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Autore: Cassie chan    09/10/2012    11 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. '
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NEI CAPITOLI PRECEDENTI:

Draco ed Hermione sono riusciti a fuggire dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton, che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione, ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno, le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco. Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di recarsi in un luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza sapere che la ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff, Raissa, che le ha detto che l’unico modo per tornare libera, sarebbe concentrarsi sull’amore che Draco nutre per lei. E per farlo, le mostra i ricordi che Draco ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora fosse accaduto qualcosa a Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta rivivendo i ricordi di Draco, essi sembrano scomparire nel nulla. Al suo risveglio, Hermione apprende che cosa Draco sta facendo: si è rivolto ad un demone, Adamar, per ottenere i poteri necessari per difendere Hermione e Serenity da Astoria. Il prezzo per tale demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa, la cosa più preziosa che ha, per questo essi sono scomparsi. Se Draco fallisse la prova oppure decidesse di ritirarsi dalla stessa, Adamar gli restituirebbe i suoi ricordi. Ad Hermione, non resta che aspettare che Draco ritorni. Insidiata da Dimitri il fratello di Raissa ed oramai vicina a perdere le speranze, una sera di pioggia, Hermione distingue un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa di Pansy. È Draco che misteriosamente è riuscito a tornare. I due finalmente si riuniscono e passano la notte assieme. Trascorrono dieci giorni assieme di perfetta felicità: decidono di contattare Harry per rivelargli la loro situazione, ma il Ministro è ignaro che Astoria abbia una spia nella sua cerchia più fidata. Nonostante i tentativi di Blaise e Draco, la spia non viene individuata e, quindi, sono costretti ad usare Daphne Greengrass e una sua passata relazione con il Ministro, per contattare Harry, in modo che non lo sappia nessuno. Daphne verrà avvicinata da Pansy, la sera del suo compleanno, quando dà una festa a casa sua. Nella stessa occasione, Draco chiede ad Hermione di sposarlo: la ragazza, raggiante, sta per accettare, ma vedendo l’anello con cui Draco la chiede in moglie, che è lo stesso anello di Helena, crolla e decide di prendersi del tempo per pensare, dilaniata dal dubbio che Draco non la ami quanto abbia amato Helena stessa. I due si lasciano momentaneamente, ed Hermione esce nel giardino della villa. Intanto nel futuro, dopo cinque anni, Hermione è tornata a casa di Pansy Parkinson assieme a Seth e a suo figlio Alex. Pansy, che adesso è sposata con Dean, però, non sa dove Draco sia.  Dean, però, le rivela che Draco, cinque anni prima, è andato via da lì con Raissa Karkaroff, la sorella di Dimitri. Hermione, sempre più vicina a perdere le speranze, ricordando gli eventi degli anni passati, ripete che la sera del compleanno di Pansy è stata l’ultima sera in cui ha visto Draco.

 

Capitolo 36 – The butterfly effect

 

Sono una brava mamma.

Negli anni, soprattutto negli ultimi cinque, ho avuto dubbi su ogni cosa tranne che su questo: non sono mai stata così brava come studentessa, fidanzata, amica, pseudo-moglie, Auror, strega e cameriera, come lo sono da mamma. E non l’avrei mai detto.

Per essere madre devi essere ermetica, a chiusura stagna. Devi seppellire le cose nel tuo profondo, lasciare che macerino il tempo necessario per trasformarsi in una poltiglia densa che possa al massimo soffocare il tuo di respiro, ma mai disturbare anche solo il sonno del tuo bambino.

E io, dopo che ho finito di parlare con Dean, dopo che… quel giorno Draco è andato via con Raissa. E crediamo che siano ancora assieme… non ho mosso un muscolo.

Sono tornata in casa quando il sole ha finito la sua curva rovente nel cielo, ho sorriso ad Alex che giocava con Charisma, l’ho rimproverato perché non ne voleva sapere di mangiare, l’ho rimproverato ancora perché non voleva andare a letto, troppo preso dal gioco con la piccola di Pansy e Dean. Gli ho letto per l’ennesima volta la favola del Piccolo principe perché lui me l’ha chiesta di nuovo. Arrivata a leggere del piccolo principe che incontra le rose sulla Terra e parla della sua, ho trattenuto il groppo in gola e ho continuato a leggere stoica, come se ne andasse del destino dell’intero Universo. Ho schiarito la voce un paio di volte fingendo un colpo di tosse e ho scandito: “Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messo sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparato col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa.”

L’effluvio di una rosa bianca sul comodino della camera che Pansy ha destinato a me ed Alex, mi ha fatto pizzicare gli occhi e pungere il naso.

“Mamma…” mi ha sussurrato Alex, gli occhi grigi già ridotti a due fessure per il sonno incombente “Ma quando andiamo da papà?”.

E io che sono una brava mamma, gli ho sorriso, gli ho accarezzato i capelli biondi e gli ho detto che ci andiamo molto presto.

Alex si è addormentato, gli ho rimboccato il lenzuolo e sono uscita fuori chiudendomi la porta alle spalle.

E dopo qualche passo, dopo solo qualche passo, sono caduta in ginocchio nel corridoio. Tappandomi la bocca con la mano, soffocando ancora per paura che Alex mi sentisse, ho pianto le lacrime che avevo in corpo dal tramonto. Le ho piante tutte, una dopo l’altra: dalla rabbia alla frustrazione, alla sofferenza, al dolore, alla nostalgia, all’odio e all’amore. Non piangevo così da cinque anni.

E poi mi sono alzata come sempre, solo un po’ malferma sulle gambe, tornando in salotto.

Anche Charisma dormiva. Anche Pansy poteva smettere di essere una brava mamma e Dean poteva smettere di essere un bravo papà. 

Potevamo tornare noi stessi, smettere i panni dei genitori che devono essere sempre i supereroi dei loro figli e tornare per qualche ora i fallaci esseri umani che andiamo alla ricerca della salvezza.

Seth no. Lui credo che un supereroe lo sia davvero.

Mi sono seduta di nuovo sul divano, le mani poggiate sulle ginocchia. Seth accanto a me, mi ha subito preso la mano. L’ho stretta forte nella mia.

Pansy e Dean, di fronte a me, nemmeno si sfioravano. Non ne avevano bisogno.

Solo quando ho aperto bocca, hanno vacillato un pochino. Dean ha chiuso gli occhi e Pansy ha contratto le spalle.

“Perché diamine nessuno mi ha mai detto che era andato via con lei?”.

 

Quando ho deciso di tornare in Inghilterra, ho messo in conto molte cose.

Ho preso mentale annotazione di decine di particolari da ricordare, tutti oltremodo importanti specie se riguardavano Alex.

Mio figlio ha sempre vissuto in Italia: parla inglese, ma lo parla con un accento diverso dal mio o da quello di Ron, spesso frammenta i discorsi con parole italiane. Oppure è abituato ad un determinato stile di vita, ad andare a letto più tardi dei suoi coetanei, ad andare ogni giorno a mare d’estate, ad una temperatura umida e calda. Ha un temperamento aperto, caloroso, colmo di allegria, meno tipico dei bambini inglesi.

Le cose da considerare su Alex erano tantissime: ne avevo persino scritto un enorme blocchetto da leggere con solerzia alla prima maestra che avrei trovato, non appena l’avessi iscritto a scuola.

Su di me avevo solo una cosa da ricordare. Sempre, continuamente, come una filastrocca imparata all’asilo.

Sono passati cinque anni.

Sembra la più grande delle ovvietà mai udite, ma davvero ho avuto sempre bisogno di ricordarmelo.

Cinque anni sono lunghi.  

Certo ci sono periodi temporali molto più lunghi, ma nel mio caso hanno una consistenza fisica che è tangibile, percepibile, incontestabile.

Tutta la vita di mio figlio si è svolta in questi cinque anni. E da mamma, essa mi sembra così immensa anche se forse è solo perché ha stravolto la mia stessa essenza. Ripenso a quando è nato e al ciuffetto di capelli biondi che spuntava fuori dal cappellino azzurro. Ripenso alla sua prima pappa di riso e alla smorfia assurda che fece mangiandola. Ripenso ai suoi primi passi e all’Incantesimo di Appello che usai per impedire che inciampasse in un peluche. Ripenso alla sua prima parola “mamma” e al mio pianto incontrollabile di commozione che ne venne fuori.

Ecco, se proietto questi cinque anni su Alex, io so con coscienza che sono passati. Cinque anni fa, lui non esisteva e ora è un respiro lieve al piano di sopra e un pensiero costante nella testa.

Se li proietto su me stessa sciogliendomi da ogni dimensione di essere la madre di un bambino di cinque anni… ecco, io sono rimasta bloccata alla sera del compleanno di Pansy.

Annegata nella gelatina di un tempo trascorso solo a parole. Come se, a parte la trasformazione fisica del mio corpo che da ragazza mi aveva candidata a madre attraverso la curva crescente della mia pancia, io non fossi cambiata e mutata per nulla… ed è assurdo, a ripensarci.

Perché cinque anni sono passati sul serio, non devo scomodare il pensiero di mio figlio per saperlo. Ho davanti agli occhi due persone che cinque anni fa probabilmente facevano fatica persino a ricordarsi, e che adesso sono marito e moglie. Ho accanto un ragazzo che cinque anni fa non sapeva nulla del mio passato ed era innamorato del suo capo, e che adesso mi chiede costantemente di fargli degli Incantesimi per vedere come starebbe biondo e che ha un fidanzato di nome Kevin.

Tornare poi qui a casa di Pansy non aiuta, non sta aiutando e non aiuterà. All’assassino tornare sul luogo del delitto dà la macabra sensazione di poter rivivere il suo crimine: ucciderebbe con più crudezza, ucciderebbe prima o non ucciderebbe affatto.

Io, mentre Pansy cerca le parole, riesco solo a pensare alla sera del suo compleanno: a che cosa sarebbe accaduto se non fossi uscita affatto dalla camera che dividevo con Draco.

 

Quest’anello è maledetto.

Hermione per un minuto lo pensa davvero.

Uscendo fuori dalla casa di Pansy, afferrando distrattamente un cardigan azzurro da una poltrona all’ingresso dove lo aveva lasciato, lo ha tenuto sempre stretto tra le mani. L’anello l’ha seguita senza che lei se ne accorgesse.

Seduta sull’erba fresca, il pianto in gola, lo guarda nel palmo aperto rifrangere le stelle e riflettere la luna; con un accenno di risata amara le viene da urlare al cielo, al paradiso, all’inferno… ad Helena… Le viene da urlare.

“Che c’è, Greengrass, è un altro dei tuoi stupidi segni divini che lo debba avere io? Mettiti l’anima in pace, dovunque tu sia, Helena… io quest’anello non lo indosserò mai. Scordatelo dalla tua presunta onniscienza e misericordia.”

Quel pensiero blasfemo le fa salire altre lacrime agli occhi, le asciuga distrattamente come se ne avesse vergogna. Guarda la casa illuminata a festa, sente la musica allegra rompere la monotonia della notte silenziosa, eppure insegue ancora la piccola luce soffusa della stanza al primo piano. È la terza finestra da destra, proprio sopra il gazebo di pietra accanto al quale ha trovato rifugio. La luce balla, traballa, si muove liquida, ma non si spegne.

Ed Hermione sa che lui è dentro quella luce, sa persino che adesso si muove nervosamente avanti ed indietro, sa che ha preso a pugni qualcosa, sa che probabilmente alla fine si è accasciato sul pavimento, la testa reclinata, le mani tra i capelli.

Ma la luce non si spegne, lui non prende la porta, non scende le scale, non corre nel giardino e non viene a strapparle l’anello dalle mani.

E lei, ipnotizzata barchetta dalla luce di un faro che solo apparentemente è salvezza e benedizione, rimane lì, seduta dietro il roseto, le lacrime che le velano il viso. Gli occhi le bruciano, le fanno male nel tentativo assurdo di ordinare a quella piccola luce di spegnersi… ma al contempo se essa si spegnesse, ma Draco restasse lì non scendendo da lei… quella sarebbe la peggiore delle beffe. Ed Hermione non è in vena di accettare i tiri sinistri e comici di un destino che ancora decide per lei.

Sospira a lungo, non che lei possa oggettivamente fare qualcosa, non che abbia il potere di srotolare il tempo all’indietro per…

Già, per fare che? Impedire a Draco di conoscere Helena? Impedire la morte di lei? Impedire che il mondo stesso si avviti per anni intorno ad un pazzo sanguinario, che decide che se sei una Mezzosangue ed una Grifondoro, non sei degna dell’attenzione di un Purosangue Serpeverde?

Dovrebbe cancellare il mondo, Hermione, per cancellare il suo destino. Cancellare infine persino sé stessa e Draco per avere un futuro diverso, più facile e forse anche più roseo. Ma non è possibile.

Non le resta che accettare quanto prima che non può cambiare tutto.

Decide quindi di aspettare il sole, di aspettare Harry: decide di aspettare da lì, dalla sua fortezza umida e odorosa di rose. Aspetterà che il mondo vada a posto da solo senza che lei debba come sempre muoversi convulsamente per fermarlo.

Quando inizia a sentire la musica abbassarsi, segno che la festa sta arrivando alle battute finali e che forse tra un’oretta qualcuno inizierà ad uscire per tornarsene a casa, decide perlomeno di alzarsi e di andare a nascondersi vicino ai pioppi bianchi che delimitano la proprietà. Non ce la farebbe adesso a fingere anche di essere Calista Parkinson… si strappa la collana dal collo e la getta dietro il cespuglio di rose.

Seminascosta dalla penombra dell’albero accanto al cancello, si regge alla corteccia del pioppo con la mano libera. Un’ondata di tristezza e di stanchezza si mescola nel suo corpo dandole la nausea. Si china, una mano sulla bocca, reprimendo l’istinto di rimettere, poi l’aria fresca della notte le soffia sul viso dandole sollievo. Tornando dritta, nota improvvisamente qualcosa che non aveva notato prima. Una strana ombra fuori dal cancello, sembra una donna supina.

Si chiede solo per un secondo se la barriera di Raissa le impedisca ancora di uscire da lì, ma ha notato subito che ha potuto avvicinarsi al pioppo senza sentire nulla, senza sentire quella sgradevole sensazione di impotenza che aveva sempre provato. Quindi suppone che la barriera non ci sia più. Sorpassa il cancello ed esce fuori, correndo vicino a quella che si rivela essere davvero una giovane donna svenuta. È stesa bocconi sull’erba, il volto semiaffondato nel terreno, apparentemente priva di sensi. La luna bassa le illumina i capelli non appena Hermione si avvicina.

Sono biondi. È Daphne Greengrass.

Non preoccupandosi del fatto che qualcuno possa riconoscere il suo vero aspetto, Hermione si piega sulle ginocchia chinandosi all’altezza della ragazza. Le sposta i capelli dal viso, la scuote per un braccio e lei emette un breve rantolo. È viva, ma incosciente, probabilmente è stata Schiantata. Ma da chi? Con un brivido sulla schiena nuda, Hermione rimane ferma, immobile, in attesa. La mano afferra la bacchetta sotto il vestito, mentre si alza in piedi, iniziando ad indietreggiare verso il cancello aperto. Chiamerà qualcuno all’interno per aiutare Daphne… e con una stretta allo stomaco, si ricorda di aver buttato via la sua collana e di riavere di nuovo il suo aspetto solito. Può chiamare solo… Draco.

Non fa in tempo a fare un solo passo, comunque. Un fascio di luce azzurra compare all’improvviso davanti a lei, lo schiva scartando di lato e cadendo per terra di fianco. Batte il gomito su una pietra, sente il sangue colarle lungo l’avambraccio. Non lascia però che il dolore la stordisca o disorienti, si rialza subito in piedi puntando la bacchetta davanti a sé, il respiro affannato dall’adrenalina.

“Eccola la vera Hermione Granger…” sente sussurrare nel velluto della notte una voce lasciva “Non la puttanella di Malfoy…ma la vera ed autentica Regina dei Grifondoro…”.

Hermione riconosce subito la voce, prima ancora che Dimitri faccia qualche passo, rivelando il suo viso. Il mantello blu notte oscilla alle sue spalle, assecondando i suoi movimenti sinuosi, mentre si ferma a pochi passi da lei. Con la punta dello stivale, volta il corpo disteso di Daphne ed aggiunge: “Troppo semplice, Granger… dovresti diventare più disinteressata… mia sorella ha previsto ogni misura per non farmi più rientrare… ma ha scordato di impedire a te di uscire… deve essere distratta ultimamente…”. Hermione deglutisce pesantemente, la bacchetta ancora sguainata. L’incantesimo di Raissa era ancora presente, per questo voleva che uscisse fuori. Daphne era solo una trappola.

“Che diamine vuoi?!” chiede furiosa, il braccio teso, la presa salda sulla bacchetta “Stavolta non finirà come le altre volte… avvicinati di un altro passo e ti pentirai di essere tornato…”.

Dimitri agita noncurante la mano come ad allontanare una mosca molesta: “Dov’è finita l’educazione, Granger? Frequentare Malfoy ti sta facendo decisamente male…”. Una smorfia involontaria fa contrarre le labbra di Hermione che si serrano in una morsa dolorosa, sentendo il nome di Draco. Dimitri studia con attenzione le linee del suo viso, sorride appena e fa un altro passo, piegando la testa di lato ed inumidendosi le labbra: “Ti ha già fatto piangere vero? Anzi no… non ti ha solamente fatto piangere …”, come se cercasse qualcosa nei suoi occhi la rimira a lungo alla ricerca della risposta, poi il suo sguardo si illumina gioioso e bisbiglia: “Ti ha spezzato il cuore… povera piccola mia…”.

“Dì un’altra sola parola e giuro che ti dovranno raccattare con il cucchiaio…” ringhia Hermione, ricacciando indietro le lacrime, la bacchetta che trema.

“Non posso dirti di non averti avvisato…” mormora lui comprensivo, la voce è dolce, roca, bassa, da far sciogliere qualunque donna, Hermione indietreggia mentre lui si fa ancora avanti “E’ per la Greengrass, vero? Per Helena… ha te e trova ancora il coraggio di pensare a quella…”. Un raggio di luce rossa parte fulmineo dalla bacchetta di Hermione, lo colpisce ad una spalla, Dimitri constata il danno e la guarda sconcertato, spalancando gli occhi blu.

“Ti ho detto di non dire un’altra parola…” sibila lei, fredda, gelida, il volto rosso e gli occhi di ghiaccio, la sua voce si spezza mentre sussurra: “Non ti azzardare a nominarlo mai più…”. Dimitri la guarda ancora, un sorriso sghembo sul volto, gli occhi illuminati dal desiderio. È come se la guardasse in trasparenza, come se andasse oltre pelle, vestiti, ossa e carne, e penetrasse ostinato dentro il suo cuore, la sua anima, la sua testa, leggendole pensieri e sentimenti.

“Vieni con me… stanotte… Hermione…”sussurra carezzevole, facendo un altro passo verso di lei. Ha lo sguardo dolce, caldo, colmo dell’amore di un principe delle fiabe, Hermione lo guarda attonita, le lacrime che le affollano la vista e le impediscono di metterlo a fuoco. La bacchetta quasi si abbassa, facendola arrendere, facendola cadere come non è mai caduta in tutti questi mesi. Pensa davvero per un solo singolo secondo ad arrendersi, ed è molto peggio di quanto non sia accaduto quella mattina nel giardino di Pansy. Quel giorno Draco non era tornato, non era una presenza fisica eppure lontanissima nella casa illuminata alle sue spalle.

Per un attimo Hermione pensa davvero a rinunciare a lui, stavolta per sempre. Pensa davvero che l’amore, quello vero, le ha rovinato l’esistenza. Sente l’inquietante nettezza del cuore spezzato in petto, ne sente il peso opprimente, desidera smettere solo di pensare. Potrebbe andare via con lui, Draco non la cercherebbe più, Astoria non gli farebbe più del male, lui sarebbe al sicuro con Serenity. E lei non dovrebbe più affrontare questo cupo, sordo e cieco amore che le sta accartocciando l’esistenza.

Non scioglierebbe mai il dubbio su Helena. Non aspetterebbe mai più la sua risposta.

Dimitri la chiuderebbe in un castello nero, proteggendola dall’amore. La ricoprirebbe d’oro e di magia, di sapienza e di gloria, non pretendendo mai l’amore da lei.

È un attimo, un solo secondo.

Poi la bacchetta ritorna salda, la punta scintilla di bianco e rosso e sprizza qualche scintilla che fa indietreggiare Dimitri.

Hermione sa già come è rinunciare all’amore, sa già che cosa si prova. Si è felici, immensamente, liberi, leggeri, come farfalle di seta. E si è morti.

Non accetterà mai più le fogge serpentine di uno Zahir, anche se adesso ha il colore degli occhi di Dimitri Karkaroff.

L’uomo di fronte a lei serra la mascella e contrae i pugni, trasformato di nuovo nel lupo cattivo pronto a divorare la bambina che scioccamente si è avventurata nel bosco. Hermione non ha paura, non ne ha affatto, il sangue dell’Auror pompa ossigeno nelle vene assieme all’adrenalina, respira lungamente e lo studia senza timore. Il cuore spezzato le dà la forza, le dà l’energia e il coraggio di affrontarlo… perché la rabbia adesso monta e mulina come un turbine di vento dentro di lei. Vuole farla finita con lui, vuole farla finita con ogni cosa che da troppo tempo sta subendo passivamente. Non può cambiare il cuore di Draco, non può cambiare il fatto che sia dilaniato in due tra l’amore per lei e il ricordo per Helena. Non può cambiare nemmeno il suo di cuore, non può cambiare che lo voglia intero l’uomo della sua vita e non può cambiare che non si accontenterà mai di meno.

Ma tutto il resto… può cambiarlo. Per fortuna. Iniziando da Dimitri Karkaroff.

Impugnando la bacchetta e puntandogliela contro, Dimitri muove appena le labbra, lo scintillio dei suoi occhi irati spezza il nero della notte: “Non era una domanda, Granger… tu stasera vieni con me…”.

“E non era un avvertimento amichevole, Karkaroff… sparisci immediatamente da qui…” minaccia lei, la gola secca, osservando ogni movimento di lui.

L’aria crepita d’elettricità  come prima di un temporale, un attimo prima che Dimitri rompa gli indugi ed apra le danze. Hermione evita un nuovo fascio di luce violetto, saltando di lato e prendendo a correre verso il bosco. Le hanno insegnato a confondere le tracce, le hanno insegnato a scegliersi il campo di battaglia e a mettersi subito in una posizione vincente: per lei è la foresta, dopo una vita passata nei boschi con Ron ed Harry a cercare gli Horcrux. Corre trafelata tra gli alberi, gli occhi annebbiati dalla mancanza di luce, pronti ad accogliere ogni minimo spruzzo d’argento che filtri dalla luna attraverso il fogliame pesante. La milza punge, il fiato manca, ma Hermione continua a correre veloce, come una saetta.

Dimitri la insegue senza fretta, convinto di riuscire a farla finita in breve tempo, i passi dei suoi stivali che spezzano le foglie secche. Ride, guardando la schiena di lei che si allontana e i lunghi capelli castani agitati dal vento, la vuole più di ogni cosa al mondo, più di qualsiasi altra cosa abbia mai desiderato. Lascia fremere le mani sulla bacchetta, lascia che la voglia lo porti ad un passo dall’impazzire del tutto per la mancanza del corpo di lei tra le sue braccia, lascia che sia enormemente più eccitante la caccia che il momento in cui lei sarà finalmente sua. Spera quasi che lei corra ancora di più, che non si fermi, che continui a mettere distanza tra loro come una gazzella inseguita dal leone. Non sarebbe lei, se gli rendesse tutto troppo facile.

La risata, ad un certo punto, gli si gela sulle labbra: si guarda furiosamente attorno, voltandosi a destra e sinistra. È sparita.

Panico nel petto, inizia a correre a sua volta, imponendosi di non chiamarla, di non urlare il suo nome, di non mostrarsi così maledettamente disperato dal fatto di averla perduta. Se lei lo capisse, se lei sentisse quell’urgenza nella voce, che non è solo voglia o desiderio o senso di possesso, forse capirebbe il potere immenso che ha su di lui. E Dimitri non vuole che lo capisca, non lo vuole assolutamente. Ribalterebbe ogni regola del gioco: quella dove lui è signore e lei inerme pedina.

Non conosce Hermione Granger, la sottovaluta e già piange di averla persa.

Pensa che sia caduta in un dirupo o pensa che sia inciampata in una radice perdendo i sensi. Stima di lei la forte guerriera, ma è ancora convinto che sia una principessa innocente pronta a cascargli tra le braccia.

Improvvisamente qualcosa lo fa cadere supino al suolo, impreca con la faccia premuta contro il muschio. Una pressione lieve ma decisa sulla schiena, dalla forma allungata. Una bacchetta. Sorride, sollevato: è lei.

La spia di sottecchi, il volto affannato, il seno ansante, l’abito trasfigurato di colore perché il rosso era oggettivamente troppo visibile. Era sparita solo rendendo il suo abito nero come la notte. E deve essere anche salita su un albero, ha le mani striate di sangue, deve aver semplicemente aspettato che lui le passasse davanti.

“Accio bacchetta…” dice stentorea, la bacchetta di Dimitri vola dalla sua mano in quella di Hermione.

“Credo di averti sottovalutato… un errore venale…” commenta con nonchalance Dimitri, guardandola di sbieco “Consentimi di dirti che non sembri affatto una Mezzosangue… ma dovrei aspettarmelo, sei sempre il Capo degli Auror…”.

Hermione non risponde, la presa sulla bacchetta che non diventa meno salda. Lo guarda con odio, con rancore, la guancia graffiata e i capelli spettinati, pronta anche a farlo fuori. È stanca, enormemente stanca. E non c’entra niente la corsa nel bosco, non c’entra niente il fatto di essere come sempre presa sottogamba perché è una Mezzosangue, non c’entra nemmeno l’ostinazione con cui Dimitri la rivendica come una cosa sua. C’entra solo che è stanca, dentro, nel punto dove è sempre esistita la forza di lottare e di combattere. Draco gliela ha spazzata via. E vorrebbe solo dormire, almeno per un po’, e smettere di dibattersi come un pesce all’amo. Ricaccia indietro una lacrima, guardando Dimitri dall’alto in basso.

“Ma è un errore che non farò mai più… Hermione Granger…”. Dimitri non ha nemmeno finito di parlare che Hermione si sente sbalzata indietro da una folata di vento, sbatte violentemente al suolo, la schiena contro un albero. Il volto sporco di terriccio, si solleva a fatica. Dimitri è di nuovo in piedi, ha di nuovo la sua bacchetta. La guarda ghignando e leccandosi il sangue dalle labbra.

E non è più da solo.

Hermione sente il cuore perdere un battito, ne sente il tonfo terrorizzato nel petto. Rimettendosi seduta, valuta se esista una via di fuga che al momento non trova. Quindi i suoi occhi tornano di fronte a lei, quasi pregando di aver visto male.

Ma non è così. Le sue preghiere non sono mai state molto fortunate.

Alla destra di Dimitri, l’espressione di una dea pagana crudele e pronta al sacrificio, c’è Astoria.

Pucey e Montague compaiono alle sue spalle, ancora più incattiviti di quanto non li avesse già visti in passato.

Hermione li osserva ad occhi sgranati, terrore ed ansia adesso nel petto che si alza e si abbassa, cerca di farsi indietro ma tocca la corteccia rugosa dell’albero che le graffia la schiena. Prima che la sua mano raggiunga di nuovo la bacchetta, Astoria gliela allontana con un gesto flessuoso ed annoiato del braccio. Hermione la osserva a lungo, per un attimo chiedendosi scioccamente se non sia la sua sosia, quella che ha lasciato a casa di Pansy.

Ma quella ragazza aveva l’espressione solare e raggiante, un sorriso pieno sulle labbra rosa, gli occhi di chi ha conosciuto la somma felicità.

Astoria, pallidamente illuminata dalla luna, non è più la Summer che ha conosciuto lei, o la sciocca bambinetta dei tempi di Hogwarts.

Sembra non essere nemmeno interessata al suo aspetto da viandante, al vestito azzurro che pende sul suo corpo magro e denutrito. Ha le guance scavate, le unghie sporche di terreno, l’aspetto sciupato. Gli occhi, invece, brillano sinistri, non lasciano un attimo il suo viso, la divora con lo sguardo come se fosse un cucciolo e lei una crudele fiera. Pucey e Montague, alle sue spalle, sembrano temerla, la guardano in adorazione e pendono dalle sue labbra.

“Ti sei alleato con lei…” commenta Hermione, sentendosi stupida, cercando di rialzarsi in piedi. Astoria, ancora, la fa cascare violentemente al suolo.

“Mai fidarsi dei serpenti, Granger…” risponde Dimitri, chinandosi alla sua altezza e guardandola dolciastro “Dovresti ringraziarmi… lei ti voleva morta… e io invece l’ho convinta che basta solo separarti da Malfoy per ucciderti davvero…”.

Hermione si ritrae ancora, il terrore che la paralizza come una bestia ferita. Astoria non dice una parola, la guarda e basta, contraendo le labbra per il disgusto.

“Io non verrò mai con te…” sussurra Hermione con un filo di voce, chiudendo gli occhi. Per un attimo le appare sotto le palpebre chiuse il volto di Draco, la sera in cui tornò a casa dei Parkinson. Gli occhi grigi, il sorriso strafottente, la mascella contratta, le mani calde che le accarezzano il viso. Lo immagina nella loro stanza, lo immagina che ancora non sa che cosa le sia successo, lo immagina chino su Serenity mentre ne guarda preoccupato il sonno.

Pensa al momento in cui non la troverà più, pensa al momento in cui si sentirà in colpa come mai nella vita, pensa a quando la cercherà disperato, pensa a quando troverà il suo cadavere lì in quel bosco. Le lacrime sfuggono senza controllo, contrae le labbra cercando di fermarle. Di quello si tratta. Lei tra poco sarà morta, che Dimitri dica quello che vuole. Non sarà sua, se non da morta. Glielo ha già detto.

“Mi dovrai uccidere prima…” dice, riaprendo gli occhi e sollevando il mento orgogliosamente “Io sono sua… non sarò mai più di nessun altro, tantomeno tua…”.

Un raggio di luce gialla le colpisce lo zigomo, facendolo sanguinare, Astoria alle sue spalle respira fremente di rabbia, la bacchetta ancora sollevata. Non parla, non dice nulla, nemmeno urla. Sembra che le abbiano tolto la voce, ma è bastato che lei alludesse a Draco per farle perdere il suo autocontrollo. Dimitri la guarda in cagnesco, intimando a Pucey di trattenerla.

Hermione si asciuga il viso, rialzando fiera gli occhi e ripetendo stoica: “Dovrai uccidermi…”.

“Non essere melodrammatica Granger…” ride Dimitri, facendo un cenno alla sua destra a Montague che si allontana con un cenno deferente del capo “Esistono molti modi per convincerti… potrei persino ammazzare il tuo Malfoy per fartelo capire… ma ho un patto da rispettare con Astoria… ed in fondo gli devo ancora la vita, l’onore è tutto per me, Granger…”. Si volta alle sue spalle, mentre Montague riappare, trascinando qualcosa che striscia pesantemente sul terreno.

Hermione aguzza lo sguardo e ciò che vede la lascia senza parole. Si porta una mano alla bocca, ora davvero terrorizzata. Hanno il potere di fare qualsiasi cosa, lo capisce in un attimo. Capisce che non può scappare. Morire sarebbe stato infinitamente meglio. Persino per Draco. Perché può solo immaginare che cosa c’entri lui con la parte del patto che è stata riservata ad Astoria e a cui Dimitri ha parzialmente alluso. Non si faranno scrupoli pur di ottenere quello che vogliono.

Montague getta per terra con malagrazia il corpo di Hayden. Ha il volto tumefatto, gli occhi chiusi e pesti. Hermione, singhiozzando, ricorda il giorno in cui l’ha conosciuto, la profonda calma che le trasmetteva, il bacio dolce che le diede quella sera di pioggia al Petite peste. Urla con tutta la voce che ha il corpo il suo nome, si acquatta per arrivare a lui, chiede gridando che cosa c’entrasse lui. Lui non c’entrava niente. Niente. Era rimasto nella sua mente come una dolce luce spensierata, un calore troppo tenue per riscaldarla davvero ma che l’aveva trattenuta sull’argine della pazzia anche quando era sotto il controllo dello Zahir. Aveva deciso di incontrarlo, al suo ritorno a Londra, di parlargli, di dire anche a lui tutto, come con Seth.

Gli voleva bene, gli vuole bene.

Piangendo, si rialza velocemente e si avvicina a lui, lo scuote per una spalla mentre constata superficialmente che è ancora vivo. Una profonda ferita, però, gli inzuppa di sangue la camicia sulla schiena. Gli sposta il tessuto lercio ed inorridisce. È una ferita profonda, infetta, da cui gronda pus biancastro. Lo hanno ferito da parecchio tempo, chissà da quanto è incosciente.

“Potevamo prendere uno qualunque, ovvio…” commenta annoiato Dimitri, guardandola dall’alto “Tu avresti lottato per qualunque stupida vita avessi minacciato di togliere… ma sai com’è? Se una persona la conosci, è anche meglio…”, la sua voce scende di tono e riprende duro: “E’ anche per dimostrarti una cosa… tutti i limiti del tuo Draco…”. Hermione, china su Hayden, abbraccia le sue spalle proteggendone il corpo, solleva lo sguardo umido su Dimitri digrignando i denti.

“Ha pensato a proteggere tutti, tranne lui…” ride Dimitri senza allegria “Probabilmente sperava anche che lo facessimo fuori… quando invece avrebbe solo dovuto sperare che tu scegliessi lui… il babbano, per esempio, non ti avrebbe portato a me…”. La risata sul volto di lui si smorza, ostaggio di memorie lontane: “… non ti avrei mai conosciuto… ed avrei pensato che tu… non esistessi…”.

Hermione, sempre china su Hayden, sussurra a mezza bocca interrompendo i pensieri di Dimitri: “Verrò con te… ma lascialo andare…”. Non c’è soluzione, non c’è. Hayden è ferito, probabilmente è grave. Devono lasciarlo andare.

“No, tesoro… tu verrai con me… ma non lo lascerò andare… è il solo modo per impedirti di fare qualcosa di stupido ed insensato mentre sei con me…”.

Stupido ed insensato… certo… uccidersi… come aveva già deciso di fare pur di non andare con lui. Ma adesso che c’è anche Hayden… deve restare in vita per lui. Nella prigione che Dimitri le sta per destinare.

Pucey e Montague sollevano di nuovo il corpo incosciente di Hayden, strappandolo dalle braccia di Hermione che li osserva impotente mentre spariscono con un pop trattenuto. Dimitri le porge cerimonialmente la mano, prima di dire la formula di Smaterializzazione.

“Mi cercherà…” sussurra Hermione, mettendo la sua mano in quella di Dimitri “Draco non avrà pace fino a quando non mi avrà trovato…”.

Dimitri contrae la mascella: “No… non ti cercherà mai più… no, se sei tu stessa a dirgli di lasciarti andare…”. Hermione sgrana gli occhi, guardando l’espressione compassata di Dimitri, si puntella con i piedi in un ultimo disperato tentativo di resistere, ma lui l’afferra per un polso e si smaterializza. Hermione sente lo strappo all’ombelico e vola lontano, le lacrime che restano nella foresta come gocce di rugiada.

L’ultima cosa che vede sono gli occhi azzurri di Astoria che la guardano sorridendo con cattiveria.

Non si è Smaterializzata assieme a loro.

 

Chiudo gli occhi, serrandoli come se fossi sotto una luce troppo forte. Cerco di lasciar fuori dalla mia mente quel ricordo, ma sebbene siano passati cinque anni e sebbene adesso io sia al sicuro, quel ricordo ha un odore forte ed intenso che lo fa stagliare distintamente nell’oceano della mia memoria. Lo ritrovo sempre quando lo cerco, quando disgraziatamente la mia mente mi riporta indietro: odora di conifere, di rugiada, di rose calpestate. Di lacrime, sangue e sudore. La pelle di Draco, i suoi occhi, le sue labbra, le sue parole… quelle sensazioni negli anni sono evaporate, sono solo una stretta allo stomaco e il ricordo di come mi sentissi. Perfetta, mi sentivo perfetta tra le sue braccia. Ma giorno per giorno, come la cascata di granelli di sabbia che svuotano una clessidra, la nettezza di quei ricordi è sfuggita via, solo gli occhi di Draco li ricordo perfettamente perché sono gli occhi di Alex. Invece, sebbene cerchi disperatamente di dimenticare, quella notte è scolpita come pietra nei miei pensieri. È iniziato tutto lì. O meglio, è finito tutto lì. 

Sollevo gli occhi umidi, fissando Pansy e Dean di fronte a me. La mia mano stringe ancora più saldamente la mano di Seth, mentre a bassa voce biascico nervosamente: “Dimitri ci ha fatto tutto questo… e tu hai permesso a Draco di andarsene con sua sorella?!”. Dean apre la bocca per obiettare, ma Pansy lo fa tacere con un cenno brusco della mano.

“Vorrei ricordarti, Granger, che fino a stamattina io non sapevo minimamente che cosa ti fosse successo…” sciorina Pansy ovvia, stringendo le labbra rosse “Non riuscirete né tu, né Draco a farmi sentire in colpa per qualcosa che non ho fatto… magari non te ne sei accorta, ma lui non è un bambino… e io non sono la sua balia… quando è andato via era perfettamente in grado di decidere chi volesse ancora nella sua vita… e non voleva ovviamente più te…”, la sua voce si abbassa e si addolcisce, Dean la guarda preoccupato mentre aggiunge con un filo di voce: “… e non voleva tantomeno me…”. Pansy, captando la tenerezza che sta adesso sciogliendo il mio di sguardo, riprende a parlare dura come le appartiene solitamente: “Se c’è qualcuno con cui dovresti prendertela, è Potter… lui ha deciso questo brillante piano… se mi avesse perlomeno detto qualcosa, se mi avesse raccontato la storia nei dettagli… bè, perlomeno avrei evitato di renderti oggetto di pratiche voodoo nel corso degli anni…”. Reprimo una stupida risatina nervosa che mi sta venendo inconsapevolmente fuori, arrancando tra le lacrime che non smetto di piangere, mentre per fortuna interviene Seth: “Andiamo Pansy… sai benissimo che Harry non poteva parlare… né con te, e né con nessun altro… ne andava della sicurezza di Hermione ed Alex… altrimenti lei se ne stava tranquillamente in Inghilterra e tutto sarebbe andato per il meglio: sarebbe andata al matrimonio di Ginny ed Harry, al vostro… e tanto per non tralasciare niente, avrebbe anche impedito che mi arrampicassi sulla torre della polizia per dichiarare il mio amore a Kevin… rompendomi la clavicola… e il femore…”.

“Dubito che quello l’avrei impedito pur stando qui…” commento acidamente, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano “Avresti chiamato un tentato suicidio un gesto d’amore… e me, com’era, un’insensibile donna fredda priva di slanci sentimentali…”.

“Era frigida donna fredda, priva di slanci sentimentali…”.

“Giusto, avevo rimosso l’endiade…”.

“L’endi-che??!”.

“Dio, mi ero dimenticato come era parlare con te, Hermione…” commenta stancamente Dean, passandosi una mano tra i capelli e guadagnandosi una mia occhiataccia “Potremo gentilmente tornare al punto della questione? Vorrei ricordare che Pansy è partita per la Francia, quindi pur volendo non avrebbe nemmeno potuto parlare con Harry… era troppo impegnata ad incontrare il suo destino…”. Dean chiude la sua sviolinata con uno sguardo tronfio e presuntuoso, al quale Pansy replica acida: “Ma che bel destino…! L’avessi saputo sarei annegata nella Senna…”.

“Andiamo piccola, tanto lo sanno tutti che mi ami perdutamente!” ripete Dean, passando un braccio sulle spalle della moglie che si divincola con sguardo assassino: “Chiamami un’altra volta piccola, specie in presenza di ospiti non propriamente graditi… e vai in bianco per un anno intero…”.

“Lo vedi come è il romanticismo?” tuba Seth con gli occhi a cuore, guardandomi quasi commosso, al che inarco un sopracciglio scettica non volendo nemmeno sapere il tenore delle conversazioni con Kevin se chiama questo, romanticismo. Scuoto il capo e non riesco a fare a meno di sorridere, mi era mancato tutto questo, mi era mancato come l’aria. Ovvio che mi era mancato Seth: dopo tanti anni, dopo tutto quello che mi è accaduto, so con certezza che è e resterà sempre il mio migliore amico. Non a caso, appena sono tornata in Inghilterra, sono andata subito da lui, prima che da Harry o da Ginny o da chiunque altro. E gli ho raccontato tutto, di me, di Draco, del nostro passato, del mondo della magia, degli ultimi cinque anni. Ho parlato per circa tre ore ininterrottamente, lui non mi ha mai interrotto. Sebbene dopo cinque anni poteva anche chiudermi la porta in faccia, mi ha fatto parlare. E quando ho finito, mi ha guardato incredulo dicendomi che pensava spesso a me, al giorno in cui ci saremmo rivisti. E pensava che solo raccontare della scomparsa di Danny e Serenity, dell’aver rilevato il Petite Peste diventandone il solo proprietario e dell’aver conosciuto Kevin, sarebbero stati grandi scoop.

“Ed invece mi devi battere sempre in tutto!” ha riso, ravvivandosi i capelli ricci “Sei persino stata a letto con Danny, anzi no, aspetta Draco… mah mi piaceva di più Danny…! E avete anche un figlio assieme!!”. E mentre ancora ridevo, lui ha aggiunto con nonchalance: “Bè, quando andiamo a riprenderci il tuo Principe azzurro?”.

E sono felice, davvero, di averlo qui con me.

Sono felice anche di aver ritrovato Dean, sapevo per sommi capi da Ginny che aveva sposato Pansy Parkinson, me lo aveva scritto in una lettera quando ero ancora in Italia. Ed ero cascata dalla sedia, facendomi decisamente male. Ma poi era stato quasi confortante, in un modo abbastanza egoista. Era come vedere il riflesso irrealizzato di me e Draco in due altre persone. Era come sapere tramite l’esperienza di altri che tra me e lui poteva essere possibile. Il Grifondoro mezzosangue e la Serpeverde acida: sembrava una favola. Certo, ora che li ho visti, tutto sembrano tranne che una favola, anzi sono tipo una commedia tragica che spero preveda decine di anni di repliche.

Rivedere Dean, rivederlo padre e marito, rivederlo così felice… ha avuto il sapore dolce e pieno dell’assoluzione. Strano a dirsi, ma è così, ancora dopo cinque anni da quando ci siamo lasciati, mi sentivo tremendamente in colpa nei suoi confronti. Ero convinta di avergli rovinato la vita. Ma lui sta bene adesso. E’ felice. E mi è mancato in uno strano modo anche lui, mi è mancato come una presenza nella mia vita che non saprei chiamare “amico” e non potrei nemmeno liquidare come “ex”. Sono solo contenta che lui ci sia ancora, che tutto non sia andato a scatafascio, che possiamo persino scherzare sui nostri due anni assieme senza che ci si frapponga contro un inutile imbarazzo o uno sconveniente rancore.

E mi è mancata anche Pansy, già, se glielo dicessi probabilmente vomiterebbe succhi gastrici da oggi fino al 2076.

Quindi non glielo dirò mai.

Mi è mancato il suo essere così maledettamente Serpeverde… perché mi ricorda Draco… la sincerità mai rigettata, il sarcasmo, l’orgoglio. In cinque anni, io non ho mai visto nessuno così. E mi mancava terribilmente. Quando ti abitui a parlare con loro, difficile è tornare ai tuoi soliti legami. Con Ron, nonostante tutto, a volte ero anche felice, ma non era una sfida continua come era Draco e come spesso, a suo modo, è anche Pansy. E adoro sia Helder che Hayden… ma non era la stessa cosa.

I miei pensieri, che per un attimo si erano fatti scintillanti e spensierati, si oscurano di nuovo. Mentre Dean e Seth continuano a ridere e punzecchiano Pansy che risponde a tono, ancora la dimensione profonda della mancanza di Draco in questa stanza con me e con i nostri amici, oppure al piano di sopra con nostro figlio, mi acceca e mi toglie il fiato.

Lui non è qui, non è qui, dannazione. È con Raissa, o chissà con chi altra. Senza volerlo, senza averlo premeditato, mi piego e nascondo il volto tra le mani, piangendo.

Le risate cessano all’istante, immediatamente le braccia di Seth si chiudono sulle mie spalle abbracciandomi: “Scusami tesoro… ci siamo lasciati prendere la mano…”.

“N-no, non è per voi…” biascico ancora china su me stessa “… ma… lui… Draco… dovrebbe essere qui… con me, con voi… e con Alex…”.

“Se lo avessi visto quel giorno, capiresti che non poteva restare qui un attimo di più…” mormora Pansy, scuotendo il capo, mi drizzo a sedere e la guardo senza capire. Lei senza scomporsi, prosegue: “Quello che vi è successo, è ingiusto… ma è giusto che lui non ci sia, Granger…”.

“Che diamine vuol dire?!” chiedo già iniziando ad alterarmi, stringendo violentemente i pugni.

“Dico solo che per come sono andate le cose, per lui è normale non essere qui adesso…” riprende incolore, guardandosi le unghie apparentemente disinteressata “Io ti ho raccontato com’è andata… ma non ti ho fatto vedere com’è andata… ed è giusto che tu lo sappia… così smetterai di pensare che io o chiunque altro avessimo qualche potere su di lui, non l’abbiamo mai avuto su di lui normalmente, figuriamoci quel giorno… tu l’hai fatto a pezzi, Granger…”.

“Io non ho fatto nulla, non ero io!” urlo addolorata, anche se Pansy lo sa, anche se adesso tutti lo sanno che quella mattina ad incontrare Draco non fui io. Seth mi tiene stretta per gli avambracci, quasi impendendomi di muovermi, mi dibatto come un uccellino in gabbia.

“Lo so… ora so che era Astoria…” commenta piatta Pansy, guardando la finestra, lo sguardo di Dean corre veloce da lei a me “Ma quel giorno… sembravi tu in tutto e per tutto… l’odore, la forma dei capelli, il modo di parlare… non era Pozione Polisucco, non era tantomeno un Confundus…”.

“Era Cordis Imitatio…” ribatto stancamente, cercando di parlare a voce più bassa e calma, Seth finalmente mi lascia andare “Ho fatto delle ricerche in Italia, avevo il sospetto che Astoria avesse fatto qualcosa di simile… quel giorno non si smaterializzò con me e Dimitri… e pensai che avesse fatto qualcosa per dividermi da Draco… non avevo la certezza che non lo avessero ucciso, avevo solo la speranza che non fosse così, anche perché Dimitri aveva sempre parlato di una parte della loro collaborazione per cui chiaramente Astoria aveva un vantaggio e riguardava Draco, poteva solo voler dire che non avesse mai rinunciato all’idea di diventare la signora Malfoy…”, sospiro lungamente prima di riprendere: “Non mi aveva strappato dei capelli o altro… non era Pozione Polisucco. E tantomeno un Confundus, forse ve ne sareste accorti, abituato com’era Draco ad usarlo al Petite Peste anche quando c’era Astoria… e trovai quest’Incantesimo. Vecchio, antico, quasi perduto, ma che ovviamente Dimitri con tutta la sua conoscenza magica, sapeva come fare… letteralmente si chiama Imitazione del cuore… due persone unite dallo stesso sentimento entrano in risonanza l’una con l’altra. Una delle due ne può rubare per qualche ora aspetto, ricordi, emozioni. A patto che l’altra persona sia sufficientemente debole… ed io lo ero, ero sotto il controllo di Dimitri. Ed Astoria in fondo, a suo modo, non ha mai smesso di amare Draco…”. Chiudo gli occhi, una sequela di ricordi uno peggiore dell’altro mi si affastellano davanti agli occhi e cerco di lasciarli al passato a cui appartengono. Sospirando concludo con un filo di voce, rivolgendomi a Pansy: “Avevo fatto sogni strani… tu… che piangevi… e Draco… che…”. Non riesco a finire la frase, quell’immagine era stata così straziante che mi ero chiesta che cosa avessi potuto pensare di così terribile da fare un sogno simile. Poi, quando avevo avuto modo di riflettere, avevo ipotizzato con angoscia che poteva essere successo davvero.

Draco che perdeva il controllo? No, quello non puoi averlo visto…” dice sadica Pansy, un sorriso amaro sulle labbra sottili. Estrae la bacchetta dalla tasca della sua gonna, la punta alla tempia e ne esce un rivolo argentato. Con un altro movimento flessuoso fa comparire un Pensatoio in cui riversa il ricordo appena estratto dalla sua memoria.

Con un sospiro greve, mi sporgo con Seth oltre la superficie tremolante del Pensatoio, dove fluttua e prende definizione il ricordo di quella mattina di cinque anni fa.

 

Un reggiseno rosso sotto il tavolo della cucina.

Pansy lo afferra con due dita schifata, china in ginocchio sul pavimento, e lo getta distrattamente nel sacco dell’immondizia che Lyria tiene aperto. Borbotta afona insulti e maledizioni all’indirizzo della misteriosa “donna scarlatta” che ha pensato bene di dare sfoggio delle sue doti amatorie nella sua cucina, alla sua festa di compleanno. Non che la sua festa, quell’anno, fosse stata il massimo del divertimento… Robert, quel dannato vecchio che sopportava solo perché era l’avvocato dei suoi genitori, era caduto in una delle fontane del giardino facendo scappare l’ultimo esemplare di cigno bianco di sua madre. Daphne Greengrass si era ubriacata ed era svenuta in giardino, peraltro dimenticando tutto quello che era successo nelle ore precedenti, compreso il ricatto di Pansy per l’incontro con Potter. E adesso doveva dirle tutto daccapo… come se non bastasse, Pansy aveva cercato di cancellare Blaise dalla sua mente, pomiciando con uno che conosceva appena e che aveva pensato bene di vomitarle tutto il punch alla frutta sull’ultimo paio di scarpe di velluto che possedeva.

Pansy riemerge da sotto il tavolo sudata ed accaldata, è una mattina umida di fine giugno, di quelle dove persino respirare è faticoso e dove ti senti sempre appiccicaticcia e nervosa. Lyria è abituata alle sue intemperanze acide, ai suoi rimproveri caustici e alle sue frecciate pungenti, quindi, vedendola scura in volto, pensa bene di arretrare e di fingere di guardare attentamente il contenuto del sacco dell’immondizia.

Pansy non avrebbe mai voluto fare una festa per il suo compleanno, spendere soldi inutili, fingere di adorare persone che odia, nascondere la piaga purulenta che eruttava quando Blaise le passava accanto e volutamente le sfiorava la schiena, una spalla, una ciocca di capelli. Lei chiudeva gli occhi tremante, stringeva le labbra e lasciava che il corpo si godesse la carezza per un attimo. E poi apriva gli occhi e vedeva Draco e la Granger.

Provava schifo per loro due, come negarlo. Di primo acchito la coglieva incredulità, repulsione, l’insana speranza che fosse tutto uno squallido sogno. Era di Draco Malfoy che si stava parlando, il suo amico, il principe dei Serpeverde, quello che, se al mondo pazzo in cui vivevano non fosse saltato in mente di esplodere, avrebbe potuto avere ogni donna del mondo. Aveva avuto persino Helena Greengrass… e adesso si accontentava della Granger.

In quei momenti a quel pensiero, le veniva quasi da gridare per il nervosismo: avrebbe legato Draco ad una colonna, lo avrebbe fustigato fino alla follia e lo avrebbe fatto rinsavire, ecco.

E quella stessa identica fantasia si era materializzata quando lui le aveva detto con la più ingenua e beata delle espressioni, che voleva chiedere alla Granger di sposarlo. Con l’anello di sua madre. Dopo solo dieci giorni che stavano assieme.

Pansy in quel momento, aveva aperto e chiuso la bocca come se stesse andando in iperventilazione, mentre Draco le mostrava l’anello di Narcissa. Come se non se lo ricordasse… da ragazzina era stato la sua ossessione. Un diamante di un carato, tagliato a cuscino, circondato da una doppia fila di ulteriori brillanti. E diamanti anche sulla fedina. Era tipo una leggenda, tra le Purosangue della sua età. Tramandato di generazione in generazione dai Malfoy, era il sogno proibito di ogni ragazza.

E lei ricordava perfettamente come lo sfoggiasse fiera Cissy… e, a quel pensiero, aveva avuto un travaso di bile non da poco. Adesso sarebbe diventato della Granger, che manco ne avrebbe apprezzato il valore.

Aveva aperto la bocca, pronta ad una sequela di insulti… che non erano arrivati. Era bastato guardare Draco per fermarsi.

La luce che aveva il suo viso al pensiero di chiedere in moglie la Granger, era tipo più luminescente di ottomila diamanti da quindici carati. E quella luce non era una novità: l’aveva dalla mattina successiva al suo ritorno, quando salutando Pansy stessa a malapena, aveva passato tutta la colazione a guardare la Granger che beveva uno stupido succo di frutta.

Draco lo avrebbe fatto lo stesso, anche senza la sua approvazione… ma senza di essa, lo avrebbe perso.

Quindi aveva pronunciato qualche velenosa frase di convenevoli, gli aveva dato un pacca sulla spalla di incoraggiamento ed era uscita, una stretta insopportabile alla bocca dello stomaco. Che non era gelosia, invidia, o altro. Certo, aveva amato Draco, molto, era il suo primo amore. Ed era il suo migliore amico. Quindi ovvio che le dispiacesse che volesse stare con la Granger… ma non era questo.

Non era nemmeno l’invidia per un diamante da decine di migliaia di sterline, anche se le sarebbe sembrata la spiegazione più ovvia, vista la vita da poveraccia che era costretta a fare.

Ma invece che invidiare dell’amore quel suggello luccicante da poter mostrare e sfoggiare ad ogni piè sospinto, lei invidiava l’amore stesso. Quello che  fa superare ogni ostacolo, quello che ti fa decidere di stare con una persona anche se tutto l’Universo ti si rivolterà contro. Blaise poteva regalarle anelli come quello se solo l’avesse chiesto, se solo il suo orgoglio fosse morto ed avesse deciso di chiederglielo. Le avrebbe regalato un anello con gioia, perché facendoglielo mostrare alle amiche, lei si sarebbe sentita soddisfatta ed appagata, non chiedendo niente di più. Ma lei non avrebbe mai potuto dire che era un anello di Blaise, ci mancherebbe. Era l’amore, quel tipo particolare di amore, che Blaise non poteva darle.

Quell’amore che era al contempo, salvezza e dannazione… quello che se ti colpisce come un fulmine a ciel sereno, devi solo arrenderti e basta. Quell’amore che aveva condotto Draco a portarle la Granger in casa, pretendendo la sua approvazione, senza nemmeno chiederla, perché sapeva che, disapprovando lei, avrebbe al contempo rigettato lui. Quell’amore che aveva inumidito gli occhi della Granger mentre le diceva: “Quando tornerà, perché lui tornerà, arriverò a cambiare anche tutto il mondo pur di restare con lui, senza bisogno dei consigli di una come te... subite pure il mondo che vivete, io ho smesso di farlo…”. Facendole spezzare il cuore. Perché, per lei, nessuno avrebbe cambiato il mondo. Per lei, al massimo, lo si subiva.

Pansy Parkinson non è abituata all’onestà nemmeno con sé stessa. Quei pensieri come una lanugine biancastra le ingolfano la mente, facendola sentire solo confusa e vagamente in colpa. Per una come lei, non è normale, sano ed auspicabile trovarsi ad invidiare Hermione Granger. Come se avesse a che fare con della sgradita polvere, nasconde quella punta d’insoddisfazione sotto una carrellata di pensieri sciocchi e futili tra cui primeggia il suo programma di attività, non appena sarà giunta a Parigi.

Ma non fa in tempo a pensare a nulla che un tramestio per le scale la fa trasalire improvvisamente, Lyria spaventata molla il sacchetto dell’immondizia che ricade per terra con un tonfo secco.

“Raccoglilo…” le ingiunge gelida Pansy, sollevandosi da terra e attraversando la cucina. Apre la porta per raggiungere le scale, pregando in tutte le lingue del mondo compreso il serpentese, l’eschimese e il cinese mandarino di saper fingere in modo convincente un infarto del miocardio, se il rumore è stato provocato dalla Granger che vuole raccontarle della proposta di matrimonio.

Ma a scendere le scale non è stata Hermione Granger, con un anello al dito e l’espressione di chi ha appena vinto la lotteria del destino.

A scendere le scale è stato Draco Malfoy, il completo grigio della sera prima ancora addosso completamente spiegazzato, i capelli arruffati di chi si è appena svegliato, gli occhi cerchiati e rossi. Fermo ai piedi della scala, il respiro ansante, si guarda furiosamente attorno, il respiro convulso.

Di primo acchito, Pansy non lo guarda in viso, lui le dà le spalle e continua a guardare a destra e sinistra, percorrendo con lo sguardo tutto l’ingresso, non accorgendosi di lei. E Pansy automaticamente incrocia le braccia al petto, rotea gli occhi con fastidio ed apre le labbra pronta a dire qualcuna delle sue frasi velenose, che in realtà nascondono l’affetto per il suo amico. Forse per un solo istante, mentre pensa di esordire con un commento caustico sul completo grigio usato come pigiama, è davvero contenta per Draco, gli augura la felicità con Hermione Granger, spera che Serenity lo veda come un padre. Per un momento, un fosco momento nella luce pallida del primo mattino, Pansy Parkinson è prodiga di benedizioni che, piovendo come incenso sul capo di Draco, di riflesso vanno ad indorare anche quello meno gradito della Granger. E non la invidia più, perché se rende felice Draco, merita di essere felice anche lei.

Per un momento, Pansy augura il bene a chi ama e per quello, a tempo debito, lei stessa avrà la ricompensa di un amore che sfida tutto, compresa sé stessa.

Ma è solo un momento.

Poi Draco si gira e le sue labbra si serrano perché lei non resterebbe mai a bocca aperta, mostrandosi sconvolta. Solo le sue braccia abbandonano il loro confortevole posto incrociato e le cadono lungo i fianchi, dandole l’aspetto di una che sta aspettando una spada di fuoco che le piova dal cielo senza preavviso e senza scampo alcuno. Pansy non ha mai capito il tono orgoglioso e tronfio di chi sostiene di conoscere qualcuno meglio di sé stesso: non capisce, né capirà mai una rinuncia così palese ed ingiustificata del proprio sano egocentrismo, né tantomeno cosa ci sia di così meraviglioso in un’osmosi di sentimenti e umori da rendere pazzo chiunque la viva.

Chi desidererebbe mai soffrire per un dolore altrui, che riesce a riconoscere perfettamente nel volto di un’altra persona?

Pansy ama le sensazioni represse per pudore ed orgoglio, ama le zone nascoste dell’anima, ama i segreti soffici, ama l’eco dei pensieri nella sua testa quando non diventano parole rivelate a qualcuno. Eppure, anche se non l’ha mai desiderato, anche se non l’hai cercato, anche se, qualora se ne rendesse compiutamente conto, probabilmente si sentirebbe non meno che agghiacciata, lei conosce Draco meglio di sé stessa.

Ne conosce soprattutto il dolore, perché a quello Draco si è abituato bene nella sua breve vita.

Draco si volta e Pansy ne distingue ogni minima crepa nel viso contratto che ora la fissa, negli occhi allucinati di cui resta solo un cupo riflesso di perla, ormai inghiottito dal nero della pupilla terrorizzata. Conosce quel sudore freddo sulla fronte madida, la pelle del collo che pulsa bianca, conosce il cuore che sembra quasi esplodere fuori, conosce quei gesti mozzicati, goffi ed ineleganti che non conoscono più la galanteria fredda che hanno imparato sin da bambini.

In fondo, chiunque sa che la paura è sempre molto poco educata.

Lui non avrebbe nemmeno bisogno di parlare, che Pansy ha già capito: quando il dolore ti trasfigura il viso, quando è così evidente nei tratti che sono sempre stati abituati a celare, il dolore può essere solo riflesso della gioia.

Quando ti distruggono la più grande felicità che tu abbia mai provato, per contrappasso vieni ripagato con il dolore più sterminato di cui tu possa mai soffrire.

Pansy allora pensa di essere fortunata, è un attimo ma lo pensa davvero. Perché lei non è mai stata così felice come Draco in questi dieci giorni: amava Blaise, certo, lo ama ancora, ma è sempre stato un sentimento di ripiego, di quelli a cui non lasci nemmeno l’ombra di un sorriso sulle labbra per paura di risultare patetica o per paura che qualcuno se ne accorga e te lo strappi via. Draco invece aveva profuso gioia per giorni, si era inginocchiato alle promesse del tempo che aveva creduto benevolo, si era affidato ad un destino o ad un Dio che oramai da lui aveva preteso troppo, prendendosi tutto. Ed ora il conto salatissimo era arrivato.

Pansy avrebbe finto di dimenticare in fretta il viso di Draco di quel giorno, perché le cose che le spezzavano il cuore, lei le nascondeva sempre in fondo a sé stessa, così da poter negare persino che ce l’avesse un cuore.

Ma quel viso era un monito, per lei: sarebbe spuntato una mattina di sole inquieta a Parigi, due anni dopo, quando avrebbe detto ad un ragazzo nato babbano, che lo amava, mentre lui le porgeva un libro che aveva dimenticato.

Quando l’avrebbe stretta, quando l’avrebbe baciata, quando le avrebbe risposto allo stesso modo facendola volteggiare in Place de l’Opera… lei avrebbe ricordato il viso di Draco. E lì, avrebbe avuto paura di essere felice. Da quel momento in avanti, Pansy avrà sempre paura di essere felice.

“Dov’è?!” Draco si volta verso di lei, le mani contratte in due pugni silenziosi, il respiro ansante “Dov’è lei?”.

Non la chiama per nome, non usa il suo nome di battesimo, come se non lo volesse sciupare, come se lui potesse usare un pronome femminile solo per parlare di Hermione Granger, non per parlare di una qualsiasi altra donna al mondo.

Pansy vorrebbe avere una risposta qualsiasi, vorrebbe anche avere una di quelle frecciatine sarcastiche che sono sempre a sua disposizione come i dardi di una faretra, ma invece resta in silenzio, attonita, come se avesse avuto uno schiaffo. Pensa al alla luce sfarzosa dell’anello di Cissy … e l’istinto della donna le dice che lei, la Granger, non ce l’ha fatta. Pensa subito che non ha voluto. Ma l’amica fa tacere la donna, si dice che è impossibile, che la Granger in fondo ama Draco, che lo sposerà sicuramente, che non è così stupida da buttare all’aria un amore così. Un lampo le curva la schiena, facendole drizzare i capelli sulla nuca, la ricorda davanti a quello specchio la sera prima, le spalle incassate, gli occhi rivolti vergognosamente in basso.

Non risponde alla domanda di Draco, in un attimo la donna prevale e le sembra ovvio chiedere: “L’anello… quello di tua madre… l’hai dato anche ad Helena vero?”.

È come aver preso un coltello ed averglielo calato nelle viscere: Draco si piega, il respiro si spezza, gli occhi si eclissano. Pansy constata con terrore che vorrebbe persino piangere, ma si sta trattenendo perché davanti a lei, alla sua amica, a quella che erroneamente lo crede invincibile, lui non piangerebbe mai. Si scompiglia i capelli, tentando di sembrare disinvolto, ma stringe forte le ciocche nella mano come a strapparli con forza dal cuoio capelluto.

Sussurra con un tremito della voce: “Ho fatto una cazzata… la più grande che potessi fare in tutta la mia vita… era l’anello di mia madre, prima che essere quello di Helena… e io non volevo che pensasse… per me era solo importante, per me era solo dirle che è importante come mia madre, come Helena… più di loro due messe assieme… ma… lei…”. Non aggiunge altro, si accascia sulle scale, si prende la testa tra le mani, i gomiti poggiati sulle ginocchia che tremano. Da qualche parte giunge ancora la sua voce, è un flebile bisbiglio che sembra lasciare a fatica la sua bocca come se fosse un peccato pronunciare quelle parole.

“Dice che non riesco a lasciare andare Helena…”.

Pansy fa qualche passo incerto sulle gambe, si siede sul gradino accanto a lui e sospira lungamente. Concede solo quello a sé stessa e a lui, non conosce come si dice una parola gentile, sa solo spronare a suo modo con insulti al vetriolo. Si ferma mentre sta per abbracciarsi le ginocchia come quando era piccola e c’erano i temporali. Non sapeva allontanarsi dalle finestre e dai vetri scossi dai tuoni e sferzati dal vento, ma si abbracciava le ginocchia come a trattenersi tutta intera, come a racchiudersi in un bozzolo che la tempesta avrebbe trovato sempre inaccessibile.

Si stira un’invisibile piega sulla gonna cremisi e mugugna solo: “Gli incantesimi di Raissa non si sono mai spezzati… sarà qui da qualche parte…”.

“E poi? E poi che succede Pans?” le dice Draco implorante, sollevandosi dritto e guardandola negli occhi come non aveva mai fatto. Pansy trasale, chiude gli occhi, alla fine si abbraccia le ginocchia.

L’amore è analgesico della paura, lo seda e lo mette a tacere, lo trasforma in coraggio spavaldo, in voglia famelica di vivere, in arroganza verso chiunque non provi amore esattamente come te. Quando l’amore vacilla, quando chi ami sparisce, quando spezzi il cuore che ti ha somministrato in vena l’eroina più buona che potrebbe esistere al mondo, quando vai in astinenza da onnipotenza, il buio viene portato sul piedistallo della tua testa. Ti riscopri codardo come coniglio, timoroso di ogni rumore e di ogni respiro più intenso, spii il tuo stesso fiato nei polmoni e lo conti nel timore che sfugga via, lasciandoti esanime. Pansy sa che cosa intende Draco: lei non c’è, la Grifondoro che gli ha iniettato la forza e la pretesa della felicità non è accanto a lui. E ora Draco teme il futuro, la vita, il caso. Teme lei stessa, teme l’amore e teme ogni cosa. Ha avuto un assaggio di cosa succede quando la droga scarseggia, quando non c’è più a darti l’estasi colorata dei sensi. Che farà lui, allora? Cerca risposte, cerca un’altra forza che non ha.

Pansy si dondola sulle ginocchia chiudendo gli occhi, le parole marciscono in lei come foglie morte. È il momento, adesso o mai più. Lo può afferrare dall’orlo del precipizio, farlo tornare indietro e salvarlo. Disintossicarlo, chiuderlo in una stanza soffice e sicura ed impedirgli di soffrire. Perché lei lo farà soffrire, è ovvio, e una parte nascosta della sua testa le suggerisce che anche lui farà soffrire lei. L’altro lato della medaglia di quell’amore è quella sofferenza e quel dolore.

Chi ama così tanto, è condannato.

Può salvarlo adesso. Può salvare anche Hermione Granger adesso, per quanto le importi. Li ha entrambi ad un tiro delle sue dita chiuse, basta una sola parola, basta un solo fiato.

“Che cosa devo fare?” sussurra ancora Draco, più a sé stesso che a lei. L’attesa suggerisce la sola risposta, la risacca del coraggio sferza le sue parole rendendole già più ferme, già meno vacillanti. La schiena torna più dritta, gli occhi più intensi, le labbra si serrano in una morsa decisa ed implacabile. Ma aspetta la risposta di Pansy, la aspetta ancora, come una rassicurazione in fondo voluta, come se davvero ne avesse bisogno. Pansy gli è grata per questa ricerca del suo consenso.

E lo lascia a penzolare nel vuoto con un sorriso: se c’è anche una sola  possibilità che Hermione Granger lo faccia volare, lontano dal fondo limaccioso in cui le serpi come loro hanno sempre strisciato, vale anche prendersi il rischio che si sfracelli al suolo.

“E’ semplice Draco... fai la sola cosa che la tratterrà accanto a te…” bisbiglia sofferta, sciogliendo la presa sulle ginocchia e poggiando le braccia dietro di sé “ E sai perfettamente qual è…”.

I lineamenti del viso del ragazzo si addolciscono, spunta persino un sorriso sulle sue labbra ed una luce nuova negli occhi: è un bambino che si lambiccava su un problema di matematica difficilissimo, prima di capire che bastava una sottrazione per risolvere il tutto. Draco deve sottrarre Helena dal suo cuore, se vuole che ci abbia casa e dimora perenne Hermione Granger. E’ così semplice che a Pansy viene quasi scioccamente da ridere, ma sa che le cose più sembrano semplici, più in realtà sono voragini ed abissi intricati di difficoltà e sforzi. Estirpare Helena da sé, per Draco, sarà la cosa più complicata che esista… ma esiste una cosa più complicata per lui. Vivere senza Hermione Granger. Quindi tutto il resto, necessariamente, deve essere semplice, deve diventarlo per un logico principio di sopravvivenza: senza il ricordo di Helena, senza il pensiero di vendicarla, lui perde una parte di sé. Senza Hermione Granger, lui perde tutto.

Perché lei ormai gli è entrata dentro, e Pansy se ne accorge dal gesto sciocco che fa adesso, mentre sembra più disteso e ha il respiro più calmo. Le mette un braccio sulle spalle, la attira verso di sé e lascia che appoggi la tempia sulla sua clavicola.

Le bacia da fratello la testa, prima di lasciarla andare. E Pansy non fa nulla per fermarlo, non fa nulla per rinfacciargli quel gesto, anche se capisce che non è suo, anche se comprende fino a che punto Hermione gli sia entrata nel sangue. Forse è anche dentro di lei, dentro le lacrime che le affollano gli occhi, mentre cerca con un gesto noncurante della mano di rimandare al mittente quell’imbarazzato ringraziamento.

È entrata dentro a tutti loro, dannata Mezzosangue.

Improvvisamente sentono un rumore su per le scale, Draco si alza in piedi di scatto come una molla, sperando che si tratti di Hermione. Sulle scale, invece, avvolta in una vestaglia nera di seta, c’è Raissa. Le spalle di Draco si afflosciano su sé stesse, mentre lo sguardo da cane braccato riprende vigore sul suo viso. La Granger ancora non si fa vedere. Pansy solleva lo sguardo verso Raissa, sollevandosi in piedi a sua volta, cerca di farle capire con un’alzata di spalle o un’occhiata sarcastica che i piccioncini di casa hanno di nuovo litigato, e che loro ne andranno di mezzo. Certo, non è una lite come le altre, anzi è LA LITE, con tutte le maiuscole e i grassetti del caso, ma questo lei non lo direbbe mai, a meno che non vi accennasse Draco stesso.

Non si fida di Raissa, Pansy non si è mai fidata. Ovviamente è più simile a lei di quanto lo sia la Granger, e questo ha fatto sì che tra le due si innescasse una sorta di confidenza storta, la quale si nutre di occhiate e cenni del capo a cui non c’è bisogno di dare spiegazioni e significati. Ma Pansy descriverebbe quell’idea di intimità con una stanza in cui si è rinchiusi per ore con due persone: una che parla la tua lingua, mentre l’altra ha un idioma completamente diverso. Ecco, ovvio che parleresti di più con quella che parla come te, limitando all’altra gesti affrettati e mozzicati da tradurre di volta in volta… ma questo non significa che effettivamente ci sia un legame con la data persona.

E Pansy, sebbene non se lo direbbe mai apertamente, si affiderebbe più ad Hermione Granger e alla sua lealtà smisurata e ridicola, che a Raissa Karkaroff e alla sua presunta onniscienza gelida.

La guarda con gli occhi socchiusi, anche adesso ha qualcosa nell’atteggiamento che non la convince. I capelli sono perfettamente in ordine, gli opali che porta sempre alle orecchie tintinnano lievemente, persino la seta della vestaglia non ha la benché minima piega come se lei nemmeno respirasse… ma sotto le palpebre, nel vederli, passa rapido un guizzo di luce che sparisce subito dopo. Pansy lo nota, però, così come nota la mano che si stringe attorno ad un libro che ha in mano. Ha il frontespizio azzurro tutto rovinato, sotto spicca il rosa di una vecchia copertina. Il titolo del libro stesso è illeggibile, rimangono solo sparuti segni dorati.

Quel libro non è di Raissa, è della sua libreria, Pansy lo riconosce perché è un libro vecchio che si ripromette sempre di gettare via, ma che invece sopravvive quasi con dispetto, longevo, godendo delle sue dimenticanze e delle sue mancanze come padrona di casa. Non ricorda di che parli, forse non lo ha mai nemmeno aperto, non è nemmeno così vecchio da essere prezioso, perché altrimenti lo avrebbe venduto, sicuramente. È un libro vecchio come tanti altri.

Raissa ha venduto l’amore per suo padre per ottenere una smisurata conoscenza. Sapeva tutto dello Zahir e di Adamar, due dei segreti più vecchi e nascosti della storia della magia.

Che se ne fa di un libro della sua biblioteca? L’aiuta a dormire, leggere cose che conosce perfettamente?

Pansy continua a guardarla mentre scende pigramente le scale, il libro ancora tra le mani, le unghie smaltate di rosso scuro graffiano la copertina.

Pansy getta uno sguardo in tralice a Draco, ovviamente perso nei suoi pensieri. Dovrà cavarsela da sola. Al più presto, dovrà mettere mano su quel libro.

“Raduno mattutino?” commenta Raissa con tono di voce strascicata, finendo di scendere gli ultimi gradini “La festa non deve essere stata granché se siete in piedi già adesso…”. Draco non la fa nemmeno finire di parlare, trafelato le chiede: “Hai visto Hermione?”. Pansy nota ancora l’esitazione che ha per un secondo nel rispondergli, sa che anche Draco se ne accorgerebbe se fosse in pieno possesso delle sue capacità analitiche, ma ovviamente lui non ci fa il benché minimo caso. Pansy socchiude gli occhi, fissandola con attenzione. Ci ha messo solo un secondo di più del dovuto per dire: “Non lo so… io non la vedo da ieri pomeriggio…”. Ha dovuto pensarci, e questo a Pansy continua a non piacere.

Un nome si forma nella sua testa, rapido, come un bagliore diffuso di tenebra. Dimitri.

Lo ricaccia indietro con un nodo in gola, guardando alternativamente Raissa e Draco, ha bisogno di parlare sola con lui. Se non trovano subito la Granger, la sola spiegazione può essere che Raissa l’ha venduta a suo fratello. D’accordo, hanno litigato ma lei non si sarebbe mai allontanata da lì. Non è così stupida… e tecnicamente nemmeno può, gli incantesimi la relegano nella villa. A meno che…

“Gli incantesimi che impediscono alla Granger di uscire… ci sono ancora?” chiede in un soffio, guardando Raissa negli occhi. Draco la guarda senza fiato, per un attimo il mondo attorno gli sembra improvvisamente di nuovo esistente, lo sente chiudersi a cerchio attorno a loro e premere come un serpente. Si aggrappa alle labbra rosse di Raissa che, giudice di ultimo grado, sussurra solo dispiaciuta: “Non credevo che servissero più… era complicato per me tenerli in piedi… ho lasciato solo quelli che impedivano a Dimitri di entrare… non a lei di uscire… ma perché, pensiate che sia andata via? Non lo farebbe mai…”.

Draco prende con collera un vaso colmo di fiori rossi da un tavolino, lo scaglia violentemente al suolo bestemmiando ed urla di rabbia ed angoscia. Pansy non distingue il fragore, non sente le gocce d’acqua colpirle i piedi, non avverte la sofferenza agonizzante dei suoi fiori che perdono il contatto con la vita liquida e surrogata che li fa sopravvivere. Sente solo le eccessive parole con cui si è giustificata Raissa. Sente solo che ha detto troppo. Sente solo che, a quelli come loro, basta molto meno per dire qualcosa. E sente solo il tono sommesso di chi ammette un errore. Loro, non lo fanno mai. Raissa l’ha appena fatto.

La Granger poteva uscire dalla villa. Raissa ha volutamente lasciato che le difese cadessero. Là fuori c’è Dimitri. Troppo facile fare due più due: Draco non la rivedrà mai più.

Lui, però, è sedato dall’amore e dalla speranza e non vede niente con chiarezza: vede solo il suo sbaglio, quello che ha la durezza di un diamante donato con troppa leggerezza. Quell’anello che le ha voluto regalare senza pensare alle conseguenze, illumina la mente di Draco di mille screziate sfaccettature una peggiore dell’altra, ma sono riflessi ciechi che isolano tutto il resto e mettono al centro solo loro due, in modo egoisticamente desolante.

Draco pensa che il suo errore sia stato chiedere ad Hermione di sposarlo con l’anello di Helena, crede che lei è andata via per ricongiungersi a quel mondo che era solo suo e che ha continuato ad alitarli addosso, da fuori quel cancello.

Pansy inizia invece a pensare che l’errore di Draco sia stato farla uscire dalla loro camera quella notte, perché un amore del genere, per sopravvivere, te lo devi legare al polso con una corda corta. La libertà, in amore, loro non se la potevano concedere.

Sta pensando a quello, sta pensando di dirlo a Draco, sta pensando alle parole giuste perché ormai lei pensa anche alle parole giuste da dire, non le dice e basta senza curarsi del risultato… quando l’artefice delle sue riforme a livello lessicale, compare improvvisamente in un angolo della stanza, dopo essersi smaterializzata. Pansy non sa, non se lo aspetta e non lo immagina, ma quel sollievo che adesso ha sentito nello stomaco sarà la cosa di cui maggiormente si vergognerà nella vita.

Lo troverà ancora in fondo a sé stessa un’ora dopo, quando tutto il suo mondo si sarà rovesciato. Ed odierà Hermione Granger come non ha mai nemmeno lontanamente fatto in passato. L’ha sempre odiata per cose che non avevano a che fare con lei. Nessun motivo personale, solo l’eredità nauseabonda di un sangue sporco. Ora l’avrebbe odiata per tutto quello che aveva a che fare con lei, per tutto ciò che suo malgrado, aveva conosciuto di lei.

E, per aver conosciuto quelle cose, avrebbe odiato sé stessa ancora più di quanto odiasse lei.

Ad ogni passo della Granger nel salotto, il respiro di Draco si scioglie, si calma. Le mani si decontraggono, le spalle si rilassano, i fortunali negli occhi cessano di spargere fulmini. Pansy respira a sua volta, chiude gli occhi per un istante, per poi riaprirli mentre la guarda con il solito sguardo tagliente. Mette anche le mani sui fianchi, pronta ad una ramanzina acida delle sue, si dimentica completamente di Raissa alle sue spalle che stringe con forza il libro nelle sue mani, il labbro che le trema.

Quando Hermione compare nel cono di luce della finestra, Pansy lascia ricadere le braccia lungo i fianchi e si chiede se non è diventata paranoica. È lei, è la Granger, ma al contempo appare diversa. Non è più vestita come la sera prima, ha un paio di jeans ed un gilet sempre dello stesso tessuto, su una maglia bianca a maniche corte. I capelli sono lucidi ed annodati in una treccia che le cade su una spalla, ai piedi ha delle scarpe da ginnastica rosse di tela. Al collo, non c’è più la collana che le ha dato la sera prima. Il viso è pulito, tranquillo, apparentemente privo di alcuna traccia di turbamento. Le labbra sono distese in una piega rilassata e gli occhi sono limpide pozze calme. Pansy crede persino di distinguere un sorriso, lieve, fumoso, stridente.

Poi solleva gli occhi e si accorge di loro. Improvvisamente un’onda di marea le rapisce la calma e la freddezza, torna sé stessa in un attimo e cambia completamente. Si mordicchia nervosamente il labbro, gli occhi diventano lucidi e rossi, le spalle si incassano, appare persino più spettinata e meno ordinata nell’abbigliamento. I passi si arrestano proprio di fronte a loro, mentre, a testa bassa, rimane immobile al centro dell’ingresso come una condannata che aspetta il giudizio.

“Si può sapere dove diamine sei stata?!” Draco non fa un passo nella sua direzione, non si muove, ha il contegno severo e sollevato di un padre che vede rientrare la figlia troppo tardi. Pansy, a disagio, vorrebbe allontanarsi, lasciarli soli, ma è inchiodata al pavimento. Raissa, dietro di lei, prende a salire le scale in silenzio, diventando inaspettatamente veloce sui gradini più in alto, e sparisce nel corridoio. Il rumore della porta della sua camera che si chiude, risveglia Pansy che, senza dire una parola, sale a sua volta le scale e svolta nel corridoio. Ma poi, semplicemente curiosa, inaspettatamente sospettosa, inconsciamente interessata, resta con la schiena contro la parete, origliando che cosa si stanno dicendo.

“Non potevo restare qui, te l’ho detto… avevo bisogno di schiarirmi le idee…”. La voce della Granger è velata, soffusa, sembra persa in un mondo tutto suo. Un mondo che già ha scavato solchi e fossi tra lei e Draco.

Pansy non sa come distingue il respiro di lui accelerare di nuovo, lo sente fare un piccolo e minuscolo passo, che però riecheggia enormemente nell’androne deserto mentre calpesta un frammento del vaso che ha rotto poco prima.

Il tempo scompare di nuovo, mentre la Granger implora sofferta, la voce incrinata, il respiro a pezzi: “Per favore… resta lì… non ti avvicinare… h-ho bisogno di parlare…”.

“Non abbiamo parlato abbastanza ieri sera? Non hai già espresso in tutti i modi le tue interessanti quanto poco veritiere riflessioni?”. Draco ha di nuovo gli accenti duri e rochi del suo consueto conversare, flette le parole di rabbia repressa a stento. La notte appena passata, l’alba senza di lei, l’angoscia al pensiero che se ne fosse andata senza una spiegazione… tutto gli provoca rabbia. Pansy sente il mulinare dei suoi sentimenti come un uragano di vento che acquista velocità.

“Veramente per i miei standard ho anche parlato poco… e ho espresso un decimo di quello che volevo dire…” Hermione ovviamente, come sempre è stato e come sempre sarà, non si fa alcuna remora nel rispondergli, le sfugge il solito tono di voce caustico ma con una punta di veleno che non ha mai avuto. Poi ancora la voce le si spezza e prosegue incerta: “…ma se mi facessi la grazia di lasciarmi finire di…”.

“Il problema è l’anello, vero? E quello che credi che ci sia dietro… è così?” Draco la interrompe ancora, ha la voce affannata, celere, rapida. Sembra persino che abbia il fiatone.

“Draco, non è per quello… c’è anche che…”.

“Ascoltami, per una benedetta volta!” le urla contro, sordo alle sue rimostranze, Pansy se lo immagina con il volto chiazzato di rosso e gli occhi ciechi di nervosismo “Non hai solo tu l’esclusiva del diritto alla parola, te l’ha mai detto nessuno?! Chiudi quella bocca ed ascolta…!”. Dopo un po’, riprende al silenzio della ragazza: “Finalmente… veniamo alla maledetta storia dell’anello… che peraltro hai ancora tu, quindi non credo nemmeno che tu non l’abbia gradito per nulla…”.

“Non lo vorrai indietro adesso, spero…!” bercia nervosamente la Granger, balbettando a disagio. Pansy si appoggia meglio alla parete, lo sguardo fisso sul dipinto di fronte a lei, è una scena in stile amor cortese con un cavaliere che accetta un omaggio dalla sua dama, una specie di fazzoletto ricamato. Pansy ha sempre detestato quel quadro, ma piaceva molto a sua madre quindi non ha mai cercato di rivenderlo per pagare i debiti. Lo fissa senza davvero vederlo, come quando si hanno le orecchie assorbite da suoni così pressanti da rendere cieca la vista. Forse è la sua mente così abituata a fare calcoli venali sul valore degli oggetti, o forse è la permeabilità della mente di una bambina cresciuta con quadri romantici e favole luccicanti. Non crede più a quelle cose, ovviamente, ma esse sono sopravvissute riplasmandosi in un romanticismo più a misura d’uomo e donna di tutti i giorni. E quindi è normale chiedersi dove la Granger abbia cacciato quell’anello dal valore inestimabile e perché appaia così terrorizzata al pensiero che lui lo rivoglia indietro… avrebbe dovuto ridarglielo appena lo avesse visto, magari lanciandolo drammaticamente ai suoi piedi. Non l’ha buttato via, quello no, non sarebbe da lei. Lo percepisce: Hermione, con tutta la rabbia del mondo, non avrebbe mai fatto sparire l’anello della madre dell’uomo che ama. Ma allora, dove ha messo l’anello?

“Non mi interessa granché al momento…” riprende Draco con un filo di voce, ed anche Pansy si convince che in fondo non importa dove abbia messo il prezioso solitario “Quell’anello era di mia madre, prima di essere di Helena… lo sai perfettamente, hai visto i miei ricordi, non c’è persona che sa queste cose meglio di te… e sai anche che in realtà non è mai stato di Helena. Lei non l’ha mai indossato, non ci siamo mai realmente sposati. Era solo un simbolo… una rivalsa solo mia per legarla a me, quando lei apparteneva ad un’altra vita e ad un altro uomo…”, riprende fiato prima di proseguire, la voce che vibra dell’attesa angosciosa di non riuscire a spiegarsi: “Io amavo Helena, la amavo come non ho mai amato niente nella mia vita… e poi sei arrivata tu… e tutto quello che credevo… tutto quello che sapevo… tu me l’hai strappato di dosso pezzo per pezzo… sai che l’amavo, sai anche quanto l’amavo, perché purtroppo conosci i miei ricordi… ma non è… come… con te…”.

A Pansy fa male il cuore nel petto, le fa male il silenzio cupo della Granger, le fa male la sua resistenza. Lei sarebbe già saltata addosso a chi le avesse detto parole simili. Ma lei è una Serpeverde, e non ha orgoglio. La Granger sì, per quello Draco è costretto ancora a proseguire: “Ti ho dato quell’anello non perché tu ti sentissi in competizione con Helena, o per dimostrarti che non l’ho mai dimenticata… tutto il contrario. Per me… era un cerchio che si chiudeva. Non lo avrei mai dato ad una donna che non avessi amato nello stesso modo… se non di più… era delle donne che amavo, non pensi che darlo a te significa esattamente lo stesso? Che ti amo come amavo loro?”.

Dal tono di Draco, dalla linea scarna delle parole, dalla sequenza razionale delle frasi, a Pansy sembra inconcepibile pensare che effettivamente le abbia dato l’anello per motivi diversi da quelli che sta enumerando. Sembra persino ovvio che l’abbia fatto solo per tributarle un riconoscimento pari a quello della prima donna amata e della madre. È persuasivo, senza essere pressante, e convincente, senza sforzarsi di esserlo. È solo vero, onesto. La Granger non può non capirlo.

“Io non la vedo così…” la voce della Granger lo sfida, e Pansy sconvolta è quasi tentata di uscire fuori allo scoperto e di iniziare ad urlarle in faccia. Poi si ricorda che tecnicamente lei dovrebbe fare il tifo perché si lascino, non perché restino assieme.

“Ok… lasciamo stare questo benedetto anello…” prosegue Draco stoico, come se avesse trovato solo una buca sulla strada e dovesse solo limitarsi ad aggirarla “Ammettiamo che questa cosa poteva mandarti in confusione, ammettiamo che io ci ho visto qualcosa di bello e che tu invece non hai visto tutto questo… ok va bene, te lo posso riconoscere…”, sta persino ammettendo di aver sbagliato. Che diamine gli hai fatto Hermione Granger?

“Dammi quell’anello e facciamola finita con questa storia…” il tono scarno e sicuro fa sobbalzare Pansy nel suo nascondiglio improvvisato, si tappa la bocca con la mano.

La Granger riprende il suo tono da pulcino terrorizzato e biascica: “Che cosa? C-che vuoi farne?”.

“Distruggerlo… è un diamante da migliaia di sterline… uno spreco, ma sai, sono un pragmatico…  qualche modo deve esistere per distruggerlo, chiederò a Raissa…”.

“Perché vuoi distruggerlo?!!”.

“Ti dà fastidio che esista? Ti dà fastidio che te l’abbia regalato? Pensi che te l’abbia dato perché pensavo ancora ad Helena e volevo renderti ufficialmente la sua sostituta?” Pansy sente i passi di Draco che lo avvicinano alla Granger, i cocci di porcellana che si riducono in polvere mentre li calpesta. Si ferma, forse ad un tiro dei suoi occhi, e sussurra, la voce calda e soffice: “Lo farò a pezzi… e ti chiederò di sposarmi con un anello fritto di cipolla… quello, ad Helena non l’ho mai dato… ed un giorno spero che guardandolo, vedrai quante cose io non ho mai dato ad Helena, ma solo a te… visto che ancora non sei in grado di vederlo…”.

Pansy si tocca le guance, sono calde come se avesse la febbre. Si è ricordata cosa amava di Draco, di cosa si era perdutamente innamorata anni prima, cosa l’aveva spinta a concedergli il suo cuore, dopo avergli dato anche la sua verginità. Si è ricordata del modo caldo che ha di parlare, di come sceglie le parole sempre, sia nel caso in cui voglia colpire al cuore, sia qualora voglia semplicemente farti a pezzi. Ha riconosciuto di nuovo quanto sia monogamo nei sentimenti: sebbene sia un Serpeverde della peggiore risma, se qualcosa mette radici nel suo essere, verdeggia e fruttifica come un albero dal rigoglioso splendore. Quando ama, è per sempre. Si sente fiera di lui in un goffo modo che è solo amicizia, affetto, memorie condivise, complicità.

Sa che la Granger non potrà resistere, al pari suo: anzi per lei sarà peggio, perché quelle parole sono per lei, perché lo ama, perché lui ha cambiato tutta la sua vita solo per sfiorarla lievemente. E se lui le è entrato dentro anche solo la metà di quanto lei è entrata dentro a lui, accetterà di sposarlo stasera stessa. Non ci penserà un solo secondo, pur di non farselo scappare più via.

“Non è mai stato per l’anello, Draco… l’anello, per me, è sempre stata una scusa…”. Pansy trasale, senza accorgersene scivola e cade al suolo in ginocchio, una mano ancora sulla bocca per reprimere un solo sospiro che le è uscito fuori. La voce della Granger le è giunta attutita, sa che lui l’ha abbracciata, si deve essere divincolata e ora ha detto quella frase senza senso, piangendo, imponendogli di stare alla larga da lei.

“I-io non capisco…” Draco non capisce sul serio, non ammanta la voce di sicurezza disinvolta o di disincantato cinismo, non la prende nemmeno in giro come farebbe in altri casi. Non capisce sul serio. Ci riprova ancora, ma già la voce si è incrinata, già ha perso lo smalto, già improvvisamente teme di averla persa sul serio, in una notte sola. Pansy vorrebbe dirgli che è impossibile, la bile le sale in gola e vorrebbe urlargli che, se l’ha già persa, vuol dire che non l’ha avuta mai. Ma non vuole dirlo, inaspettatamente non vuole avere ragione, non adesso, non con lui, non con lei.

“E’ per Helena? Non capisco, Hermione… vuoi che rinunci all’idea di vendicarla? L’ho già fatto… inconsciamente l’avevo già fatto quando ho deciso di vivere accanto a te… cosa altro vuoi? Cosa altro cerchi?”, la sua voce si carica di elettricità mentre sussurra tagliente: “La sola cosa che ti è rimasta da farmi, è puntarmi una stramaledetta bacchetta alla gola e farmi scordare davvero tutto di lei… ti basterebbe questo?!”.

Forse la guarda, forse legge qualcosa in lei che non sta dicendo, forse improvvisamente perde tutte le speranze. Forse è tutto questo assieme.

Perché, quando Draco parla daccapo, dice solo con un filo di voce: “… ma non è Helena il problema, vero? Il problema… siamo io e te… giusto?”.

Pansy resta seduta per terra, gli occhi chiusi, si abbraccia le ginocchia piegate. Sente le parole della Granger, le sente una dopo l’altra che si inanellano perfette nell’aria che li separa, come i granelli di una clessidra che inesorabile scandisce il tempo che manca alla loro separazione. Ogni parola recide una speranza, ogni parola le piega il petto in uno spasmo inconsapevole, ogni parola la convince che Draco ha osato troppo, ogni parola le ricorda il mondo di cui hanno fatto parte da secoli e che li candida ancora come le due metà dell’Universo. Ogni parola dipinge la Granger di colori da Serpeverde: argentea di codardia e verde di bugia. E se questo è ciò che sente lei, se immagina a che cosa sta pensando Draco, le viene da graffiarsi il viso dall’ansia.

Farebbe di tutto per risparmiargli quelle parole. La Granger poteva andarsene e non tornare più, rifugiarsi nella sua torre d’avorio e dimenticarsi di lui. Invece ha dovuto strappargli il cuore dal petto.

Perché lo sta facendo? L’ha mai amato, allora?

No. Avrebbe dovuto salvare Draco quando poteva… non l’ha fatto. E ora la Granger lo sta uccidendo sotto i suoi occhi.

“Quando sono andata via… stanotte, dopo che mi hai chiesto di sposarti con l’anello di Helena… ho avuto modo di pensare. Tanto. A questi mesi… da quando ho messo piede al Petite Peste fino ad ora. Ogni cosa mi è sembrata tornare al suo posto. L’amore per te mi ha reso cieca, mi ha impedito di vedere tutto chiaramente… fino a stanotte, fino a quando non sono rimasta davvero sola, fino a quando tu non mi hai spezzato di nuovo il cuore e io te l’ho lasciato fare. È stato come mettere distanza tra una falena ed una fiamma… sebbene mi mancassi, sebbene sentissi che eri lontano, non andavo più a fuoco, non stavo bruciando. E finalmente potevo vedere tutto in un modo completamente vero… onesto… reale. E sono arrivata alle mie conclusioni. Sono scontate, ovvie, naturali… ed avrei dovuto vederle come tali fin dal primo momento.

“Ho creato uno Zahir… un incantesimo proibito da secoli, pericoloso per me e per te, pericoloso persino per le persone con cui sarei venuta in contatto. Questo non fa parte di me, se rivedo la persona che sono stata in questi mesi, accanto a te, io non mi riconosco più. Mi era così insopportabile l’idea di essermi innamorata di te che ho fatto una cosa del genere… e in questo Astoria aveva ragione. Ma lo volevo negare a me stessa, volevo dirmi che era la sofferenza che mi era insopportabile, che derivava tutto da una bugia che mi avevi detto, quella di non amarmi… ma non è così. Pensaci Draco… pensaci davvero… non smetteremo mai di farci del male, amare te non smetterà mai di spezzarmi il cuore. Avevamo promesso di non farlo più… e tu mi avevi chiesto se mi saresti bastato anche così. La verità è che non posso farmi bastare questo, non posso farmi bastare questo dolore continuo alternandomelo con qualche istante di felicità. Perché per cinque minuti di gioia, ne esisteranno sempre dieci di sofferenza… e non lo posso sopportare. Non posso scegliere autonomamente una persona che mi farà sempre soffrire… dovremmo stare con chi ci rende grati di essere vivi, non con chi ci fa desiderare di morire… non con chi ci fa creare uno Zahir. Io non sono in grado di amarti, come tu vorresti… come meriteresti, anche… dopo come è finita con Helena.

“E sono anche convinta che tu non l’abbia mai dimenticata… che quell’anello era un segno, era un modo per prenderti una rivincita sulla vita che vi ha separato… come se volessi dire al destino che avevi trovato un’altra Helena. Ho iniziato a piacerti solo perché, in qualche confuso modo, ti ricordavo lei, non mi avresti mai trattenuto al Petite Peste se non te l’avessi ricordata mentre dormivo… e persino Pansy, che di me e te non sa nulla, me l’ha confermato. Mi ha detto che non posso competere con lei, che non sarò mai come lei… e che tu non mi amerai mai come hai amato lei. Da lì, dalle sue parole, mi si è aperta una breccia in testa… e a quel punto nemmeno Helena era davvero un problema…

“Il problema è la persona che tu mi fai diventare. Io odio me stessa, stando con te… divento gelosa, sospettosa, vendicativa, infida. Non sono mai stata questa persona. Né mai lo sarò… non posso lasciartelo fare, non posso lasciare che tu mi soffochi giorno per giorno, facendomi diventare chi non sono. Una Serpeverde. Io non sono nata per questo, sono nata per sposare Ron, per avere dei figli da lui, per diventare la cognata di Harry e Ginny… ma quando mi sono resa conto che questo non sarebbe più potuto succedere, la terra mi è franata sotto i piedi. Ho perso tutto. E ho creduto di non essere più quella persona. Di non esserlo mai stata. E ho fatto cose inconcepibili, per me… come innamorarmi di te. Ma forse, a conti fatti, non ti ho mai davvero amato… ero solo confusa, disorientata… o magari ti ho amato sul serio, sennò non avrei creato lo Zahir… al momento non lo so, non mi capisco nemmeno…

“Non voglio ferirti, non ho mai voluto davvero farlo… ma non posso sposarti, né ora né mai. Non posso restare qui un secondo di più… per far star bene te, io finisco per distruggere me stessa. Non c’è parola, non c’è singola parola o promessa che possa convincermi del contrario… ho troppi mesi e troppi giorni alle spalle per sapere che non andrà mai bene tra me e te… mai e poi mai, perché semplicemente non siamo nati per questo. Ho contattato una mia amica del Ministero, un’Indicibile… lei mi nasconderà per un po’… e sarà lei a curarsi che Harry sappia tutto di Astoria e del resto. Non te ne devi più preoccupare… vivi la tua vita con Serenity... e non cercarmi mai più. Sarà solo più difficile per entrambi, se lo farai… e mi costringerai a ripeterti le stesse identiche cose. E lo farei, Draco… ti direi tutto daccapo. Ma tu potresti sopportarlo ancora? Potresti sopportarmi ancora che dico tutto questo?”.

Pansy sente in un angolo remoto della sua mente che Draco risponde solo con un filo di voce: “No… credo che tu sia stata sufficientemente chiara…”.  Le guance di Pansy si bagnano inconsapevolmente mentre lo sente risponderle, non ha nulla a cui aggrapparsi ancora, volutamente la Granger gli ha tolto qualsiasi galleggiante che potesse impedirgli di affogare. Non ha nulla da risponderle ancora. Cosa si può dire ad una persona che ammette candidamente di odiarsi per amarlo? Ha detto tutto ciò che Draco temeva di sentirle dire un giorno… e ha detto persino tutto quello che Pansy temeva di sentire, l’allusione alla loro conversazione della sera prima. Non era stata così categorica, come lei l’aveva dipinta, ma Draco avrebbe creduto a lei.

Ne aveva tutti i motivi, era ancora la donna che amava, lo aveva appena lasciato… e lei invece era solo l’amica che non aveva mai voluto quell’unione.

Per molto tempo, dopo le parole della Granger, la mente di Pansy non avrebbe funzionato a dovere. Aveva erto lei stessa una potente barriera collosa che tenesse fuori il mondo, e il momento inevitabile in cui avrebbe guardato Draco negli occhi. Registra con una parte sommaria dei suoi pensieri le inutili parole che Draco dice alla Granger, qualcosa che vuole ancora cercare di convincerla a restare, una serie di promesse grosse e friabili, una sequenza di scuse, un carnevale di ripensamenti. Ode i monosillabi di lei, il modo caparbio in cui ripete: “Non cercarmi più…”, la voce che le si alza di tono in tono mentre alla fine urla che ha ripreso ad amare sé stessa, soltanto odiando lui. Viene allora il silenzio, vengono allora i singhiozzi falsi di lei, viene allora il rumore buffo della Smaterializzazione. Ed infine il frastuono, tessuti lacerati, piatti e bicchieri rotti, mobili divelti, vetri infranti. Draco che fa a pezzi casa sua.

Raissa ricompare sulle scale, trafelata, sentendo il fracasso della distruzione. Non fa caso a lei, ancora seduta per terra, che si abbraccia le ginocchia.

Dice solo con la voce straordinariamente sicura, rivolta a Draco: “Vuoi andartene da qui?”.

“Immediatamente…” risponde lui, la voce strozzata.

Pansy solleva lo sguardo verso Raissa, sa che lei la sta guardando con la coda dell’occhio mentre sentenzia crudele: “Non vuoi avvisare prima Pansy?”.

“Per me è morta cinque minuti fa…”.

“Sai già dove andare?”.

“Sì… ma… al momento non sono lucido… non voglio far spaventare Serenity… potresti venire con me?”.

Raissa guarda Pansy, ha un sorriso sardonico sulle labbra che lei non dimenticherà mai.

“Naturalmente…”.

La colla dei pensieri di Pansy si scioglie solo quando li sente andare via, solo pochissimi istanti dopo. Ma è già troppo tardi per fermarli.

 

La nebbia del Pensatoio si dirada in ampie volute di fumo, lasciandomi a riprendere fiato. Pansy si alza in piedi nervosamente dal divano, va avanti ed indietro per la stanza con passo innervosito, congiunge le mani in una stretta morsa in cui poi respira dentro con la bocca. Dean rimane seduto, lo sguardo preoccupato che segue la moglie, finché la chiama lievemente per nome e lei torna seduta, apparentemente più calma. Le scioglie le mani incrociate e ne prende una tra le sue, baciandola con le labbra chiuse. Seth si scompiglia i capelli sconcertato, la magia è una novità ancora per lui e non riesce a credere di aver appena vissuto un ricordo di Pansy stessa… e non riesce nemmeno a credere che quella nel Pensatoio non fossi io.

A quello, per poco, non credevo nemmeno io.

Non avevo mai visto quell’Incantesimo, non sapevo come fosse, avevo solamente supposto che potesse trattarsi di quello, considerando come aveva ingannato tutti, compreso Draco. Una parte di me, anche quando aveva fatto quella supposizione, era comunque rimasta sorda e muta di fronte alla ragione dei fatti: lui si sarebbe dovuto accorgere che non ero io, ma che era Astoria. E se non lui, l’avrebbe dovuto capire Pansy perché sicuramente lei avrebbe mostrato qualche gesto molto più flessuoso dei miei, più da Serpeverde, o avrebbe usato delle parole più fredde e caustiche. Pensavo anche che Astoria, in un certo modo, si tradisse, usasse troppa rabbia, oppure perdesse il controllo.

Una parte di me trovava inconcepibile che Draco non mi avesse mai cercato, dopo aver parlato con Astoria che assumeva le mie sembianze.

Sposto una ciocca di capelli sudati dalla fronte, l’angoscia mi fa sentire caldo e il senso di oppressione al petto mi fa respirare irregolarmente, come se fossi stata per minuti interi in apnea.

Quella ero io.

L’aspetto era identico, ma questa è la parte minore. Le movenze, i gesti, il modo di parlare, l’intercalare in determinate frasi… quello ci poteva anche stare, poteva anche essere somigliante al lavoro meticoloso che fa un’attrice. Ma i pensieri… quelli che Astoria ha usato nel suo discorso… erano indiscutibilmente miei. Tutti, dal primo all’ultimo. Erano i pensieri dei mesi in cui non capivo l’effetto che mi faceva Draco, erano i pensieri che mi avevano portato alla creazione dello Zahir, erano i pensieri di quando lui era stato con Adamar, erano i pensieri di quando effettivamente mi aveva dato l’anello di Helena… ma erano pensieri rapidi, fuggevoli. Erano i pensieri di quando ero stanca o demotivata o triste, ma poi sparivano sempre, quasi subito, perché io amavo ed amo Draco e quello, per me, contava più di tutto.

Lui mi aveva insegnato una nuova me stessa, che amavo più di quella vecchia, più di quella probabilmente “destinata” ad amare Ron. A volte, avevo rifiutato l’ingresso di quella nuova Hermione nel mio corpo e nella mia anima, ma alla fine mi ero arresa ad essa. Lui mi aveva resa migliore, non peggiore: più tollerante verso chi non era dal mio lato della guerra e della vita, più aperta verso il prossimo, persino più spigliata e divertente. Mi ero scoperta meno inquadrata, meno rigida, meno bacchettona, meno sputasentenze.

Ero diventata, e mi viene quasi da ridere a ripensarci, più elastica come si è sempre augurato Dean.

Non fossi stata così, non avrei mai potuto accettare di diventare mamma del figlio di un uomo, che probabilmente non avrei rivisto mai più.

Respiro profondamente, cercando di calmarmi e di escludere mentalmente la fitta al cuore che mi ha provocato la visione di Draco, oltre che le sue parole. Aveva deciso di lasciare andare Helena, aveva deciso di provarci, aveva capito la mia sofferenza. Sarebbe potuto tutto iniziare quella mattina, ci saremmo potuti sposare quel giorno stesso… e probabilmente di lì a poco, sarei stata in grado di dire a Draco che stava per diventare padre. Invece io l’ho scoperto nel peggiore dei modi, in una cella buia e fredda, prigioniera di un uomo che voleva fare di me la sua schiava e la sua regina. Trattengo le lacrime, le ricaccio indietro perché ormai piangere non ha senso, non ha scopo e non ha nemmeno utilità.

Da quando sono mamma, piango sempre poco, cerco sempre di evitarlo. Alex non mi ha mai visto piangere e non deve accadere mai. Ma non piangere, cercare di non farlo… alla fine ti comprime il petto e te lo squarcia. Persino il cuore va a fuoco. Ed anche se sapevo come era andata, anche se sapevo che Draco non mi aveva mai cercato, anche se sapevo che dovevano aver usato dei meccanismi potenti… non credevo che fosse andata così. Pansy aveva ragione: dopo queste parole, è normale che Draco non mi avrebbe mai più cercato.

Mi aveva sentito dire tutto quello che temeva: che io mi odiassi, perché amavo lui.

Gli occhi pungono, mi si affolla la mente di pipistrelli neri, e tutto sembra trattenersi dolorosamente in me sul ciglio di un’esplosione.

Pensavo che oramai tutto il dolore fosse alle spalle, pensavo che ormai il grosso fosse passato, pensavo che nulla mi avrebbe potuto ferire di più di quanto non avessi già subito… stringendomi il petto con la mano, mi rendo conto che non era assolutamente vero. E Pansy, almeno non ha visto Draco in viso quel giorno… almeno questo mi è stato risparmiato.

Chiudo gli occhi, cercando di calmarmi e cercando di tornare lucida. Se c’è una cosa che però sicuramente non sapevo fino a questo ricordo, che Raissa potrebbe aver sempre saputo tutto.

E, adesso, potrebbe essere ancora con Draco.

“Raissa poteva aver sempre saputo tutto…” rendo evidenti i miei pensieri, dopo essermi schiarita la voce ed aver rotto il silenzio.

“Ne sei sicura?” commenta Dean, lasciando la mano di Pansy. Lei chiude gli occhi e li riapre, sospirando: “In quel momento ebbi la netta impressione che avesse qualcosa da nascondere… ma dopo che Astoria parlò, ovviamente tutto passò in secondo piano…”, la sua voce si vela di amara ironia mentre sottolinea: “E se vogliamo dirla tutta, ci avevo visto giusto anche su Astoria… avevo notato che era terrorizzata al pensiero che Draco le chiedesse l’anello…”.

“Ovvio…” bisbiglia con un filo di voce Seth “L’anello ce l’aveva ancora Hermione…”. Traffico nella mia tasca, uscendone un cofanetto azzurro. Dentro, brilla ancora l’anello di Cissy Malfoy, che avevo ritrovato nella tasca del cardigan azzurro, che avevo preso di fretta la sera del compleanno di Pansy.

“Una pietruzza da due soldi…” biascica innervosito Dean, guardando storto Pansy “Ora capisco perché storcesti il naso al mio solitario…”.

“Ci voleva il microscopio per vederlo…”.

“Ma era purissimo al cento per cento…!”.

“Ovvio, le imperfezioni non ci sarebbero entrate nel diamante… minuscolo com’era…”.

“Kevin mi ha regalato uno smeraldo! Lo sai Herm? Uno smeraldo vero! In un orologio, però… se mi faccio un anello, dici che è troppo?!”.

Mi gratto la tempia, mettendo a posto l’anello. Dio, questi se li lascio fare partono per la tangente ogni volta!

“Possiamo gentilmente abbandonare il campo dell’oreficeria?!” borbotto, incrociando le braccia, interrompendo le manovre di Pansy che mette a paragone le dimensioni del suo solitario con un minuscolo bottoncino della sua camicia. Recuperata la loro attenzione, sospiro lungamente per riprendere il filo del discorso, anche se una pericolosa risata mi sta uscendo di nuovo inconsciamente, ma ne va della mia autorevolezza se iniziassi a ridere per le loro scemenze!

“Perché credi che Raissa sia andata con Draco?” chiede Seth a Pansy, sistemandosi meglio sul divano “Credi che gli interessasse… in qualche senso romantico?!”. Un groppo in gola mi costringe a deglutire più rumorosamente di quanto vorrei, mentre Pansy si ferma a riflettere. Poi esordisce sicura: “No, non credo… o perlomeno non credo che in quel momento, lo abbia seguito perché ne era follemente innamorata… anche se questo non esclude che possa essere successo qualcosa con il tempo… se sono rimasti assieme per cinque anni, potrebbe anche essere accaduto… devi farci i conti anche con questa possibilità, Granger…”.

Annuisco senza partecipazione, pigolando un: “Sono passati cinque anni, Pansy… lo so perfettamente… e se non è Raissa, potrebbe essere qualcun’altra…”.

“Appunto…” mormora lei, incrociando le braccia “Per lui, è tutto finito quella mattina… e quell’Hermione gli ha fatto capire che non era storia… e come se non bastasse, lui ha anche una figlia da crescere… potrebbe aver pensato a darle una madre… come tu a tuo modo, hai pensato a dare un padre a tuo figlio…”.

“La faccenda tra me e Ron è leggermente diversa…” mi inalbero subito, stringendo i pugni “Sai perfettamente che non siamo davvero sposati… ed Alex non l’ha mai considerato suo padre…”.

“Sì che lo so, Granger, accidenti…!” ribatte lei annoiata, guardandosi le unghie “Ma mettiamo in conto che lui ti abbia cercato… mettiamo in conto anche che ti abbia trovato… mettiamo che per ipotesi assurda l’avesse saputo, che cosa avrebbe pensato? Hermione vive in Italia nella casa dei suoi nonni, ha un figlio ed è sposata con Ron Weasley.”.

Sobbalzo, stringendomi nelle spalle, a questo non avevo mai davvero pensato. So che è abbastanza improbabile che Draco mi abbia cercato e soprattutto che mi abbia trovato, considerando tutte le premure che al Ministero hanno preso. Ma ammettiamo che ci fosse riuscito… vai a spiegare che non sono davvero sposata, che non lo sono mai stata, che ho finto di esserlo.

Vai a spiegare che mio figlio non ha il volto spruzzato di lentiggini e i capelli rossi, ma è una peste immatricolata in Malfoy.

Spero davvero a questo punto che Astoria lo abbia ferito al punto tale da non farmi mai cercare…

“Comunque tolta l’ipotesi dell’amore folle di Raissa per Draco, credo che lo abbia seguito solo per tenerlo d’occhio…” riprende Pansy dopo un po’, assolutamente incolore “Quando eri nelle mani di Dimitri, credo che abbia semplicemente controllato che lui non si facesse venire l’idea di venirti effettivamente di nuovo a cercare… in quel caso, credo che abbiano di nuovo assoldato Astoria… e quando invece tu sei riuscita a liberarti da Dimitri, credo che potrebbe essere rimasta con lui per farti uscire allo scoperto... qualora avessi contattato Draco, lei lo avrebbe saputo ed avrebbe avvertito Dimitri…”.

L’analisi di Pansy non fa una piega, annuisco sovrappensiero. La sola cosa che rimane meno chiara è come mai Raissa aiutasse suo fratello. Non mi era mai sembrata così d’accordo con i suoi modi, non mi aveva mai torto un capello ed anzi aveva cercato di allontanarlo da me in più di un’occasione. Mi aveva ammonito di stare attenta a suo fratello, aveva anche temuto che Draco non tornasse in tempo per impedire che Dimitri si incaponisse troppo su di me. Perché poi avrebbe dovuto aiutarlo?

“Certo è che, ora che Dimitri è morto, probabilmente Raissa non ha più motivo di restare con Draco, no?” sciorina ovvio Dean, distendendo le braccia stanche. Annuisco ancora, ricordando la lettera di qualche giorno fa che mi è stata recapitata in Italia. La lettera che mi informava che l’esilio mio e di mio figlio per motivi di sicurezza, in Italia, era finito. Avevano trovato i cadaveri di Astoria e di Dimitri in un fiume, poco a sud di Birmingham. A quanto pareva, si erano uccisi tra loro probabilmente in un diverbio. Quella notizia ha decretato anche la fine del mio matrimonio-farsa con Ron. Peccato che lui non avesse mai davvero capito che fosse una farsa.

Ho sempre avuto dubbi su Ron e sul vero motivo per cui avesse scelto di vivere in quel modo, accanto a me, come mio marito. Nei primissimi tempi non ne avevo mai avuti: egoisticamente non pensavo a lui, pensavo solo a me stessa e al tempo che si ripiegava e si contorceva su sé stesso, allontanandomi da Draco. Poi ovviamente, se non altro per deviare dai pensieri inconcludenti e frustranti che non mi portavano mai a nulla, avevo iniziato a pensare anche a Ron. Il candore con cui aveva accettato quella commedia solo per proteggere me ed Alex era stato sporcato dai miei ragionamenti e dall’osservazione di tanti piccoli dettagli della nostra vita assieme: rifuggiva le rose, non nominava mai Draco, non alludeva mai al tempo che avevamo passato divisi, non si riferiva mai ad Alex come al figlio di Draco Malfoy. E soprattutto, anche quando non era più necessario, anche quando la porta di casa si chiudeva e non eravamo sotto lo sguardo di estranei potenzialmente nemici, lui continuava a comportarsi come mio marito. Mi baciava sulla guancia, raccontava ad Alex aneddoti di quando eravamo bambini.

E lì, chiaro, stentoreo, potente, mi si è acceso un allarme nella testa.

L’ho affrontato una sera di maggio, il sole era basso nel cielo della Sicilia, circondava di rubino i limoni del nostro giardino rendendoli screziati. Ron era seduto su una sedia a sdraio, gli occhi socchiusi e l’espressione beata. Per un attimo, ferma sulla soglia della veranda, avevo pensato alla possibilità di lasciar perdere tutto. Avevo un figlio di due anni che dormiva placidamente in casa, non era egoista continuare a dirgli che doveva chiamare “papà” l’uomo lontano che non aveva mai visto e che forse ci aveva dimenticato? Non sarebbe stato più facile dirgli di considerare genitore l’uomo vicino, quello che gli dava da mangiare, lo portava al mare a giocare e lo metteva a letto tutte le sere? Non era egoista aggrapparmi con disperazione a Draco?

“Mione che cosa c’è?” aveva detto Ron, voltandosi improvvisamente, il sole che rendeva i suoi capelli quasi una fiamma rossa.

“Lo sai che tutto questo finirà un giorno, vero?” la mia voce non aveva avuto alcun dubbio, era uscita da sola senza lasciar adito ad alcuna reticenza o tentennamento. Le spalle di Ron si erano contratte, aveva stretto un pugno ed aveva sussurrato: “Certo che lo so… tornerai da Malfoy, un giorno o l’altro… ammesso che ti voglia indietro…”.

Non mi aveva ferito, non poteva ferirmi con la verità. La verità non ferisce se sei vero anche tu… Ron non lo era. Per questo la verità lo aveva ferito invece come una spada scagliata nel cuore.

“Io non sono davvero tua moglie…” avevo sussurrato guardandolo in viso “Il nostro matrimonio non esiste da nessuna parte, è invalido persino nella carte… ti sono grata di quello che stai facendo, lo sarò per sempre, hai scelto di proteggere me ed Alex… ma questo non cambia niente, Ron. Noi non siamo davvero sposati… e Draco con questo non c’entra nulla… fosse anche che non mi voglia più, che io arrivi a non volerlo più, sarà una cosa tra me e lui…”, inspirando avevo aggiunto stoica: “… tra me e te è una recita, Ron… niente ci restituirà il tempo passato e il male che ci siamo fatti… niente…”. Mi aveva sorpassato rientrando in casa, furibondo. Ed aveva implicitamente sciolto il mio dubbio.

Per questo, la sua reazione alla notizia che Dimitri ed Astoria erano morti, e quindi io ed Alex non avevamo più motivo di nasconderci in Italia, lo aveva sconvolto e destabilizzato. Ed aveva rotto quel vaso nell’ingresso e se ne era andato via, furibondo. Non ci siamo nemmeno salutati, prima che io partissi. Avrei voluto farlo, ma sarebbe diventato tutto più difficile. Gli sarò per sempre grata per quello che ha fatto, e spero un giorno di potergli parlare, di potergli spiegare bene tutto, di poter tornare a chiamarlo amico. Adesso no, adesso è troppo presto.

Due che sono stati prima migliori amici, e poi fidanzati, non dovrebbero mai fingere di essere sposati, fosse anche per supreme ragioni di sicurezza. Ma le cose sono andate così, allora. E come per tutto il resto, recriminare serve a poco. In questi cinque anni mi sono trovata bloccata in un ingranaggio, che non era mai messo in moto da me. La mia parte di decisione è stata solo quella di tornare in Inghilterra tre giorni fa e di cercare Draco. Per il resto non ho mai deciso nulla in questi cinque anni, non ho preso una sola decisione da quando Dimitri mi ha rinchiuso nel suo castello.

Stringo la camicetta tra le dita all’altezza del petto, mentre i miei amici continuano a fare supposizioni su Raissa e Draco.

Per un attimo, mi estranio da loro. In questi cinque anni mi è stato tolto potere decisionale in tutto, persino nella scelta di essere madre.

Mi manca il fiato nel pensarci, ma oggi potevo anche non esserlo affatto. Il mio grembo poteva restare vuoto, la stanza al piano di sopra poteva essere piena solo delle mie cose, l’ultimo legame con Draco poteva essere reciso e spezzato come il filo sfilacciato di una veste logora.

Posso odiare Astoria per avermi costretto a creare lo Zahir, per aver ingannato Draco… ma poi, dovunque sia adesso, sono costretta a perdonarla per il suo folle dono da egoista.

Lei mi ha donato la più grande delle benedizioni: mio figlio.

Anche se lo fece solo per i suoi di motivi.

 

La fortuna è essere quasi sempre incosciente di mattina.

Ad Hermione la mattina piace da morire, le piace il sole che buca le nuvole, le piace quella sensazione di aspettativa, di promessa, di rinascita.

A casa, si alzava sempre all’alba da letto, qualsiasi cosa dovesse fare, perché le piaceva enormemente avere delle ore di vantaggio sul mondo e sulla vita stessa. E se per qualche caso, finiva per alzarsi tardi, si sentiva come se avesse sprecato preziosi attimi che poteva impiegare proficuamente in qualche altro modo. Dean la rimproverava sempre, le diceva che l’unico vantaggio di non lavorare era che poteva restare anche a letto a poltrire. E lei allora si impuntava come una bambina piccola, metteva la sveglia anche prima ed alzava il volume del trillo, così da svegliare anche lui. Alla fine, borbottando lui e ridendo a crepapelle lei, facevano colazione assieme sul balcone di casa.

Al Petite Peste, alzarsi presto era naturale, era scontato perché doveva lavorare. C’era da preparare il caffè per gli affannati broker della City, c’era da riscaldare le brioches per i ragazzini che andavano a scuola, c’era da fare il tè per le mamme che si trattenevano qualche minuto dopo aver accompagnato i loro figli in classe. E lei si alzava sempre come una furia, correndo in bagno a farsi velocemente la doccia e a lavarsi i denti. Poi c’erano anche ragioni logistiche, legate al possesso del bagno. Seth ci moriva dentro per ore, e Draco non era granché diverso, anzi… spesso ci mettevano il doppio del tempo netto che ci metteva lei. Quindi puntare la sveglia prima, significava assicurarsi per prima il bagno, ridendo ancora per quanto Seth o Draco avessero distrutto la porta a suon di pugni, intimandole di uscire.

Se già ricordare il tempo ordinario le provoca dei vuoti d’aria nel torace, rimembrare poi il tempo straordinario le fa salire le lacrime agli occhi, persino nel sonno dell’incoscienza.

Il tempo straordinario sono stati i dieci giorni accanto a Draco, a casa di Pansy Parkinson. Sono state quelle mattine di luce fragrante, in cui si svegliava accanto a lui. Draco dormiva ancora, lei sorrideva ai suoi occhi chiusi e quasi sempre tendeva a stropicciarsi vigorosamente gli occhi per non credere di sognare di averlo vicino. Generalmente tendeva a farlo con troppa energia, o comunque aveva la caratteristica di fare qualche rumore che comunque invariabilmente lo svegliava. Draco roteava gli occhi, fingendo di sbuffare, e l’apostrofava con una serie di aggettivi scherzosi. Lei fingeva di prendersela, faceva la mossa di alzarsi dal letto e di allontanarsi da lui. Draco la tirava giù per i fianchi, la riportava a letto ridendo e le ingiungeva severo: “Non ci pensare nemmeno un istante, Granger, ad andartene da qui…”. Facevano l’amore, ancora, dolcemente, e poi lui faceva comparire la colazione. Caffè nero bollente per lui, e “quel maledetto succo d’ananas da carie” per lei.

Nel sonno, Hermione trasale, sobbalza per un momento. Draco non l’ha cercata, non la sta cercando. Ne è certa, in qualche confuso modo ne è sicura. Non sa da quanti giorni è prigioniera, il tempo ha una sua cognizione completamente scevra da lei, ma sa che è così… perlomeno le risparmiano il sorgere del sole, il momento in cui dovrebbe ammettere a sé stessa che è iniziato un altro giorno in quella gabbia. La preservano dai ricordi che la colpirebbero troppo violentemente.

La giornata, paradossalmente, inizia a pranzo, quando Pucey con malagrazia scende le scale dei sotterranei e deposita vicino alle sbarre della sua cella una ciotola di zuppa maleodorante. Il clangore che provoca, la sveglia sempre e per un attimo, le pupille non distinguono nulla nella lama di luce che proviene da una minuscola finestra in alto, anch’essa inevitabilmente sbarrata. Scivola nella polvere della cella, si lava distrattamente il viso in una bacinella d’acqua, si costringe a mangiare perché deve restare in vita, deve andarsene da lì. Deve sopravvivere, prima che per Draco, per Hayden.

Si avvicina a lui, che come sempre giace incosciente nel suo giaciglio di paglia e sacco, abbandonato di malagrazia sul pavimento sconnesso della cella. La ferita alla schiena va sempre peggio, è infetta, continua ad eruttare liquido biancastro e sangue. Lui rinviene poco, delira per la febbre. Ed Hermione usa quel poco di energia magica che possiede nelle vene per arginare l’infezione, come una volta le ha insegnato Ginny. Ma è debole, l’incantesimo deve farlo senza bacchetta, trascorre tutto il pomeriggio in quel modo, alla sera è sfinita. E non è nemmeno certa che comunque Hayden ne tragga beneficio: la preoccupa e la strazia il fatto che le gambe del ragazzo sono diventate insensibili. Non reagiscono agli stimoli, non si muovono.

Ogni minuto lì, gli toglie la possibilità di guarire del tutto.

Dimitri si fa vedere di sera, la esamina con lo sguardo sofferto attraverso le sbarre, la prega come sempre di salire in camera da lui. Ma lei è stata chiara fin da primo momento, non è una sua gradita ospite, non vuole una stanza, vuole una cella perché lei è sua prigioniera e così deve essere trattata. Salirà su in camera, solo se lasciano andare Hayden. Ma ovviamente Dimitri non è d’accordo, teme quello che farebbe se non avesse lui a trattenerla al di qua della morte e della scelta di essa. Al contempo non la costringe, è convinto che il ragazzo morirà presto e che Hermione, piegata dal dolore e dagli stenti, si lascerà alla fine andare. Non sa del coccio di vetro che Hermione nasconde sotto il letto, non sa che, quando verrà meno ogni speranza che Draco la trovi e quando Hayden morirà da vittima innocente di una colpa non sua, lei si taglierà le vene e tanti saluti.

Astoria non scende mai con Dimitri nelle segrete, e questo spaventa Hermione più di tutto. È convinta che abbia fatto qualcosa a Draco, qualcosa che l’ha concretamente convinto a non cercarla più. Sa che sta bene, è certa che Astoria abbia ancora interesse a diventare la signora Malfoy in qualche arcano modo, ma al contempo devono averlo ferito più di quanto lei immagini se non si dà alcuna pena di vedere che fine abbia fatto. Qualche giorno prima, ha sognato Pansy che piangeva disperatamente… e Draco che faceva a pezzi dei mobili, rompeva un vaso, urlava come un animale colpito a morte… si è svegliata piangendo, urlando, con le mani nei capelli. Ha sentito dentro che non era un sogno, ha saputo in qualche modo che era successo davvero. Hayden ha ripreso i sensi solo quella volta, solo quando l’ha sentita piangere ed urlare. E lei è riuscita a raccontargli tutta la verità, del mondo della Magia, di lei e dello Zahir, di Draco.

Hayden è stato colpito da un raggio di luce giallastra alla schiena, appena uscito dal museo dove lavorava: un raggio partito da una specie di bacchetta, che gli era puntata contro da un uomo che sembrava russo.

Non ha fatto fatica a credere a tutto quello che Hermione gli ha raccontato. Si è riaddormentato, madido di sudore freddo, mentre lei gli prometteva che in qualche modo lo riporterà a casa.

Quando Dimitri, poco dopo mezzanotte, torna in camera sua, Hermione si addormenta, piegata in posizione fetale nel letto lercio delle segrete.

Si sveglia solo all’ora di pranzo, ma sa che non è la stanchezza, la rabbia o la paura che la fanno addormentare così profondamente.

È Dimitri.

Entra nella sua testa, la confonde, fa alternare nel suo cervello ricordi e fantasie. Hermione si vede vestita da regina sul balcone di un palazzo immenso con lui accanto, le fa sognare di fare l’amore con lui, la fa gridare nel sonno di desiderio e passione mentre la possiede in ogni modo concepibile. Hermione, però, non cede. Nel sonno, urla, piange, lo implora di smetterla… oppure sta ferma, immobile, subisce tutto quello che lui le fa, ma richiama alla mente Draco. E Dimitri è costretto a sgusciare fuori dai suoi sogni, gemendo innervosito per non riuscire a violarla nemmeno nella mente.

Vuole ancora che lei lo desideri in modo autentico, vuole che lei si convinca, vuole che lei lo ami sinceramente. Non la tocca, non la sfiora, non le fa del male in alcun senso fisico.

Intanto, cerca di carpire il segreto della sua magia, la tiene incosciente anche per quello, per arrivare al fulcro del suo potere, per capire da dove prende tanta forza. Ma anche in quel caso fallisce… ma lì Hermione non sa perché ciò avvenga. Quando di sera lui fa avanti ed indietro nervosamente fuori dalla sua cella, imprecando e chiedendole come mai la sua energia magica sembra così compromessa e sporcata da qualcosa di estraneo, lei biascica nervosamente che è prigioniera in una gabbia polverosa e sporca, ci mancherebbe pure che sia al meglio del suo potenziale magico. Ma sa che mente, lo fa solo per farlo arrabbiare, perché lo odia, lo ammazzerebbe con le sue mani.

In realtà non sa perché questo accada, perché è impenetrabile ad ogni suo tentativo di carpirle l’essenza magica. Pensa che sia perché usa tutta la sua forza per aiutare Hayden, restando quindi distrutta, ma sa che non è così.

C’è qualcos’altro che impedisce a Dimitri di arrivare al cuore della sua magia, per capire da dove derivi tutto il suo potere.

C’è qualcos’altro di misterioso ed arcano che riesce a proteggerla, senza che però Dimitri capisca da dove arrivi quella barriera.

Ovviamente Hermione non se ne preoccupa, non immagina che cosa sia, è convinta che alla fine Dimitri, purtroppo, violerà anche quella resistenza. E non è nemmeno il sommo dei suoi problemi.

Perdere la sua energia magica, i suoi poteri, nel caso in cui a Dimitri salti in mente persino di sottrarglieli… la terrorizza, certo, ma ci sono cose peggiori.

La gabbia, nei giorni, inizia a fiaccarla psicologicamente e mentalmente: la pelle ha bisogno d’aria pulita, gli occhi hanno bisogno del sole, la mente ha bisogno dei colori della vita. E lei vede solo polvere, sente solo grigio, respira solo buio. Piano, inizia a temere che il tempo rimanga inalterato così per sempre e che nulla cambi. Teme di dimenticare il sapore della libertà: se un essere umano vede a rischio la propria stessa sopravvivenza, si abitua e si adatta alla nuova situazione.

E lei non vuole rassegnarsi ad essere prigioniera.  

Quell’ipotesi ha la consistenza della gelatina nei suoi pensieri, e, come sabbia mobile, attira in basso tutti gli altri timori: quello che Dimitri deponga la sua cortesia e la costringa a salire in camera da lui; quello che Hayden muoia, senza che lei possa fare nulla per impedirlo; quello che lei stessa muoia, prima di aver salvato almeno l’amico.

E poi c’è il timore peggiore, quello a cui cerca di non pensare, quello su cui scatena tutta la sua residua forza: il timore che facciano qualcosa di così grave che lei davvero perda Draco.

Quella paura le inzuppa la schiena di sudore, le fa battere i denti, la fa muovere nervosamente avanti ed indietro come un topolino in trappola, le fa scuotere le sbarre della prigione e la fa abbandonare a lunghi lamenti, colmi di pianto.

Più i giorni passano e più lei si abitua alla prigione, più si convince che devono aver ferito Draco in modo irreparabile: più passa il tempo e meno sono le speranze che, tornando libera, possa far tornare tutto a posto.

Forse, e questo è il terrore peggiore di tutti, nemmeno riuscirà più a trovarlo.

La mattina in cui si sveglia e non si stupisce di trovarsi lì, decide con la sua solita tenacia che, per tenersi sana di mente, farà un gioco: annotarsi mentalmente tutte le cose che non ha ancora detto a Draco. Tutte quelle che gli deve ancora dire.

Non gli ha mai detto che odia quando usa il gel, perché sembra che gli abbia leccato i capelli una mucca.

Non gli ha mai detto che adora quando ha le mani occupate e le lascia libero il mignolo, così lei lo possa comunque stringere nella sua mano.

Non gli ha mai detto che detesta sinceramente quando si mette a mangiare a letto, perché riempie le lenzuola di briciole.

Non gli ha mai detto che, quando hanno ballato, aveva l’impressione che il mondo fuori fosse finito.

Non gli ha mai detto per un numero sufficiente di volte che lo ama, che vuole sposarlo. E non gli ha mai detto che ha paura di Helena, ha paura che lei continui ad attrarlo a sé dall’alto dei cieli.

Ha appena iniziato quel gioco, in un giorno qualunque di quella prigionia, e ne è talmente presa che non si accorge che è sveglia di mattina. Non si rende conto che quella mattina Dimitri non ha tentato di sedurla nella sua testa, o di attentare al suo potere. È così assorbita dai suoi pensieri, che la sola parte cosciente di sé la lascia impegnata a mormorare l’incantesimo che argina la ferita di Hayden. È così assorta che nemmeno si rende conto dell’arrivo di Dimitri ed Astoria, fino a quando non sono davanti alla sua cella. Anche se non fosse stata, però, così persa nei suoi pensieri, Hermione non avrebbe mai potuto sapere che quella è la mattina che cambierà la sua vita per sempre.

Quando vede i suoi carcerieri, Hermione si alza bruscamente in piedi, preoccupata che si accorgano delle cure che presta ad Hayden. Ci manca soltanto che decidano di spostarlo in un’altra cella, allontanandolo da lei e dalle poche cure che in grado di dargli. Solleva fieramente il mento, guardandoli, li odia come non ha mai odiato nulla nella sua vita. Vorrebbe ferirli, colpirli, ucciderli persino. Dimitri che è ossessionato dal pensiero di averla, come se lei fosse una sciocca bambolina di porcellana da mettere su una mensola, ed Astoria, che ancora non si convince che ha distrutto da sola il suo mondo, senza che né lei né Draco ne abbiano avuto la benché minima responsabilità.

La mano, che stringe il coccio di vetro che è la sua sola arma, si serra troppo forte ed inizia a sanguinare.

La guardano, oltre le sbarre, senza dire una parola, e curiosamente Hermione nota che quella mattina si sono invertiti le espressioni: è Astoria quella curiosa nei suoi confronti, la guarda a labbra dischiuse, una scintilla negli occhi chiari. Dimitri invece stringe i pugni, ha la bocca arricciata di disgusto e lo sguardo nervoso. Solo in quel momento, dal raggio di luce che dalla feritoia in alto colpisce i loro visi, Hermione si rende conto che è mattina.

Sta per succedere qualcosa. E’ cambiato qualcosa, nella routine stantia di quei giorni. E non può essere in meglio.

Astoria la studia con ingordigia, si sporge persino tra le sbarre come se potesse arrivare a captare qualcosa di lei in modo più netto, diminuendo la distanza tra loro. Hermione trasale, nasconde meglio nel palmo il pezzo di vetro, medita di colpire chiunque dei due si avvicini a lei. Spera che sia Dimitri, Astoria sarebbe più facile da far fuori in qualche altro modo. Pensa a qualche incantesimo muto da fare senza bacchetta, calcola la distanza con la porta, cerca di riflettere sul modo in cui potrebbe poi trascinarsi dietro Hayden. Viene, però, interrotta dalla voce impaziente di Dimitri che si rivolge spazientito ad Astoria: “Falle questo maledetto incantesimo, Greengrass… se glielo potesse fare un uomo, ti avrei già preceduto da ore…”.

Hermione non sente la seconda parte della frase di Dimitri, sente solo la prima. Riprende a sudare freddo, si stringe nelle spalle e si guarda furiosamente attorno alla ricerca di un riparo. Ha troppa poca forza nel sangue, per ricacciare indietro una maledizione. E se poi è l’Avada Kedavra… bè, la prenderanno di certo.

Non può morire… non può ancora morire, prima di aver salvato Hayden… e, tonfo al cuore, prima di aver detto tutto quello che ha ancora da dire a Draco… non glielo dirà mai… non potrà farlo mai… le lacrime le si affacciano prepotenti agli occhi, non se ne andrà senza combattere. Morirà, combattendo come ha sempre fatto. Spera solo che, dovunque vada a finire, possa continuare a guardare Draco vivere, possa continuare a proteggerlo e a tenerlo in salvo.

Prende la rincorsa, pronta a scagliarsi contro le sbarre e a colpire Astoria che è ancora mollemente appoggiata ad esse, ma la strega bionda è più veloce. Sguaina la bacchetta, la punta contro di lei e dice con un sorriso storto poche parole.

Lì, in quelle parole, c’è già tutto il destino di Hermione Granger da quel momento in avanti.

“Matris revelatio”.

Hermione non sente dolore e ringrazia la Morte per essere stata così misericordiosa. Poi riapre gli occhi e trova ancora la cella, la polvere, il corpo di Hayden svenuto. Guarda oltre le sbarre e vede Astoria che sorride follemente, quasi saltella, con uno sguardo allucinato ed esaltato che non le ha mai visto. Dimitri sputa per terra, con disgusto, dà un calcio alla parete, urla di rabbia e livore come se lo avessero picchiato.

Hermione non capisce, si guarda attorno e solo allora nota il bagliore aranciato che le illumina il ventre. Una nebbiolina quasi dorata la circonda all’altezza dei fianchi, ha un odore di rose che le fa salire le lacrime agli occhi. Non riconosce l’incantesimo, non lo ha mai visto. Guarda interrogativa prima Astoria, e poi Dimitri. Lui non si degna nemmeno di guardarla, come se improvvisamente persino la sua vista le fosse insopportabile, mentre Astoria riprende a ridere allegra e gioviale.

“Che diamine mi hai fatto?!” urla alla fine Hermione, raggiungendo le sbarre e scuotendole forte come un animale in trappola.

Astoria smette di ridere, la guarda con il suo solito sguardo stomacato e le ingiunge: “Vedi di stare calma, Granger… fallo con le buone… anche se non avrei nessuno scrupolo a narcotizzarti per nove mesi, pur di farti stare tranquilla…”.

“Che diamine vuoi dire?!” grida ancora Hermione, un secondo prima che la consapevolezza la travolga in pieno e le faccia cedere le gambe, mentre ricade seduta.

“Sei incinta di Draco Malfoy…” ride ancora Astoria, un misto di folle gioia e di sfrenata follia “ E non c’è cosa migliore al mondo che potesse capitare…!”.

I primi minuti da madre di Hermione Granger, sono solo angoscia e terrore. Come se improvvisamente il corpo si fosse ricordato della gravidanza, dopo essersi accasciata al suolo, Hermione viene scossa da un forte conato di nausea, si chiude la bocca con la mano destra e tenta di reprimere l’istinto a vomitare. La testa vortica come al centro di un tornado, fatica a restare cosciente. Si chiede come diamine possa essere successo e se Astoria non stia mentendo, ma ammette con sé stessa che sarebbe un giochetto mentale abbastanza inconcludente, considerando che l’hanno praticamente alla loro mercé da giorni. E che vantaggio potrebbe portare, farle credere di essere incinta?

Forse farla impazzire… e se quello è il piano, ci stanno riuscendo perfettamente.

Piegata sulla schiena, gli occhi sbarrati, la mano ancora premuta sulle labbra, Hermione combatte con la nausea e con i pensieri. Lei e Draco non sono mai stati attenti in quel senso, non se ne sono minimamente preoccupati: tra loro è sempre stato come vivere in un momento strappato, rubato, trafugato, dall’invidiosa vita che li voleva divisi. Erano inconsciamente sempre consapevoli di avere sempre poco tempo e, quando facevano l’amore, semplicemente non pensavano.

Hermione, che pensava sempre, non aveva mai pensato in quei momenti. E lei, che era sempre cauta ed attenta, ora era prigioniera ed incinta. E il secondo aggettivo sembrava quasi una ripetizione del primo. Era prigioniera, anche perché era incinta.

Non voleva diventare madre adesso, non voleva esserlo a ventiquattro anni, quando ancora non sapeva nulla di sé stessa e della sua vita. Non voleva prendersi cura di un’altra persona, più piccola e costantemente bisognosa di lei, non era in grado nemmeno di prendersi cura di sé stessa… non era stata in grado nemmeno di prendersi cura di Draco. Come poteva crescere un bambino? Come poteva crescerlo, spiantata come era?

Le voci di Astoria e Dimitri la riportano ancora di più al terrore del presente, ripensa al coccio di vetro che stringe ancora nelle mani e sa che, adesso, non può nemmeno sentirsi libera di tagliarsi le vene. Perché è la culla di quel bambino non nato, perché è l’ancora che lo tiene aggrappato alla vita, facendolo galleggiare sul mare dell’inesistenza. Con la testa che le gira ancora, immagina i mesi successivi in quella prigione, immagina il pancione che cresce nella polvere, immagina il parto con accanto Hayden incosciente, immagina il bambino che le viene messo accanto sulla lercia brandina dove dorme… e finalmente, come se tutto fosse troppo, vomita riversa per terra.

Non può essere vero, non può essere… con la mente anestetizzata, sente Astoria dire: “E’ normale che non riuscivi a captare la sua essenza magica, Karkaroff… il potere del bambino interferisce con quello della madre… cerca di proteggerla…”, Hermione sobbalza e trasale, quella specie di piccolo mollusco nella sua pancia cerca di proteggerla, chiude gli occhi e gli chiede nella mente chi diamine glielo faccia fare. Astoria continua con voce gaia: “E’ potente, ovviamente… è il nipote di Lucius Malfoy e Narcissa Black… il figlio di Draco…”. Il tono sognante di Astoria, che riduce Hermione ad un semplice guscio che protegge il figlio di Draco Malfoy, mette la ragazza in allarme più di tutto il resto. Solleva stancamente il capo, guardando i due che se ne stanno ancora fermi fuori dalla cella. Si aggrappa alle sbarre, si solleva in piedi e, reggendosi, li sfida con gli occhi.

Quelle scarne parole di Astoria le hanno messo i sensi in allerta, l'ha metabolizzato solo adesso in un momento di lucidità.

Lei aspetta il figlio di Draco.

Ignora volutamente che è anche suo figlio, cerca di non pensarci adesso e cercherà di non farlo per molto tempo, finché quel bambino un giorno se lo sentirà davvero dentro, finché lo sentirà muoversi e nuotare in lei, finché per la prima volta lo chiamerà compiutamente con il suo nome, accarezzandosi la pancia. Alexander Leo Malfoy.

Ma per ora, Hermione non vuole pensare che quell’ospite dentro il suo corpo, sia suo figlio. Non vuole pensare al fatto che, probabilmente, sarà la persona con cui condividerà più cose nella vita, non vuole collegare lei stessa e quel bambino se non per un particolare: Draco. Lui è l’uomo che lei ama, ed è il padre di quel bambino. Lei ha il dovere, anzi l’obbligo, di proteggere il figlio dell’uomo che ama.

“Quindi basta liberarsene, no?” mormora Dimitri, avvicinandosi alle sbarre ed estraendo la bacchetta. Hermione, terrorizzata, indietreggia come può, trovando il muro con la schiena, già con l’istinto di proteggere il suo cucciolo. Razionalmente non riesce nemmeno a dire la parola “mamma” nella testa, associandola a sé stessa; visceralmente il suo corpo, già va per conto suo, già la candida genitrice del bambino che ha in grembo. Cerca la fuga, cerca scampo, dimenticandosi tutto quello che non sia lei stessa e il figlio non nato. Dimentica persino per un momento, Hayden e il senso di colpa per averlo trascinato lì. Deve andarsene. Adesso. Ora. Subito.

Ma prima che possa fare qualsiasi cosa, Astoria si para davanti a Dimitri ed estrae la sua bacchetta, urlando sconvolta: “Lasciala stare!”.

“Levati di mezzo Greengrass!” urla a sua volta Dimitri, ma Astoria per tutta risposta, si smaterializza nella cella, parandosi davanti ad Hermione con la bacchetta tesa.

“Io voglio questo bambino!” urla con la voce stridula e graffiata di sofferenza “Non posso avere figli! Non ne avrò mai…! E tantomeno ne potrei avere da Draco! Ma la Granger porta in grembo suo figlio… e Draco non rifiuterà mai suo figlio! Se gli dico che sono sua madre… avrò la sola possibilità per cui davvero accetti di sposarmi…! Non puoi toccarla! Fallo ed immediatamente Montague avviserà le autorità sul luogo in cui ci troviamo, con la Granger prigioniera… ti sei mai chiesto perché non è mai qui con noi?!”. Astoria ha il fiatone per lo sforzo per aver parlato così velocemente, Hermione ne guarda la schiena mentre si ritrae contro la parete. Il figlio di Draco… è la sola cosa al mondo che Astoria non avrebbe potuto mai avere.

Lei gliela ha offerta su un piatto d’argento.

Dimitri impreca, gettando qualcos’altro per aria, e scompare su per le scale. Astoria sospira lungamente, si volta verso di lei e le dice freddamente: “Vedi di mangiare, oggi… ti farò portare della carne…”. Qualcosa, poi, sembra attirare la sua attenzione e, con un movimento rapido, le strappa il frammento di vetro dalle mani, portandoselo via.

Hermione non riuscirà più a dormire da quel momento in poi. Trascorrerà il giorno, curando Hayden, e la notte con gli occhi aperti, una mano sulla pancia. Farà il gioco del “non ho mai detto a Draco” per cercare di addormentarsi, ma non riuscirà lo stesso a prendere sonno. Perché tutte le frasi si areneranno sempre in una sola.

Non ho mai detto a Draco che aspetto suo figlio.

 

Riapro stancamente gli occhi, lasciando indietro nel fondo della mia memoria i ricordi della mia prigionia in Russia, nel castello di Dimitri. Sono stata lì poco tempo, solo una decina di giorni, eppure ricordo quelle giornate perfettamente, una meglio dell’altra. Avevo avuto paura, certo, quando mi avevano catturata, ma la mia solita incrollabile fiducia in me stessa, in Draco e nei miei amici mi aveva fatto andare avanti i primi tempi. Una parte di me era convinta che sarei riuscita a trovare un modo per liberarmi, o comunque ero certa che Draco mi avrebbe cercato.

E qualora tutto quello fosse fallito, prima o poi anche ad Harry, Ron o Ginny, sarebbe saltato in mente di venirmi a cercare.

Le cose, purtroppo, non erano così facili come le dipingevo.

E me ne resi compiutamente conto solo nel momento in cui seppi che ero incinta di Alex. Diventare madre è, automaticamente, diventare un essere terrorizzato e ansioso. O perlomeno, quella fu la prima impressione che ne ebbi. La paura si impadronì di me in un modo così totale che non ne trovavo paragoni nemmeno in guerra, o in viaggio per trovare gli Horcrux. Non aveva nessun genere di confronto con il terrore che poteva avermi assalito negli anni al pensiero che capitasse qualcosa ad Harry o a Ron, né tantomeno aveva qualcosa in comune con la sana angoscia che potesse capitare qualcosa a me stessa. Era invece qualcosa di così cupo e totalizzante, da annullare ogni altro pensiero. Forse fu un bene, chissà, perché per la prima volta da mesi esisteva qualcuno più importante di Draco, e quindi ciò mi impediva di concentrarmi su di lui, cosa che mi avrebbe rapidamente condotto alla follia. Al contempo, era anche un male: ero completamente responsabile del piccolo individuo che mi cresceva dentro, non potevo più agire solo ed esclusivamente per me stessa, non potevo più mettere a repentaglio la mia vita in modo così avventato da uccidere me stessa e il mio bambino. E questo fu terribile, perché ero e sono una Grifondoro: ero e sono il coraggio incarnato della leonessa.

Ma persino la più fiera delle regine della giungla deve, ad un certo punto, diventare subdola e sfuggevole come una iena se vuole salvare i suoi piccoli.

E quindi, lentamente, iniziai a riflettere in un modo che aveva tutto della paranoia e quasi nulla della razionalità.

Era oramai evidente che Draco non mi avrebbe cercato: sebbene allora non sapessi della parte di Raissa in questa vicenda, anzi persino la ponevo tra i miei ipotetici salvatori, ero comunque relativamente convinta che lui doveva essere stato allontanato a forza da me, con qualche inganno e stratagemma. Se così non fosse stato, Draco mi avrebbe immediatamente cercato e probabilmente anche trovato, perché era chiaro come il sole che Dimitri mi voleva per sé. Il dubbio poteva essere solo tra lui ed Astoria, ma in ogni caso Draco li avrebbe trovati entrambi se fosse venuto al castello di Dimitri. Ed invece lui non arrivava a salvarmi. Perciò concretamente o doveva credermi al sicuro, o doveva essere stato convinto che non avevo bisogno di lui, cosa che poi effettivamente era avvenuta. Deducevo che l’inganno ai suoi danni, molto probabilmente, doveva aver fatto cadere in trappola anche Pansy e Raissa. E quindi escludevo anche loro.

C’erano i miei amici, poi, ma anche nel loro caso, sapevano che io avevo sostenuto l’esame per entrare nel Wizengamot e che stavo trascorrendo del tempo da sola, ad Hogsmeade. Ci aveva pensato, ai tempi, Zabini a quella messinscena, facendo girare una specie di ologramma con le mie sembianze per il paese. Ed ammesso che mi avessero cercato, probabilmente i raggiri di Dimitri e di Astoria avrebbero potuto mettere comunque una toppa… e poi, certamente, nel peggiore degli scenari per loro, comunque non avrebbero collegato la mia scomparsa a Dimitri ed Astoria.

Harry nemmeno sapeva dello Zahir, della trappola della Greengrass, non sapeva nemmeno che io e Draco eravamo innamorati. Per arrivare a ricostruire i pezzi, ci avrebbe messo troppo. E comunque c’era sempre la famosa spia di Astoria nella cerchia del Ministro: qualsiasi mossa strana di Harry sarebbe stata subito riferita e controbilanciata.

Non mi sforzavo nemmeno di considerare, poi, i miei amici babbani, anzi mi auguravo che non li saltasse mai in mente di venirmi a cercare. Hayden era in pericolo di vita, e loro ne avrebbero condiviso la fine. Ed in ogni caso, dubitavo che comunque potessero trovarmi. Seth sapeva che avevo bisogno di tempo per dedicarmi a me stessa, ed anche lui non si sarebbe preoccupato se non fosse riuscito a rintracciarmi, perlomeno per un paio di giorni.

Restavo solo io con le mie esili possibilità di fuga. Ed uso l’aggettivo “esili” per essere tardivamente positiva. Ero incinta, terrorizzata, priva di bacchetta, con l’energia magica a pezzi e la mente confusa. E c’era Hayden che non era in grado di spostarsi da solo, anzi… non era nemmeno cosciente, per la maggior parte del tempo. Non potevo smaterializzarmi, probabilmente nessuno poteva farlo nemmeno nel perimetro del castello; con il passare dei giorni, al crescere del mio terrore, divenni sempre meno lucida. E mi resi conto rapidamente di quale sarebbe stato il mio destino: potevo sperare nell’indulgenza di Dimitri per i successivi nove mesi, fino a quando non avessi al mondo il figlio di Draco. Astoria se ne sarebbe impossessata subito, avrebbe ingannato Draco dicendo che era suo figlio, lui ci avrebbe creduto. Allora Dimitri, inselvatichito da quei mesi di impotenza, mi avrebbe preso di forza e portato nella sua camera. E lì sarei morta davvero, svuotata dell’amore per me stessa e privata di quello per mio figlio e per il mio uomo. Hayden, intanto, probabilmente sarebbe morto, gravandomi la coscienza di un’ulteriore colpa.

Mentre nella mia mente, mio malgrado, si srotola di nuovo quel terrore, i miei amici continuano a parlare animosamente, convinti che io li stia ascoltando.

Astoria, a suo modo, ha salvato mio figlio, non posso portarle troppo rancore. Era una donna sola, rigettata dal suo mondo, convinta di poter valere qualcosa solo accanto a Draco Malfoy. Persino quando ero in Italia ed ogni volta che lasciavo giocare Alex in giardino con l’ansia che lei si nascondesse ovunque per portarmelo via, comunque provavo sempre un pizzico di pietà per lei.

Con Dimitri, è diverso.

Lui mi ha distrutto la vita, in ogni senso possibile.

Ha lasciato una cicatrice così profonda in me che quella dello Zahir non è assolutamente nulla. E quest’ultima c’è, c’è sempre, come una macchiolina sporca sull’anima, come il segno di un peccato originale che non potrò mai purificare in un battesimo. Dimitri si è insinuato nelle piccole cose, come il serpente che era. È la paura degli spazi chiusi, quando resto sola. E’ nei momenti di estraniamento come questo, in cui il vecchio panico di quei giorni torna prepotente. È la repulsione per i contatti fisici con gli estranei. È nella luce che lascio accesa quando vado a letto.

È, ovviamente, nella distanza tra me e Draco.

Naturalmente è nella mancanza di ricordi di Alex su suo padre.

È nella ferita che ho inferto a Ron, lasciandolo in Italia. È nelle gambe di Hayden, che non camminerà mai più. E’ negli occhi di Helder, quando scrutava il tramonto e lo cercava all’orizzonte.

È nello sguardo di pietà che curva gli occhi di Dean. È nella repressa compassione di Pansy. È nella mano sempre stretta sulla mia di Seth.

Quando ho saputo che era morto, non ho provato sollievo. Non ho sentito quella stretta calda allo stomaco nel sentirmi finalmente al sicuro, e libera. Mi sono sentita defraudata della sua uccisione.

Volevo ucciderlo io, come non ho mai voluto farlo in tutta la mia vita. Persino da Capo degli Auror, sono riuscita ad evitare di infliggere la morte. Adesso volevo disperatamente ucciderlo, io.

Sono arrivata a capire Draco, quando cercava gli assassini di Helena. Ma Pucey e Montague erano due disperati e folli vendicativi, che volevano farla pagare a colui che aveva portato via le loro persone care. Dimitri non aveva mai amato nessuno. Non agiva per amore.

Solo per potere, quello che voleva su di me.

E soprattutto non ha fatto solo una vittima, ma decine. Draco, Alex, Hayden, Helder, Ron. E ha ucciso una parte di me stessa.

Sorrido a Dean che continua a fare supposizioni, che Pansy stronca ogni minuto con semplici monosillabi, mentre Seth continua a spanciarsi dal ridere.

Credono di avere davanti la solita Hermione Granger e non si danno pena della mano che non smette di tremare, unico sfogo ai miei pensieri. Perché, anche se sono tornata a casa adesso dopo cinque anni, anche se sono riuscita a salvare me stessa e mio figlio, anche se sono al sicuro, anche se finalmente ho la possibilità di cercare Draco… una parte di me, nemmeno tanto piccola, è ancora chiusa nel castello russo di Dimitri. Una parte di me non è mai stata liberata quella notte calda di inizio luglio.

Quando ci ripenso, quando ancora sento le pareti della stanza chiudersi su di me come se mi intrappolassero, senza accorgermene tendo a sfregarmi forte le labbra con il dorso della mano.

La traccia di Dimitri sulla mia bocca, non se ne è mai andata da cinque anni fa.

È stata l’ultima persona che ho baciato. E mi ha tolto anche l’ultimo calore quieto che mi era rimasto di Draco.

Tra le altre cose, mi ha tolto anche questo: l’ultima consolazione. Perché se tento di ricordare il sapore delle labbra di Draco, immediatamente sento quelle di Dimitri addosso. E le mie labbra prendono a bruciare come l’inferno. Esattamente come in quella notte di cinque anni fa.

 

“Non devi prendermi in giro, Hermione… piccola…l’ho capito che non camminerò mai più…”.

“NO! Non devi dirlo, io non te lo permetto! Quando ci libereremo, quando usciremo da qui… Ginny… è un Medico dei Maghi… potrà fare qualcosa, sicuramente lei potrà…”. La voce le si spezza, mentre segue la sua mano che, senza accorgersene, ha stretto la gamba di Hayden. Dovrebbe sentire male, dovrebbe avvertire dolore, gli sta facendo male. Lui invece non reagisce minimamente, non dice nulla. Chiude gli occhi, tira indietro la testa, sospira. Un minuscolo singhiozzo gli riecheggia in gola.

Hermione stacca la sua mano come se si fosse ustionata, ricade seduta sul pavimento accanto al suo letto, le spalle piegate dal peso del mondo tutto.

Hayden sta meglio, se così si può dire. La gravidanza le ha dato un enorme ascendente e potere su Astoria, l’ha minacciata di lasciarsi morire di fame se non avesse portato una medicina per guarire la ferita di Hayden. La mattina precedente, lei ha portato una boccetta dal liquido verde acqua che ha fatto ingerire ad Hayden, non prima che Hermione si premunisse di assaggiarla per non constatare la presenza di un veleno. Astoria ha stretto gli occhi, guardandola oltre le sbarre, ma Hermione ne ha sorretto orgogliosamente lo sguardo mentre beveva. Per nove mesi, potrà aggrapparsi ad ogni premura di Astoria, preoccupata spasmodicamente che lei resti viva e porti a termine la gravidanza.

Non appena Hayden ha ingerito la pozione, la ferita si è rimarginata e la febbre è calata. Ha ripreso coscienza, ha ricominciato a parlare, lentamente ha ripreso anche a mangiare. Eppure le sue gambe sono rimaste immobili, insensibili, assolutamente morte. Ha tentato di fare qualche passo, di muoversi, ma nulla. È sempre cascato al suolo, senza forza. La ferita, troppo profonda, deve avergli intaccato qualche nervo spinale.

Hermione lo guarda e non riesce a smettere di piangere, non riesce a fare altro. Non si meritava tutto questo, solo per averla conosciuta in uno stupido parco divertimenti. Non si meritava lei, non si meritava la sua vita disastrata, non si meritava di stare in quella cella. Perché hanno dovuto prendere lui e fargli del male? Perché? Non pensavano che l’avrebbero già spezzata, dividendola da Draco? Ci voleva il colpo di grazia finale alla sua combattività?

Certo che ci voleva, Hermione inconsciamente lo riconosce. L’hanno divisa da Draco, ma lei sa di voler tornare da lui, ha ancora speranza. Lo Zahir non ha sedato il suo amore, figuriamoci se possono riuscire delle sbarre in questo. Se lo riprenderà, lo troverà, appena uscita da qui. Ne è certa.

Però il senso di colpa per Hayden le impedisce di pensare a qualsiasi cosa di vagamente volitivo. È come se fosse paralizzata lei stessa, ma in un pantano appiccicoso che le impedisce anche solo di pensare di muoversi. Annega nelle sabbie mobili e nulla la trattiene al di qua della fossa che la trascina giù. Quando Hermione ci ripenserà anni dopo, capirà agevolmente quanto Hayden fosse stato utile a Dimitri. Era il modo con cui lui ha potuto tenerla oggettivamente segregata lì, prima nel cuore, e solo secondariamente con il corpo. Ed è stato anche il vero ed autentico modo in cui l’ha divisa da Draco. Non riesce a pensare a lui, si sente colpevole a farlo.

Hayden sta patendo tutto quello, non solo perché l’ha conosciuta, ma anche perché lei non ha corrisposto il suo affetto, se non addirittura il suo amore. Perché amava Draco.

E pensarci adesso, aumenta la colpa sulla colpa.

In quei giorni, Hermione cerca di pensare di rado anche al bambino che porta in grembo, non ne immagina viso, colori e gesti, ma lo relega in una parte della sua mente dove ha solo l’obbligo di continuare a respirare e a mangiare, per tenerlo in vita.

È l’arma che usa contro Astoria. Ed è al contempo un’arma contro Dimitri: non ha più voluto vederla, da quando ha saputo che era incinta. Non viola la sua mente, non tenta di sedurla, non fa assolutamente nulla. La ignora, ecco. La sua espressione alla scoperta della gravidanza, del resto, era stata abbastanza inequivocabile: Hermione lo disgustava. Perché diamine allora non la lascia andare, perché non lascia andare Hayden? Semplice. Tra nove mesi, Hermione non lo farà più inorridire, quando si libererà dell’ultimo scomodo regalo di Draco Malfoy. Solo allora Dimitri non avrà più davanti agli occhi la prova tangibile che Hermione ha sempre amato e sempre amerà Draco Malfoy.

Hermione abbraccia le ginocchia, poggiando la fronte sulle gambe piegate. Cerca di reprimere i singhiozzi, non vuole che Hayden la veda piangere. Lui non conosce questo mondo, deve essere lei ad incoraggiarlo. Ma ha perso tutto, ha perso ogni cosa. Ormai persino la speranza è diventata stantia come naftalina.

Sobbalza quando sente la mano di Hayden che le accarezza piano i capelli, solleva il viso e lo vede sorriderle stancamente, disteso sempre sul letto. Lo stesso instancabile sorriso che aveva il giorno che l’ha conosciuta. Le lacrime ignorano le sue proteste e inondano gli occhi, riversandosi poi sulle guance rosse.

“Non è stata colpa tua…” sussurra Hayden, continuando ad accarezzarle il capo “Non voglio che tu lo pensi nemmeno per un secondo, ok? È un caso che ci sia qui io, o non lo so, Seth… o April…”. Hermione deglutisce rumorosamente, non gli confessa che Draco ha protetto loro ma non lui. Non crede a Dimitri, è convinta che Draco semplicemente non abbia pensato che Astoria potesse colpire lei attraverso Hayden. Non crede che l’abbia fatto deliberatamente, come dice Dimitri. Non lo crederebbe mai.

Eppure ad Hayden non dice nulla, eppure protegge Draco.

Forse protegge solo sé stessa: lei che, quando Draco le aveva parlato delle misure di sicurezza che aveva preso, non aveva minimamente pensato che Hayden potesse essere in pericolo. Forse, egoista com’era, a lui non aveva pensato proprio.

Un ulteriore singhiozzo le fa tremare le spalle, Hayden le solleva il mento con una mano: “Voglio che tu mi prometta una cosa, Hermione…”.

“Tutto quello che vuoi…” bisbiglia lei.

I suoi occhi si fanno seri, intensamente lucidi, sembrano due pezzi di vetro verde scheggiati di luce: “Se avrai la possibilità di andartene da qui… se hai anche una sola minuscola idea che ti conceda di salvarti, ma non la stai nemmeno rendendo reale a te stessa perché sai che non posso seguirti… non farlo. Devi andartene da qui, sono stato chiaro?”.

“NO!” urla Hermione, staccandosi bruscamente dalla sua stretta “Non esiste al mondo! Io non me ne andrò mai senza di te, hai capito?!”.

“Sì che lo farai…” ripete testardo Hayden, guardandola negli occhi “Sei incinta, hai un bambino…! E ho capito che cosa vuole quel Dimitri da te… vuole tutto quello che hai…”, fa una pausa, lunga, sofferta, respira a fatica: “… e con tutto quello che hai, intendo davvero tutto… il tuo cuore, la tua magia, il tuo corpo… tutto…”, le prende il viso tra le mani, le sue dita si bagnano delle lacrime che le cadono incessanti dagli occhi: “Ti ucciderà, Hermione… se non in modo fisico, si prenderà tutta te stessa… devi andartene da qui…”.

“Sarei già stata con lui, se avessi avuto la certezza che ti avrebbe liberato…” confessa Hermione tutto d’un fiato, chiudendo gli occhi.

Hayden si stacca da lei, la guarda con espressione addolorata, capisce che non cambierà mai idea.

“A Draco non pensi? Non pensi a cosa accadrà se non ti vedrà tornare?”.

Hermione trasale, trema e si aggrappa all’angolo del letto. La mente le si spalanca di tutti gli Universi possibili a cui cerca di non pensare da quando è stata catturata. Serra forte gli occhi, trattenendo fuori quei pensieri, ma l’effetto che ne ricava è di sentire solo un forte rumore nella testa, simile ad uno scoppio.

“Ahia…” si lamenta, portandosi le mani alle tempie. Hayden si china con il busto su di lei e le chiede: “Che c’è? Hai di nuovo la nausea? O è la testa… che ti fa male?”.

“Ho sentito come uno scoppio nel cervello…” bofonchia Hermione, tranquillizzando il ragazzo “Gli ormoni forse mi fanno brutti scherzi…”. Non fa nemmeno in tempo a finire la frase che il rumore, nella mente, si ripete di nuovo, stavolta però accompagnato da una voce femminile che la chiama per nome: “Hermione…”. La ragazza, di primo acchito, si mette istintivamente le mani sulle orecchie, premendo forte, convinta che sia solo uno dei trucchi di Dimitri per farle perdere quel poco di cervello che ancora possiede. Quando la voce, però, riprende a parlare, qualcosa scatta nella mente di Hermione che riesce a collegare di averla già sentita.

“Hermione… mi senti?” la voce lo chiede ancora con tono più sommesso, ed Hermione finalmente riesce a capire di chi si tratta. Con le lacrime agli occhi, sente la speranza guizzare in fondo al suo ventre come un pesce argenteo.

“Helder!” urla nella sua mente, cercando di concentrarsi il più possibile. La voce dell’amica le arriva lontana, come se fosse distante chilometri. Hayden la guarda senza capire, Hermione solleva semplicemente il palmo della mano e cerca di fargli capire che va tutto bene.

“Riesci a sentirmi?” ripete ancora Helder, la voce leggermente più netta.

“Sì… adesso un po’ meglio… come faccio a sentirti? Come ci riesci?” chiede Hermione, lieta che la voce della sua testa sia più forte di quella della sua gola che sicuramente si sarebbe profusa in singhiozzi.

“Ti sei scordata che sono un’Empatica?” la voce di Helder sembra quasi ridere nella sua mente, Hermione se l’immagina persino scuotere la testa incredula “Di base è semplicemente Legilimanzia… ma io non ho bisogno di bacchetta o di eccessiva vicinanza… solo di sentimenti forti… e nel tuo caso so per esperienza che sono una tua prerogativa…”.

“Lo Zahir… è distrutto…” si sente quasi in dovere di spiegare, a disagio, come se in qualche modo fosse importante dirglielo, come se a suo modo Hermione volesse sconfessare il momento di quella debolezza “Ed è stata Astoria Greengrass… insomma… a convincermi a crearlo…”.

“Avrei dovuto capirlo…” dice Helder con tono grave “Nessuno sa niente dello Zahir… devi stare tranquilla su questo… era una pozione proibita, finirei prima io nei guai e poi tu… e sono contenta di come sia finita… sia per te che per Draco…”.

“Come fai a saperlo? Come fai a sapere che noi…?” chiede atona Hermione, chiudendo la mente dal pensiero di Draco stesso.

“Che siete innamorati? Facile, Hermione… la risposta è come sopra… sono un’Empatica…” sorride Helder con calore nella sua testa “Quel giorno… a Diagon Alley… era solo un sospetto. Non su di te, ovviamente… ma su Draco… aveva sentimenti confusi, veloci come stelle cadenti… e non potevo esserne certa. Ma sentivo che sotto quella rabbia e quel dolore… c’era qualcosa. Poi siete venuti allo scoperto l’uno nei confronti dell’altra… e da allora, è stato impossibile ignorarvi…”.

“Che vuoi dire?” bisbiglia Hermione, stringendosi il petto.

“Non credi che un amore così, sia qualcosa di semplicemente… troppo… anche per un Empatico? Tu hai rotto lo Zahir… lui ha battuto Adamar… due segreti vecchi come la Magia stessa… noi Empatici… io e gli altri, anche a grandissima distanza… vi abbiamo sentito ininterrottamente, come si sente il fuoco di un incendio quando si è avvolti dalle fiamme… sono settimane che ho il cervello che brucia…”.

È come se, alle parole di Helder, improvvisamente si aprisse una finestra nella mente di Hermione. La luce entra cauta, timorosa, timida, poi d’un tratto esplode e fiorisce come decine di fuochi pirotecnici. L’incantesimo del demone cattivo, che ha chiuso la principessa nel castello, si rompe come cristallo ed Hermione stessa ha l’impressione di spezzettarsi come un pezzo di vetro. Tutto quello al quale ha cercato di non pensare per giorni, le compare nella testa con la potenza di un vortice. Il cuore pompa di nuovo nelle vene l’amore per Draco che, prepotente come sempre è stato, le annulla ogni altra preoccupazione e pensiero. E tutto risorge come se non se ne fosse mai andato, l’urgenza di sapere dove e come stia, la preoccupazione per lui, l’ansia di sapere se stia soffrendo… ricorda, come se lo sapesse solo ora, che è incinta di suo figlio. La gola si chiude e si serra come se stesse soffocando, mentre ogni muscolo del corpo brucia nell’immobilismo che fino a poco fa, le era sembrato quasi doveroso imporsi. Doveroso, sì, per rispetto verso Hayden e per cura negletta di suo figlio. Adesso, d’un tratto, tutto è claustrofobia, costrizione. E proteggere Hayden e il suo bambino è trovare il modo di uscire di lì. La speranza, che la voce di Helder le ha restituito, diventa un faro luminoso nella sua testa che la porta persino a ripensare a sé stessa: ha ragione Hayden, non può permettere che Dimitri si prenda tutto di lei. Ma soprattutto lei non può permettersi di lasciar scivolare via Draco, lontano dalla sua vita, ingannato da chissà che artificio di Astoria e Dimitri. Non può permetterlo. Per loro, per quello che hanno alle spalle e per quello che hanno davanti a loro. Un figlio. Un bambino. Sebbene ancora non riesca ancora a dirsi che è anche suo figlio, Hermione per la prima volta lo sente vivo e tangibile dentro di lei. Per la prima volta, non è una specie di vermiciattolo che striscia nella sua pancia. Per la prima volta, ne immagina persino un viso senza colori.

“Non so dove sia, comunque… li sento i tuoi pensieri, Herm…” riprende tristemente Helder, rispondendo alle domande mute dell’amica “Non riesco a sentire Draco… è vuoto, al momento, Hermione… quindi non emana nulla che io possa percepire…”.

“Vuoto?!” esclama Hermione sgomenta, aprendo e chiudendo la bocca come in mancanza d’aria.

“Vuoto, già… è difficile da spiegare per un Non Empatico… ma è così… lo sento come un eco, sento che è vivo… ma non saprei dirti nemmeno se è ancora in Inghilterra… non prova nulla di sufficientemente forte, perché io lo possa sentire…”.

Quella frase, Hermione la sentirà molte volte negli anni successivi. Le farà sempre lo stesso maledetto effetto: il cuore in una morsa, stritolato e stropicciato più e più volte. Ogni volta che Helder con pazienza dolente gliela ripeterà, lei perderà un briciolo di forza e di speranza. Quel giorno, però, è la prima volta che la ode. Quindi la ricaccia a fondo dentro sé stessa, cercando di non lasciarsi sopraffare.

“Come fai allora a sentire me? E come fai anche a parlare con me?” chiede quindi impensierita “Forse io non sono nemmeno in Inghilterra… o sbaglio?”.

“No, non sbagli… sei in un castello, al confine tra Russia e Bielorussia… e sono riuscita a sentirti solo per un attimo… giorni fa… hai provato una disperazione così lacerante che sono riuscita a sentirti per pochissimo in modo distinto…”.

Hermione ci riflette su, una disperazione lacerante… poi sospira e ricorda. Il momento in cui ha scoperto di essere incinta… ed ha immaginato i mesi successivi in quella prigione.

“Ti controllavo da settimane… da quando hai rotto lo Zahir…” continua Helder senza sosta “Ovviamente di quello me ne sono accorta subito… ti sentivo a tratti, eri triste… poi hai ritrovato Draco… e siete esplosi nel cervello di tutti, non solo nel mio… fino ad una sera di dieci giorni fa… lì, non vi ho più sentiti…”. Dieci giorni fa… Hermione fa un rapido calcolo: la sera del compleanno di Pansy.

“Mi sono impensierita, naturalmente… non sentivo più te… e ora so che era perché eri troppo lontana da Londra, perché ti sentissi… e Draco era vuoto… ho pensato persino che ti avesse uccisa…”.

Hermione incassa le sue parole con un tonfo al cuore, ovviamente sa che Draco non le farebbe mai del male. Ma sa anche che il padre di Helder è stato ucciso da Lucius Malfoy: sarebbe anormale se lei non avesse pensato una cosa del genere.

“Avevo già deciso di contattare qualcuno… di dare l’allarme a costo di rivelare tutto, anche dello Zahir… poi sei ricomparsa lontanissima dall’Inghilterra… in un castello in Europa Orientale… e ho capito che c’era qualcosa che non andava…”. Helder prende ancora fiato, la sente esitare nella sua mente, poi dice sicura: “Se riesco a sentirti adesso, se riesco a parlarti… è perché sono qui, Hermione… sono a pochi chilometri dal castello…”.

Hermione sobbalza: “Sei qui? E sei da sola? Non puoi fare nulla, Helder… il castello è protetto… è troppo pericoloso…”.

“Non sono da sola… e qui viene il bello…” sorride Helder con calore, la mente stessa di Hermione sembra trarne un tiepido beneficio “Quando sono andata al Ministero… per raccontare che ti avevo sentito in Bielorussia… e ti avevo sentito disperata… Harry era in gran subbuglio… e a causa tua…”.

“Harry?! E che c’entra lui?”.

“Poco prima, Ronald era piombato nel suo ufficio, trascinando Lavanda, la sua ragazza… lei è la segretaria del Ministro, lo sai no?”. Hermione annuisce mentalmente, i pezzi che finalmente iniziano a combaciare uno dopo l’altro.

“Ron e Lavanda avevano litigato quella mattina a causa tua …” prosegue Helder concitata “Lui voleva lasciarla e lei continuava a dire che era ancora innamorato di te…”.

Hermione trasale ancora e serra più forte gli occhi chiusi, mentre Helder prosegue: “Lavanda, in un impeto di rabbia, gli ha urlato che probabilmente non ti avrebbe più rivista… e Ron, sconvolto, l’ha portata da Harry… e lì Lavanda ha confessato che faceva da qualche settimana il doppio gioco per Astoria Greengrass… voleva liberarsi di te perché era convinta che tu fossi l’ostacolo sempre presente tra lei e Ron… non sapeva che cosa ti fosse successo, sapeva solo che non eri più in Inghilterra… e da lì, è uscito fuori tutto, Hermione…”.

“Cosa, esattamente? Di me e di Draco?” chiede Hermione con un filo di voce, ancora incredula. La spia… quella che avevano cercato per giorni… era Lavanda Brown.

Come poteva, dopo anni, preoccuparsi ancora di lei? E soprattutto non aveva saputo da Astoria che lei e Draco stavano assieme? Aveva mentalmente escluso che potesse essere lei, proprio per quel motivo. Una parte della sua mente registra sommariamente che, secondo Lavanda, Ron è ancora innamorato di lei. Vorrebbe non sentire nulla, a riguardo, ma lo stomaco le si contorce in preda al nervosismo.

“No, di te e Draco non è uscito fuori nulla…” la rassicura Helder con un filo di voce “Ed è ovvio, se ci pensi… Astoria non aveva mai raccontato niente a Lavanda per non compromettere l’aiuto prezioso di lei… anzi l’aveva incoraggiata a credere che tu fossi ancora persa di Ron… in quanto ad Harry, ha collegato te e Draco, ma non in quel modo, anzi mi ha detto di averti chiamato settimane fa e di aver sentito distintamente da te che non provi nulla per Draco… ed invece credo che tu fossi solo sotto il controllo dello Zahir, vero?”. Hermione, fiaccata, annuisce stancamente e ricorda la telefonata di Harry di qualche settimana prima: lei era appena tornata dalla spiaggia con Hayden ed Harry le aveva chiesto se provava qualcosa per Draco. Hermione aveva negato con ferocia, quando in realtà era solo sotto l’azione dello Zahir che le impediva di sentire qualsiasi cosa per Draco.

“Per il resto del Mondo della Magia, figuriamoci…” continua Helder “Draco è morto anni fa… e voi non avevate alcun legame… Harry ovviamente l’ha cercato… ma nulla, lui è scomparso. Il Petite Peste è gestito da Seth, non si trova nemmeno la bambina, Serenity… e persino Blaise Zabini e Pansy Parkinson non sanno nulla di lui da una decina di giorni.  Harry ha scoperto, però, che tu non avevi mai sostenuto l’esame per il Wizengamot, che le carte erano state manomesse… e ha anche scoperto che quella che girava per Hogsmeade, secondo alcuni testimoni, era solo un miraggio, un’illusione ottica… quindi ha pensato che fossi scomparsa da tantissimo tempo… quando invece tu eri con Draco… non ho contraddetto la sua tesi, perché comunque spetta a te parlare loro di Draco e di tutto il resto… e se non l’hai mai fatto, avrai i tuoi motivi…”.

“Hai fatto bene… grazie Helder…” ripete Hermione, preoccupata “Anche se, conoscendo Harry, sicuramente adesso sarà convinto che io sono scomparsa a causa di Draco… insomma lui non si trova e nemmeno io…”. Le parole le fluiscono fuori senza forza. Hermione riesco solo a pensare che Draco non si trova, e nemmeno Serenity. Riesce solo a pensare che nemmeno Blaise e Pansy sanno nulla di lui. E, per strano che le possa sembrare, lei non pensa che non si trovi perché è prigioniero o altro. Anche negli anni successivi, Hermione lo sentirà distintamente vivo e vegeto, ma morto dentro. Come le continuerà a ripetere Helder. Non è nemmeno disperato… è solo… vuoto.

“Harry, ovviamente, di primo acchito ha collegato le vostre due sparizioni…” asserisce Helder “Ma, quando sono arrivata io e gli ho detto che ti avevo sentito in Russia… e che Draco non era con te, perché sennò mi sarei accorta di lui… mi ha creduto… è abbastanza ignorante in materia di Empatici, il Ministro. E non sa che, se anche Draco fosse con te, io dall’Inghilterra non l’avrei sentito… avrei potuto percepirlo solo per quell’amore che condividete e che, come ti ho spiegato, è abbastanza onnipresente per quelli come me… ma Harry mi conosce, e si fida di quello che dico… quindi se escludo la responsabilità di Draco, senza spiegare molto di più, a lui ovviamente sta bene così…”.

“E sa che dietro a tutto c’è Dimitri Karkaroff?” chiede Hermione nervosa “Non sarà facile avere a che fare con lui…”.

“Dimitri Karkaroff lo conosco… dai tempi della Seconda Guerra Magica…” riprende Helder incolore “Voleva essere un Indicibile… ma non ci riuscì… e so per certo che non è persona di cui fidarsi… la sua conoscenza magica è illimitata… e scommetto che c’è lo zampino di Adamar…”.

“Non sbagli…”.

“Ma la cosa peggiore di lui è… quello che ha dentro…” prosegue Helder agghiacciata “Non ho mai sentito nulla del genere… non è amore quello che sente per te, non è nemmeno curiosità… è ossessione… sarebbe capace di farti a pezzi, pur di vedere come funzioni…”. Hermione rabbrividisce, chiudendosi nelle spalle, la mano di Hayden si chiude sulla sua. La stringe forte.

“Io non sono sola, Helder…” riprende Hermione dopo un po’ con tono sommesso “C’è un’altra persona con me… un Babbano… e credo che non possa nemmeno più muoversi… e poi… sono…”.

“Incinta…” finisce Helder per lei “Lo so, lo sento… sento il bambino dentro di te… non ha ancora una forza sua autonoma o sentimenti… ma insomma… è facile da sentire… o meglio… è strano da sentire… è come avvertire te e Draco mescolati assieme…”. Una lacrima le sfugge dall’occhio, Hermione la raccoglie con le dita, mentre sente quasi il peso di suo figlio dentro. E poi sente come l’ha chiamato… suo figlio.

“Per fortuna non sono sola nemmeno io, Herm…” continua Helder più allegra “Harry e Ron sono con me… assieme ad una ventina dei tuoi vecchi Auror…”.

Le lacrime finiscono di cadere sulle guance di Hermione, si sciolgono come ghiacciai all’inizio della primavera. I suoi amici… sono qui… non è sola, non lo è mai davvero stata. L’hanno trovata. Tutto in lei urla feroce che il tempo l’ha divisa da Harry e Ron, lei stessa non è più quella che loro conoscevano. Ha un segreto pesante dentro, che ha le fattezze di un bimbo Malfoy nella sua pancia, eppure loro tre sono ancora lì, pronti ad accorrere sempre l’uno in soccorso dell’altro. Per un piccolo e stupendo attimo, Hermione si pente persino di non aver mai raccontato loro nulla di lei e Draco e di averli volutamente lasciati fuori. Lo avrebbero difeso, lo avrebbero trovato, avrebbero impedito che Dimitri glielo portasse via. Magari sarebbero stati restii a capire che si amavano sul serio loro due, ma poi, come hanno fatto Pansy e Blaise, avrebbero accettato. E ora, forse, Draco sarebbe con loro a liberarla. Ma lui non c’è… lui… adesso è… vuoto. Ogni volta che quell’aggettivo, assurdamente riempie la sua mente, lei si sente andare a pezzi.

“Ora, però, viene il difficile, Herm…” prosegue Helder con voce flebile “Dimitri è potente… molto… troppo, persino per un migliaio di Auror… conosce incantesimi che io non posso nemmeno pensare di conoscere anche se sono un’Indicibile. Harry mi ha voluto qui proprio perché comunque ho una conoscenza maggiore rispetto a loro… e comunque non credo nemmeno che sia sufficiente… Dimitri ha un solo punto debole… e purtroppo, sei tu…”.

Hermione deglutisce rumorosamente, sapeva che si sarebbe arrivati a questo punto, lo sentiva. Da quando Helder ha iniziato a parlare nella sua testa, ha sentito che si sarebbe arrivati a quel punto. La mano di Hayden nella sua, è fredda, ed Hermione, senza riaprire gli occhi, lo vede accanto a lei, le gambe immobili, il sorriso tirato, la fiducia riposta completamente in lei. Deve farlo… è il suo sacrificio per Hayden. Lui ha già sacrificato troppo per lei.

“Dimmi che cosa devo fare… a patto che salviate Hayden… io farò qualsiasi cosa…” dice decisa, raddrizzando le spalle.

“L’unico Incantesimo che è posto sulla proprietà… che riesco a sentire…” inizia titubante Helder “E’ un Incantesimo che ha reso le mura del castello… come prolungamenti del corpo di Dimitri. Sente… ogni cosa. Se abbattessimo un muro, o entrassimo, se ne accorgerebbe subito… a meno che… non si distragga… e la sola che puoi distrarlo, sei tu…”.

“Certo…” asserisce convinta Hermione “Hayden è nelle segrete… portate via lui, approfittando del tempo che posso guadagnare…”.

“E tu?” chiede Helder, il tono sospeso che ricorda che sta parlando con il Capo degli Auror, la cui mente era costantemente allenata ad ogni tipo di strategia e piano diversivo. Hermione non ha dubbi nemmeno per un momento: “Salirò in camera di Dimitri… se lui può sentire solo le mura del castello… io mi getterò dalla finestra della sua stanza…”.

“E’ troppo pericoloso!”.

“No… non lo è… pensate a come impedire che mi sfracelli al suolo… una scopa… o un Levicorpus potente… avete tempo fino a quando sentirai Dimitri… cambiare…” Hermione deglutisce pesantemente, sa che accadrà quando Helder sentirà Dimitri cambiare. Sarà arso dal desiderio per lei. Sarà facilissimo per Helder accorgersi della differenza. In entrambi… lui sentirà di aver vinto. Lei sentirà di aver davvero perso per sempre.

Hermione chiude la mente ad Helder e alle sue rimostranze, riapre gli occhi e guarda Hayden con un largo sorriso.

“Vengono a liberarci…” dice, sorridendo. Hayden le stringe forte la mano, le chiede come faranno, chi gli sta liberando, come faranno a portarlo fuori da lì, in quelle condizioni. Hermione gli dice solo di fidarsi di lei.

“C’è anche Draco con loro?” chiede Hayden, guardandola negli occhi.

Hermione sospira profondamente, eludendo la sua domanda: “Ascolta Hayden, devi fidarti di me… non contraddirmi… fai solo quello che ti chiedo… resta qui…  e non fare nulla di stupido… io… io me la caverò, ok?”.

Hermione si divincola dalla sua presa, raggiunge velocemente le sbarre della cella mentre Hayden inutilmente la richiama indietro, urlando e cercando anche di trascinarsi giù dal letto su cui è disteso. Ma Hermione, rapida, sussurra al chiavistello della cella: “Voglio andare da Dimitri”. Hermione si sente strappare via, all’altezza dell’ombelico, mentre in un fascio di vento, si sente sospinta in alto, verso la camera del signore del castello.

La stanza di Dimitri deve essere nella torre più alta: Hermione nota subito dalla finestra spalancata la notevole altezza, a cui devono trovarsi. Respira a pieni polmoni l’aria fresca,  che scaccia via la polvere accumulatasi nei giorni precedenti. L’aria ha un odore buono, sa di pulito, sa di resina e pioggia, sa di luna mescolata alla rugiada. Lontano, intravede delle vette innevate, una foresta di conifere, un laghetto dall’acqua pulitissima. Il vento le soffia sul viso, scompigliandole i capelli ed agitando il vestito nero che porta dalla sera del compleanno di Pansy. Hermione resta con lo sguardo immobile, congelato, desiderosa di correre fino alla finestra per gettarsi di sotto, senza paura. La libertà è ad un passo.

Ma Hayden è ancora lì sotto, ancora attende di essere liberato. E lei ha ancora una cosa da fare, ha ancora quest’ultimo vessillo da far cadere davanti a Dimitri, prima di poter arrendersi.

Getta uno sguardo distratto alla stanza, sembra scavata nella roccia. La pietra viva ricopre pareti, soffitto e pavimento. Sulla destra un letto a baldacchino rosso sangue torreggia su un tappeto dello stesso nauseante colore. Sulla sinistra, invece, c’è un enorme camino spento, sulla cui sommità Hermione vede la testa di un cervo ucciso. L’unica luce è una candela posta sul comodino di Dimitri, accanto al quale c’è una poltrona. E lì, c’è lui.

Appena la vede, si solleva bruscamente in piedi e la fissa sconvolto, come se non la vedesse davvero, come se non credesse sul serio che sia lì. Per un attimo, lascia andare il ferreo e rigido controllo su sé stesso e sembra autenticamente sorpreso. Probabilmente non dorme da giorni, due profonde occhiaie gli cerchiano gli occhi blu, la camicia nera è spiegazzata, i primi bottoni aperti sul torace. I capelli serici sono arruffati, li scompiglia ulteriormente con le dita. Nella mano, regge un bicchiere rotondo di cristallo, in cui restano poche tracce di uno scintillante liquido ambrato.

“Sei qui…” constata con un filo di voce, poggiando il bicchiere sul comodino e facendo un passo incerto. Hermione lo guarda, sollevando il mento, sa che deve trattenerlo, sa che deve recitare, sa tutto. Ma sa anche che deve essere sé stessa, sa anche che non può diventare un’altra. Lui capirebbe il suo gioco immediatamente. Le mani le sudano freneticamente, mentre dice stentorea: “Avevo qualche alternativa? Sono qui da giorni… non sarà forse il momento di… sistemare questa cosa? Che cosa diamine vuoi da me?!”. Le spalle le si contraggono involontariamente, scivolano fuori con rabbia inespressa le ultime parole della frase, mentre una calugine di pianto frustrato le vela lo sguardo.

“Hermione… piccola…” bisbiglia lui, avvicinandosi piano come una fiera nella foresta. Si ferma di fronte a lei, la soppesa con lo sguardo per qualche secondo, poi allunga una mano come a volerle toccare il viso. Ma il braccio ricade sconfitto lungo il suo fianco, un attimo dopo che Hermione sia trasalita e si sia stretta inconsciamente a sé.

“Hai paura di me?” le chiede con voce soffusa, da una parte quasi spaventato, da una parte curiosamente eccitato dalla possibilità che lei davvero lo tema. Hermione punta i suoi occhi nei suoi, lapilli di fuoco che guizzano nel blu dell’iride di lui.

“Dovrei averne?” chiede lei, incrociando le braccia “Mi tieni qui prigioniera, cerchi di violare la mia mente… vuoi rubare la mia magia… e chissà che altro…”. Hermione tace il pericolo maggiore, quello che le si agita pericolosamente dentro, come un animale rivoltante. Gli occhi evitano di guardare il letto nell’angolo della stanza, ma comunque lo sguardo voglioso di Dimitri sembra suggerirle in ogni momento quanto bramerebbe trascinarla lì.

“Non devi avere paura…” sussurra Dimitri, facendo un altro passo e guardandola. Ormai è di fronte a lei, Hermione deve sollevare lo sguardo per riuscire a guardarlo negli occhi come si sta imponendo di continuare a fare. Il coraggio non le è mai mancato, né le mancherà nemmeno in punto di morte.

Dimitri, veloce, le prende il viso tra le mani, Hermione rabbrividisce al contatto con la sua pelle fredda. Lui ha quasi un tono di scusa sommessa negli occhi, si piega l’espressione di prostrazione mentre la guarda e, piano, c con tutta la lentezza del mondo, le accarezza il profilo morbido delle labbra con le dita. Hermione chiude gli occhi, concentra la sua mente sul bambino nella sua pancia, mette ogni energia nel ricordare che è il figlio di Draco. E’ il solo modo per non perdersi, per non cedere, per non cadere come una fortezza espugnata davanti a Dimitri.

“Tutto questo…” riprende Dimitri con un tono dismesso che non gli appartiene, mentre continua ad accarezzarle le labbra “E’ stato necessario… Hermione… piccola… tu… non volevi ascoltarmi… e ho dovuto… portarti qui…”. La sua voce, così diversa da quella che lei è abituata a sentire, le fa aprire bruscamente gli occhi e dischiudere le labbra, mentre lo guarda. Ha un’espressione diversa, concentrata, infinitamente… triste. La cosa strana è che sembra non guardarla neppure, sembra che lei nemmeno esista più. E’ come se fosse diventato una statua di sale, cosciente di sé stesso solo per il lento e meccanico movimento di accarezzarla.

Non si era immaginata così la cosa, Hermione. Si era immaginata violenza, avevo pensato subito che la gettasse su quel letto e la prendesse con la forza. Hermione sente dalla tensione del corpo di lui che la vuole ancora, che la desidera infinitamente, eppure se ne sta fermo, immobile. La accarezza e basta, profondamente perso nei suoi pensieri.

Quando sente la voce di Helder nella testa che la esorta a continuare qualsiasi cosa stia facendo, dato che l’Incantesimo a difesa delle mura si sta indebolendo, Hermione respira a fondo e sussurra con un filo di voce: “Cosa, non volevo ascoltare?”.

La domanda le esce dalle labbra quasi come se stesse sognando, come se non fosse più cosciente di sé stessa. Fissa gli occhi blu di Dimitri e formula quella domanda: non vuole soltanto prendere tempo, ma vuole capire. Perché effettivamente sente che qualsiasi cosa spinga Dimitri verso di lei… curiosamente con lei non c’entra nulla. È strano, non saprebbe spiegarlo.

Dimitri sorride, ha un sorriso storto e curvo, che non arriva agli occhi. Sono come bloccati quegli occhi, persi in una stasi tutta loro. Bisbiglia a mezza bocca, ancora con quel tono timido che non gli ha mai sentito: “Non mi hai mai voluto ascoltare… mai… sin da quel giorno quando…”, le sue parole sono sconnesse, frammentate, deliranti “… te l’ho detto tante volte… mi avresti dovuto aspettare… ma tu invece… hai dovuto cedere a lui, certo, ovvio…”. Le mani di Dimitri sul suo viso tremano, Hermione ci distingue rabbia ed impotenza e si pente di aver fatto quella domanda. Ha riportato alla mente di Dimitri il ricordo di Draco…. e lei non vuole, vuole lasciarlo fuori da questa stanza. Da questo momento che è fatto solo per salvarli entrambi. Cerca di recuperare quel filo sottile che si sta rompendo con Dimitri, inconsciamente poggia una mano su quella che lui le tiene ancora poggiata sul viso. Dimitri sbatte le palpebre, sembra svegliarsi da un incubo tutto suo, la fronte si imperla di sudore. Gli occhi si riverberano di nuovo di luce, la mascella si indurisce, mentre Hermione lascia cadere la mano.

“Non hai mai voluto ascoltare la verità, Hermione…” sussurra di nuovo Dimitri suadente, tornato in sé, guardandola ancora con l’espressione del gatto che aspetta di mangiarsi il topolino bloccato tra i suoi artigli “E la verità è questa… è sempre stata questa: tu mi appartieni. Sei il solo modo per cui tutto… tutto… vada a posto… mi sei stata mandata perché io possa riparare a tutti i miei sbagli ed errori… e io non ti lascerò mai andare… mai più… devo tenerti qui, affinché tu non vada via… fino a quando… non capirai… e sarai tu a non voler andare mai più via, da qui…”. È cambiato, è tornato sé stesso. Hermione sente di nuovo la schiena rabbrividire al contatto con quegli occhi ghiacciati.

“Sono bravo a giocare con la mente…” mormora roco, avvicinando il viso di Hermione al suo, lei chiude repentinamente gli occhi, il cuore che le batte forte, mentre ogni possibilità di fuga le si palesa davanti agli occhi come impossibile, almeno fino a quando Helder non le darà il segnale. Dimitri continua a bisbigliare, la voce sempre più bassa e flebile, Hermione ne sente il respiro sul viso: “Sono sempre stato bravo a giocare con la mente delle persone… ma stavolta niente trucchi… è il tuo vero sapore che voglio sentire… non quello che mi suggerisce la mia mente…”.

Ad un soffio dalle sue labbra, mentre Hermione sente le lacrime scenderle lungo il viso e le forze abbandonarla, Dimitri aggiunge divertito: “Vediamo di togliere anche questo a Draco Malfoy…”.

Hermione trasale, il suo corpo è diventato il campo di battaglia tra Dimitri e Draco… e non riesce nemmeno a sopportarne il pensiero. Il lampo di trionfo che legge negli occhi di Dimitri, con l’effetto lacerante di strapparle di dosso orgoglio e dignità, la tormenterà per anni, sarà il motivo maggiore per cui lo odierà, per cui non cesserà di volerlo vedere morto anche quando lui già non ci sarà più. Lei e l’orgoglio sono sempre stati una sola cosa, tolto il secondo, sostanzialmente lei non esiste più.

La mano di Dimitri, che era poggiata sul suo viso, scivola sulla nuca di Hermione nel tentativo di renderla più arrendevole, facendole reclinare lievemente la testa all’indietro, mentre rapace le chiude le labbra con le proprie, stringendola con il braccio libero attorno alla vita. Le labbra di Dimitri sono gelide sulle sue, si nutrono avare del suo sapore, muovendosi febbrili, cercando di acquistarne calore, rubandole la memoria del gusto di Draco. E’ un bacio prepotente, che deve costringere Hermione immobile per poter esistere, è un bacio al sapore di limone che la ragazza non dimenticherà mai più. Sa che è impossibile, sa che è ancora presto, sa che è solo una sensazione, ma il disgusto che sente si traduce in un rantolo al ventre, che le fa credere che persino il bambino si stia rivoltando in fondo al suo addome. È al bambino che Hermione si aggrappa con tutte le sue forze, se può proteggere la sua magia, impedire che Dimitri gliela porti via… può proteggerla anche da questo. Si ricorda di quando Draco, la sera del loro primo bacio al Petite Peste, la soccorse ferita a causa della maledizione di Voldemort… e mentre lei inorridiva per la visione del mostro che la violentava, Draco la salvò anche in quel senso, distruggendone l’ombra.

“Se sei suo figlio… se sei davvero il figlio di Draco… ti prego, salvami anche da questo…”. La preghiera si forma nella sua testa, mentre sente le mani di Dimitri scorrere sulla sua schiena, lasciata nuda dal vestito. E il figlio di Draco, quello che Hermione ancora non chiama suo figlio,  sembra ascoltarla.

Hermione sente una punta di calore fortissimo al basso ventre, che la induce quasi a scoppiare a piangere, mentre rabbrividisce per il contrasto con la pelle gelida di Dimitri che continua a stringerla. Riapre gli occhi, trova la luna che splende nel cielo fuori dalla finestra, rendendo tutto bagnato d’argento. La luna… gli occhi di Draco. Ed è un attimo prima che il desiderio di tornare da lui, faccia il resto… ed è un attimo prima che ritorni fredda.

La finestra… lei deve scappare da lì… ma Dimitri la riprenderà in fretta. Sospirando languidamente nella bocca di Dimitri, che sorride compiaciuto, si rende conto della sua bacchetta che pende dalla tasca dei pantaloni.

Hermione sospira più pesantemente, finge un sussulto delle membra come se d’improvviso volesse smettere di lottare, come se d’improvviso una passione incontestabile l’abbia accecata, come se non fosse più in grado di controllarsi e di trattenersi.

Come se Dimitri avesse alla fine vinto.

Si solleva in punta di piedi, portandosi più vicina a lui, gli cinge il collo con le braccia e dischiude le labbra prima serrate al bacio di Dimitri. Lui sembra trasalire per un attimo, ma il senso di potenza e di trionfo lo acceca completamente, mentre spinge il suo corpo contro quello di Hermione. La ragazza, senza più esitazione, ascoltando solo l’anelito della sua sopravvivenza e di quella del suo bambino, si scollega completamente da sé stessa. Le sue dita stringono voluttuosamente i capelli di Dimitri, facendoli persino male, in un impeto di odio feroce che confonde con una finta vogliosità che lui fraintende appieno. Lui ride persino, entusiasta, eccitato come non mai, quando Hermione gli morde il labbro inferiore con i denti. Il sangue di lui le scivola in gola, irritandole la faringe, e lei fa di tutto per non tossire, per non interrompere la recita. Lo spinge con tutta la forza che le è rimasta in corpo verso il letto, Dimitri inizia a giocare con le spalline del suo vestito, scende lungo il suo collo.

Con la visuale momentaneamente libera, le dita sempre nei capelli di Dimitri, la testa lievemente chinata all’indietro, Hermione calcola mentalmente quanto separa il letto dalla finestra. Poco. Molto poco. Di meno, che se rimane qui in piedi.

“La resistenza delle Mura è caduta…” bisbiglia improvvisamente Helder nella sua testa, Hermione chiude gli occhi come ad escludere dalla sua mente le immagini di quanto sta accadendo perché Helder non le veda “Stiamo portando fuori il ragazzo… appena ti do il segnale… puoi agire… useremo un Levicorpus da cinque bacchette diverse…”. Hermione annuisce, ha bisogno ancora di tempo, deve muoversi.

Dimitri continua a baciarle il collo, fino alla linea delle spalle e alla clavicola, scendendo lungo il seno, mentre sposta con la mano lo scollo del vestito. Hermione, senza esitare, gli solleva il viso, lo bacia furiosamente sulle labbra, lo morde ancora, con più forza di quanto non abbia fatto prima. Lui continua a sorridere, il sapore del sangue tra le loro labbra ha il sapore per entrambi della vittoria. Solo quello di uno dei due, si rivelerà essere quello autentica, tra pochi minuti.

Sospingendolo con tutto il peso del corpo, Hermione guida Dimitri al letto, lui ricade all’indietro, trascinandola. Hermione sale a cavalcioni su di lui, non lo guarda nemmeno in viso, si è trasformata in una marionetta scarlatta che sta solo recitando una parte. Non è mai stata così, con nessuno. Perché adesso non è più lei. Se Dimitri conoscesse ed amasse la vera Hermione Granger, saprebbe che lei adesso non è minimamente somigliante a sé stessa.

Hermione ha fatto l’amore con Draco per dieci giorni, al punto da generare un figlio, e l’ha fatto in un modo timido, dolce, intenso. Ogni volta, ha quasi pianto, non ha mai abbandonato i suoi occhi grigi, ha sempre sorriso quando lui la guardava. Si è sempre scusata per tutto, si è sempre preoccupata di fargli male, non ha mai chiesto o preteso nulla, ha sempre dato tanto. E Draco che l’amava come non ha mai amato niente, le ha sempre dato in cambio tutto quello che lei meritava.

Adesso, Hermione non guarda nemmeno Dimitri, gli fa volutamente del male, ha le labbra serrate e chiuse, è violentemente aggressiva, sembra solo rispettare una meccanica del sesso che ha la gestualità di un film di bassa categoria e nulla dell’amore.

Non sapeva di esserne in grado, Hermione, non sapeva di poterlo fare. Eppure, mentre gli sbottona con malagrazia la camicia e scende a baciargli il petto, si rende conto che questo è quello che intendeva Hayden con “prendersi tutto di lei”. Ha preso anche il suo modo goffo e timido di fare l’amore. La pelle di Dimitri, che intanto geme, gli occhi chiusi, la testa poggiata sul cuscino, si bagna delle lacrime di lei. Lui nemmeno si accorge, così come non si accorge della mano di Hermione che, scendendo lungo i suoi fianchi, sfila la bacchetta dalla sua tasca, per poi allontanarla con un piede.

Dimitri, offuscato ed annebbiato dal desiderio, troppo preso dalla donna che lo ha rifiutato per settimane e che ora è inaspettatamente sua in un modo che non avrebbe mai concepito come possibile, la lascia fare, le lascia condurre il gioco. Ed è lì che commette l’errore più grande della sua vita. Ma chi non ha mai conosciuto la differenza tra fare l’amore con una persona che si ama, e farlo con chi invece non ti ama affatto, difficilmente potrebbe rendersi conto di qualcosa nella nebbia del piacere.

“Ci siamo Hermione…!” urla trafelata Helder nella sua testa, Hermione si solleva come se fosse stata attraversata da una scarica elettrica. Dimitri, di primo acchito, non se ne accorge, alza il viso, restando supino. La guarda con gli occhi annebbiati e rimane sconvolto, quando la vede alzarsi dal letto, correre verso la finestra e sedersi sul davanzale con le gambe penzoloni nel vuoto. Dimitri sgrana gli occhi, ancora troppo confuso, poi pensa che voglia suicidarsi, pensa che improvvisamente le sia tornata voglia di farla finita. Ma sa che non lo farebbe, tiene ancora il babbano prigioniero, è anche incinta di Malfoy… poi Hermione, lievemente rischiarata dalla luce della luna, ancora seduta sul davanzale, si volta di tre quarti e sorride.

Gli dice solo: “Hai avuto anche troppo da me, Karkaroff… e me lo riprenderò con gli interessi quando ci rivedremo… quello che hai avuto… sarà la sola cosa che hai avuto di me… tutto quello che mi resta… sarà di nuovo di Draco, molto presto…”.

Dimitri non capisce, si alza in piedi, ma lei si è già gettata nel vuoto. Corre alla finestra, disperato, sporgendosi dal davanzale.

Auror. Decine di Auror. Tutti attorno al castello. Le bacchette puntate contro la sua finestra. Non lo preoccupano, anche se distingue nel nitore lieve della luna, che hanno il babbano, lo conducono via dalle sue segrete.

La sola cosa che vede è il corpo di Hermione, lo stesso corpo caldo e profumato di vaniglia che aveva fino a poco prima tra le braccia, che libra leggero, ormai a soli pochi metri dal suolo.

Libera.

Accecato dalla rabbia, come se non vedesse più nulla, cerca la bacchetta mentre ulula come un lupo alla luna di rabbioso dolore. Non la trova, prende a calci la poltrona, intravede la bacchetta sotto il letto. La afferra, corre al davanzale, alla cieca la punta contro la folla radunata lì sotto. La punta contro l’ombra scura che è la donna, di cui ancora il suo sangue ribolle nelle vene. Un raggio di luce rossa riesce dall’alto a cadere come un fulmine, schivando tutti i Protego degli Auror.

Il colpo raggiunge Hermione a soli tre metri dal suolo, quando già, sorridendo, stava allungando una mano verso Harry.

L’amico la vede sbarrare gli occhi, colpita alle spalle, e rovinare giù, senza che nessuno riesca ad impedirlo, come un involto di stracci vecchi.

Hermione cade al suolo, batte violentemente la testa, sente immediatamente il sangue scivolarle lungo il collo.

Vede il cielo e la luna prima di perdere i sensi.

Si porta gli occhi di Draco nel buio.

 

I miei amici continuano a parlare, mentre gli ultimi pezzi dei miei ricordi lasciano la mia mente. Ricordo tutto di quel folle volo disperato, il momento in cui avevo sentito la maledizione colpirmi alla schiena, lo sguardo affranto di Harry, quello impotente di Ron, quello sconvolto di Hayden. E ricordo perfettamente l’impatto con il suolo, la sensazione che la testa mi si spaccasse in due, la luce della luna che si faceva sempre più fioca, le voci attorno a me e le urla degli Incantesimi che si facevano sempre più flebili, giungendomi quasi da una cortina spessa di fumo.

Quando ripresi i sensi, ricordo solo il calore del sole che mi ispirò curiosamente a piangere. Non era il sole dell’estate, era un sole già più sbiadito, già meno intenso.

E soprattutto non era il mio di sole, quello dell’Inghilterra. Era un sole che comunque conoscevo, ma che avevo dimenticato da anni, forse persino decenni.

Era il sole dell’Italia, era il sole della casa dei miei nonni in Sicilia. E ciò, se già non fosse abbastanza, era comunque qualcosa di poco rispetto al resto.

Era il sole del mese di ottobre.

Erano passati tre mesi dalla notte di inizio luglio, in cui ero riuscita a scappare dal castello di Dimitri.

Ero rimasta in coma tre mesi. 103 giorni e 15 ore, per la precisione.

Tre mesi in cui la vita era andata avanti lo stesso, in cui si erano dovute prendere delle decisioni, in cui i miei amici avevano dovuto decidere per me.

Ed ovviamente lo avevano fatto, senza esitazione.

Quella notte, Dimitri era riuscito a scappare dagli Auror, dopo aver resistito per quasi un’ora agli attacchi assieme ad Astoria, Pucey e Montague. Era praticamente scomparso, nessuno era riuscito più a trovarlo, era vissuto per anni in una zona borderline tra il legale e l’illegale, una zona grigia dove chiunque li avrebbe dato protezione. Una zona che era composta da tutti coloro che rifiutavano apertamente l’autorità costituita, come ex Mangiamorte, delinquenti comuni, reietti. Dimitri sparì come una nebbia di vento.

Ovviamente, però, non era assolutamente sparita la minaccia che poteva rappresentare nei miei confronti: i miei amici fecero la sola cosa sensata che gli venne in mente. Nascondermi. In Italia.

Nessuno sapeva della casa dei miei nonni, l’Italia era sicura perché le Passaporte internazionali erano poche e ben controllate ed anche usando i mezzi di trasporto babbani, ammesso che qualcuno sapesse che potevo nascondermi lì, la cosa sarebbe stata complicata. La casa dei miei nonni era sulla piccola Isola di Favignana. E lì si poteva arrivare solo con l’aliscafo. Ovviamente sempre controllato. Ed ammesso che qualcuno fosse arrivato, era stata mandata a vivere con me la migliore delle Empatiche: Helder.

Mi diceva spesso che aveva scolpito come nella pietra, ciò che Dimitri aveva provato quella notte. Lo avrebbe sentito appena si fosse avvicinato anche solo alla Sicilia.

A vivere con me, fu mandato anche Hayden. Non ci fu nulla da fare, Hayden non camminò più. Rimase sulla sedia a rotelle. Mandare anche a lui in Italia, era una premura forse eccessiva, ma Harry aveva avuto notevoli grane con il Primo Ministro inglese per tutta la faccenda. E quindi anche Hayden fu racchiuso nel programma di protezione, anche se non aveva tutte le limitazioni negli spostamenti che avevo io. Poteva anche viaggiare, uscire da Favignana per qualche giorno, e sostanzialmente riprese la sua solita vita. Lui lavorava in Italia, prima di conoscere me.

Quindi alla fine ritornò ai suoi studi. Dopo un anno circa, gli fu concesso di trasferirsi da Favignana a Palermo, dove vive tutt’ora.

Hayden, straordinario come sempre era stato, si adattò persino alla sua condizione di disabile, riuscendo a recuperare velocemente il sorriso. Era felice di essere vivo, era felice di essere tornato in Italia, era felice anche di aver conosciuto il mondo della Magia. È arrivato persino a scherzare sul mio senso di colpa. È una persona meravigliosa, non c’è altro da dire.

Così meravigliosa che, l’anno scorso, Helder mi ha confessato di essersi innamorata di lui. Ricambiata. Si sposeranno l’anno prossimo.

Ovviamente tutto quello che di bello poteva ancora accadere nella mia vita, era lontano mille anni luce da me quando mi svegliai in Sicilia tre mesi dopo la mia fuga. Nonostante tutto quello che era successo e nonostante un tentativo di aborto spontaneo che avevo avuto nel coma, mio figlio era sopravvissuto ed aveva preso pieno possesso del mio corpo. Avevo già una piccola pancia.

Ma non me ne accorsi per nulla, nemmeno mi resi conto che ero ancora incinta. A ripensarci, nei primi mesi, sono stata la più sciagurata delle madri.

Ero stata prigioniera in un castello per giorni, mi ero gettata da un’altezza di una trentina di metri, avevo riportato una trauma celebrale serio, ero stata in coma tre mesi, e nemmeno mi ero preoccupata di mio figlio quando mi ero risvegliata. Ma insomma, adesso compenso con un’iperprotettività da dieci e lode nei confronti di Alex… quindi insomma credo di essere perdonata.

Svegliandomi, trovando Harry, Ron ed Helder che iniziarono a raccontarmi della notte della fuga e della faccenda con Lavanda… io riuscii solo a pensare ad una cosa.

 

“Harry, basta!” la voce, che non è  nemmeno più abituata ad usare, vibra d’improvviso così tonante che lei stessa se ne stupisce. Rimbalza sulle pareti, colpisce l’amico al centro esatto del petto, marginalmente striscia anche su Helder e Ron. La guardano tutti e tre sconvolti, mentre Hermione riprende fiato, una mano sul petto, mentre il torace si alza ed abbassa velocemente. Inconsciamente, come si è accorta di fare spesso da quando ha ripreso i sensi, si porta una mano al basso ventre, sulla pancia che è lievemente cresciuta. Quando se ne accorge, stacca la mano dal tessuto del lenzuolo come se scottasse.

Per qualche minuto, nella stanza bianca dell’ospedale italiano dove si trova, non si sente altro che il ronzare delle macchine che sono collegate ad Hermione, il bip intermittente che rappresenta il suo cuore, che adesso segna un numero altissimo di pulsazioni. Quando il cuore di Hermione si calma, si aggiunge il gocciolio della flebo, che, attaccata al braccio della ragazza, continua a sversarle nel sangue nutrimento e linfa. Il vento, dalla finestra aperta, soffia dolce l’odore dei gelsomini e della menta selvatica che crescono nei giardini dell’ospedale, e che è stato la prima cosa che Hermione ha sentito al risveglio.

Quando, però, qualche minuto prima, mentre Harry raccontava della notte della fuga dal castello di Dimitri e del suo incidente, era spirato nella stanza anche un lieve odore di rose, Hermione ha sentito improvvisamente il sangue andarle alla testa.

E non ha capito più niente.

I ragionamenti lenti, che fa da quando si è svegliata in quel letto tre mesi dopo la fuga da Dimitri, sono diventati improvvisamente febbrili, rapidi, veloci, come saette in un fortunale estivo. Il respiro le ha gonfiato il petto dolorosamente, spingendola ad ansimare alla ricerca d’ossigeno. Ha iniziato a sudare freddo, ha sentito il cuore in bocca, ha avvertito dei capogiri colpirla con precisione clinica, anche se è seduta sul letto. E quando quel malessere, si è tradotto in un nome formato dalla sua mente, ha urlato con tutta la forza che ha in gola.

Il nome, come sempre, è Draco.

È sveglia da una ventina di giorni, giorni in cui per la maggior parte del tempo, ha fatto fatica a mettere assieme i più basilari dei concetti. Tutto le sfugge via, come acqua tra le dita, la sua testa è ingombra di una poltiglia sabbiosa che le impedisce di connettere. Le hanno detto i medici che è normale, è reduce da un forte trauma cranico. Ci manca solo che non sia in quelle condizioni… tende a riaddormentarsi spesso, a confondere realtà e sogno, a perdere immediatamente attenzione.

Nei momenti in cui il suo cervello riesce a conquistare un po’ di lucidità, ha capito che si trova in Italia e che miracolosamente il bambino che portava in grembo, vive ancora. Ma glielo hanno detto i medici, ovviamente in un italiano siculo che le ha ricordato i tempi delle sue vacanze infantili a casa di sua nonna Cathy. Quella mattina è la prima in cui vede i suoi amici, dopo che, nei giorni precedenti, solo sua mamma e suo papà le sono stati vicini.

Le hanno detto che sono volati lì dalla Toscana, tre mesi prima, non appena sono stati avvisati da Harry del suo incidente. E non se ne sono più andati.

E subdola, l’informazione che sono passati tre mesi dalla fuga, le è scivolata nella memoria, impantanandosi nella palude che è ormai la sua testa. Tutto, dalle cose più piccole a quelle più grandi, assume la consistenza di bolle di sapone, quando entra in contatto con lei. Vengono soffiate le informazioni nel suo cervello, e rimangono a galleggiare come se fossero inconsistenti. È come se si fosse rotto del tutto il meccanismo che le consente di dare peso alle cose.

Poi, lentamente, i sensi hanno iniziato nuovamente a funzionare, soprattutto quello della vista che era sempre annebbiata. Ha ripreso a parlare, fiocamente, come se la voce non le appartenesse. Ha iniziato a mangiare, poco, dato che ogni cosa le dà la nausea. I momenti di coscienza si sono fatti sempre più frequenti, fino al riaffiorare dei primi ricordi della prigionia e della notte della fuga. Mentre il suo cervello recupera le forze, tutto ciò che goffamente ha saputo e tutto ciò che, invece, ancora non sa conosce una forza di gravità più importante, che fa rimanere attaccati i ragionamenti. E, mentre va a ritroso con i pensieri, improvvisamente diviene necessario anche avere spiegazioni e chiarimenti.

E, così, finalmente è stato dato ai suoi amici il permesso di vederla e di raccontarle quello che è accaduto da quella notte: la fuga, l’attacco al castello di Dimitri, la sua rovinosa caduta, il trauma cranico, l’arrivo in Italia assieme ad Hayden. Il coma, che era parso subito grave. La verifica che non aveva riportato danni seri, ma l’impossibilità di fare previsioni sul momento in cui si sarebbe svegliata. Il tempo dell’estate che lasciava il posto alla fragranza dorata dell’autunno mediterraneo.

E il giorno, in cui ha riaperto gli occhi.

Hermione, però, si è accorta subito di due cose fondamentali. Nessuno parla del suo futuro, sembra tutto galleggiare nella dimensione presente che ha il colore asettico di quell’ospedale. È come se lì fosse nata e lì dovesse restare. Dopo averla aggiornata brevemente su quei tre mesi, Harry e Ron iniziano a raccontare di vecchie storie, di aneddoti scolastici, di episodi della guerra, come se siano in grado di parlare del passato solo se remoto.

Ma lei, Hermione, ha tutto un passato prossimo che non si può cancellare: e lì si accorge quasi in modo fulmineo, del secondo particolare.

Nessuno, nemmeno i suoi, ha parlato della sua gravidanza. Lo hanno fatto solo i medici: solo loro, quando la visitano, le danno notizie del bambino. Le infermiere lo chiamano “il piccolo guerriero”, perché, nonostante lei fosse in coma e nonostante avesse avuto quella tremenda caduta, si è aggrappato alla vita con le unghie e con i denti. Ed Hermione, in un modo confuso ed inspiegabile, sa anche che la “miracolosa e rapida guarigione” che sta avendo, dopo un coma così lungo, è collegata a doppio filo a quell’ugualmente prodigiosa voglia di vivere che ha avuto il bambino. Nei mesi, negli anni dopo, Hermione si sarebbe spiegata quel miracolo con la connessione straordinaria che lei e suo figlio avevano avuto fin dal primo momento. Si erano aiutati quando lei doveva fuggire, e si erano aiutati durante quel sonno: Hermione aveva dato ogni sua energia, anche da incosciente, a suo figlio perché vivesse. Il bambino l’aveva ricompensata, proteggendola dal rischio di perdere del tutto la sua mente e il suo cervello. Ma allora, Hermione ancora non lo sa, è madre da soli quattro mesi di cui ben tre sono trascorsi da addormentata.

Ha una maggiore certezza di sé e del proprio bambino quando, quella stessa mattina, la ginecologa le dice che quasi sicuramente il bambino sarà un maschio.

Ed Hermione ha stretto il lenzuolo tra le dita e non ha detto nulla, perché improvvisamente quel agglomerato di cellule ha iniziato il percorso per diventare una persona. Non una persona qualsiasi… un bambino, un maschietto. Non è solo renderlo ancora più reale… è anche rendersi conto che ha sempre saputo di aspettare un maschio. È scoprire dimensioni del suo sentire, nuove, strane, irrazionali.

E vuole parlarne, vuole dirlo a qualcuno, vuole chiedere come si faccia a sapere che il proprio bambino sia un maschietto… si fa quelle domande, mentre Harry e Ron continuano a parlare, ridendo e scherzando, di fronte a lei che semplicemente annuisce. Helder ride a sua volta, i suoi occhi sono azzurri come quelli di Ron, non guarda volutamente verso di lei e verso quello che sente.

Le domande diventano milioni, miliardi… ed arriva al punto che, con la stessa ancestrale certezza per cui sapeva che il bambino era maschio, sa anche che il bambino avrà gli occhi del padre. Dalla finestra, soffia l’odore delle rose.

Il padre… Draco.

E lì le scoppia tutto addosso… lì, improvvisamente, il pantano della sua mente si gela, acquistando la durezza del diamante. I suoi pensieri acquisiscono una chiarezza così accecante da farle chiedere dove fossero stati fino a quel momento. La sua mente recupera come d’incanto ogni memoria tattile, visiva, cognitiva ed affettiva. E il petto le si squarcia: sono passati tre mesi, lei ha solo dormito, il bambino è maschio e Draco non è lì.

Quella consapevolezza subitanea l’ha condotta ad urlare, strappandosi le corde vocali, pochi secondi prima, mentre Harry continuava a parlare e a ridere. Adesso, tutti la guardano preoccupati, Ron le si avvicina chiedendole come stia, accarezzandole lievemente il viso con due dita. Scuote il capo, dice che sta bene, poi improvvisamente decisa, proferisce: “Lo sapete che sono incinta? O nessuno ve l’ha detto?”. Ron si stacca da lei rapidamente, si ritrae e si chiude nelle spalle. Harry distoglie lo sguardo da lei e guarda con attenzione il pulviscolo dorato, che entra dalla finestra aperta. Solo Helder rimane immobile, gli occhi che diventano dello stesso colore dei suoi, e sospira.

Ovviamente, sanno tutto… ed ovviamente Helder, a cui lo ha detto la notte della fuga, ha capito che è giunto il momento della verità. Come ha promesso, mesi prima, non ha raccontato nulla ad Harry e Ron di lei e Draco.

Ron stringe i pugni e dice, la voce che gli trema: “Certo che lo sappiamo, ‘Mione… quel bastardo…”. Hermione spalanca gli occhi, rabbrividendo, lo guarda come si guarda un estraneo.

“B-bastardo?” blatera con voce fioca, improvvisamente colma di risentimento verso Helder che evidentemente ha raccontato tutto di Draco. Altro che mantenere la promessa. “Ch-che diamine vuoi dire?!”.

Harry si siede accanto a lei sul letto, scompigliandosi i capelli neri. Ha gli occhi cerchiati, colmi di dolore, le labbra nemmeno sembrarono muoversi mentre parla: “Mi dispiace, Herm… avrei voluto… avremmo voluto salvarti, prima che lui… ma lo troveremo, stai tranquilla… non ci scapperà per sempre… adesso che ti sei svegliata, io stesso andrò a guidare gli Auror che…”.

“Volevamo farti abortire…” lo interrompe Ron, pragmatico, Hermione sente la testa gelare, la mano che corre al ventre “… ma era giusto che decidessi tu… che sapessi tu… così dicevano i tuoi… è una tua decisione… e quell’abominio si è attaccato a te, come ha fatto quel bastardo del padre… e quindi…”.

“Basta!” Hermione si ritrova di nuovo ad urlare, le mani premute sulle orecchie, non è possibile. Sta sognando. Non c’è altra spiegazione.

La parola “abominio” le sconquassa il cervello, la sente scuotere i suoi nervi, la ferisce in decine di punti del suo corpo.

Sente gli occhi di Harry e Ron addosso, mentre continuano a guardarla addolorati, chiedendole che cosa abbia. Poi, tonante, la voce di Helder dice poche parole, che riportano il mondo sul suo asse. O perlomeno, quello di Hermione torna sul suo asse… quello di Harry inizia a muoversi confusamente, perdendo ogni legge di attrazione e di controllo. Quello di Ron si stacca del tutto, vagando in uno spazio vuoto.

“Ti avevo fatto una promessa, Hermione… e l’ho mantenuta…” dice Helder, stoica, gli occhi scintillanti del castano di quelli di Hermione “Pensano che il bambino sia di Karkaroff…”.

“Che cosa vuoi dire?!” chiede Ron, muovendosi verso Helder, rifiutando lo sguardo di Hermione. La sua voce trema vistosamente, le mani strette a pugno.

“Significa quello che ha detto…” replica Hermione, sospirando, iniziando a capire “Il bambino che aspetto… non è di Dimitri… con lui non è successo nulla in quel senso… non mi ha mai toccata…”. Prende ancora fiato, cercando di darsi coraggio, gli occhi di Harry e Ron che la guardano come se non la riconoscessero. Perché quello di Ron è lo sguardo che lei già riconosceva come troppo simile a quello che aveva avuto in passato, quello di quando stavano assieme. Stava sperando, aveva sperato di tornare con lei… ed ora capisce che non sarà  così. E lui non riconosce alcun Universo in cui Hermione semplicemente è innamorata di un altro, al punto da avere un figlio con lui.

Quello di Harry, invece, è lo sguardo doloroso di chi sa qualcosa di più, di chi improvvisamente trova un nome nella testa e lo associa a lei, non più con il pensiero che ci fosse lui dietro la sparizione della sua amica; ma con la medesima identica angoscia che comunque, in un modo diverso, se l’è comunque portata via.

“Ero prigioniera di Dimitri da dieci giorni, quando mi avete liberato…” spiega Hermione sommariamente, guardando il lenzuolo “Prima di allora… non ho sostenuto l’esame… e non sono mai stata ad Hogsmeade… ma l’ologramma che girava lì… e le carte che dimostravano che avessi sostenuto l’esame… non era opera di Dimitri… sono stata io… con Zabini e la Parkinson… e con…”. 

Harry diventa livido in viso, si lascia cadere su una sedia. Ron, non riuscendo ancora a capire, chiede: “Ti tenevano loro prigioniera? Zabini e la Parkinson? Che c’entrano loro? E quando ti hanno ceduto a Dimitri?!”.

Hermione nega con il capo, è tutto così maledettamente difficile, maledizione. Perché Harry non finisce al suo posto? Perché non lo fa Helder? Perché la lasciano da sola, a dare quel colpo a Ron? Non vuole farlo, nonostante quello che le ha fatto in passato… non vuole farlo. Una lacrima le cade lungo il viso, l’asciuga con il palmo. Adesso, ormai, non può più nascondersi dietro un dito.

“Ero a casa di Pansy… da circa un mese… quando mi ha rapita Dimitri…” sussurra con un filo di voce “E né lei, né Blaise c’entrano nulla con questa storia… ero lì di mia spontanea volontà… ed ero lì con il padre del bambino che porto in grembo…n-non mi ha costretta nessuno… io… sono innamorata di lui…”, respira, prende ancora tempo, non crede di farcela. Poi solleva lo sguardo, Ron ha comunque l’espressione spezzata, Harry comunque si porta le mani ai capelli, Helder si chiude comunque nelle spalle. Non ha più senso indugiare.

Non vuole più indugiare.

Gli occhi accesi, l’espressione seria, quasi di sfida, bisbiglia ferma: “Il padre di mio figlio… è Draco Malfoy… è di lui che sono innamorata…”.  Ron non reagisce, sbatte le palpebre un paio di volte, guarda a disagio prima Harry e poi Helder, poi torna a guardare lei, addolorato, sconvolto, ma al contempo con uno strano singulto di speranza negli occhi chiari. Hermione, la cui rivelazione le è costata cara, al punto che ogni lettera del nome di Draco le si è conficcata pesantemente nel petto, lo guarda senza capire, per un attimo convinta di non aver nemmeno parlato oppure di aver pensato una cosa, ed averne detta un’altra. La lanosità stopposa dei suoi pensieri la tradisce e sta quasi nuovamente per aprire bocca  per spiegare, quando Ron si avvicina, si siede sulla sponda del letto e la rassicura con vane parole vuote, trattandola come una pazza. E lì, Hermione capisce di nuovo: lui sa che Draco è morto, da anni, in un incidente con un drago, come tutti sanno nel Mondo della Magia per proteggere la sua nuova identità babbana. Pensa che sia impazzita. Hermione, prostrata, lascia cadere le braccia lungo i fianchi, non ce la fa a ricordare quei mesi. Non potrebbe nemmeno volendo, non può raccontare tutto dall’inizio, senza che ogni secondo di quel racconto la svuoti del tutto, senza che quel senso di urgenza che oramai conosce non la sopraffaccia del tutto. Tace, chiude gli occhi, piange a calde lacrime. Ron le accarezza il viso.

Harry, però, finalmente interviene, fa pochi passi, si ferma davanti a Ron. E parla, per una mezz’ora buona: racconta tutto quello che sa di Draco, del lavoro al Ministero, della scoperta dell’atroce morte di Narcissa e Lucius, della rinuncia alla protezione degli Auror, della morte di Helena ed Amos Diggory, dell’affidamento di Serenity Hope Diggory, dell’assunzione dell’identità di Danny Ryan. E, a quel punto, Harry si ferma a disagio, perché il viso di Ron, paonazzo, mostra che infine ha capito, infine ha collegato un pezzo importante. La sera del Tourquoise Party… Hermione abbigliata come una principessa… lui che andava a quella festa con Lavanda, Harry e Ginny, per vedere come se la cavava…

E l’avevano vista rimanere sconvolta nel vederli… quel passo indietro, come se avesse avuto una vertigine… e quel ragazzo dietro di lei, a cui si era appoggiata quasi naturalmente… lo sguardo che si erano scambiati… pensava fosse il suo capo, Danny Ryan. Ed invece era Draco Malfoy. Il padre del suo bambino.

È la fine del mondo… e non nel senso che Hermione in modo melodrammatico userebbe parlando amabilmente con un’amica dell’ultimo libro che ha comprato, o di un vestito che ha adocchiato in una vetrina.

È davvero la fine di un mondo, alla stregua di stelle che cadono sulla terra, di mari che si aprono e di terre che vengono inghiottite. Ricorderà poco di quei momenti, pochissimi particolari.

Ron che urla, Harry che va avanti ed indietro, Helder che cambia colore degli occhi ogni secondo. Lei che cerca di sovrastare le loro voci, che urla a sua volta, che piange. E che ripete il nome di Draco continuamente, come un talismano da puntare contro chi li vuole lontani. Quel momento avrà le fogge incartapecorite di un vecchio calendario appeso alla parete, bruciato dalla luce dell’estate. Per ben tre volte, il calendario aveva visto un’infermiera solerte arrivare e sbarrare i giorni del mese appena trascorso. E, adesso, restano intonsi solo i giorni che da ottobre conducono alla fine dell’anno, dei mesi precedenti Hermione non ha traccia nella memoria.

Mentre urla, grida, lascia sfuggire tutto quello che non ha mai detto prima ai suoi due amici di lei e Draco, Hermione guarda quel calendario e conta i giorni che l’hanno separata da lui. 103 giorni e 15 ore. Può  essere accaduto di tutto in quei giorni, di tutto. Dimitri può averlo trovato, può averlo ucciso, può aver ucciso Serenity e Seth. E lei se ne sta lì, a parlare con Harry e Ron di cose che, forse, non avrebbero mai davvero capito.

Ed allora avrebbe provato ad alzarsi da letto, avrebbe strepitato, dicendo che doveva andarsene, deve andare da Draco, lo deve raggiungere. Si sarebbe strappata la flebo dal braccio, sarebbe arrivata troppo lentamente alla porta ed avrebbe battuto i piedi quando l’avrebbero trattenuta, stringendola per le braccia. L’energia vitale di Draco esiste, le avrebbe risposto Helder, ma è troppo lontano per sentire dove sia.. Hermione le chiederà di tornare in Inghilterra, ma Harry le ordinerà di restare lì, perché è la sola in grado di sentire Dimitri e di proteggerla da lui.

Chiederà, quindi, ad Harry di cercarlo e lui, dopo settimane di silenzio astioso, lo farà, la accontenterà. Ma Draco Malfoy sembrerà davvero morto, per tutti. Blaise Zabini si sposerà con Daphne Greengrass e si trasferirà in Scozia. Dirà di non averlo più visto. Pansy Parkinson vivrà ormai in pianta stabile in Francia. Dirà di non averlo più visto. E i suoi amici babbani diranno a loro volta di non averlo più visto.

E allora Hermione si convincerà che spetta solo a lei cercarlo e trovarlo, non le interessa nulla della protezione, del piano di tenerla nascosta a Favignana, a casa dei suoi nonni. Non le interesserà nemmeno dell’obbligo di stare a letto per i successivi mesi, fino al termine della gravidanza, per non perdere il bambino che aspetta. Fuggirà, una notte, e la riprenderanno all’aeroporto. Sarà Ginny a trovarla, diventata intanto madre di James e chiamata in Italia come estremo aiuto.

La rimprovererà duramente, lei piangerà, capirà che deve attendere che il bambino nasca.

I nove mesi passeranno, veloci, rapidi, istillandole nel corpo goccia a goccia un sentimento nuovo e diverso, che tutto crea e tutto annulla: l’amore di madre. Sarà prima un senso di palpitante attesa, poi un’ansia continua ed infine un senso di completezza e di rassegnazione, che le prosciugheranno le intemperanze da innamorata. E ricorderà che il pericolo non è solo Dimitri, ma è anche Astoria. Lei vuole suo figlio, perché non è solo suo. È anche il figlio di Draco.

E lei deve proteggerlo, prima di ogni altra cosa al mondo.

Accetterà di sacrificare sé stessa, per suo figlio. Accetterà di attendere che Dimitri ed Astoria siano catturati, per poter tornare in Inghilterra. Accetterà che Draco la sappia lontana, senza sapere che cosa le è successo. Accetterà di restare in Italia e di vivere lì “come se non dovessi più tornare a casa”, come le dice Harry. E, pochi giorni prima della nascita di suo figlio, accetterà di firmare delle carte volutamente invalide che la designano come Hermione Jane Weasley.

Ron vorrà restare con lei in Italia. Userà la scusa che si sente in colpa perché è finita in questa storia per Lavanda.

Userà la scusa che vuole proteggerla, dato che ha ancora la condanna dell’interdizione alla magia sulle spalle per altri due anni.

Userà la scusa che vuole aiutarla con suo figlio.

Ma Hermione noterà subito che appella il bambino esclusivamente come suo figlio, non come figlio anche di Draco.

Eppure, Hermione accetterà, distrutta, anche quella commedia. Perché tanto Ron non l’avrà mai, perché è stato davvero generoso ad offrirsi di aiutarla, perché in fondo “potrebbe non tornare più a casa” e lei avrà bisogno di dare un padre a suo figlio.

Quando suo figlio nascerà, in una piovosa notte di febbraio, Hermione sentirà un nuovo rivolo di forza nascerle nel sangue. Perché il suo bambino ha gli stessi occhi di Draco.

E inizierà a sperare che quel filo reciso tra lei e Draco, lo possa tessere di nuovo il loro figlio.

Tra giorni di felicità e giorni di cupo sconforto, lei continuerà ad aspettare di tornare a casa. Dopo cinque anni, potrà farlo. Ed avrà in mente solo una cosa: cercare Draco.

Esattamente come quando si è svegliata, cinque anni prima.

Esattamente come sempre.

 

Vuoto: quell’aggettivo, nella mia testa, ha assunto un peso ossimorico per anni. Sebbene indichi la vacuità, in me è diventato greve come una tonnellata di piombo.

L’Empatia è una capacità ancora misteriosa e poco compresa, si basa sulle sensazioni e sui sentimenti, non esistono manuali e spiegazioni. Quindi Helder, spesso, non era in grado di darmi un’esauriente delucidazione su quello che lei sentiva a riguardo di Draco… però si è sempre sforzata di farmi capire, di illustrarmi tutto con la maggiore chiarezza possibile. È stata la sola che abbia condiviso pienamente tutto quello che ho provato e sentito in questi ultimi cinque anni. Con i miei genitori, tacevo, per loro non era il massimo sentirmi parlare del padre di mio figlio, sebbene adorino Alex come nulla al mondo. Però è sempre l’uomo che ha messo incinta la loro bambina e che non vive con lei, che non l’ha mai cercata per anni. E, sebbene ho sempre avuto il sospetto che Draco fosse stato volutamente allontanato da me, la conferma mi è arrivata solo ora, dai ricordi di Pansy. Quindi è chiaro che non potessi difenderlo così totalmente da non sembrare ai loro occhi solo la disperata donna innamorata che sono. Con Ron, tacevo ovviamente per non ferirlo: ben presto, nella nostra vita pseudo-coniugale, avevo capito che era innamorato di me e che la sua era solo una strategia per tornare assieme in qualche modo. Ai tempi, ero stanca, devastata, distrutta, ed avevo accettato il suo aiuto senza riflettere e senza peraltro un pieno quadro della situazione. Ero certa, in breve, che Ron mi aiutasse solo per amicizia e solo perché si sentiva in colpa per Lavanda, o anche perché diffidava profondamente di Draco e voleva, a suo modo, proteggermi. Ma poi, ovviamente, con il tempo la cosa era venuta a galla e, quando avevo iniziato a convivere con la nostra situazione, avevo riconsiderato tutto, compreso il suo coinvolgimento.

Se non fossi stata così debole, al momento della nascita di Alex, probabilmente non avrei mai accettato il suo aiuto.

Gli avrei chiesto immediatamente di tornare in Inghilterra, lasciandomi da sola.

Ma, appena era nato mio figlio, tutto aveva subito un brusco cambio di prospettiva: contava Alex soltanto.

E, per proteggerlo, avrei accettato anche l’aiuto di Voldemort.

Ovviamente, quindi, con Ron non potevo parlare. Ci mancava anche sottoporlo ai miei problemi sentimentali.

Con Hayden, sebbene i suoi sentimenti per me fossero un ricordo e sebbene avessimo condiviso l’esperienza straziante della prigionia, non sono riuscita a parlare o anche solo a guardarlo per mesi. Era costretto su una sedia a rotelle per colpa mia… ed anche in quel caso, figuriamoci se avrei mai potuto lamentarmi del mio amore infelice con lui.

La sola che restava era ovviamente Helder, che è stata mia amica in un senso così profondo che non avrei mai potuto ritenerlo possibile. Lei aveva amato un Mangiamorte, sapeva che si prova, c’era stata quando avevo creato lo Zahir, era la sola a sapere di questo, senza contare che sapeva anche di Helena e di Draco ed Adamar. Ed era un’Empatica, spesso non c’era bisogno che parlassi, mi avvertiva triste o nervosa, o esasperata, e mi veniva volutamente a cercare. Non so che avrei fatto senza di lei.

E, sempre, sempre… dal giorno in cui ero felicissima e speranzosa, a quello in cui sprofondavo nell’angoscia e nel terrore… ogni giorno… io le ho fatto la stessa domanda.

Riesci a sentire Draco?

E lei ha sempre negato, scuotendo i capelli castani e dandomi un buffetto sulla guancia.

Gli Empatici riescono a sentire le emozioni, ma per ovvi motivi esse sono amplificate qualora si trovino materialmente vicini alla fonte del sentimento o dell’emozione. Se riescono a captare delle emozioni a grande distanza, ciò è dovuto alla presenza di un fortissimo sentimento: Draco non provava nulla di così forte da essere sentito da lei, dall’Italia. E ciò lei se lo spiegava, da quella che era stata l’ultima sensazione di lui che aveva avuto in Inghilterra e per la quale non era riuscita nemmeno allora a localizzarlo: era vuoto, appunto. Provava sentimenti ed emozioni evanescenti, che non mettevano radici dentro di lui, come invece per esempio aveva fatto l’amore che avevamo condiviso per quei indimenticabili dieci giorni e che era stato così forte da essere percepito distintamente anche lontanissimo da noi. Quindi, Helder non riusciva a sentirlo. Una volta, una notte che ero particolarmente triste e sconvolta, mi aveva anche concesso di tornare per poche ore in Inghilterra, inventando una scusa con Harry, che aveva prontamente mandato a difendermi un plotone di Auror. Helder era andata in giro per Londra e per molte altre città, cercandolo, sperando che provasse qualcosa che lo facesse sentire da lei. Ma nulla… niente. Continuava ad essere vuoto. Non c’entrava, quindi, solo la distanza. Era davvero impossibile sentirlo.

Le avevo chiesto di spiegarmi, quindi, come facesse a sentire che fosse ancora vivo e che vita poteva fare se non provava nulla di così forte. E lei mi aveva risposto lapidaria che era vivo, perché in un confuso modo sentiva la sua forza vitale, ma non sapeva dove fosse. Mi aveva fatto l’esempio di una stanza piena di gente che parla a gran voce, dove si riconosce una voce che si conosce ma a causa del frastuono e della tenuità della voce conosciuta, non si capisce da dove essa provenga, se si usa solo l’udito. E, in quanto alla vita che faceva, Helder era stata ugualmente telegrafica: “Potrebbe vivere in qualsiasi modo Hermione… quello che so è semplicemente che non prova nulla di forte… sia in positivo che in negativo… ma non c’è nulla di così strano o assurdo… semplicemente potrebbe essere come una dei milioni di persone che vivono su questa terra e che non provano mai nulla di così forte da poter esser percepito a distanza… il vostro amore è stato raro per noi Empatici, te l’ho detto… non credere che sia così comune sentire una persona a distanza… e se quel giorno, ho sentito la tua disperazione nel castello di Dimitri, è stato indirettamente per lo stesso motivo… era sempre collegato al perdere Draco, al perdere quell’amore… ma invece Draco, che non ha fatto altro che perdere persone da quando è nato… lui semplicemente si è svuotato del poco che gli era rimasto… per questo, allora non l’ho sentito, non ho sentito dolore o disperazione… quando deve averti persa, la sua parte più profonda, quella che sentiamo noi Empatici, credo che fosse rassegnata, credo che semplicemente abbia sempre pensato in fondo a sé stesso che era un errore averti per sé. Non significa non soffrire, ovviamente, significa più realisticamente non concedersi di soffrire… e per questo, adesso, probabilmente continua a non permettere a sé stesso di provare nulla di forte… potrebbe persino essersi sposato, ma non amare sua moglie come amava te…”.

Quindi, sostanzialmente, Helder per anni mi ha detto tutto. E non mi ha detto niente. Ciononostante le sue supposizioni si sono rivelate tutte esatte, considerando quanto mi ha mostrato Pansy riguardo all’inganno di Astoria: la mia fittizia me stessa ha detto a Draco tutto quello che lui temeva di sentire da me, quello che mi aveva urlato la sera che era tornato a casa di Pansy.

Dillo che ti odi per esserti innamorata di me… dillo, dannazione… ammettilo una santissima volta… sta tutto qui il punto. Non ti sei mai fidata di me e mai ti fiderai… ma sei innamorata di me… e questo ti uccide…

Ovviamente, non appena ho saputo che Raissa era andata via con Draco, il mio primo pensiero è stato quello di trovare lui, cercando lei. Ma trovarla con l’Empatia è impossibile: Helder me lo aveva già detto. Anni fa, le avevo chiesto di controllare i miei amici, per sapere se stavano tutti bene, se eventualmente Dimitri ed Astoria non si fossero vendicati di loro come era accaduto con Hayden. Era un eccesso di zelo, ero convinta che Harry avesse già predisposto tutto, ma dopo Hayden, non me la sentivo di rischiare. Ed inoltre, dato che avevo preservato il segreto sullo Zahir per proteggere Helder stessa, non avevo parlato del coinvolgimento di Raissa. Quindi, avevo chiesto ad Helder di controllare soprattutto che lei stesse bene, che almeno fosse viva. Helder mi aveva assicurato che era viva, ma anche nel suo caso, come per Draco, non provava nulla di sufficientemente forte da essere sentito. Quindi, non poteva essere rintracciata. Ovviamente allora mi era bastato sapere che fosse viva. Helder, però, mi aveva detto chiaramente che difficilmente avrebbe sentito Raissa, anche se avesse provato qualche cosa di molto forte, a meno che non le fosse stata vicinissima. Curiosa come sempre, le avevo chiesto il perché e lei, nervosamente, mi aveva rivelato di averlo scoperto con Dimitri. Le persone che hanno vinto una prova con Adamar, sono cieche all’Empatia. Lei credeva che sia perché perdono parte della loro umanità, e quindi della capacità di provare sentimenti. Se ne era accorta con Dimitri, appunto: Helder era dovuta arrivare praticamente fuori dal suo castello per sentire qualcosa di lui, che si era rivelato per lei così negativo e disgustoso da farle chiedere come mai non lo avesse sentito prima, a maggiore distanza.

“E come farai a sentirlo se arriva qui, scusa?” le avevo allora chiesto una sera, mettendo a letto Alex, la luna che compariva nel cielo terso della Sicilia “Harry ti ha fatto stare qui perché crede che tu lo sentirai anche a distanza…”.

“Una volta che senti una sensazione così negativa e così particolare… ti si attacca addosso… ne sentissi anche un eco indistinto… me ne accorgerei subito…” mi aveva risposto laconica.

Quindi, per trovare Raissa… mi restano solo i metodi tradizionali. È la sola cosa a cui posso aggrapparmi per trovare Draco.

Una parte di me, nemmeno tanto piccola, ovviamente sa che trovare Raissa e scoprire che è ancora con Draco, anche adesso che Dimitri è morto, significa probabilmente anche scoprire che stanno assieme. Ma in ogni caso, sebbene mi si geli il cuore al pensiero, nulla cambia le mie volizioni. Io, Draco lo devo trovare ad ogni costo.

Perché deve sapere che Raissa probabilmente collaborava con Dimitri, deve sapere che allora anche lei ci ha diviso. E se lei è estranea a tutto, devo sincerarmene da sola. Devo essere certa che lui e Serenity siano al sicuro con lei. Ovviamente devo trovarlo per Alex. Mio figlio si merita di conoscere suo padre. E me lo merito io.

Mi merito di raccontargli la verità, mi merito di dirgli che non ero io quella donna che gli ha spezzato il cuore quel giorno, mi merito di dirgli che io non mi sarei arresa, mai, con lui.

Mi merito di rivederlo, anche solo una volta. E, stupidamente, anche se sono passati cinque anni, mi merito di dirgli che lo amo ancora. E che non ho mai smesso di farlo.

E se non c’è più nulla che io possa fare per riaverlo… allora mi merito che me lo dica lui.

Dopo tutto quel carnevale di ricordi, la mia attenzione ritorna ai miei amici che non hanno mai smesso un secondo di parlare, elaborando teorie su Raissa e su come si potrebbe rintracciarla. Il mio contributo è stato minimo fino ad ora, me ne rendo conto, ma sinceramente non ho moltissime idee. E la cosa mi demoralizza in modo sconcertante. Raissa non aveva parenti, il suo solo contatto era Dimitri… e lui non c’è più. Ed amici… non so manco chi siano e se li avesse.

Improvvisamente Seth sobbalza e batte poco elegantemente le mani in segno di vittoria, urlando: “Ci sono!”. Lo guardo senza capire, se mi dice che sta pensando al giusto colore delle mèches che vuole farsi, giuro che lo appendo per le caviglie… Pansy e Dean, poco abituati alle intemperanze del mio amico, sobbalzano. La prima, soprattutto, inizia a borbottare, anche se da quello che Seth mi ha raccontato, si conoscono da un annetto. Quando Pansy aveva deciso di sposare Dean, era venuta al Petite Peste per cercare Draco, usando ovviamente la copertura babbana di Danny Ryan, credendo che potesse essere tornato lì. Ovviamente Seth, come tutti, non lo vedeva da cinque anni.

“Si può sapere che diamine hai da gridare, Seth?! Non so se lo sai, ma sono abbastanza sul chi vive da cinque anni!” lo rimprovero, dandogli una gomitata sul fianco.

Lui, per nulla intimorito, mi stringe le mani gioviale e mi fa con occhi a stella: “Ma Herm, non capisci?! Il libro! Il libro è la chiave di tutto!”.

“Il libro?!” chiediamo all’unisono sia io che Pansy e Dean. Capisco che Seth sia oggettivamente poco abituato al mondo della Magia, e quindi può essere sconvolto e cianciare di cose inesistenti… ma insomma qui si esagera! È troppo suggestionabile, sapevo che dovevo lasciarlo a casa e…

“Il libro, il libro, dannazione! Mi avete fatto vedere i ricordi di Pansy… possibile che ve lo siete scordato? La mattina in cui Danny poi è andato via con Raissa… lei è scesa dalle scale, ed aveva un libro con sé… e questa cosa a te è sembrata strana, no, Pansy? Perché era un libro di poco valore, e perché lei possedeva già tutta la conoscenza magica del mondo… ti sembrava strana anche per altri particolari, soprattutto per la fretta che aveva di giustificare che aveva fatto cadere la barriera magica a difesa della villa… ma forse se troviamo il libro, qualche indizio possiamo averlo… sempre meglio che stare qui a rimuginare sul nulla…!”. Seth termina la sua filippica, con un sorriso soddisfatto.

Un mago e due streghe hanno continuato a blaterare per due ore, e lui, da semplice babbano, ha trovato la cosa più simile ad un inizio di ricerca che potevamo avere.

Io, Voldemort e le sue menate sulla superiorità dei maghi, non le ho mai capite.

 

 

Dopo un’intera notte a cercare, il libro non esce fuori.

Pansy ha praticamente rivoluzionato tutta la casa da quando è nata Charisma, e molti dei libri che erano in biblioteca li ha spostati in altri luoghi della casa, allo scopo di liberare spazio per la stanza della bambina. E dato che lei, ovviamente, non ricorda assolutamente nulla di quel libro, né di dove si trovi, né tantomeno se non l’abbia gettato via come si riprometteva sempre di fare, abbiamo dovuto perlustrare tutta la casa. Seth, dopo il suo lampo di genio, si è addormentato sul divano della biblioteca con la bocca aperta, mentre Pansy, solo qualche ora fa, è andata a consolare Charisma che si era svegliata per un incubo. E non è più tornata.

“Io la bambina non l’avevo sentita piangere…” borbotta Dean, spulciando un’altra libreria nel corridoio “Avrà trovato la scusa per dormire…”, lo sento bofonchiare qualcosa poi che suona come: “Maledetti Serpeverde…”.

Sorrido con un angolo della bocca, il calore alla bocca dello stomaco che le parole di Seth e la sua intuizione hanno acceso che si va raffreddando progressivamente. Ormai mi sono rimasti solo pochissimi libri da controllare. E non è nemmeno certo che, se anche trovassi il libro, potrei cavarne qualcosa. Anzi, probabilmente Raissa lo leggeva per noia, o per chissà che altro. Non significa proprio niente. Di primo acchito, la mancanza di risorse mi ha fatto considerare quella traccia come vitale, ma adesso che ho modo di pensare, mi rendo conto di quanto fosse in realtà poco importante. Di quanto in realtà, è solo un’altra stupida illusione a cui mi sto aggrappando, per impedirmi di pensare che, davvero, non ci sono più speranze.

Alla fine, senza forza, mi siedo per terra, la schiena poggiata sulla parete dietro di me, chiudendo gli occhi. Il sole entra pigramente dalla finestra del corridoio, colorando il bianco delle pareti e facendomi strabuzzare gli occhi stanchi. Dovrò darmi un contegno, Alex si sveglierà tra poco, e non deve, non deve vedermi piangere. Magari se mando Dean a…

“Trovato!” urla Dean alla fine, agitando il piccolo volume polveroso. Mi alzo in piedi, scattando sull’attenti, come mi avesse punto una vespa, mentre un’insperata onda di calore liquido mi avvolge da capo a piedi. Mi avvicino a Dean, gli occhi che brillano, e lui mi sorride, dicendo solo: “Lo vedi? C’è ancora speranza…”.

Annuisco senza fiato, facendo un passo verso di lui, e Dean mi mette un braccio sulle spalle, baciandomi sulla tempia.

Senza nemmeno respirare, ci sediamo per terra tra i volumi sparsi ed iniziamo a sfogliare il piccolo libro, che rischia di cadere a pezzi ogni volta che voltiamo una pagina. Starnutisco per la polvere che è sfuggita via, e ne leggo il frontespizio. Le mie spalle si afflosciano, sembra un libro come tanti altri, solo vecchio, ma nemmeno così antico da far pensare a chissà quale incantesimo nascosto o segreto inconfessabile. Il titolo è quanto di più neutro e poco rivelatore possa esistere: “Profetesse Europee. Storia della Divinazione femminile attraverso i secoli”.

Raissa l’avrà letto solo per caso, o magari effettivamente non ricordava qualcosa: sfogliandolo, sembra solo un catalogo di profetesse famose, dai tempi antichi fino a quelli recenti, divise per nazione. Trovo Cassandra di Troia e la Cooman, tra quelle che personalmente ricordo. Ma niente di più.

Improvvisamente qualcosa mi fa nuovamente sobbalzare, Dean mi guarda curioso mentre mi rendo conto che la numerazione di una pagina è errata. Semplicemente, ne manca una.

Manca una pagina… e nella sezione “Europa orientale”.

Senza lasciarmi prendere dall’entusiasmo, senza dare adito a troppe speranze, prendo nota del numero di pagina mancante e chiamo immediatamente il Ghirigoro, chiedendo notizie. Il libraio mi riconosce subito, praticamente spendevo stipendi interi da lui e non se la prende nemmeno per averlo svegliato così presto. Mi dice che controllerà e mi manderà la pagina mancante.

Quando la risposta arriva un’ora dopo, con un gufo, la apro incerta sotto lo sguardo di Pansy e degli altri. Potrebbe essere tutto, e niente. Potrebbe essere semplicemente che manca una pagina perché il libro è vecchio e rovinato, non perché Raissa ha voluto nascondere qualcosa, anche se la coincidenza dell’Europa orientale è ben insolita.

Ma non così tanto, mi ripeto ancora, sciogliendo il nodo della pergamena inviatomi, il sudore che mi fa scivolare le mani.

Sono passati cinque anni… e questa può essere solo una pagina strappata dal tempo. Meglio che mi ripeta anche questo.

Srotolo la pergamena e il cuore mi sale in gola, dandomi il senso di una vertigine che mi fa quasi cadere.

Non è una coincidenza, non è nemmeno una pagina strappata a caso e non è neanche uno sciocco scherzo per farmi capitolare del tutto.

“Che dice, Herm?” mi chiede Seth, agitandosi sul divano come un bambino.

Bisbiglio con la poca voce rimastami: “E’ la scheda di una profetessa vissuta una decina di anni fa… in Russia…”, apro e chiudo la bocca un paio di volte, la lingua impastata mi fa incespicare mentre dico: “E’… Tatia Krasova, Pansy…”.

Dean e Seth guardano entrambe a turno, cercando di capire di chi si tratti. Pansy si alza dal divano sconvolta, mi strappa il foglio dalle mani e lo guarda senza parole, tornando poi a guardarmi.

Pansy ricade seduta, biascica con un filo di voce: “Se era una profetessa, se conosceva il futuro… quello che vi sarebbe successo… forse, quando ha incontrato Draco nel mondo dei morti… non voleva che ti ricordassi di lei, in quel momento… “.

“… forse voleva che mi ricordassi di lei… adesso…” finisco io, incerta, guardando il ritratto sulla pergamena.

 

 

 

Non credo di aver mai scritto un capitolo così lungo e così difficile, specie perché ho dovuto rimettere assieme tutto quello che avevo disseminato per mesi! Credo di aver risposto a tutte le recensioni di cui vi ringrazio sempre ed enormemente! E come sempre chiedo scusa dell’enorme ritardo! E chiedo scusa anche della brevità del mio intervento, ma sono di corsa! Un bacione a chi ancora, con enorme pazienza, segue questo delirio sconnesso!

   
 
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