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Memorie in una notte di mezza estate
--- Parte prima---
Nulla resta scritto su pietra.
Se lo ripeteva spesso, era una delle sue massime
preferite. Così come era radicata in lei la convinzione che il forever and
ever fosse un esclusivo appannaggio della letteratura e del cinema.
Nondimeno, osservando il panorama che si estendeva ai suoi piedi, non poteva
negare che c’erano delle eccezioni, cose, che per quanto la riguardavano, non
sarebbero cambiate mai. Sebbene fosse passata da un continente all’altro,
malgrado stesse gradualmente prendendo atto di quanto la sua vita fosse, sotto
molti punti di vista, diversa rispetto a prima.
Già, tutto si poteva dire ormai, tranne che fosse
ancora la sparuta adolescente avvelenata fin nel midollo che tre anni orsono
aveva messo piede per la prima volta sul suolo nipponico. Eppure, nonostante
ciò, di quella conservava ancora talune abitudini, una combinazione di buone e
cattive, le quali comunque le assicuravano un certo senso di continuità. Ed era
confortante sapere che un filo indissolubile legava la sua vita da yankee a
quella che viveva oggi, qui, all’altro capo del mondo.
Generalmente non si accostava più di tanto a certe
considerazioni, ma qui era diverso, perché in un certo senso c’era un
qualcosa di trascendentale nello starsene allungata comodamente sull’impiantito
di questa terrazza ai margini delle maestose alture che la circondavano. In
questo luogo aveva modo di ripensare, dopo tanto tempo, alla sua infanzia. Più
precisamente a quel periodo d’oro, quando Ame ancora la conduceva con sé.
Poteva avere sì e no cinque anni all’epoca e
insieme, attraverso un percorso tortuoso, affrontato perlopiù a bordo di autobus
sgangherati e in autostop, avevano girato le sconfinate lande del Texas, i
brulli massicci dell’Arizona, l’assolata Alabama, per poi perdersi nelle distese
riarse del Nuovo Messico, fino ad approdare sulla sponda estrema della west
coast. Ricordava perfettamente quelle peregrinazioni sconclusionate e le
innumerevoli facce che si erano avvicendate durante quelle trasferte
avventurose. In ogni caso era singolare notare come da bambina avesse avuto la
possibilità di fare una simile esperienza, di sicuro ai limiti
dell’avventatezza, ma proprio per questo indelebile. Forse l’unico rimpianto che
aveva a riguardo era che in quel mentre era in un’età troppo infantile per
apprezzarla e viverla appieno, di tutto il resto e dei disagi che avevano
patito, non poteva fregargliene di meno.
Un sorriso indulgente le stirò le labbra, come
capitava sempre ogniqualvolta pensasse a sua madre, poiché proprio non riusciva
d’evitare di considerarla con una certa, benevola, condiscendenza. Del resto,
perché non avrebbe dovuto? Giacché, sebbene Ame fosse una peripatetica
inveterata, benché proprio per questo l’avesse abbandonata, comunque, finché
aveva potuto, aveva condiviso con lei tutto. Donandole in questo modo il raro
privilegio d’assaporare il gusto autentico della libertà assoluta. Quindi,
escludendo l’aspetto da perenne freak, o le fisime da figlia dei fiori che la
contraddistinguevano, non c’era da meravigliarsi troppo se sotto molti aspetti
fossero affini e che il medesimo tarlo le rodesse entrambe. Tanto che Haruka
sapeva benissimo d’essere ciclicamente tentata di fare armi e bagagli e di
partirsene per ignota destinazione.
Poi, naturalmente, le sue smanie si calmavano e a
mente fredda riusciva a persuadersi della follia di certe idee, quantunque si
ripromettesse che un giorno l’avrebbe fatto davvero, quando il momento giusto
sarebbe arrivato. Prima doveva guadagnarsi gloria e il conseguente riscatto, nel
frattempo, la tanto agognata latitanza, quella meravigliosamente irrazionale che
vagheggiava, avrebbe dovuto attendere.
Ad ogni modo, anche se ormai quei vagabondaggi
erano lontani, stasera l’oblio della memoria le stava restituendo ad uno ad uno
i posti in cui erano state e i volti dei personaggi bislacchi con i quali spesso
Ame si accompagnava. Erano una specie di tribù variegata, eclettica e, quando si
ritrovavano insieme, inevitabilmente le notti venivano illuminate dai fuochi di
bivacco e il suo dormiveglia cullato da una sequela di discorsi incomprensibili
e dal suono delle chitarre folk.
Una volta aveva visto un documentario sulle
generazioni seguite a Woodstock e francamente non aveva saputo spiegarsi perché
quanto stava passando sullo schermo le apparisse tanto eccessivo e lontano dalla
realtà. Sapeva troppo di stereotipo, mentre gli hippy con i quali aveva avuto a
che fare lei, sebbene per la maggiore fossero degli effettivi sciroccati, non
erano affatto caricaturali come li si voleva far apparire.
In ogni caso restava il fatto che di quelli, e del
periodo che aveva passato con loro, le era rimasta attaccata addosso la
fascinazione per certe atmosfere e che il richiamo delle notti d’estate ancor
oggi era immutato per lei. Anche se, in questa specifica serata d’agosto,
l’unico rumore che si sostituiva al silenzio era l’occasionale graffiare della
punta della matita su di un foglio.
Curioso, se questo fosse accaduto non molto tempo
prima, avrebbe dato in escandescenze, per quanto insignificante potesse essere
quel fruscio. Ora invece avere compagnia non le dispiaceva, anzi aveva insistito
molto perché Michiru venisse fin lì, servendosi di tutte le sue risorse
persuasive per strapparla all’oceano che tanto amava. A dire la verità aveva
spinto molto sul fatto che per lei sarebbe stato impossibile recarsi in
spiaggia, a meno che non ci fosse andata coperta da capo a piedi, e innanzi a
quest’ostacolo insormontabile la violinista aveva capitolato. Del resto aveva
passato già tutto Luglio in riva al mare, la nostalgia la stava logorando e
l’idea di passare il resto delle vacanze nella parte più remota della penisola
di Izu in compagnia di Haruka era una prospettiva cui difficilmente si poteva
resistere.
Insomma alla fine era venuta e i primi giorni non
aveva fatto altro che pentirsi e dolersi per non aver ceduto a quel richiamo già
in precedenza. Quanto ad Haruka, era più che appagata dalla sua presenza, anche
se doveva ammettere che in questo frangente c’era il rischio concreto che
potesse svelare di sé un aspetto che nessuno avrebbe mai potuto presentire,
neppure l’intuitiva e sensibile ragazza che le stava accanto.
Sì, perché il suo amore per quelle particolari ore
che seguono il crepuscolo, tendeva a trasfigurarla. In questi particolari
momenti infatti pareva trasformarsi, diventava tutt’uno col respiro della
natura, cedeva le armi e per un lasso di tempo sublime lasciava ascendere al
cielo quanto di più metafisico albergasse dentro di lei.
Ciò accadeva perché più d’ogni altra cosa le
piaceva abbandonarsi mentre il sole calava, e, quando la luce lasciava spazio al
manto morbido dell’oscurità e i grilli prendevano a frinire, una tregua umorale
ingentiliva i suoi tratti taglienti. Adorava queste sospensioni durante le quali
rilassava le membra sempre attive, intanto che dal bosco le arrivava alle narici
il profumo dell’erba accompagnato dal verso ritmico degli uccelli notturni. E,
per quanto mondana fosse obbligata ad apparire, non avrebbe mai barattato i
vitali giorni che trascorreva qui, in cambio di un’esclusiva località vip dove
mettersi in mostra.
Che andassero a farsi fottere tutti! Questo luogo
era diventato il suo elitario eremo e per nulla al mondo ci avrebbe rinunciato.
E non solo perché aveva posato con le sue stesse mani gran parte del legno di
cui era fatto questo ricovero, ma soprattutto perché alla progettazione e
costruzione dello stesso aveva preso parte una persona che le era cara quanto le
memorie appena evocate. Del resto ne era parte integrante.
Sorrise nostalgica e rivide, come se ce l’avesse
di nuovo innanzi, la figura angolosa, rivestita dal candido camicione messicano
e dai jeans sfilacciati, della ragazza che da un giorno all’altro era diventata
elemento fondamentale del clan del flower power in mezzo al quale era
cresciuta.
Beh, a dirla tutta c’era da ammettere che in
quella moltitudine Siddharta, che lei aveva chiamato sempre e soltanto Sid,
spiccava per concretezza ed intelletto. Forse proprio per questo le si era
affezionata fin da subito, contrariamente a quanto, prima e dopo, le sarebbe
successo con chiunque altro. Ma forse non si era trattato solo di questo, molto
probabilmente si era trattato dell’innamoramento di due anime affini, di due
spiriti nutriti dal medesimo senso di solitudine, sebbene una fosse ancora una
bimbetta e l’atra sulle soglie dell’età adulta. Ma a ben guardarla Sid avrebbe
potuto essere sua sorella maggiore, tanto erano rassomiglianti nei colori degli
occhi e dei capelli, e in effetti spesso le avevano scambiate per tali, anche
perché Haruka le stava sempre appiccicata come una pulce. Quando l’aveva vista
per la prima volta era ancora una mocciosa, mentre l’altra andava per i venti, e
aveva avuto nei suoi riguardi una sorta di irresistibile imprinting, ché a
tutt’oggi Sid restava ancora l’unica persona che avesse suscitato in lei un
desiderio d’emulazione. Ad ogni modo la ragazza l’aveva presa sotto la sua ala
protettrice e fin da subito aveva cominciato ad insegnarle tutto quanto sapesse
e quanto via, via stesse apprendendo sulle polverose strade dell’ovest che
macinavano.
Da lei aveva imparato il muei tai in tutte
le sue svariate forme e, prima ancora d’imparare a leggere o scrivere, grazie a
quella dottrina, Haruka aveva cominciato a disciplinarsi, mentre Sid con
maestria, attraverso un versatile addestramento, adeguatamente incanalava la sua
forza interiore. Senza contare che, se durante i suoi periodi di detenzione le
aveva suonate di brutto a tutti quelli che avevano tentato di sopraffarla,
doveva ringraziare lei, la quale aveva ritenuto non fosse mai troppo presto per
imparare a difendersi e, meglio ancora, ad attaccare.
Del resto Sid era stata la sola che nei frangenti
appena citati aveva ricercato assiduamente l’occasione di vederla, ché dopo la
rinuncia della sua custodia da parte di Ame, sia in riformatorio che presso le
famiglie cui era in affido, il suo era stato il solo volto noto che aveva
incontrato ancora. Purtroppo non sempre era stato possibile, ma comunque per
molto tempo la bionda asceta aveva rappresentato per Haruka quel fondamentale
punto fermo di cui abbisognava in un mondo che vedeva andarle, ogni giorno
sempre di più, completamente allo sbando.
Poi le loro strade si erano divise, in quanto la
ragazza aveva ripreso a viaggiare, e quando Haruka si stava preparando per il
suo ritorno in Giappone, prima di partire, le aveva lasciato una lunga lettera
presso il dojo nel quale soleva allenarsi quando passava per Santa Fè, nella
speranza che in futuro passasse di lì e che in qualche modo avrebbero avuto
l’opportunità di rivedersi.
In seguito, dopo l’opportuna lettura della missiva
lasciatale, la fame di vita e di esperienze di Sid, nonché la voglia di rivedere
la sua piccola peste, l’avevano condotta nel paese del sol levante. E nonostante
fossero passati anni, durante i quali molto era cambiato, l’affetto che
nutrivano l’una per l’altra era rimasto immutato. E la felicità di Haruka
raggiunse un picco mai più provato quando se la ritrovò davanti e, dopo qualche
giorno trascorso ad aggiornarsi su quanto era accaduto nel frattempo, erano
partite per trascorrere insieme tutto il periodo delle vacanze scolastiche, tre
mesi tutti per loro. Tutto ciò col beneplacito del suo tutore, ché i Meiou
infatti, sotto le adeguate insistenze ed argomentazioni della stessa Setsuna,
considerata la gioia evidente dipinta sul volto della loro protetta, non avevano
avuto cuore di negarle il loro assenso. Così Sid e Haruka, proprio come un
tempo, avevano preso a seguire un itinerario tutto loro che attraversava in
lungo e in largo il Giappone.
In effetti la realizzazione di questa baita era
stata una sua idea, stavano vagando tra questi monti quando avevano rinvenuto il
rudere di un vecchio rifugio di montagna abbandonato. E fatte le dovute ricerche
avevano scoperto che sarebbero state sufficienti poche migliaia di yen per
averne il possesso. Al che di comune accordo avevano deciso di riportarlo a
nuova vita, non solo per il tangibile incanto del luogo, quanto per la gioia di
creare di nuovo qualcosa insieme. Sid era un’esperta nella trasformazione del
legno infatti, nonché un falegname provetto, ed era stata più che contenta di
trasmetterle tutte le tecniche di lavorazione di cui era a conoscenza. Così
avevano passato tutta l’estate prese da questa immane fatica, lasciando in piedi
solo i muri originari e sistemando ad una ad una le travi del tetto e le liste
del pavimento. Di notte dormivano all’addiaccio, oppure sotto una tenda
improvvisata, quando i repentini temporali estivi le sorprendevano.
Era stato un impegno gravoso, immane, e, quando
infine il soggiorno di Sid era arrivato al capolinea, non ne erano arrivate
neppure a metà. Ma questo non aveva affatto spaventato l’ingegnosa vagabonda,
riteneva infatti che a quel punto Haruka fosse in grado di cavarsela da sola.
Quindi il giorno della partenza le aveva battuto una mano sulla spalla e aveva
preso ad allontanarsi senza voltarsi indietro, come sempre, mentre quella che
non manifestava mai apertamente i suoi sentimenti, la salutava con gli occhi
pieni di lacrime. Ma Haruka non piangeva per il dolore, poiché capiva quel
distacco e sapeva della sua necessità, piuttosto lo faceva perché non l’aveva
mai fatto per nessuno e quindi, in quel modo, le lacrime che versava in un certo
senso rappresentavano la prova tangibile della gratitudine che provava verso di
lei.
La riconoscenza ha tante sfaccettature diverse,
proprio come l’amore, e anche per questo, ogniqualvolta che c’era più di un
giorno di vacanza, Haruka lavorava sodo per portare a termine il compito che Sid
le aveva lasciato come ennesima lezione di vita. E così fu che, poco dopo il suo
sedicesimo compleanno, quel lungo ed estenuante lavoro ebbe fine e da quel
momento in poi Haruka cercava di passare quanto più tempo possibile in questa
che considerava la sua vera casa.
E non desti stupore il fatto che non nominasse mai
Sid, né che non vi facesse menzione sia pure indirettamente. Era una scelta
precisa, in primo luogo perché faceva di tutto per onorarla principalmente con
il proprio agire, e soprattutto, perché pensava che quello fosse un privilegio
da concedersi solo all’interno di quel determinato contesto bucolico. Insomma,
avrebbe trovato inappropriato farlo in un ambito che immaginava Sid avrebbe
detestato con tutto il cuore e del resto, richiamarne alla mente la voce e il
volto nei meandri di quella snobistica scuola, oppure nel suo appartamento tutto
cromato e hi-tech, le sarebbe sembrato assurdo. Per cui si permetteva di farlo
solo qui, dove ancora si respirava la sua presenza, dove ogni albero, ogni
forra, aveva un qualcosa che gliela ricordava, ché persino quando le onde del
lago a fondovalle s’increspavano, le sembrava di udirne la profonda
risata.
Haruka batté le palpebre, come a creare uno stacco
concreto dalla malia di quelle divagazioni, e attraverso la penombra fissò
Michiru che se ne stava accoccolata su di una pila di cuscini multicolori
all’altro capo del porticato. Continuava a schizzare come se fosse completamente
dimentica di ogni altra cosa, facendo sentire la sua presenza solo di tanto in
tanto, magari con l’occasionale strofinio della carta o l’involontario movimento
degli arti. La bionda la contemplò assorta mentre mentalmente la comparava a chi
prima di lei amava stare distesa esattamente nel stesso posto. E non era un
paragone del tutto azzardato, sebbene Michiru e Sid non avessero nulla in
comune, sia nei modi che nell’aspetto. Ma decisamente la sua antica mentore e la
violinista avevano un qualcosa che le avvicinava, anzi, in alcuni casi Michiru
pareva addirittura sovrapporsi all’altra, cosa che Haruka non avrebbe mai
creduto possibile. Del resto era straordinario come la ragazza stesse
rapidamente entrando in simbiosi con la natura del luogo, non sembrava affatto
che questa fosse la prima volta che venisse qui. Si era integrata con una
facilità incredibile ai suoi ritmi e, allo stesso tempo, pur ricercando sempre
il suo contatto, manteneva comunque la propria autonomia.
Praticamente aveva imparato ad accettare il suo
bisogno di solitudine ogniqualvolta si manifestava, esattamente come stava
cominciando a pretendere lo stesso rispetto per i propri. E spesso capitava che
non si vedessero per tutto il giorno, ché magari una se ne andava verso il lago
a dipingere e nuotare, e l’altra verso le vette da scalare a mani nude o in
bicicletta. E se al suo posto ci fosse stata Sid sarebbe accaduto lo stesso, ma
con la differenza che quest’ultima tendeva ad estraniarsi con lo yoga, mentre
Michiru si ritirava nel suo mondo interiore attraverso l’esercizio quotidiano
del violino. E, se quando ciò avveniva, non mancava mai di dispiacerle un po’,
restava il fatto che vederla suonare con alle spalle quello sfondo, udire il
riverbero delle note attraversare quell’anfiteatro naturale, era uno spettacolo
che ne valeva davvero la pena. Ma in ogni caso non aveva senso questo suo
ostinarsi a farle coincidere a tutti i costi, teneva molto ad entrambe e non
c’era bisogno che creasse questo parallelo come per giustificarsene.
Mah, chissà quale sarebbe stata l’opinione di
Michiru in merito, magari un giorno gliene avrebbe parlato, esattamente come
aveva fatto riguardo a miriadi di argomenti che non avrebbe mai pesato d’essere
in grado di rivelare. Soprattutto a lei, quella che nel giro di neanche un anno
aveva compiuto l’incredibile impresa di scavarsi una nicchia tra le sue costole
e un esclusivo incavo nella sua testa.
Sospirò appagata nonostante l’evidente
contraddizione, ché il fatto che la presenza di quella ragazzina qui e ora la
rendesse estremamente appagata era un monumentale paradosso, eppure oggi
finalmente poteva dirsi lieta di tutte le petulanze delle quali l’aveva fatta
oggetto fin dall’inizio. E guai se non avesse insistito, altrimenti a quest’ora
chissà che accidenti di fine avrebbero fatto.
Lentamente si alzò e iniziò ad accendere le
fiaccole che aveva posto sulla balaustra per illuminare la loggia, dopodichè
tornò nella posizione in cui era prima e riprese a caso il flusso delle
digressioni cui stava dando libero corso.
Che pace! Qui poteva assaporare un’armonia e un
equilibrio incomparabili, magari dipendeva dal suo stato d’animo, o dalla
bellezza del posto, o meglio ancora dalla silente figura che le era vicina senza
per questo ingombrarla, ma quest’imbrunire aveva in sé qualcosa di magico che
allontanava dalla sua mente tutte le malinconie negative per far posto solo a
quelle gradevoli.
E allora le venne spontaneo ripensare a tutti gli
episodi che erano avvenuti negli ultimi mesi. Il che era buffo, perché al loro
accadere le erano sembrati di poco conto, invece ripensandoci adesso, li
scopriva quantomai significativi. Si portò la mano destra davanti agli occhi e,
contemplando l’alone di colore che non era ancora scomparso del tutto, sogghignò
a dispetto di sé stessa. Una volta tanto gli strali della sua pungente ironia
erano rivolti verso il suo stesso di comportamento, poiché non avrebbe mai
immaginato di scoprirsi superstiziosa. Ché una scettica come lei non poteva
esserlo, per nulla al mondo, pure ne ostentava chiare tracce, proprio lì, sul
dorso della mano.
Ma poteva definirsi scaramanzia quella, oppure era
la stimmata di qualcos’altro che le faceva più comodo definire tale? Valeva la
pena di rivangare da dove avesse preso le mosse questa singolare faccenda
allora.
Tutto si correlava alla sua attività di pilota.
Naturalmente anche l’ultima corsa cui aveva preso parte, non più tardi di due
settimane addietro, altro non era stata che l’ennesimo successo della lunga
serie alla quale aveva dato principio fin dal suo esordio. Ciò nonostante, la
sera precedente il suo debutto, era stata presa da una strizza completamente
estranea alla sua abituale presunzione. Sarà che era stressata da morire a causa
dalle incessanti prove che fino all’ultimo l’avevano vista protagonista, sarà
che durante le qualifiche aveva avuto qualche problema di troppo con il
sovrasterzo della monoposto, sarà che c’era in ballo molto di più di quel che le
piaceva ammettere, ma in quelle snervanti ore antecedenti la gara il suo
circuito interno era andato in tilt. Casualmente, anzi provvidenzialmente
sarebbe stato il caso di dire, Michiru era lì con lei e quel che era accaduto
quella notte, con l’andare del tempo, aveva assunto una valenza assai
sintomatica.
Giaceva insonne nel letto, voltandosi e
rivoltandosi in preda all’ansia e, non riuscendo ad assopirsi in nessun modo,
benché fosse esausta e l’indomani l’attendesse l’ennesima levataccia, alla fine
si era alzata e aveva preso a gironzolare per il suo appartamento. Tesa e
preoccupata si era fatta un caffé ed era andata a berselo in soggiorno sperando
che la vista delle luci della città in qualche modo potesse placarla. Non
credeva d’aver fatto baccano, e proprio per questo, quando la violinista era
emersa dalla stanza degli ospiti stropicciandosi gli occhi e andandole incontro,
l’aveva fissata alquanto sorpresa.
"Che succede?" Aveva chiesto Michiru mentre si
accomodava sul divano e tirava le gambe sotto di sé, soffocando un grosso
sbadiglio. A quella domanda la bionda si era limitata a fare un gesto
spazientito, che non diceva nulla, e aveva continuato imperterrita il suo
addivieni con la calma di un animale in gabbia. Finché improvvisamente non si
era buttata a peso morto sulla poltrona di fronte a lei e non aveva
sbottato:
"E se domani va da schifo?"
A quest’interrogativo, e al cipiglio provocatorio
e inquieto della sua interlocutrice, Michiru si era limitata a sorridere. Ed era
uno di quei sorrisi che avevano cominciato a contraddistinguerla da qualche
tempo in qua, uno di quelli consistenti in una smorfia a un tempo dolce, ma
parallelamente un po’ canzonatoria, che covava in sé un che d’enigmatico non
sempre decifrabile agli occhi dell’altra.
"Vincerai." L’aveva contraddetta tranquillissima,
come se quella convinzione le derivasse da un dato precedentemente acclarato e
del quale era del tutto inutile discutere. Ma Haruka, alla quale la tensione mal
repressa faceva l’effetto di renderla vieppiù polemica, aveva sbuffato
sarcastica.
"Vorrei sapere che accidenti ne sai tu!? Ci sono
tante di quelle variabili che neppure puoi immaginare! Un treno di gomme
difettoso, un pit stop organizzato male, uno stronzo che in pista ti viene
addosso deliberatamente! L’abilità del pilota può incidere solo fino ad un certo
punto, il resto giace in grembo a quella puttana della fortuna!" Aveva concluso
rabbiosa dando una botta clamorosa al bracciolo rivestito di pelle.
Innanzi a quel comportamento aggressivo Michiru
non si era scomposta più di tanto, anzi, facendo spallucce e uscendosene con un:
"Se si tratta solo di fortuna..." aveva raccattato dal piano vicino alla
vetrata il kit da disegno che portava sempre con sé e ne aveva tratto una
boccetta dal tappo nero e un pennello a punta fine. Dopodichè, accoccolandosi a
terra davanti a lei, aveva intinto l’estremità di quest’ultimo nel colore e,
tirandosi in grembo uno dei suoi piedi, aveva cominciato un complicato disegno
che si estendeva dal polpaccio al malleolo.
"Ma che diavolo stai facendo?!" Aveva chiesto
Haruka quando infine si era ripresa dall’iniziale meraviglia ed era riuscita a
recuperare l’uso della parola. E, visto che non ne aveva ricevuto risposta, ché
Michiru sembrava concentratissima su quanto stava facendo, aveva aggiunto tanto
per dir qualcosa: "Mi stai facendo il solletico."
"Resisti." Aveva replicato criptica l’altra
continuando imperterrita e allungando i tratti di nero dal tallone al retro del
ginocchio. Poi, con un ultima rifinitura aveva concluso l’elaborata creazione e,
sempre senza profferire parola, le aveva afferrato la mano e delicatamente
l’aveva girata prima da un verso e poi dall’altro, come a cercare la prospettiva
migliore. Quindi, dopo un tempo che ad Haruka parve lunghissimo, si decise e,
stringendola con una blanda presa, aveva cominciato a tracciare delle sottili
linee spezzate che dal polso si protendevano fino al punto in cui cominciavano
le falangi.
Così fu che Haruka vide nascere dal nulla sulla
sua pelle una folgore dalla squisita quota stilistica. Incuriosita, e
soprattutto sedotta dalla bellezza di quella raffigurazione, mosse
impercettibilmente il capo per adocchiare cosa invece le avesse fatto al piede
e, scrutando l’intrico di arabeschi che lo decoravano, intuì che altro non erano
che la rappresentazione di un‘ala.
Voleva dirle qualcosa, chiederle il perché di
quella sorta di pittura tribale, ma vedendo quanto ancora fosse intenta nella
realizzazione della sua opera, preferì starsene zitta per non rompere l’incanto
di quel momento. Ché, incredibile a credersi, sentiva scivolare via da lei
l’ansietà, sostituita da qualcos’altro che difficilmente avrebbe potuto
definire. Avrebbe potuto dire a riguardo solo che si trattava di un che di caldo
ed avvolgente, come una coperta o un abbraccio rassicurante nel bel mezzo del
gelido inverno.
"Non ti muovere, lasciali asciugare prima."
La voce della violinista la riscosse dalle sue
fantasie e con un cenno annuì, non fidandosi a parlare, poiché temeva che la
voce potesse uscirle in un tono notevolmente differente dal suo
abituale.
"Scommetto che per le testa ti stanno frullando
infinità d’interrogativi, vero?" Fece la ragazza ridacchiando e rompendo quel
silenzio inconsueto.
"Già. Una saetta e un’ala, simbologia
interessante, considerato che dovrò correre come il vento domani. " Concesse
rimirando per l’ennesima volta i decori che l’adornavano.
"Appunto, considerali dei talismani, una sorta di
amuleti di buona fortuna. Per quanto mi riguarda sono convinta che non ne
avresti affatto bisogno, ma hai visto mai?" Aveva ribattuto maliziosa e con un
tanto di condiscendenza che, se non si fosse trattato di lei, la bionda avrebbe
trovato intollerabile.
Ad ogni modo, superstizione o no, se li era tenuti
e aveva fatto una gara strepitosa, stupendo pubblico e addetti ai lavori con la
sua guida spericolata e la sonante vittoria che ne era derivata. E da quel
momento in poi aveva preteso sempre che alla vigilia di qualsiasi competizione
Michiru passasse la notte nel suo appartamento e rinnovasse di volta in volta
quel rito propiziatorio. Senza contare inoltre che quei disegni erano di una
magnificenza incomparabile. Spesso si diceva che avrebbe dovuto farseli tatuare,
ma poi che fine avrebbe fatto quella cerimonia che condividevano? Ormai sapeva
che non avrebbe saputo rinunciarvi, per cui aveva lasciato le cose così come
stavano. Ma per quanto potevano continuare così a vegetare in quella terra di
nessuno?
La guardò di tralice mentre quella ignara
continuava a dipingere, era a pochi metri da lei, una distanza esigua, tanto che
le sarebbe bastato qualche passo per annullarla e gettare una volta per tutte la
maschera. Sì, ma poi? Non sapeva neppure lei di che cosa si trattasse davvero,
senza contare che non era ancora pronta ad affrontarne tutte le
conseguenze.
Sospirò indecisa e fissò ancora una volta le linee
sbiadite della mano, chiedendosi se allo stesso modo, col tempo, avessero potuto
perdere vigore anche le sensazioni che, sempre più forti, le si agitavano dentro
quando Michiru era con lei. A volte riusciva a tenerle a bada, ma non sempre e
allora poteva capitare pure che si trovassero ad un passo dalla rotta di
collisione. Ed era un male, era evidente infatti che alla violinista la
situazione stava bene esattamente così e che qualsiasi accenno prevaricante
l’amicizia e sconfinante nell’appassionato avrebbe potuto turbarla, se non
addirittura allontanarla per sempre da lei.
Così Haruka aveva scelto il silenzio, benché nei
mesi precedenti spesso fosse stata ad un passo dall’infrangerlo, anche se non
sempre in modo del tutto involontario. Ad ogni modo avrebbe potuto rivangare
molti di questi momenti topici, ché parecchi se n’erano susseguiti dacché
Michiru aveva praticamente eletto casa sua come territorio prescelto dove
trascorrere il suo tempo libero, ma uno in particolare le era rimasto impresso.
Già, in quel caso c’era mancato davvero poco e volendo, ad uno spettatore
imparziale, la faccenda poteva apparire addirittura in chiave comica. Eh sì,
giacché in quel frangente tra tanti, il sentimento, la ragione e la libido che
si mescolavano incessanti in lei, si erano fatti una grandissima scazzottata tra
loro.
Tutto era accaduto in un pomeriggio di sabato che
avevano accuratamente prestabilito con adeguato anticipo in modo da essere
entrambe svincolate da qualsiasi obbligo. In effetti Michiru aveva davvero
bisogno di un ripasso approfondito di geometria, ché i suoi voti ultimamente non
avevano brillato e lei desiderava avere una valutazione finale che non
comprendesse nelle sue eccellenze una striminzita sufficienza. Quindi, chi più
della bionda avrebbe potuto porgerle il destro? Anche perché un doposcuola
presso un professore mal si sarebbe incastrato con tutte le attività che già
svolgeva, oltre a ciò Michiru riteneva che Haruka fosse più che qualificata, per
cui si erano accordate in tal senso. E quest’ultima, la quale riteneva che le
falle della ragazza in merito fossero più che altro dovute all’antipatia per la
materia e non ad una radicata ignoranza, aveva accettato senza considerare che
ultimamente le sue pulsioni si stavano facendo sempre più turbolente.
Ah certo, Shanaya sapeva come ben placarle,
altrochè se lo sapeva, tanto che stavano sperimentando una varietà e quantità
cui a volte era difficile stare dietro. Praticamente ormai conoscevano menadito
la zona dei love hotel di Shinjuku, anche se la ragazza sempre più spesso le
chiedeva sospettosa perché si rifiutasse ostinatamente di usare il proprio
appartamento come alcova. Haruka a tal proposito adduceva di volta in volta una
serie di scuse credibili, senza però rivelarle che il motivo pregnante
consisteva nel fatto che non voleva assolutamente che Shanaya arrivasse ad
introdursi più di tanto nella sua sfera privata. Ad ogni modo non era questo il
punto, piuttosto si trattava del fatto che, da un po’ di tempo a questa parte,
l’effetto placebo di quelle effusioni avevano preso ad avere una durata sempre
più limitata. E con raccapriccio Haruka si era accorta che in molte occasioni,
proprio nel momento culminante, le sue fantasie correvano in ben altra
direzione, tanto che, almeno un paio di volte, poco ci era mancato che le
scappasse di bocca un nome che non era quello di colei la quale in quel momento
le si agitava addosso.
Insomma, come allentava la morsa del suo ferreo
controllo, come si lasciava andare alla passione, l’immaginazione le si
scatenava, incurante del fatto che fosse tra le braccia di un’altra persona.
Rischioso, molto imprudente. Ma che poteva farci?
E per fortuna che fin lì era andato tutto bene!
Sennonché, durante quel particolare pomeriggio deputato alla geometria in tutte
le sue varianti, finì per impelagarsi dritta, dritta nel gorgo del suo desiderio
represso.
Michiru stava a capo chino sul libro che le aveva
piazzato davanti e, dopo esserselo studiato per qualche minuto, memore delle
spiegazioni che la bionda le aveva dato, aveva scribacchiato un’equazione per
poi chiederle:
"Quindi qui qual è la funzione del
seno?"
A siffatta domanda Haruka avrebbe potuto dare più
una risoluzione, ma nessuna delle quali c’entrasse molto con la trigonometria.
E, colta da improvvisa arsura, deglutì più volte, attaccandosi alla bottiglia
d’acqua allo scopo d’evitare di darle una risposta. Temeva infatti che potesse
sfuggirle qualche lapsus terrificante. In effetti erano cinque minuti buoni che
gli occhi continuavano a correrle, quantunque li stesse storpiando in maniera
innaturale nel tentativo d’impedirselo, per l’appunto verso la zona intermedia
tra lo stomaco e lo sterno della violinista seduta di fronte a lei.
Perché aveva acconsentito a darle delle
ripetizioni? E perché Michiru, accidenti a lei, era venuta in metropolitana e
senza ombrello? Se l’avesse accompagnata l’autista di famiglia non si sarebbe
infradiciata e, in tal caso, non avrebbe avuto necessità di cambiarsi. Invece,
causa l’improvviso bisogno d’indipendenza che aveva preso a stimolarla dacché si
frequentavano abitualmente, se n’era venuta a casa sua come una pendolare
qualsiasi, facendosi cogliere in pieno dalla pioggia gelata che da giorni
sferzava la città.
Se l’era ritrovata sulla soglia completamente
zuppa e, d’accordo che non poteva restarsene con quella roba fradicia addosso,
ma aveva proprio bisogno di indossare quei suoi vecchi short e quella maglietta
senza maniche che accidentalmente aveva ristretto in lavatrice? E, considerato
che i pantaloncini risalivano a quando Haruka aveva una dozzina d’anni e che la
t-shirt si era ritirata con un lavaggio a novanta gradi (altra cifra che
riportava i suoi pensieri verso un territorio da evitare assolutamente,
porcaccia zozza!) le calzavano a pennello. Anzi, a dire la verità il tessuto
della maglietta tendeva pericolosamente a salirsene al di là dell’ombelico… Ma
maledizione, non sarebbe stato meglio che si fosse data una mossa e che le
avesse preso di persona qualcosa da mettersi? Magari un bel completino
oversize!?
Bella idea questa, peccato che qualsiasi sua
eventuale contromisura fosse stata prontamente azzerata dal tempismo incredibile
che Michiru aveva sfoderato. Infatti la violinista si era fiondata verso i
cassetti della sua roba smessa ad una velocità pari a quella di una Ferrari sul
rettilineo di Indianapolis e a lei altro non era rimasto che battersene in
ritirata prima che cominciasse a svestirsi. Ah certo, avrebbe potuto restare e
magari darle un consiglio spassionato su cosa mettere e cosa no, ma così non
avrebbe fatto che ripetere la torturante esperienza già patita a bordo
dell’Abatros, e per l’amor di dio, non era proprio il caso! Ché se la ricordava
benissimo la faticaccia che aveva fatto allora per impedirsi di star lì a
guardarla a con mezzo metro di bocca aperta, per cui si era dovuta arrendere
all’inevitabile. E purtroppo per lei questo non era stato che
l’inizio.
Haruka stava sudando abbondantemente e non solo
per via dell’aria condizionata tenuta molto alta, ma a chi poteva darne la colpa
se non a sé stessa? Certo che se avesse saputo tutto ciò in anticipo, col cavolo
che l’avrebbe posizionata a quelle temperature tropicali! Sottozero sarebbe
stata l’ideale, così quella maledetta si sarebbe dovuta per forza coprire,
magari con un burqua di lana!
E invece no, Michiru se ne stava mezza spogliata
esibendo un’invidiabile disinvoltura e, come se niente fosse, levava il suo
sguardo innocente a lei, in attesa delle sue perle trigonometriche. Come se poi
fosse una cosa facile ragionare su periodiche e radianti innanzi a quel po’, po’
di spettacolo esposto. Ma come spiegarle il suo impasse senza scendere nel
dettaglio?
"Maledetto Cartesio!" Pensò piena di livore e
prossima all’ebollizione mentre si faceva aria con una mano. "Lui e le sue rette
di sto par de palle! Ché qui più che cogito ergo sum, si è al coito
ergo sum!"
Innalzò gli occhi al cielo mormorando un misto
d’invettive e una silente preghiera all’indirizzo di un nume qualsiasi, ma tanto
benigno da darle la forza di restare quieta.
"Allora Haruka, facciamo notte?" Chiese Michiru
impaziente battendo l’indice sulla curva del grafico illustrato sul libro degli
esercizi.
Haruka ebbe un soprassalto e la fissò con tanto
d’occhi, persa com’era nel suo mondo di maledizioni e recriminazioni. Ma la
parola notte s’illuminò nella sua testa come le insegne a Brodway durante
la stagione dei musical.
Notte? Aveva detto notte? Porca puttana no! Ci
mancava solo il calare delle tenebre per trasformarla definitivamente in una
potenziale violentatrice! No, no, no, avrebbero terminato quel fotuttissimo
problema immediatamente e poi l’avrebbe spedita di corsa a casa!
"Ah, scusa. Stavo pensando ad altro." Aveva
borbottato avvertendo, per la prima volta dopo tanto tempo, il bisogno di
qualcosa di forte. Peccato che l’unico alcolico presente nel suo appartamento
fosse quello contenuto nella bottiglia del suo profumo preferito.
Saké!
Aveva invocato disperata, peggio di un avvinazzato
fetente buttato fuori a calci dalla più infima delle bettole, ma, visto che a
quell’appello nessuna cassa di bottiglie scintillanti si era miracolosamente
materializzata, aveva tentato di sgombrare la testa da tutte le immagini
tentatrici che le si presentavano, spazzandole con una ruspa di scevra
razionalità. Ci voleva qualcosa che le ammosciasse la libido all'istante,
subito! Pensò a Pitagora, l’eccelso non falliva mai con lei. Peccato però che,
mentre s’accingeva ad enunciare il celeberrimo assioma, nel frattempo lo sguardo
le fosse caduto sulle gambe allungate dal suo lato. Così il suo tentativo di
citazione era diventato una parodia consistente ne: La somma dei quadrati
costruiti sulle cosce… oh merda!