi tu… e sono contenta di come
sia finita… sia per te che per Draco…”.
“Come fai a saperlo? Come fai a sapere che
noi…?” chiede atona Hermione, chiudendo la mente dal pensiero di Draco stesso.
“Che siete innamorati? Facile, Hermione… la
risposta è come sopra… sono un’Empatica…” sorride Helder con calore nella sua
testa “Quel giorno… a Diagon Alley… era solo un sospetto. Non su di te,
ovviamente… ma su Draco… aveva sentimenti confusi, veloci come stelle cadenti…
e non potevo esserne certa. Ma sentivo che sotto quella rabbia e quel dolore…
c’era qualcosa. Poi siete venuti allo scoperto l’uno nei confronti dell’altra…
e da allora, è stato impossibile ignorarvi…”.
“Che vuoi dire?” bisbiglia Hermione,
stringendosi il petto.
“Non credi che un amore così, sia qualcosa di
semplicemente… troppo… anche per un Empatico? Tu hai rotto lo Zahir… lui ha
battuto Adamar… due segreti vecchi come la Magia stessa… noi Empatici… io e gli
altri, anche a grandissima distanza… vi abbiamo sentito ininterrottamente, come
si sente il fuoco di un incendio quando si è avvolti dalle fiamme… sono
settimane che ho il cervello che brucia…”.
È come se, alle parole di Helder,
improvvisamente si aprisse una finestra nella mente di Hermione. La luce entra
cauta, timorosa, timida, poi d’un tratto esplode e fiorisce come decine di
fuochi pirotecnici. L’incantesimo del demone cattivo, che ha chiuso la
principessa nel castello, si rompe come cristallo ed Hermione stessa ha
l’impressione di spezzettarsi come un pezzo di vetro. Tutto quello al quale ha
cercato di non pensare per giorni, le compare nella testa con la potenza di un
vortice. Il cuore pompa di nuovo nelle vene l’amore per Draco che, prepotente
come sempre è stato, le annulla ogni altra preoccupazione e pensiero. E tutto
risorge come se non se ne fosse mai andato, l’urgenza di sapere dove e come
stia, la preoccupazione per lui, l’ansia di sapere se stia soffrendo… ricorda,
come se lo sapesse solo ora, che è incinta di suo figlio. La gola si chiude e
si serra come se stesse soffocando, mentre ogni muscolo del corpo brucia
nell’immobilismo che fino a poco fa, le era sembrato quasi doveroso imporsi.
Doveroso, sì, per rispetto verso Hayden e per cura negletta di suo figlio.
Adesso, d’un tratto, tutto è claustrofobia, costrizione. E proteggere Hayden e
il suo bambino è trovare il modo di uscire di lì. La speranza, che la voce di
Helder le ha restituito, diventa un faro luminoso nella sua testa che la porta
persino a ripensare a sé stessa: ha ragione Hayden, non può permettere che
Dimitri si prenda tutto di lei. Ma soprattutto lei non può permettersi di
lasciar scivolare via Draco, lontano dalla sua vita, ingannato da chissà che
artificio di Astoria e Dimitri. Non può permetterlo. Per loro, per quello che
hanno alle spalle e per quello che hanno davanti a loro. Un figlio. Un bambino.
Sebbene ancora non riesca ancora a dirsi che è anche suo figlio, Hermione per
la prima volta lo sente vivo e tangibile dentro di lei. Per la prima volta, non
è una specie di vermiciattolo che striscia nella sua pancia. Per la prima
volta, ne immagina persino un viso senza colori.
“Non so dove sia, comunque… li sento i tuoi
pensieri, Herm…” riprende tristemente Helder, rispondendo alle domande mute
dell’amica “Non riesco a sentire Draco… è vuoto, al momento, Hermione… quindi
non emana nulla che io possa percepire…”.
“Vuoto?!” esclama Hermione sgomenta, aprendo e
chiudendo la bocca come in mancanza d’aria.
“Vuoto, già… è difficile da spiegare per un Non
Empatico… ma è così… lo sento come un eco, sento che è vivo… ma non saprei
dirti nemmeno se è ancora in Inghilterra… non prova nulla di sufficientemente
forte, perché io lo possa sentire…”.
Quella frase, Hermione la sentirà molte volte
negli anni successivi. Le farà sempre lo stesso maledetto effetto: il cuore in
una morsa, stritolato e stropicciato più e più volte. Ogni volta che Helder con
pazienza dolente gliela ripeterà, lei perderà un briciolo di forza e di
speranza. Quel giorno, però, è la prima volta che la ode. Quindi la ricaccia a
fondo dentro sé stessa, cercando di non lasciarsi sopraffare.
“Come fai allora a sentire me? E come fai anche
a parlare con me?” chiede quindi impensierita “Forse io non sono nemmeno in
Inghilterra… o sbaglio?”.
“No, non sbagli… sei in un castello, al confine
tra Russia e Bielorussia… e sono riuscita a sentirti solo per un attimo… giorni
fa… hai provato una disperazione così lacerante che sono riuscita a sentirti per
pochissimo in modo distinto…”.
Hermione ci riflette su, una disperazione
lacerante… poi sospira e ricorda. Il momento in cui ha scoperto di essere
incinta… ed ha immaginato i mesi successivi in quella prigione.
“Ti controllavo da settimane… da quando hai
rotto lo Zahir…” continua Helder senza sosta “Ovviamente di quello me ne sono
accorta subito… ti sentivo a tratti, eri triste… poi hai ritrovato Draco… e
siete esplosi nel cervello di tutti, non solo nel mio… fino ad una sera di
dieci giorni fa… lì, non vi ho più sentiti…”. Dieci giorni fa… Hermione fa un
rapido calcolo: la sera del compleanno di Pansy.
“Mi sono impensierita, naturalmente… non sentivo
più te… e ora so che era perché eri troppo lontana da Londra, perché ti
sentissi… e Draco era vuoto… ho pensato persino che ti avesse uccisa…”.
Hermione incassa le sue parole con un tonfo al
cuore, ovviamente sa che Draco non le farebbe mai del male. Ma sa anche che il
padre di Helder è stato ucciso da Lucius Malfoy: sarebbe anormale se lei non
avesse pensato una cosa del genere.
“Avevo già deciso di contattare qualcuno… di
dare l’allarme a costo di rivelare tutto, anche dello Zahir… poi sei ricomparsa
lontanissima dall’Inghilterra… in un castello in Europa Orientale… e ho capito
che c’era qualcosa che non andava…”. Helder prende ancora fiato, la sente
esitare nella sua mente, poi dice sicura: “Se riesco a sentirti adesso, se
riesco a parlarti… è perché sono qui, Hermione… sono a pochi chilometri dal
castello…”.
Hermione sobbalza: “Sei qui? E sei da sola? Non
puoi fare nulla, Helder… il castello è protetto… è troppo pericoloso…”.
“Non sono da sola… e qui viene il bello…”
sorride Helder con calore, la mente stessa di Hermione sembra trarne un tiepido
beneficio “Quando sono andata al Ministero… per raccontare che ti avevo sentito
in Bielorussia… e ti avevo sentito disperata… Harry era in gran subbuglio… e a
causa tua…”.
“Harry?! E che c’entra lui?”.
“Poco prima, Ronald era piombato nel suo
ufficio, trascinando Lavanda, la sua ragazza… lei è la segretaria del Ministro,
lo sai no?”. Hermione annuisce mentalmente, i pezzi che finalmente iniziano a
combaciare uno dopo l’altro.
“Ron e Lavanda avevano litigato quella mattina a causa tua …”
prosegue Helder concitata “Lui voleva lasciarla e lei continuava a dire che era
ancora innamorato di te…”.
Hermione trasale ancora e serra più forte gli
occhi chiusi, mentre Helder prosegue: “Lavanda, in un impeto di rabbia, gli ha
urlato che probabilmente non ti avrebbe più rivista… e Ron, sconvolto, l’ha
portata da Harry… e lì Lavanda ha confessato che faceva da qualche settimana il
doppio gioco per Astoria Greengrass… voleva liberarsi di te perché era convinta
che tu fossi l’ostacolo sempre presente tra lei e Ron… non sapeva che cosa ti
fosse successo, sapeva solo che non eri più in Inghilterra… e da lì, è uscito
fuori tutto, Hermione…”.
“Cosa, esattamente? Di me e di Draco?” chiede
Hermione con un filo di voce, ancora incredula. La spia… quella che avevano
cercato per giorni… era Lavanda Brown.
Come poteva, dopo anni, preoccuparsi ancora di
lei? E soprattutto non aveva saputo da Astoria che lei e Draco stavano assieme?
Aveva mentalmente escluso che potesse essere lei, proprio per quel motivo. Una
parte della sua mente registra sommariamente che, secondo Lavanda, Ron è ancora
innamorato di lei. Vorrebbe non sentire nulla, a riguardo, ma lo stomaco le si
contorce in preda al nervosismo.
“No, di te e Draco non è uscito fuori nulla…” la
rassicura Helder con un filo di voce “Ed è ovvio, se ci pensi… Astoria non
aveva mai raccontato niente a Lavanda per non compromettere l’aiuto prezioso di
lei… anzi l’aveva incoraggiata a credere che tu fossi ancora persa di Ron… in
quanto ad Harry, ha collegato te e Draco, ma non in quel modo, anzi mi ha detto
di averti chiamato settimane fa e di aver sentito distintamente da te che non
provi nulla per Draco… ed invece credo che tu fossi solo sotto il controllo
dello Zahir, vero?”. Hermione, fiaccata, annuisce stancamente e ricorda la
telefonata di Harry di qualche settimana prima: lei era appena tornata dalla
spiaggia con Hayden ed Harry le aveva chiesto se provava qualcosa per Draco.
Hermione aveva negato con ferocia, quando in realtà era solo sotto l’azione
dello Zahir che le impediva di sentire qualsiasi cosa per Draco.
“Per il resto del Mondo della Magia,
figuriamoci…” continua Helder “Draco è morto anni fa… e voi non avevate alcun
legame… Harry ovviamente l’ha cercato… ma nulla, lui è scomparso. Il Petite
Peste è gestito da Seth, non si trova nemmeno la bambina, Serenity… e persino
Blaise Zabini e Pansy Parkinson non sanno nulla di lui da una decina di giorni.
Harry ha scoperto, però, che tu non
avevi mai sostenuto l’esame per il Wizengamot, che le carte erano state
manomesse… e ha anche scoperto che quella che girava per Hogsmeade, secondo
alcuni testimoni, era solo un miraggio, un’illusione ottica… quindi ha pensato
che fossi scomparsa da tantissimo tempo… quando invece tu eri con Draco… non ho
contraddetto la sua tesi, perché comunque spetta a te parlare loro di Draco e
di tutto il resto… e se non l’hai mai fatto, avrai i tuoi motivi…”.
“Hai fatto bene… grazie Helder…” ripete
Hermione, preoccupata “Anche se, conoscendo Harry, sicuramente adesso sarà
convinto che io sono scomparsa a causa di Draco… insomma lui non si trova e
nemmeno io…”. Le parole le fluiscono fuori senza forza. Hermione riesco solo a
pensare che Draco non si trova, e nemmeno Serenity. Riesce solo a pensare che
nemmeno Blaise e Pansy sanno nulla di lui. E, per strano che le possa sembrare,
lei non pensa che non si trovi perché è prigioniero o altro. Anche negli anni
successivi, Hermione lo sentirà distintamente vivo e vegeto, ma morto dentro.
Come le continuerà a ripetere Helder. Non è nemmeno disperato… è solo… vuoto.
“Harry, ovviamente, di primo acchito ha
collegato le vostre due sparizioni…” asserisce Helder “Ma, quando sono arrivata
io e gli ho detto che ti avevo sentito in Russia… e che Draco non era con te,
perché sennò mi sarei accorta di lui… mi ha creduto… è abbastanza ignorante in
materia di Empatici, il Ministro. E non sa che, se anche Draco fosse con te, io
dall’Inghilterra non l’avrei sentito… avrei potuto percepirlo solo per
quell’amore che condividete e che, come ti ho spiegato, è abbastanza
onnipresente per quelli come me… ma Harry mi conosce, e si fida di quello che
dico… quindi se escludo la responsabilità di Draco, senza spiegare molto di
più, a lui ovviamente sta bene così…”.
“E sa che dietro a tutto c’è Dimitri Karkaroff?”
chiede Hermione nervosa “Non sarà facile avere a che fare con lui…”.
“Dimitri Karkaroff lo conosco… dai tempi della
Seconda Guerra Magica…” riprende Helder incolore “Voleva essere un Indicibile…
ma non ci riuscì… e so per certo che non è persona di cui fidarsi… la sua
conoscenza magica è illimitata… e scommetto che c’è lo zampino di Adamar…”.
“Non sbagli…”.
“Ma la cosa peggiore di lui è… quello che ha
dentro…” prosegue Helder agghiacciata “Non ho mai sentito nulla del genere… non
è amore quello che sente per te, non è nemmeno curiosità… è ossessione… sarebbe
capace di farti a pezzi, pur di vedere come funzioni…”. Hermione rabbrividisce,
chiudendosi nelle spalle, la mano di Hayden si chiude sulla sua. La stringe
forte.
“Io non sono sola, Helder…” riprende Hermione
dopo un po’ con tono sommesso “C’è un’altra persona con me… un Babbano… e credo
che non possa nemmeno più muoversi… e poi… sono…”.
“Incinta…” finisce Helder per lei “Lo so, lo
sento… sento il bambino dentro di te… non ha ancora una forza sua autonoma o
sentimenti… ma insomma… è facile da sentire… o meglio… è strano da sentire… è
come avvertire te e Draco mescolati assieme…”. Una lacrima le sfugge
dall’occhio, Hermione la raccoglie con le dita, mentre sente quasi il peso di
suo figlio dentro. E poi sente come l’ha chiamato… suo figlio.
“Per fortuna non sono sola nemmeno io, Herm…”
continua Helder più allegra “Harry e Ron sono con me… assieme ad una ventina
dei tuoi vecchi Auror…”.
Le lacrime finiscono di cadere sulle guance di
Hermione, si sciolgono come ghiacciai all’inizio della primavera. I suoi amici…
sono qui… non è sola, non lo è mai davvero stata. L’hanno trovata. Tutto in lei
urla feroce che il tempo l’ha divisa da Harry e Ron, lei stessa non è più
quella che loro conoscevano. Ha un segreto pesante dentro, che ha le fattezze
di un bimbo Malfoy nella sua pancia, eppure loro tre sono ancora lì, pronti ad
accorrere sempre l’uno in soccorso dell’altro. Per un piccolo e stupendo
attimo, Hermione si pente persino di non aver mai raccontato loro nulla di lei
e Draco e di averli volutamente lasciati fuori. Lo avrebbero difeso, lo
avrebbero trovato, avrebbero impedito che Dimitri glielo portasse via. Magari
sarebbero stati restii a capire che si amavano sul serio loro due, ma poi, come
hanno fatto Pansy e Blaise, avrebbero accettato. E ora, forse, Draco sarebbe
con loro a liberarla. Ma lui non c’è… lui… adesso è… vuoto. Ogni volta che
quell’aggettivo, assurdamente riempie la sua mente, lei si sente andare a
pezzi.
“Ora, però, viene il difficile, Herm…” prosegue
Helder con voce flebile “Dimitri è potente… molto… troppo, persino per un
migliaio di Auror… conosce incantesimi che io non posso nemmeno pensare di
conoscere anche se sono un’Indicibile. Harry mi ha voluto qui proprio perché
comunque ho una conoscenza maggiore rispetto a loro… e comunque non credo
nemmeno che sia sufficiente… Dimitri ha un solo punto debole… e purtroppo, sei
tu…”.
Hermione deglutisce rumorosamente, sapeva che si
sarebbe arrivati a questo punto, lo sentiva. Da quando Helder ha iniziato a
parlare nella sua testa, ha sentito che si sarebbe arrivati a quel punto. La
mano di Hayden nella sua, è fredda, ed Hermione, senza riaprire gli occhi, lo
vede accanto a lei, le gambe immobili, il sorriso tirato, la fiducia riposta
completamente in lei. Deve farlo… è il suo sacrificio per Hayden. Lui ha già
sacrificato troppo per lei.
“Dimmi che cosa devo fare… a patto che salviate
Hayden… io farò qualsiasi cosa…” dice decisa, raddrizzando le spalle.
“L’unico Incantesimo che è posto sulla
proprietà… che riesco a sentire…” inizia titubante Helder “E’ un Incantesimo
che ha reso le mura del castello… come prolungamenti del corpo di Dimitri.
Sente… ogni cosa. Se abbattessimo un muro, o entrassimo, se ne accorgerebbe
subito… a meno che… non si distragga… e la sola che puoi distrarlo, sei tu…”.
“Certo…” asserisce convinta Hermione “Hayden è
nelle segrete… portate via lui, approfittando del tempo che posso guadagnare…”.
“E tu?” chiede Helder, il tono sospeso che
ricorda che sta parlando con il Capo degli Auror, la cui mente era
costantemente allenata ad ogni tipo di strategia e piano diversivo. Hermione
non ha dubbi nemmeno per un momento: “Salirò in camera di Dimitri… se lui può
sentire solo le mura del castello… io mi getterò dalla finestra della sua
stanza…”.
“E’ troppo pericoloso!”.
“No… non lo è… pensate a come impedire che mi
sfracelli al suolo… una scopa… o un Levicorpus
potente… avete tempo fino a quando sentirai Dimitri… cambiare…” Hermione
deglutisce pesantemente, sa che accadrà quando Helder sentirà Dimitri cambiare.
Sarà arso dal desiderio per lei. Sarà facilissimo per Helder accorgersi della
differenza. In entrambi… lui sentirà di aver vinto. Lei sentirà di aver davvero
perso per sempre.
Hermione chiude la mente ad Helder e alle sue
rimostranze, riapre gli occhi e guarda Hayden con un largo sorriso.
“Vengono a liberarci…” dice, sorridendo. Hayden
le stringe forte la mano, le chiede come faranno, chi gli sta liberando, come
faranno a portarlo fuori da lì, in quelle condizioni. Hermione gli dice solo di
fidarsi di lei.
“C’è anche Draco con loro?” chiede Hayden,
guardandola negli occhi.
Hermione sospira profondamente, eludendo la sua
domanda: “Ascolta Hayden, devi fidarti di me… non contraddirmi… fai solo quello
che ti chiedo… resta qui… e non fare
nulla di stupido… io… io me la caverò, ok?”.
Hermione si divincola dalla sua presa, raggiunge
velocemente le sbarre della cella mentre Hayden inutilmente la richiama
indietro, urlando e cercando anche di trascinarsi giù dal letto su cui è
disteso. Ma Hermione, rapida, sussurra al chiavistello della cella: “Voglio
andare da Dimitri”. Hermione si sente strappare via, all’altezza dell’ombelico,
mentre in un fascio di vento, si sente sospinta in alto, verso la camera del
signore del castello.
La stanza di Dimitri deve essere nella torre più
alta: Hermione nota subito dalla finestra spalancata la notevole altezza, a cui
devono trovarsi. Respira a pieni polmoni l’aria fresca, che scaccia via la polvere accumulatasi nei
giorni precedenti. L’aria ha un odore buono, sa di pulito, sa di resina e
pioggia, sa di luna mescolata alla rugiada. Lontano, intravede delle vette
innevate, una foresta di conifere, un laghetto dall’acqua pulitissima. Il vento
le soffia sul viso, scompigliandole i capelli ed agitando il vestito nero che
porta dalla sera del compleanno di Pansy. Hermione resta con lo sguardo
immobile, congelato, desiderosa di correre fino alla finestra per gettarsi di
sotto, senza paura. La libertà è ad un passo.
Ma Hayden è ancora lì sotto, ancora attende di
essere liberato. E lei ha ancora una cosa da fare, ha ancora quest’ultimo
vessillo da far cadere davanti a Dimitri, prima di poter arrendersi.
Getta uno sguardo distratto alla stanza, sembra
scavata nella roccia. La pietra viva ricopre pareti, soffitto e pavimento.
Sulla destra un letto a baldacchino rosso sangue torreggia su un tappeto dello
stesso nauseante colore. Sulla sinistra, invece, c’è un enorme camino spento,
sulla cui sommità Hermione vede la testa di un cervo ucciso. L’unica luce è una
candela posta sul comodino di Dimitri, accanto al quale c’è una poltrona. E lì,
c’è lui.
Appena la vede, si solleva bruscamente in piedi
e la fissa sconvolto, come se non la vedesse davvero, come se non credesse sul
serio che sia lì. Per un attimo, lascia andare il ferreo e rigido controllo su
sé stesso e sembra autenticamente sorpreso. Probabilmente non dorme da giorni,
due profonde occhiaie gli cerchiano gli occhi blu, la camicia nera è
spiegazzata, i primi bottoni aperti sul torace. I capelli serici sono
arruffati, li scompiglia ulteriormente con le dita. Nella mano, regge un
bicchiere rotondo di cristallo, in cui restano poche tracce di uno scintillante
liquido ambrato.
“Sei qui…” constata con un filo di voce,
poggiando il bicchiere sul comodino e facendo un passo incerto. Hermione lo
guarda, sollevando il mento, sa che deve trattenerlo, sa che deve recitare, sa
tutto. Ma sa anche che deve essere sé stessa, sa anche che non può diventare
un’altra. Lui capirebbe il suo gioco immediatamente. Le mani le sudano
freneticamente, mentre dice stentorea: “Avevo qualche alternativa? Sono qui da
giorni… non sarà forse il momento di… sistemare questa cosa? Che cosa diamine
vuoi da me?!”. Le spalle le si contraggono involontariamente, scivolano fuori
con rabbia inespressa le ultime parole della frase, mentre una calugine di
pianto frustrato le vela lo sguardo.
“Hermione… piccola…” bisbiglia lui,
avvicinandosi piano come una fiera nella foresta. Si ferma di fronte a lei, la
soppesa con lo sguardo per qualche secondo, poi allunga una mano come a volerle
toccare il viso. Ma il braccio ricade sconfitto lungo il suo fianco, un attimo
dopo che Hermione sia trasalita e si sia stretta inconsciamente a sé.
“Hai paura di me?” le chiede con voce soffusa,
da una parte quasi spaventato, da una parte curiosamente eccitato dalla
possibilità che lei davvero lo tema. Hermione punta i suoi occhi nei suoi,
lapilli di fuoco che guizzano nel blu dell’iride di lui.
“Dovrei averne?” chiede lei, incrociando le
braccia “Mi tieni qui prigioniera, cerchi di violare la mia mente… vuoi rubare
la mia magia… e chissà che altro…”. Hermione tace il pericolo maggiore, quello
che le si agita pericolosamente dentro, come un animale rivoltante. Gli occhi
evitano di guardare il letto nell’angolo della stanza, ma comunque lo sguardo
voglioso di Dimitri sembra suggerirle in ogni momento quanto bramerebbe trascinarla
lì.
“Non devi avere paura…” sussurra Dimitri,
facendo un altro passo e guardandola. Ormai è di fronte a lei, Hermione deve
sollevare lo sguardo per riuscire a guardarlo negli occhi come si sta imponendo
di continuare a fare. Il coraggio non le è mai mancato, né le mancherà nemmeno
in punto di morte.
Dimitri, veloce, le prende il viso tra le mani, Hermione
rabbrividisce al contatto con la sua pelle fredda. Lui ha quasi un tono di
scusa sommessa negli occhi, si piega l’espressione di prostrazione mentre la
guarda e, piano, c con
tutta la lentezza del mondo, le accarezza il profilo morbido delle labbra con
le dita. Hermione chiude gli occhi, concentra la sua mente sul bambino nella
sua pancia, mette ogni energia nel ricordare che è il figlio di Draco. E’ il
solo modo per non perdersi, per non cedere, per non cadere come una fortezza
espugnata davanti a Dimitri.
“Tutto questo…” riprende Dimitri con un tono
dismesso che non gli appartiene, mentre continua ad accarezzarle le labbra “E’
stato necessario… Hermione… piccola… tu… non volevi ascoltarmi… e ho dovuto…
portarti qui…”. La sua voce, così diversa da quella che lei è abituata a
sentire, le fa aprire bruscamente gli occhi e dischiudere le labbra, mentre lo
guarda. Ha un’espressione diversa, concentrata, infinitamente… triste. La cosa
strana è che sembra non guardarla neppure, sembra che lei nemmeno esista più.
E’ come se fosse diventato una statua di sale, cosciente di sé stesso solo per
il lento e meccanico movimento di accarezzarla.
Non si era immaginata così la cosa, Hermione. Si
era immaginata violenza, avevo pensato subito che la gettasse su quel letto e
la prendesse con la forza. Hermione sente dalla tensione del corpo di lui che
la vuole ancora, che la desidera infinitamente, eppure se ne sta fermo,
immobile. La accarezza e basta, profondamente perso nei suoi pensieri.
Quando sente la voce di Helder nella testa che
la esorta a continuare qualsiasi cosa stia facendo, dato che l’Incantesimo a
difesa delle mura si sta indebolendo, Hermione respira a fondo e sussurra con
un filo di voce: “Cosa, non volevo ascoltare?”.
La domanda le esce dalle labbra quasi come se
stesse sognando, come se non fosse più cosciente di sé stessa. Fissa gli occhi
blu di Dimitri e formula quella domanda: non vuole soltanto prendere tempo, ma
vuole capire. Perché effettivamente sente che qualsiasi cosa spinga Dimitri
verso di lei… curiosamente con lei non c’entra nulla. È strano, non saprebbe
spiegarlo.
Dimitri sorride, ha un sorriso storto e curvo,
che non arriva agli occhi. Sono come bloccati quegli occhi, persi in una stasi
tutta loro. Bisbiglia a mezza bocca, ancora con quel tono timido che non gli ha
mai sentito: “Non mi hai mai voluto ascoltare… mai… sin da quel giorno
quando…”, le sue parole sono sconnesse, frammentate, deliranti “… te l’ho detto
tante volte… mi avresti dovuto aspettare… ma tu invece… hai dovuto cedere a
lui, certo, ovvio…”. Le mani di Dimitri sul suo viso tremano, Hermione ci
distingue rabbia ed impotenza e si pente di aver fatto quella domanda. Ha
riportato alla mente di Dimitri il ricordo di Draco…. e lei non vuole, vuole
lasciarlo fuori da questa stanza. Da questo momento che è fatto solo per
salvarli entrambi. Cerca di recuperare quel filo sottile che si sta rompendo
con Dimitri, inconsciamente poggia una mano su quella che lui le tiene ancora poggiata
sul viso. Dimitri sbatte le palpebre, sembra svegliarsi da un incubo tutto suo,
la fronte si imperla di sudore. Gli occhi si riverberano di nuovo di luce, la
mascella si indurisce, mentre Hermione lascia cadere la mano.
“Non hai mai voluto ascoltare la verità,
Hermione…” sussurra di nuovo Dimitri suadente, tornato in sé, guardandola
ancora con l’espressione del gatto che aspetta di mangiarsi il topolino
bloccato tra i suoi artigli “E la verità è questa… è sempre stata questa: tu mi
appartieni. Sei il solo modo per cui tutto… tutto… vada a posto… mi sei stata
mandata perché io possa riparare a tutti i miei sbagli ed errori… e io non ti
lascerò mai andare… mai più… devo tenerti qui, affinché tu non vada via… fino a
quando… non capirai… e sarai tu a non voler andare mai più via, da qui…”. È
cambiato, è tornato sé stesso. Hermione sente di nuovo la schiena rabbrividire
al contatto con quegli occhi ghiacciati.
“Sono bravo a giocare con la mente…” mormora
roco, avvicinando il viso di Hermione al suo, lei chiude repentinamente gli
occhi, il cuore che le batte forte, mentre ogni possibilità di fuga le si
palesa davanti agli occhi come impossibile, almeno fino a quando Helder non le
darà il segnale. Dimitri continua a bisbigliare, la voce sempre più bassa e flebile,
Hermione ne sente il respiro sul viso: “Sono sempre stato bravo a giocare con
la mente delle persone… ma stavolta niente trucchi… è il tuo vero sapore che
voglio sentire… non quello che mi suggerisce la mia mente…”.
Ad un soffio dalle sue labbra, mentre Hermione
sente le lacrime scenderle lungo il viso e le forze abbandonarla, Dimitri
aggiunge divertito: “Vediamo di togliere anche questo a Draco Malfoy…”.
Hermione trasale, il suo corpo è diventato il
campo di battaglia tra Dimitri e Draco… e non riesce nemmeno a sopportarne il
pensiero. Il lampo di trionfo che legge negli occhi di Dimitri, con l’effetto
lacerante di strapparle di dosso orgoglio e dignità, la tormenterà per anni,
sarà il motivo maggiore per cui lo odierà, per cui non cesserà di volerlo
vedere morto anche quando lui già non ci sarà più. Lei e l’orgoglio sono sempre
stati una sola cosa, tolto il secondo, sostanzialmente lei non esiste più.
La mano di Dimitri, che era poggiata sul suo
viso, scivola sulla nuca di Hermione nel tentativo di renderla più arrendevole,
facendole reclinare lievemente la testa all’indietro, mentre rapace le chiude
le labbra con le proprie, stringendola con il braccio libero attorno alla vita.
Le labbra di Dimitri sono gelide sulle sue, si nutrono avare del suo sapore,
muovendosi febbrili, cercando di acquistarne calore, rubandole la memoria del
gusto di Draco. E’ un bacio prepotente, che deve costringere Hermione immobile
per poter esistere, è un bacio al sapore di limone che la ragazza non
dimenticherà mai più. Sa che è impossibile, sa che è ancora presto, sa che è
solo una sensazione, ma il disgusto che sente si traduce in un rantolo al
ventre, che le fa credere che persino il bambino si stia rivoltando in fondo al
suo addome. È al bambino che Hermione si aggrappa con tutte le sue forze, se
può proteggere la sua magia, impedire che Dimitri gliela porti via… può
proteggerla anche da questo. Si ricorda di quando Draco, la sera del loro primo
bacio al Petite Peste, la soccorse ferita a causa della maledizione di Voldemort…
e mentre lei inorridiva per la visione del mostro che la violentava, Draco la
salvò anche in quel senso, distruggendone l’ombra.
“Se sei suo figlio… se sei davvero il figlio di
Draco… ti prego, salvami anche da questo…”. La preghiera si forma nella sua
testa, mentre sente le mani di Dimitri scorrere sulla sua schiena, lasciata
nuda dal vestito. E il figlio di Draco, quello che Hermione ancora non chiama
suo figlio, sembra ascoltarla.
Hermione sente una punta di calore fortissimo al
basso ventre, che la induce quasi a scoppiare a piangere, mentre rabbrividisce
per il contrasto con la pelle gelida di Dimitri che continua a stringerla.
Riapre gli occhi, trova la luna che splende nel cielo fuori dalla finestra,
rendendo tutto bagnato d’argento. La luna… gli occhi di Draco. Ed è un attimo
prima che il desiderio di tornare da lui, faccia il resto… ed è un attimo prima
che ritorni fredda.
La finestra… lei deve scappare da lì… ma Dimitri
la riprenderà in fretta. Sospirando languidamente nella bocca di Dimitri, che
sorride compiaciuto, si rende conto della sua bacchetta che pende dalla tasca
dei pantaloni.
Hermione sospira più pesantemente, finge un sussulto
delle membra come se d’improvviso volesse smettere di lottare, come se
d’improvviso una passione incontestabile l’abbia accecata, come se non fosse
più in grado di controllarsi e di trattenersi.
Come se Dimitri avesse alla fine vinto.
Si solleva in punta di piedi, portandosi più
vicina a lui, gli cinge il collo con le braccia e dischiude le labbra prima
serrate al bacio di Dimitri. Lui sembra trasalire per un attimo, ma il senso di
potenza e di trionfo lo acceca completamente, mentre spinge il suo corpo contro
quello di Hermione. La ragazza, senza più esitazione, ascoltando solo l’anelito
della sua sopravvivenza e di quella del suo bambino, si scollega completamente
da sé stessa. Le sue dita stringono voluttuosamente i capelli di Dimitri,
facendoli persino male, in un impeto di odio feroce che confonde con una finta
vogliosità che lui fraintende appieno. Lui ride persino, entusiasta, eccitato
come non mai, quando Hermione gli morde il labbro inferiore con i denti. Il
sangue di lui le scivola in gola, irritandole la faringe, e lei fa di tutto per
non tossire, per non interrompere la recita. Lo spinge con tutta la forza che
le è rimasta in corpo verso il letto, Dimitri inizia a giocare con le spalline
del suo vestito, scende lungo il suo collo.
Con la visuale momentaneamente libera, le dita
sempre nei capelli di Dimitri, la testa lievemente chinata all’indietro,
Hermione calcola mentalmente quanto separa il letto dalla finestra. Poco. Molto
poco. Di meno, che se rimane qui in piedi.
“La resistenza delle Mura è caduta…” bisbiglia
improvvisamente Helder nella sua testa, Hermione chiude gli occhi come ad
escludere dalla sua mente le immagini di quanto sta accadendo perché Helder non
le veda “Stiamo portando fuori il ragazzo… appena ti do il segnale… puoi agire…
useremo un Levicorpus da cinque bacchette diverse…”.
Hermione annuisce, ha bisogno ancora di tempo, deve muoversi.
Dimitri continua a baciarle il collo, fino alla
linea delle spalle e alla clavicola, scendendo lungo il seno, mentre sposta con
la mano lo scollo del vestito. Hermione, senza esitare, gli solleva il viso, lo
bacia furiosamente sulle labbra, lo morde ancora, con più forza di quanto non
abbia fatto prima. Lui continua a sorridere, il sapore del sangue tra le loro
labbra ha il sapore per entrambi della vittoria. Solo quello di uno dei due, si
rivelerà essere quello autentica, tra pochi minuti.
Sospingendolo con tutto il peso del corpo,
Hermione guida Dimitri al letto, lui ricade all’indietro, trascinandola.
Hermione sale a cavalcioni su di lui, non lo guarda nemmeno in viso, si è
trasformata in una marionetta scarlatta che sta solo recitando una parte. Non è
mai stata così, con nessuno. Perché adesso non è più lei. Se Dimitri conoscesse
ed amasse la vera Hermione Granger, saprebbe che lei adesso non è minimamente
somigliante a sé stessa.
Hermione ha fatto l’amore con Draco per dieci
giorni, al punto da generare un figlio, e l’ha fatto in un modo timido, dolce,
intenso. Ogni volta, ha quasi pianto, non ha mai abbandonato i suoi occhi
grigi, ha sempre sorriso quando lui la guardava. Si è sempre scusata per tutto,
si è sempre preoccupata di fargli male, non ha mai chiesto o preteso nulla, ha
sempre dato tanto. E Draco che l’amava come non ha mai amato niente, le ha
sempre dato in cambio tutto quello che lei meritava.
Adesso, Hermione non guarda nemmeno Dimitri, gli
fa volutamente del male, ha le labbra serrate e chiuse, è violentemente
aggressiva, sembra solo rispettare una meccanica del sesso che ha la gestualità
di un film di bassa categoria e nulla dell’amore.
Non sapeva di esserne in grado, Hermione, non
sapeva di poterlo fare. Eppure, mentre gli sbottona con malagrazia la camicia e
scende a baciargli il petto, si rende conto che questo è quello che intendeva
Hayden con “prendersi tutto di lei”. Ha preso anche il suo modo goffo e timido
di fare l’amore. La pelle di Dimitri, che intanto geme, gli occhi chiusi, la
testa poggiata sul cuscino, si bagna delle lacrime di lei. Lui nemmeno si
accorge, così come non si accorge della mano di Hermione che, scendendo lungo i
suoi fianchi, sfila la bacchetta dalla sua tasca, per poi allontanarla con un
piede.
Dimitri, offuscato ed annebbiato dal desiderio,
troppo preso dalla donna che lo ha rifiutato per settimane e che ora è
inaspettatamente sua in un modo che non avrebbe mai concepito come possibile,
la lascia fare, le lascia condurre il gioco. Ed è lì che commette l’errore più
grande della sua vita. Ma chi non ha mai conosciuto la differenza tra fare
l’amore con una persona che si ama, e farlo con chi invece non ti ama affatto,
difficilmente potrebbe rendersi conto di qualcosa nella nebbia del piacere.
“Ci siamo Hermione…!” urla trafelata Helder
nella sua testa, Hermione si solleva come se fosse stata attraversata da una
scarica elettrica. Dimitri, di primo acchito, non se ne accorge, alza il viso,
restando supino. La guarda con gli occhi annebbiati e rimane sconvolto, quando
la vede alzarsi dal letto, correre verso la finestra e sedersi sul davanzale
con le gambe penzoloni nel vuoto. Dimitri sgrana gli occhi, ancora troppo
confuso, poi pensa che voglia suicidarsi, pensa che improvvisamente le sia
tornata voglia di farla finita. Ma sa che non lo farebbe, tiene ancora il
babbano prigioniero, è anche incinta di Malfoy… poi Hermione, lievemente rischiarata
dalla luce della luna, ancora seduta sul davanzale, si volta di tre quarti e
sorride.
Gli dice solo: “Hai avuto anche troppo da me,
Karkaroff… e me lo riprenderò con gli interessi quando ci rivedremo… quello che
hai avuto… sarà la sola cosa che hai avuto di me… tutto quello che mi resta…
sarà di nuovo di Draco, molto presto…”.
Dimitri non capisce, si alza in piedi, ma lei si
è già gettata nel vuoto. Corre alla finestra, disperato, sporgendosi dal
davanzale.
Auror. Decine di Auror. Tutti attorno al castello.
Le bacchette puntate contro la sua finestra. Non lo preoccupano, anche se
distingue nel nitore lieve della luna, che hanno il babbano, lo conducono via
dalle sue segrete.
La sola cosa che vede è il corpo di Hermione, lo
stesso corpo caldo e profumato di vaniglia che aveva fino a poco prima tra le
braccia, che libra leggero, ormai a soli pochi metri dal suolo.
Libera.
Accecato dalla rabbia, come se non vedesse più
nulla, cerca la bacchetta mentre ulula come un lupo alla luna di rabbioso
dolore. Non la trova, prende a calci la poltrona, intravede la bacchetta sotto
il letto. La afferra, corre al davanzale, alla cieca la punta contro la folla
radunata lì sotto. La punta contro l’ombra scura che è la donna, di cui ancora
il suo sangue ribolle nelle vene. Un raggio di luce rossa riesce dall’alto a
cadere come un fulmine, schivando tutti i Protego
degli Auror.
Il colpo raggiunge Hermione a soli tre metri dal
suolo, quando già, sorridendo, stava allungando una mano verso Harry.
L’amico la vede sbarrare gli occhi, colpita alle
spalle, e rovinare giù, senza che nessuno riesca ad impedirlo, come un involto
di stracci vecchi.
Hermione cade al suolo, batte violentemente la
testa, sente immediatamente il sangue scivolarle lungo il collo.
Vede il cielo e la luna prima di perdere i
sensi.
Si porta gli occhi di Draco nel buio.
I
miei amici continuano a parlare, mentre gli ultimi pezzi dei miei ricordi
lasciano la mia mente. Ricordo tutto di quel folle volo disperato, il momento
in cui avevo sentito la maledizione colpirmi alla schiena, lo sguardo affranto
di Harry, quello impotente di Ron, quello sconvolto di Hayden. E ricordo
perfettamente l’impatto con il suolo, la sensazione che la testa mi si
spaccasse in due, la luce della luna che si faceva sempre più fioca, le voci
attorno a me e le urla degli Incantesimi che si facevano sempre più flebili,
giungendomi quasi da una cortina spessa di fumo.
Quando
ripresi i sensi, ricordo solo il calore del sole che mi ispirò curiosamente a
piangere. Non era il sole dell’estate, era un sole già più sbiadito, già meno
intenso.
E
soprattutto non era il mio di sole, quello dell’Inghilterra. Era un sole che
comunque conoscevo, ma che avevo dimenticato da anni, forse persino decenni.
Era
il sole dell’Italia, era il sole della casa dei miei nonni in Sicilia. E ciò,
se già non fosse abbastanza, era comunque qualcosa di poco rispetto al resto.
Era
il sole del mese di ottobre.
Erano
passati tre mesi dalla notte di inizio luglio, in cui ero riuscita a scappare
dal castello di Dimitri.
Ero
rimasta in coma tre mesi. 103 giorni e 15 ore, per la precisione.
Tre
mesi in cui la vita era andata avanti lo stesso, in cui si erano dovute
prendere delle decisioni, in cui i miei amici avevano dovuto decidere per
me.
Ed
ovviamente lo avevano fatto, senza esitazione.
Quella
notte, Dimitri era riuscito a scappare dagli Auror, dopo aver resistito per
quasi un’ora agli attacchi assieme ad Astoria, Pucey e Montague. Era
praticamente scomparso, nessuno era riuscito più a trovarlo, era vissuto per
anni in una zona borderline tra il legale e l’illegale, una zona grigia dove
chiunque li avrebbe dato protezione. Una zona che era composta da tutti coloro
che rifiutavano apertamente l’autorità costituita, come ex Mangiamorte,
delinquenti comuni, reietti. Dimitri sparì come una nebbia di vento.
Ovviamente,
però, non era assolutamente sparita la minaccia che poteva rappresentare nei
miei confronti: i miei amici fecero la sola cosa sensata che gli venne in
mente. Nascondermi. In Italia.
Nessuno
sapeva della casa dei miei nonni, l’Italia era sicura perché le Passaporte
internazionali erano poche e ben controllate ed anche usando i mezzi di
trasporto babbani, ammesso che qualcuno sapesse che potevo nascondermi lì, la
cosa sarebbe stata complicata. La casa dei miei nonni era sulla piccola Isola
di Favignana. E lì si poteva arrivare solo con l’aliscafo. Ovviamente sempre
controllato. Ed ammesso che qualcuno fosse arrivato, era stata mandata a vivere
con me la migliore delle Empatiche: Helder.
Mi
diceva spesso che aveva scolpito come nella pietra, ciò che Dimitri aveva
provato quella notte. Lo avrebbe sentito appena si fosse avvicinato anche solo
alla Sicilia.
A
vivere con me, fu mandato anche Hayden. Non ci fu nulla da fare, Hayden non
camminò più. Rimase sulla sedia a rotelle. Mandare anche a lui in Italia, era
una premura forse eccessiva, ma Harry aveva avuto notevoli grane con il Primo
Ministro inglese per tutta la faccenda. E quindi anche Hayden fu racchiuso nel
programma di protezione, anche se non aveva tutte le limitazioni negli
spostamenti che avevo io. Poteva anche viaggiare, uscire da Favignana per
qualche giorno, e sostanzialmente riprese la sua solita vita. Lui lavorava in
Italia, prima di conoscere me.
Quindi
alla fine ritornò ai suoi studi. Dopo un anno circa, gli fu concesso di
trasferirsi da Favignana a Palermo, dove vive tutt’ora.
Hayden,
straordinario come sempre era stato, si adattò persino alla sua condizione di
disabile, riuscendo a recuperare velocemente il sorriso. Era felice di essere vivo,
era felice di essere tornato in Italia, era felice anche di aver conosciuto il
mondo della Magia. È arrivato persino a scherzare sul mio senso di colpa. È una
persona meravigliosa, non c’è altro da dire.
Così
meravigliosa che, l’anno scorso, Helder mi ha confessato di essersi innamorata
di lui. Ricambiata. Si sposeranno l’anno prossimo.
Ovviamente
tutto quello che di bello poteva ancora accadere nella mia vita, era lontano
mille anni luce da me quando mi svegliai in Sicilia tre mesi dopo la mia fuga.
Nonostante tutto quello che era successo e nonostante un tentativo di aborto
spontaneo che avevo avuto nel coma, mio figlio era sopravvissuto ed aveva preso
pieno possesso del mio corpo. Avevo già una piccola pancia.
Ma
non me ne accorsi per nulla, nemmeno mi resi conto che ero ancora incinta. A
ripensarci, nei primi mesi, sono stata la più sciagurata delle madri.
Ero
stata prigioniera in un castello per giorni, mi ero gettata da un’altezza di
una trentina di metri, avevo riportato una trauma celebrale serio, ero stata in
coma tre mesi, e nemmeno mi ero preoccupata di mio figlio quando mi ero
risvegliata. Ma insomma, adesso compenso con un’iperprotettività da dieci e
lode nei confronti di Alex… quindi insomma credo di essere perdonata.
Svegliandomi,
trovando Harry, Ron ed Helder che iniziarono a raccontarmi della notte della
fuga e della faccenda con Lavanda… io riuscii solo a pensare ad una cosa.
“Harry, basta!” la voce, che non è nemmeno più abituata ad usare, vibra
d’improvviso così tonante che lei stessa se ne stupisce. Rimbalza sulle pareti,
colpisce l’amico al centro esatto del petto, marginalmente striscia anche su
Helder e Ron. La guardano tutti e tre sconvolti, mentre Hermione riprende fiato,
una mano sul petto, mentre il torace si alza ed abbassa velocemente. Inconsciamente,
come si è accorta di fare spesso da quando ha ripreso i sensi, si porta una
mano al basso ventre, sulla pancia che è lievemente cresciuta. Quando se ne
accorge, stacca la mano dal tessuto del lenzuolo come se scottasse.
Per qualche minuto, nella stanza bianca
dell’ospedale italiano dove si trova, non si sente altro che il ronzare delle
macchine che sono collegate ad Hermione, il bip intermittente che rappresenta
il suo cuore, che adesso segna un numero altissimo di pulsazioni. Quando il
cuore di Hermione si calma, si aggiunge il gocciolio della flebo, che,
attaccata al braccio della ragazza, continua a sversarle nel sangue nutrimento
e linfa. Il vento, dalla finestra aperta, soffia dolce l’odore dei gelsomini e
della menta selvatica che crescono nei giardini dell’ospedale, e che è stato la
prima cosa che Hermione ha sentito al risveglio.
Quando, però, qualche minuto prima, mentre Harry
raccontava della notte della fuga dal castello di Dimitri e del suo incidente,
era spirato nella stanza anche un lieve odore di rose, Hermione ha sentito
improvvisamente il sangue andarle alla testa.
E non ha capito più niente.
I ragionamenti lenti, che fa da quando si è
svegliata in quel letto tre mesi dopo la fuga da Dimitri, sono diventati
improvvisamente febbrili, rapidi, veloci, come saette in un fortunale estivo.
Il respiro le ha gonfiato il petto dolorosamente, spingendola ad ansimare alla
ricerca d’ossigeno. Ha iniziato a sudare freddo, ha sentito il cuore in bocca, ha
avvertito dei capogiri colpirla con precisione clinica, anche se è seduta sul
letto. E quando quel malessere, si è tradotto in un nome formato dalla sua
mente, ha urlato con tutta la forza che ha in gola.
Il nome, come sempre, è Draco.
È sveglia da una ventina di giorni, giorni in
cui per la maggior parte del tempo, ha fatto fatica a mettere assieme i più
basilari dei concetti. Tutto le sfugge via, come acqua tra le dita, la sua
testa è ingombra di una poltiglia sabbiosa che le impedisce di connettere. Le hanno
detto i medici che è normale, è reduce da un forte trauma cranico. Ci manca
solo che non sia in quelle condizioni… tende a riaddormentarsi spesso, a
confondere realtà e sogno, a perdere immediatamente attenzione.
Nei momenti in cui il suo cervello riesce a
conquistare un po’ di lucidità, ha capito che si trova in Italia e che
miracolosamente il bambino che portava in grembo, vive ancora. Ma glielo hanno
detto i medici, ovviamente in un italiano siculo che le ha ricordato i tempi
delle sue vacanze infantili a casa di sua nonna Cathy. Quella mattina è la
prima in cui vede i suoi amici, dopo che, nei giorni precedenti, solo sua mamma
e suo papà le sono stati vicini.
Le hanno detto che sono volati lì dalla Toscana,
tre mesi prima, non appena sono stati avvisati da Harry del suo incidente. E
non se ne sono più andati.
E subdola, l’informazione che sono passati tre
mesi dalla fuga, le è scivolata nella memoria, impantanandosi nella palude che è
ormai la sua testa. Tutto, dalle cose più piccole a quelle più grandi, assume
la consistenza di bolle di sapone, quando entra in contatto con lei. Vengono
soffiate le informazioni nel suo cervello, e rimangono a galleggiare come se
fossero inconsistenti. È come se si fosse rotto del tutto il meccanismo che le
consente di dare peso alle cose.
Poi, lentamente, i sensi hanno iniziato
nuovamente a funzionare, soprattutto quello della vista che era sempre annebbiata.
Ha ripreso a parlare, fiocamente, come se la voce non le appartenesse. Ha
iniziato a mangiare, poco, dato che ogni cosa le dà la nausea. I momenti di
coscienza si sono fatti sempre più frequenti, fino al riaffiorare dei primi
ricordi della prigionia e della notte della fuga. Mentre il suo cervello
recupera le forze, tutto ciò che goffamente ha saputo e tutto ciò che, invece,
ancora non sa conosce una forza di gravità più importante, che fa rimanere
attaccati i ragionamenti. E, mentre va a ritroso con i pensieri,
improvvisamente diviene necessario anche avere spiegazioni e chiarimenti.
E, così, finalmente è stato dato ai suoi amici
il permesso di vederla e di raccontarle quello che è accaduto da quella notte:
la fuga, l’attacco al castello di Dimitri, la sua rovinosa caduta, il trauma
cranico, l’arrivo in Italia assieme ad Hayden. Il coma, che era parso subito
grave. La verifica che non aveva riportato danni seri, ma l’impossibilità di
fare previsioni sul momento in cui si sarebbe svegliata. Il tempo dell’estate
che lasciava il posto alla fragranza dorata dell’autunno mediterraneo.
E il giorno, in cui ha riaperto gli occhi.
Hermione, però, si è accorta subito di due cose
fondamentali. Nessuno parla del suo futuro, sembra tutto galleggiare nella
dimensione presente che ha il colore asettico di quell’ospedale. È come se lì
fosse nata e lì dovesse restare. Dopo averla aggiornata brevemente su quei tre
mesi, Harry e Ron iniziano a raccontare di vecchie storie, di aneddoti
scolastici, di episodi della guerra, come se siano in grado di parlare del
passato solo se remoto.
Ma lei, Hermione, ha tutto un passato prossimo
che non si può cancellare: e lì si accorge quasi in modo fulmineo, del secondo
particolare.
Nessuno, nemmeno i suoi, ha parlato della sua
gravidanza. Lo hanno fatto solo i medici: solo loro, quando la visitano, le danno
notizie del bambino. Le infermiere lo chiamano “il piccolo guerriero”, perché,
nonostante lei fosse in coma e nonostante avesse avuto quella tremenda caduta,
si è aggrappato alla vita con le unghie e con i denti. Ed Hermione, in un modo
confuso ed inspiegabile, sa anche che la “miracolosa e rapida guarigione” che
sta avendo, dopo un coma così lungo, è collegata a doppio filo a
quell’ugualmente prodigiosa voglia di vivere che ha avuto il bambino. Nei mesi,
negli anni dopo, Hermione si sarebbe spiegata quel miracolo con la connessione
straordinaria che lei e suo figlio avevano avuto fin dal primo momento. Si
erano aiutati quando lei doveva fuggire, e si erano aiutati durante quel sonno:
Hermione aveva dato ogni sua energia, anche da incosciente, a suo figlio perché
vivesse. Il bambino l’aveva ricompensata, proteggendola dal rischio di perdere
del tutto la sua mente e il suo cervello. Ma allora, Hermione ancora non lo sa,
è madre da soli quattro mesi di cui ben tre sono trascorsi da addormentata.
Ha una maggiore certezza di sé e del proprio
bambino quando, quella stessa mattina, la ginecologa le dice che quasi
sicuramente il bambino sarà un maschio.
Ed Hermione ha stretto il lenzuolo tra le dita e
non ha detto nulla, perché improvvisamente quel agglomerato di cellule ha
iniziato il percorso per diventare una persona. Non una persona qualsiasi… un
bambino, un maschietto. Non è solo renderlo ancora più reale… è anche rendersi
conto che ha sempre saputo di aspettare un maschio. È scoprire dimensioni del
suo sentire, nuove, strane, irrazionali.
E vuole parlarne, vuole dirlo a qualcuno, vuole
chiedere come si faccia a sapere che il proprio bambino sia un maschietto… si
fa quelle domande, mentre Harry e Ron continuano a parlare, ridendo e
scherzando, di fronte a lei che semplicemente annuisce. Helder ride a sua
volta, i suoi occhi sono azzurri come quelli di Ron, non guarda volutamente
verso di lei e verso quello che sente.
Le domande diventano milioni, miliardi… ed
arriva al punto che, con la stessa ancestrale certezza per cui sapeva che il
bambino era maschio, sa anche che il bambino avrà gli occhi del padre. Dalla
finestra, soffia l’odore delle rose.
Il padre… Draco.
E lì le scoppia tutto addosso… lì,
improvvisamente, il pantano della sua mente si gela, acquistando la durezza del
diamante. I suoi pensieri acquisiscono una chiarezza così accecante da farle
chiedere dove fossero stati fino a quel momento. La sua mente recupera come
d’incanto ogni memoria tattile, visiva, cognitiva ed affettiva. E il petto le
si squarcia: sono passati tre mesi, lei ha solo dormito, il bambino è maschio e
Draco non è lì.
Quella consapevolezza subitanea l’ha condotta ad
urlare, strappandosi le corde vocali, pochi secondi prima, mentre Harry
continuava a parlare e a ridere. Adesso, tutti la guardano preoccupati, Ron le
si avvicina chiedendole come stia, accarezzandole lievemente il viso con due
dita. Scuote il capo, dice che sta bene, poi improvvisamente decisa, proferisce:
“Lo sapete che sono incinta? O nessuno ve l’ha detto?”. Ron si stacca da lei
rapidamente, si ritrae e si chiude nelle spalle. Harry distoglie lo sguardo da
lei e guarda con attenzione il pulviscolo dorato, che entra dalla finestra
aperta. Solo Helder rimane immobile, gli occhi che diventano dello stesso
colore dei suoi, e sospira.
Ovviamente, sanno tutto… ed ovviamente Helder, a
cui lo ha detto la notte della fuga, ha capito che è giunto il momento della
verità. Come ha promesso, mesi prima, non ha raccontato nulla ad Harry e Ron di
lei e Draco.
Ron stringe i pugni e dice, la voce che gli
trema: “Certo che lo sappiamo, ‘Mione… quel bastardo…”. Hermione spalanca gli
occhi, rabbrividendo, lo guarda come si guarda un estraneo.
“B-bastardo?” blatera con voce fioca,
improvvisamente colma di risentimento verso Helder che evidentemente ha
raccontato tutto di Draco. Altro che mantenere la promessa. “Ch-che diamine vuoi dire?!”.
Harry si siede accanto a lei sul letto,
scompigliandosi i capelli neri. Ha gli occhi cerchiati, colmi di dolore, le
labbra nemmeno sembrarono muoversi mentre parla: “Mi dispiace, Herm… avrei
voluto… avremmo voluto salvarti, prima che lui… ma lo troveremo, stai
tranquilla… non ci scapperà per sempre… adesso che ti sei svegliata, io stesso
andrò a guidare gli Auror che…”.
“Volevamo farti abortire…” lo interrompe Ron,
pragmatico, Hermione sente la testa gelare, la mano che corre al ventre “… ma
era giusto che decidessi tu… che sapessi tu… così dicevano i tuoi… è una tua
decisione… e quell’abominio si è attaccato a te, come ha fatto quel bastardo
del padre… e quindi…”.
“Basta!” Hermione si ritrova di nuovo ad urlare,
le mani premute sulle orecchie, non è possibile. Sta sognando. Non c’è altra
spiegazione.
La parola “abominio” le sconquassa il cervello,
la sente scuotere i suoi nervi, la ferisce in decine di punti del suo corpo.
Sente gli occhi di Harry e Ron addosso, mentre
continuano a guardarla addolorati, chiedendole che cosa abbia. Poi, tonante, la
voce di Helder dice poche parole, che riportano il mondo sul suo asse. O
perlomeno, quello di Hermione torna sul suo asse… quello di Harry inizia a
muoversi confusamente, perdendo ogni legge di attrazione e di controllo. Quello
di Ron si stacca del tutto, vagando in uno spazio vuoto.
“Ti avevo fatto una promessa, Hermione… e l’ho
mantenuta…” dice Helder, stoica, gli occhi scintillanti del castano di quelli
di Hermione “Pensano che il bambino sia di Karkaroff…”.
“Che cosa vuoi dire?!” chiede Ron, muovendosi
verso Helder, rifiutando lo sguardo di Hermione. La sua voce trema
vistosamente, le mani strette a pugno.
“Significa quello che ha detto…” replica
Hermione, sospirando, iniziando a capire “Il bambino che aspetto… non è di
Dimitri… con lui non è successo nulla in quel senso… non mi ha mai toccata…”.
Prende ancora fiato, cercando di darsi coraggio, gli occhi di Harry e Ron che
la guardano come se non la riconoscessero. Perché quello di Ron è lo sguardo
che lei già riconosceva come troppo simile a quello che aveva avuto in passato,
quello di quando stavano assieme. Stava sperando, aveva sperato di tornare con
lei… ed ora capisce che non sarà così. E
lui non riconosce alcun Universo in cui Hermione semplicemente è innamorata di
un altro, al punto da avere un figlio con lui.
Quello di Harry, invece, è lo sguardo doloroso
di chi sa qualcosa di più, di chi improvvisamente trova un nome nella testa e
lo associa a lei, non più con il pensiero che ci fosse lui dietro la sparizione
della sua amica; ma con la medesima identica angoscia che comunque, in un modo
diverso, se l’è comunque portata via.
“Ero prigioniera di Dimitri da dieci giorni,
quando mi avete liberato…” spiega Hermione sommariamente, guardando il lenzuolo
“Prima di allora… non ho sostenuto l’esame… e non sono mai stata ad Hogsmeade…
ma l’ologramma che girava lì… e le carte che dimostravano che avessi sostenuto
l’esame… non era opera di Dimitri… sono stata io… con Zabini e la Parkinson… e
con…”.
Harry diventa livido in viso, si lascia cadere
su una sedia. Ron, non riuscendo ancora a capire, chiede: “Ti tenevano loro
prigioniera? Zabini e la Parkinson? Che c’entrano loro? E quando ti hanno
ceduto a Dimitri?!”.
Hermione nega con il capo, è tutto così
maledettamente difficile, maledizione. Perché Harry non finisce al suo posto?
Perché non lo fa Helder? Perché la lasciano da sola, a dare quel colpo a Ron?
Non vuole farlo, nonostante quello che le ha fatto in passato… non vuole farlo.
Una lacrima le cade lungo il viso, l’asciuga con il palmo. Adesso, ormai, non può
più nascondersi dietro un dito.
“Ero a casa di Pansy… da circa un mese… quando
mi ha rapita Dimitri…” sussurra con un filo di voce “E né lei, né Blaise c’entrano
nulla con questa storia… ero lì di mia spontanea volontà… ed ero lì con il
padre del bambino che porto in grembo…n-non mi ha costretta nessuno… io… sono
innamorata di lui…”, respira, prende ancora tempo, non crede di farcela. Poi
solleva lo sguardo, Ron ha comunque l’espressione spezzata, Harry comunque si
porta le mani ai capelli, Helder si chiude comunque nelle spalle. Non ha più
senso indugiare.
Non vuole più indugiare.
Gli occhi accesi, l’espressione seria, quasi di
sfida, bisbiglia ferma: “Il padre di mio figlio… è Draco Malfoy… è di lui che
sono innamorata…”. Ron non reagisce,
sbatte le palpebre un paio di volte, guarda a disagio prima Harry e poi Helder,
poi torna a guardare lei, addolorato, sconvolto, ma al contempo con uno strano
singulto di speranza negli occhi chiari. Hermione, la cui rivelazione le è
costata cara, al punto che ogni lettera del nome di Draco le si è conficcata
pesantemente nel petto, lo guarda senza capire, per un attimo convinta di non
aver nemmeno parlato oppure di aver pensato una cosa, ed averne detta un’altra.
La lanosità stopposa dei suoi pensieri la tradisce e sta quasi nuovamente per
aprire bocca per spiegare, quando Ron si
avvicina, si siede sulla sponda del letto e la rassicura con vane parole vuote,
trattandola come una pazza. E lì, Hermione capisce di nuovo: lui sa che Draco è
morto, da anni, in un incidente con un drago, come tutti sanno nel Mondo della
Magia per proteggere la sua nuova identità babbana. Pensa che sia impazzita. Hermione,
prostrata, lascia cadere le braccia lungo i fianchi, non ce la fa a ricordare
quei mesi. Non potrebbe nemmeno volendo, non può raccontare tutto dall’inizio,
senza che ogni secondo di quel racconto la svuoti del tutto, senza che quel
senso di urgenza che oramai conosce non la sopraffaccia del tutto. Tace, chiude
gli occhi, piange a calde lacrime. Ron le accarezza il viso.
Harry, però, finalmente interviene, fa pochi
passi, si ferma davanti a Ron. E parla, per una mezz’ora buona: racconta tutto
quello che sa di Draco, del lavoro al Ministero, della scoperta dell’atroce
morte di Narcissa e Lucius, della rinuncia alla protezione degli Auror, della
morte di Helena ed Amos Diggory, dell’affidamento di Serenity Hope Diggory,
dell’assunzione dell’identità di Danny Ryan. E, a quel punto, Harry si ferma a
disagio, perché il viso di Ron, paonazzo, mostra che infine ha capito, infine
ha collegato un pezzo importante. La sera del Tourquoise Party… Hermione
abbigliata come una principessa… lui che andava a quella festa con Lavanda,
Harry e Ginny, per vedere come se la cavava…
E l’avevano vista rimanere sconvolta nel
vederli… quel passo indietro, come se avesse avuto una vertigine… e quel
ragazzo dietro di lei, a cui si era appoggiata quasi naturalmente… lo sguardo
che si erano scambiati… pensava fosse il suo capo, Danny Ryan. Ed invece era
Draco Malfoy. Il padre del suo bambino.
È la fine del mondo… e non nel senso che
Hermione in modo melodrammatico userebbe parlando amabilmente con un’amica
dell’ultimo libro che ha comprato, o di un vestito che ha adocchiato in una
vetrina.
È davvero la fine di un mondo, alla stregua di
stelle che cadono sulla terra, di mari che si aprono e di terre che vengono
inghiottite. Ricorderà poco di quei momenti, pochissimi particolari.
Ron che urla, Harry che va avanti ed indietro,
Helder che cambia colore degli occhi ogni secondo. Lei che cerca di sovrastare
le loro voci, che urla a sua volta, che piange. E che ripete il nome di Draco
continuamente, come un talismano da puntare contro chi li vuole lontani. Quel momento
avrà le fogge incartapecorite di un vecchio calendario appeso alla parete, bruciato
dalla luce dell’estate. Per ben tre volte, il calendario aveva visto
un’infermiera solerte arrivare e sbarrare i giorni del mese appena trascorso.
E, adesso, restano intonsi solo i giorni che da ottobre conducono alla fine
dell’anno, dei mesi precedenti Hermione non ha traccia nella memoria.
Mentre urla, grida, lascia sfuggire tutto quello
che non ha mai detto prima ai suoi due amici di lei e Draco, Hermione guarda
quel calendario e conta i giorni che l’hanno separata da lui. 103 giorni e 15
ore. Può essere accaduto di tutto in
quei giorni, di tutto. Dimitri può averlo trovato, può averlo ucciso, può aver
ucciso Serenity e Seth. E lei se ne sta lì, a parlare con Harry e Ron di cose
che, forse, non avrebbero mai davvero capito.
Ed allora avrebbe provato ad alzarsi da letto,
avrebbe strepitato, dicendo che doveva andarsene, deve andare da Draco, lo deve
raggiungere. Si sarebbe strappata la flebo dal braccio, sarebbe arrivata troppo
lentamente alla porta ed avrebbe battuto i piedi quando l’avrebbero trattenuta,
stringendola per le braccia. L’energia vitale di Draco esiste, le avrebbe risposto
Helder, ma è troppo lontano per sentire dove sia.. Hermione le chiederà di
tornare in Inghilterra, ma Harry le ordinerà di restare lì, perché è la sola in
grado di sentire Dimitri e di proteggerla da lui.
Chiederà, quindi, ad Harry di cercarlo e lui,
dopo settimane di silenzio astioso, lo farà, la accontenterà. Ma Draco Malfoy
sembrerà davvero morto, per tutti. Blaise Zabini si sposerà con Daphne
Greengrass e si trasferirà in Scozia. Dirà di non averlo più visto. Pansy
Parkinson vivrà ormai in pianta stabile in Francia. Dirà di non averlo più
visto. E i suoi amici babbani diranno a loro volta di non averlo più visto.
E allora Hermione si convincerà che spetta solo
a lei cercarlo e trovarlo, non le interessa nulla della protezione, del piano
di tenerla nascosta a Favignana, a casa dei suoi nonni. Non le interesserà
nemmeno dell’obbligo di stare a letto per i successivi mesi, fino al termine
della gravidanza, per non perdere il bambino che aspetta. Fuggirà, una notte, e
la riprenderanno all’aeroporto. Sarà Ginny a trovarla, diventata intanto madre
di James e chiamata in Italia come estremo aiuto.
La rimprovererà duramente, lei piangerà, capirà
che deve attendere che il bambino nasca.
I nove mesi passeranno, veloci, rapidi,
istillandole nel corpo goccia a goccia un sentimento nuovo e diverso, che tutto
crea e tutto annulla: l’amore di madre. Sarà prima un senso di palpitante
attesa, poi un’ansia continua ed infine un senso di completezza e di
rassegnazione, che le prosciugheranno le intemperanze da innamorata. E
ricorderà che il pericolo non è solo Dimitri, ma è anche Astoria. Lei vuole suo
figlio, perché non è solo suo. È anche il figlio di Draco.
E lei deve proteggerlo, prima di ogni altra cosa
al mondo.
Accetterà di sacrificare sé stessa, per suo
figlio. Accetterà di attendere che Dimitri ed Astoria siano catturati, per
poter tornare in Inghilterra. Accetterà che Draco la sappia lontana, senza
sapere che cosa le è successo. Accetterà di restare in Italia e di vivere lì
“come se non dovessi più tornare a casa”, come le dice Harry. E, pochi giorni
prima della nascita di suo figlio, accetterà di firmare delle carte volutamente
invalide che la designano come Hermione Jane Weasley.
Ron vorrà restare con lei in Italia. Userà la
scusa che si sente in colpa perché è finita in questa storia per Lavanda.
Userà la scusa che vuole proteggerla, dato che
ha ancora la condanna dell’interdizione alla magia sulle spalle per altri due
anni.
Userà la scusa che vuole aiutarla con suo
figlio.
Ma Hermione noterà subito che appella il bambino
esclusivamente come suo figlio, non come figlio anche di Draco.
Eppure, Hermione accetterà, distrutta, anche
quella commedia. Perché tanto Ron non l’avrà mai, perché è stato davvero
generoso ad offrirsi di aiutarla, perché in fondo “potrebbe non tornare più a
casa” e lei avrà bisogno di dare un padre a suo figlio.
Quando suo figlio nascerà, in una piovosa notte
di febbraio, Hermione sentirà un nuovo rivolo di forza nascerle nel sangue.
Perché il suo bambino ha gli stessi occhi di Draco.
E inizierà a sperare che quel filo reciso tra
lei e Draco, lo possa tessere di nuovo il loro figlio.
Tra giorni di felicità e giorni di cupo
sconforto, lei continuerà ad aspettare di tornare a casa. Dopo cinque anni,
potrà farlo. Ed avrà in mente solo una cosa: cercare Draco.
Esattamente come quando si è svegliata, cinque
anni prima.
Esattamente come sempre.
Vuoto:
quell’aggettivo, nella mia testa, ha assunto un peso ossimorico per anni.
Sebbene indichi la vacuità, in me è diventato greve come una tonnellata di
piombo.
L’Empatia
è una capacità ancora misteriosa e poco compresa, si basa sulle sensazioni e
sui sentimenti, non esistono manuali e spiegazioni. Quindi Helder, spesso, non
era in grado di darmi un’esauriente delucidazione su quello che lei sentiva a
riguardo di Draco… però si è sempre sforzata di farmi capire, di illustrarmi
tutto con la maggiore chiarezza possibile. È stata la sola che abbia condiviso
pienamente tutto quello che ho provato e sentito in questi ultimi cinque anni.
Con i miei genitori, tacevo, per loro non era il massimo sentirmi parlare del
padre di mio figlio, sebbene adorino Alex come nulla al mondo. Però è sempre
l’uomo che ha messo incinta la loro bambina e che non vive con lei, che non
l’ha mai cercata per anni. E, sebbene ho sempre avuto il sospetto che Draco fosse
stato volutamente allontanato da me, la conferma mi è arrivata solo ora, dai
ricordi di Pansy. Quindi è chiaro che non potessi difenderlo così totalmente da
non sembrare ai loro occhi solo la disperata donna innamorata che sono. Con
Ron, tacevo ovviamente per non ferirlo: ben presto, nella nostra vita
pseudo-coniugale, avevo capito che era innamorato di me e che la sua era solo
una strategia per tornare assieme in qualche modo. Ai tempi, ero stanca,
devastata, distrutta, ed avevo accettato il suo aiuto senza riflettere e senza
peraltro un pieno quadro della situazione. Ero certa, in breve, che Ron mi
aiutasse solo per amicizia e solo perché si sentiva in colpa per Lavanda, o
anche perché diffidava profondamente di Draco e voleva, a suo modo,
proteggermi. Ma poi, ovviamente, con il tempo la cosa era venuta a galla e,
quando avevo iniziato a convivere con la nostra situazione, avevo riconsiderato
tutto, compreso il suo coinvolgimento.
Se
non fossi stata così debole, al momento della nascita di Alex, probabilmente
non avrei mai accettato il suo aiuto.
Gli
avrei chiesto immediatamente di tornare in Inghilterra, lasciandomi da sola.
Ma,
appena era nato mio figlio, tutto aveva subito un brusco cambio di prospettiva:
contava Alex soltanto.
E,
per proteggerlo, avrei accettato anche l’aiuto di Voldemort.
Ovviamente, quindi, con Ron non potevo parlare.
Ci mancava anche sottoporlo ai miei problemi sentimentali.
Con
Hayden, sebbene i suoi sentimenti per me fossero un ricordo e sebbene avessimo
condiviso l’esperienza straziante della prigionia, non sono riuscita a parlare
o anche solo a guardarlo per mesi. Era costretto su una sedia a rotelle per
colpa mia… ed anche in quel caso, figuriamoci se avrei mai potuto lamentarmi
del mio amore infelice con lui.
La
sola che restava era ovviamente Helder, che è stata mia amica in un senso così
profondo che non avrei mai potuto ritenerlo possibile. Lei aveva amato un
Mangiamorte, sapeva che si prova, c’era stata quando avevo creato lo Zahir, era
la sola a sapere di questo, senza contare che sapeva anche di Helena e di Draco
ed Adamar. Ed era un’Empatica, spesso non c’era bisogno che parlassi, mi
avvertiva triste o nervosa, o esasperata, e mi veniva volutamente a cercare.
Non so che avrei fatto senza di lei.
E,
sempre, sempre… dal giorno in cui ero felicissima e speranzosa, a quello in cui
sprofondavo nell’angoscia e nel terrore… ogni giorno… io le ho fatto la stessa
domanda.
Riesci a sentire Draco?
E
lei ha sempre negato, scuotendo i capelli castani e dandomi un buffetto sulla
guancia.
Gli
Empatici riescono a sentire le emozioni, ma per ovvi motivi esse sono
amplificate qualora si trovino materialmente vicini alla fonte del sentimento o
dell’emozione. Se riescono a captare delle emozioni a grande distanza, ciò è
dovuto alla presenza di un fortissimo sentimento: Draco non provava nulla di
così forte da essere sentito da lei, dall’Italia. E ciò lei se lo spiegava, da
quella che era stata l’ultima sensazione di lui che aveva avuto in Inghilterra
e per la quale non era riuscita nemmeno allora a localizzarlo: era vuoto,
appunto. Provava sentimenti ed emozioni evanescenti, che non mettevano radici
dentro di lui, come invece per esempio aveva fatto l’amore che avevamo
condiviso per quei indimenticabili dieci giorni e che era stato così forte da
essere percepito distintamente anche lontanissimo da noi. Quindi, Helder non
riusciva a sentirlo. Una volta, una notte che ero particolarmente triste e
sconvolta, mi aveva anche concesso di tornare per poche ore in Inghilterra,
inventando una scusa con Harry, che aveva prontamente mandato a difendermi un
plotone di Auror. Helder era andata in giro per Londra e per molte altre città,
cercandolo, sperando che provasse qualcosa che lo facesse sentire da lei. Ma
nulla… niente. Continuava ad essere vuoto. Non c’entrava, quindi, solo la
distanza. Era davvero impossibile sentirlo.
Le
avevo chiesto di spiegarmi, quindi, come facesse a sentire che fosse ancora
vivo e che vita poteva fare se non provava nulla di così forte. E lei mi aveva
risposto lapidaria che era vivo, perché in un confuso modo sentiva la sua forza
vitale, ma non sapeva dove fosse. Mi aveva fatto l’esempio di una stanza piena
di gente che parla a gran voce, dove si riconosce una voce che si conosce ma a
causa del frastuono e della tenuità della voce conosciuta, non si capisce da
dove essa provenga, se si usa solo l’udito. E, in quanto alla vita che faceva,
Helder era stata ugualmente telegrafica: “Potrebbe vivere in qualsiasi modo
Hermione… quello che so è semplicemente che non prova nulla di forte… sia in
positivo che in negativo… ma non c’è nulla di così strano o assurdo… semplicemente
potrebbe essere come una dei milioni di persone che vivono su questa terra e
che non provano mai nulla di così forte da poter esser percepito a distanza… il
vostro amore è stato raro per noi Empatici, te l’ho detto… non credere che sia
così comune sentire una persona a distanza… e se quel giorno, ho sentito la tua
disperazione nel castello di Dimitri, è stato indirettamente per lo stesso
motivo… era sempre collegato al perdere Draco, al perdere quell’amore… ma
invece Draco, che non ha fatto altro che perdere persone da quando è nato… lui
semplicemente si è svuotato del poco che gli era rimasto… per questo, allora
non l’ho sentito, non ho sentito dolore o disperazione… quando deve averti
persa, la sua parte più profonda, quella che sentiamo noi Empatici, credo che
fosse rassegnata, credo che semplicemente abbia sempre pensato in fondo a sé
stesso che era un errore averti per sé. Non significa non soffrire, ovviamente,
significa più realisticamente non concedersi di soffrire… e per questo, adesso,
probabilmente continua a non permettere a sé stesso di provare nulla di forte…
potrebbe persino essersi sposato, ma non amare sua moglie come amava te…”.
Quindi,
sostanzialmente, Helder per anni mi ha detto tutto. E non mi ha detto niente.
Ciononostante le sue supposizioni si sono rivelate tutte esatte, considerando
quanto mi ha mostrato Pansy riguardo all’inganno di Astoria: la mia fittizia me
stessa ha detto a Draco tutto quello che lui temeva di sentire da me, quello
che mi aveva urlato la sera che era tornato a casa di Pansy.
Dillo che ti odi per
esserti innamorata di me… dillo, dannazione… ammettilo una santissima volta…
sta tutto qui il punto. Non ti sei mai fidata di me e mai ti fiderai… ma sei
innamorata di me… e questo ti uccide…
Ovviamente,
non appena ho saputo che Raissa era andata via con Draco, il mio primo pensiero
è stato quello di trovare lui, cercando lei. Ma trovarla con l’Empatia è
impossibile: Helder me lo aveva già detto. Anni fa, le avevo chiesto di
controllare i miei amici, per sapere se stavano tutti bene, se eventualmente Dimitri
ed Astoria non si fossero vendicati di loro come era accaduto con Hayden. Era
un eccesso di zelo, ero convinta che Harry avesse già predisposto tutto, ma
dopo Hayden, non me la sentivo di rischiare. Ed inoltre, dato che avevo
preservato il segreto sullo Zahir per proteggere Helder stessa, non avevo
parlato del coinvolgimento di Raissa. Quindi, avevo chiesto ad Helder di
controllare soprattutto che lei stesse bene, che almeno fosse viva. Helder mi
aveva assicurato che era viva, ma anche nel suo caso, come per Draco, non
provava nulla di sufficientemente forte da essere sentito. Quindi, non poteva
essere rintracciata. Ovviamente allora mi era bastato sapere che fosse viva.
Helder, però, mi aveva detto chiaramente che difficilmente avrebbe sentito
Raissa, anche se avesse provato qualche cosa di molto forte, a meno che non le
fosse stata vicinissima. Curiosa come sempre, le avevo chiesto il perché e lei,
nervosamente, mi aveva rivelato di averlo scoperto con Dimitri. Le persone che
hanno vinto una prova con Adamar, sono cieche all’Empatia. Lei credeva che sia
perché perdono parte della loro umanità, e quindi della capacità di provare
sentimenti. Se ne era accorta con Dimitri, appunto: Helder era dovuta arrivare
praticamente fuori dal suo castello per sentire qualcosa di lui, che si era
rivelato per lei così negativo e disgustoso da farle chiedere come mai non lo
avesse sentito prima, a maggiore distanza.
“E
come farai a sentirlo se arriva qui, scusa?” le avevo allora chiesto una sera,
mettendo a letto Alex, la luna che compariva nel cielo terso della Sicilia
“Harry ti ha fatto stare qui perché crede che tu lo sentirai anche a
distanza…”.
“Una
volta che senti una sensazione così negativa e così particolare… ti si attacca
addosso… ne sentissi anche un eco indistinto… me ne accorgerei subito…” mi
aveva risposto laconica.
Quindi,
per trovare Raissa… mi restano solo i metodi tradizionali. È la sola cosa a cui
posso aggrapparmi per trovare Draco.
Una
parte di me, nemmeno tanto piccola, ovviamente sa che trovare Raissa e scoprire
che è ancora con Draco, anche adesso che Dimitri è morto, significa
probabilmente anche scoprire che stanno assieme. Ma in ogni caso, sebbene mi si
geli il cuore al pensiero, nulla cambia le mie volizioni. Io, Draco lo devo
trovare ad ogni costo.
Perché
deve sapere che Raissa probabilmente collaborava con Dimitri, deve sapere che
allora anche lei ci ha diviso. E se lei è estranea a tutto, devo sincerarmene
da sola. Devo essere certa che lui e Serenity siano al sicuro con lei.
Ovviamente devo trovarlo per Alex. Mio figlio si merita di conoscere suo padre.
E me lo merito io.
Mi
merito di raccontargli la verità, mi merito di dirgli che non ero io quella
donna che gli ha spezzato il cuore quel giorno, mi merito di dirgli che io non
mi sarei arresa, mai, con lui.
Mi
merito di rivederlo, anche solo una volta. E, stupidamente, anche se sono
passati cinque anni, mi merito di dirgli che lo amo ancora. E che non ho mai
smesso di farlo.
E
se non c’è più nulla che io possa fare per riaverlo… allora mi merito che me lo
dica lui.
Dopo
tutto quel carnevale di ricordi, la mia attenzione ritorna ai miei amici che
non hanno mai smesso un secondo di parlare, elaborando teorie su Raissa e su
come si potrebbe rintracciarla. Il mio contributo è stato minimo fino ad ora,
me ne rendo conto, ma sinceramente non ho moltissime idee. E la cosa mi
demoralizza in modo sconcertante. Raissa non aveva parenti, il suo solo
contatto era Dimitri… e lui non c’è più. Ed amici… non so manco chi siano e se
li avesse.
Improvvisamente
Seth sobbalza e batte poco elegantemente le mani in segno di vittoria, urlando:
“Ci sono!”. Lo guardo senza capire, se mi dice che sta pensando al giusto
colore delle mèches che vuole farsi, giuro che lo appendo per le caviglie…
Pansy e Dean, poco abituati alle intemperanze del mio amico, sobbalzano. La
prima, soprattutto, inizia a borbottare, anche se da quello che Seth mi ha
raccontato, si conoscono da un annetto. Quando Pansy aveva deciso di sposare
Dean, era venuta al Petite Peste per cercare Draco, usando ovviamente la
copertura babbana di Danny Ryan, credendo che potesse essere tornato lì.
Ovviamente Seth, come tutti, non lo vedeva da cinque anni.
“Si
può sapere che diamine hai da gridare, Seth?! Non so se lo sai, ma sono
abbastanza sul chi vive da cinque anni!” lo rimprovero, dandogli una gomitata
sul fianco.
Lui,
per nulla intimorito, mi stringe le mani gioviale e mi fa con occhi a stella:
“Ma Herm, non capisci?! Il libro! Il libro è la chiave di tutto!”.
“Il
libro?!” chiediamo all’unisono sia io che Pansy e Dean. Capisco che Seth sia
oggettivamente poco abituato al mondo della Magia, e quindi può essere
sconvolto e cianciare di cose inesistenti… ma insomma qui si esagera! È troppo
suggestionabile, sapevo che dovevo lasciarlo a casa e…
“Il
libro, il libro, dannazione! Mi avete fatto vedere i ricordi di Pansy…
possibile che ve lo siete scordato? La mattina in cui Danny poi è andato via
con Raissa… lei è scesa dalle scale, ed aveva un libro con sé… e questa cosa a
te è sembrata strana, no, Pansy? Perché era un libro di poco valore, e perché
lei possedeva già tutta la conoscenza magica del mondo… ti sembrava strana
anche per altri particolari, soprattutto per la fretta che aveva di
giustificare che aveva fatto cadere la barriera magica a difesa della villa… ma
forse se troviamo il libro, qualche indizio possiamo averlo… sempre meglio che
stare qui a rimuginare sul nulla…!”. Seth termina la sua filippica, con un
sorriso soddisfatto.
Un
mago e due streghe hanno continuato a blaterare per due ore, e lui, da semplice
babbano, ha trovato la cosa più simile ad un inizio di ricerca che potevamo
avere.
Io,
Voldemort e le sue menate sulla superiorità dei maghi, non le ho mai capite.
Dopo
un’intera notte a cercare, il libro non esce fuori.
Pansy
ha praticamente rivoluzionato tutta la casa da quando è nata Charisma, e molti
dei libri che erano in biblioteca li ha spostati in altri luoghi della casa,
allo scopo di liberare spazio per la stanza della bambina. E dato che lei,
ovviamente, non ricorda assolutamente nulla di quel libro, né di dove si trovi,
né tantomeno se non l’abbia gettato via come si riprometteva sempre di fare,
abbiamo dovuto perlustrare tutta la casa. Seth, dopo il suo lampo di genio, si
è addormentato sul divano della biblioteca con la bocca aperta, mentre Pansy,
solo qualche ora fa, è andata a consolare Charisma che si era svegliata per un
incubo. E non è più tornata.
“Io
la bambina non l’avevo sentita piangere…” borbotta Dean, spulciando un’altra
libreria nel corridoio “Avrà trovato la scusa per dormire…”, lo sento
bofonchiare qualcosa poi che suona come: “Maledetti Serpeverde…”.
Sorrido
con un angolo della bocca, il calore alla bocca dello stomaco che le parole di
Seth e la sua intuizione hanno acceso che si va raffreddando progressivamente.
Ormai mi sono rimasti solo pochissimi libri da controllare. E non è nemmeno
certo che, se anche trovassi il libro, potrei cavarne qualcosa. Anzi,
probabilmente Raissa lo leggeva per noia, o per chissà che altro. Non significa
proprio niente. Di primo acchito, la mancanza di risorse mi ha fatto
considerare quella traccia come vitale, ma adesso che ho modo di pensare, mi
rendo conto di quanto fosse in realtà poco importante. Di quanto in realtà, è
solo un’altra stupida illusione a cui mi sto aggrappando, per impedirmi di
pensare che, davvero, non ci sono più speranze.
Alla
fine, senza forza, mi siedo per terra, la schiena poggiata sulla parete dietro
di me, chiudendo gli occhi. Il sole entra pigramente dalla finestra del
corridoio, colorando il bianco delle pareti e facendomi strabuzzare gli occhi
stanchi. Dovrò darmi un contegno, Alex si sveglierà tra poco, e non deve, non
deve vedermi piangere. Magari se mando Dean a…
“Trovato!”
urla Dean alla fine, agitando il piccolo volume polveroso. Mi alzo in piedi,
scattando sull’attenti, come mi avesse punto una vespa, mentre un’insperata
onda di calore liquido mi avvolge da capo a piedi. Mi avvicino a Dean, gli
occhi che brillano, e lui mi sorride, dicendo solo: “Lo vedi? C’è ancora
speranza…”.
Annuisco
senza fiato, facendo un passo verso di lui, e Dean mi mette un braccio sulle
spalle, baciandomi sulla tempia.
Senza
nemmeno respirare, ci sediamo per terra tra i volumi sparsi ed iniziamo a
sfogliare il piccolo libro, che rischia di cadere a pezzi ogni volta che
voltiamo una pagina. Starnutisco per la polvere che è sfuggita via, e ne leggo
il frontespizio. Le mie spalle si afflosciano, sembra un libro come tanti
altri, solo vecchio, ma nemmeno così antico da far pensare a chissà quale
incantesimo nascosto o segreto inconfessabile. Il titolo è quanto di più neutro
e poco rivelatore possa esistere: “Profetesse Europee. Storia della Divinazione
femminile attraverso i secoli”.
Raissa
l’avrà letto solo per caso, o magari effettivamente non ricordava qualcosa:
sfogliandolo, sembra solo un catalogo di profetesse famose, dai tempi antichi
fino a quelli recenti, divise per nazione. Trovo Cassandra di Troia e la
Cooman, tra quelle che personalmente ricordo. Ma niente di più.
Improvvisamente
qualcosa mi fa nuovamente sobbalzare, Dean mi guarda curioso mentre mi rendo
conto che la numerazione di una pagina è errata. Semplicemente, ne manca una.
Manca
una pagina… e nella sezione “Europa orientale”.
Senza
lasciarmi prendere dall’entusiasmo, senza dare adito a troppe speranze, prendo
nota del numero di pagina mancante e chiamo immediatamente il Ghirigoro,
chiedendo notizie. Il libraio mi riconosce subito, praticamente spendevo
stipendi interi da lui e non se la prende nemmeno per averlo svegliato così
presto. Mi dice che controllerà e mi manderà la pagina mancante.
Quando
la risposta arriva un’ora dopo, con un gufo, la apro incerta sotto lo sguardo
di Pansy e degli altri. Potrebbe essere tutto, e niente. Potrebbe essere
semplicemente che manca una pagina perché il libro è vecchio e rovinato, non
perché Raissa ha voluto nascondere qualcosa, anche se la coincidenza
dell’Europa orientale è ben insolita.
Ma
non così tanto, mi ripeto ancora, sciogliendo il nodo della pergamena
inviatomi, il sudore che mi fa scivolare le mani.
Sono
passati cinque anni… e questa può essere solo una pagina strappata dal tempo. Meglio
che mi ripeta anche questo.
Srotolo
la pergamena e il cuore mi sale in gola, dandomi il senso di una vertigine che
mi fa quasi cadere.
Non
è una coincidenza, non è nemmeno una pagina strappata a caso e non è neanche uno
sciocco scherzo per farmi capitolare del tutto.
“Che
dice, Herm?” mi chiede Seth, agitandosi sul divano come un bambino.
Bisbiglio
con la poca voce rimastami: “E’ la scheda di una profetessa vissuta una decina
di anni fa… in Russia…”, apro e chiudo la bocca un paio di volte, la lingua
impastata mi fa incespicare mentre dico: “E’… Tatia Krasova, Pansy…”.
Dean
e Seth guardano entrambe a turno, cercando di capire di chi si tratti. Pansy si
alza dal divano sconvolta, mi strappa il foglio dalle mani e lo guarda senza
parole, tornando poi a guardarmi.
Pansy
ricade seduta, biascica con un filo di voce: “Se era una profetessa, se
conosceva il futuro… quello che vi sarebbe successo… forse, quando ha
incontrato Draco nel mondo dei morti… non voleva che ti ricordassi di lei, in
quel momento… “.
“…
forse voleva che mi ricordassi di lei… adesso…” finisco io, incerta,
guardando il ritratto sulla pergamena.
Non credo di aver mai
scritto un capitolo così lungo e così difficile, specie perché ho dovuto
rimettere assieme tutto quello che avevo disseminato per mesi! Credo di aver
risposto a tutte le recensioni di cui vi ringrazio sempre ed enormemente! E come
sempre chiedo scusa dell’enorme ritardo! E chiedo scusa anche della brevità del
mio intervento, ma sono di corsa! Un bacione a chi ancora, con enorme pazienza,
segue questo delirio sconnesso!