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Autore: Aurelia major    11/07/2007    13 recensioni
Cosa succede quando una persona amabile e amichevole ne incontra una scontrosa e sarcastica ? Guai probabilmente , anche perché c'è chi vuole assolutamente fare amicizia e chi cerca d'impedirglielo a tutti i costi ...
Genere: Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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25

Memorie in una notte di mezza estate

--- Parte prima---

 

 

Nulla resta scritto su pietra.

Se lo ripeteva spesso, era una delle sue massime preferite. Così come era radicata in lei la convinzione che il forever and ever fosse un esclusivo appannaggio della letteratura e del cinema. Nondimeno, osservando il panorama che si estendeva ai suoi piedi, non poteva negare che c’erano delle eccezioni, cose, che per quanto la riguardavano, non sarebbero cambiate mai. Sebbene fosse passata da un continente all’altro, malgrado stesse gradualmente prendendo atto di quanto la sua vita fosse, sotto molti punti di vista, diversa rispetto a prima.

Già, tutto si poteva dire ormai, tranne che fosse ancora la sparuta adolescente avvelenata fin nel midollo che tre anni orsono aveva messo piede per la prima volta sul suolo nipponico. Eppure, nonostante ciò, di quella conservava ancora talune abitudini, una combinazione di buone e cattive, le quali comunque le assicuravano un certo senso di continuità. Ed era confortante sapere che un filo indissolubile legava la sua vita da yankee a quella che viveva oggi, qui, all’altro capo del mondo.

Generalmente non si accostava più di tanto a certe considerazioni, ma qui era diverso, perché in un certo senso c’era un qualcosa di trascendentale nello starsene allungata comodamente sull’impiantito di questa terrazza ai margini delle maestose alture che la circondavano. In questo luogo aveva modo di ripensare, dopo tanto tempo, alla sua infanzia. Più precisamente a quel periodo d’oro, quando Ame ancora la conduceva con sé.

Poteva avere sì e no cinque anni all’epoca e insieme, attraverso un percorso tortuoso, affrontato perlopiù a bordo di autobus sgangherati e in autostop, avevano girato le sconfinate lande del Texas, i brulli massicci dell’Arizona, l’assolata Alabama, per poi perdersi nelle distese riarse del Nuovo Messico, fino ad approdare sulla sponda estrema della west coast. Ricordava perfettamente quelle peregrinazioni sconclusionate e le innumerevoli facce che si erano avvicendate durante quelle trasferte avventurose. In ogni caso era singolare notare come da bambina avesse avuto la possibilità di fare una simile esperienza, di sicuro ai limiti dell’avventatezza, ma proprio per questo indelebile. Forse l’unico rimpianto che aveva a riguardo era che in quel mentre era in un’età troppo infantile per apprezzarla e viverla appieno, di tutto il resto e dei disagi che avevano patito, non poteva fregargliene di meno.

Un sorriso indulgente le stirò le labbra, come capitava sempre ogniqualvolta pensasse a sua madre, poiché proprio non riusciva d’evitare di considerarla con una certa, benevola, condiscendenza. Del resto, perché non avrebbe dovuto? Giacché, sebbene Ame fosse una peripatetica inveterata, benché proprio per questo l’avesse abbandonata, comunque, finché aveva potuto, aveva condiviso con lei tutto. Donandole in questo modo il raro privilegio d’assaporare il gusto autentico della libertà assoluta. Quindi, escludendo l’aspetto da perenne freak, o le fisime da figlia dei fiori che la contraddistinguevano, non c’era da meravigliarsi troppo se sotto molti aspetti fossero affini e che il medesimo tarlo le rodesse entrambe. Tanto che Haruka sapeva benissimo d’essere ciclicamente tentata di fare armi e bagagli e di partirsene per ignota destinazione.

Poi, naturalmente, le sue smanie si calmavano e a mente fredda riusciva a persuadersi della follia di certe idee, quantunque si ripromettesse che un giorno l’avrebbe fatto davvero, quando il momento giusto sarebbe arrivato. Prima doveva guadagnarsi gloria e il conseguente riscatto, nel frattempo, la tanto agognata latitanza, quella meravigliosamente irrazionale che vagheggiava, avrebbe dovuto attendere.

Ad ogni modo, anche se ormai quei vagabondaggi erano lontani, stasera l’oblio della memoria le stava restituendo ad uno ad uno i posti in cui erano state e i volti dei personaggi bislacchi con i quali spesso Ame si accompagnava. Erano una specie di tribù variegata, eclettica e, quando si ritrovavano insieme, inevitabilmente le notti venivano illuminate dai fuochi di bivacco e il suo dormiveglia cullato da una sequela di discorsi incomprensibili e dal suono delle chitarre folk.

Una volta aveva visto un documentario sulle generazioni seguite a Woodstock e francamente non aveva saputo spiegarsi perché quanto stava passando sullo schermo le apparisse tanto eccessivo e lontano dalla realtà. Sapeva troppo di stereotipo, mentre gli hippy con i quali aveva avuto a che fare lei, sebbene per la maggiore fossero degli effettivi sciroccati, non erano affatto caricaturali come li si voleva far apparire.

In ogni caso restava il fatto che di quelli, e del periodo che aveva passato con loro, le era rimasta attaccata addosso la fascinazione per certe atmosfere e che il richiamo delle notti d’estate ancor oggi era immutato per lei. Anche se, in questa specifica serata d’agosto, l’unico rumore che si sostituiva al silenzio era l’occasionale graffiare della punta della matita su di un foglio.

Curioso, se questo fosse accaduto non molto tempo prima, avrebbe dato in escandescenze, per quanto insignificante potesse essere quel fruscio. Ora invece avere compagnia non le dispiaceva, anzi aveva insistito molto perché Michiru venisse fin lì, servendosi di tutte le sue risorse persuasive per strapparla all’oceano che tanto amava. A dire la verità aveva spinto molto sul fatto che per lei sarebbe stato impossibile recarsi in spiaggia, a meno che non ci fosse andata coperta da capo a piedi, e innanzi a quest’ostacolo insormontabile la violinista aveva capitolato. Del resto aveva passato già tutto Luglio in riva al mare, la nostalgia la stava logorando e l’idea di passare il resto delle vacanze nella parte più remota della penisola di Izu in compagnia di Haruka era una prospettiva cui difficilmente si poteva resistere.

Insomma alla fine era venuta e i primi giorni non aveva fatto altro che pentirsi e dolersi per non aver ceduto a quel richiamo già in precedenza. Quanto ad Haruka, era più che appagata dalla sua presenza, anche se doveva ammettere che in questo frangente c’era il rischio concreto che potesse svelare di sé un aspetto che nessuno avrebbe mai potuto presentire, neppure l’intuitiva e sensibile ragazza che le stava accanto.

Sì, perché il suo amore per quelle particolari ore che seguono il crepuscolo, tendeva a trasfigurarla. In questi particolari momenti infatti pareva trasformarsi, diventava tutt’uno col respiro della natura, cedeva le armi e per un lasso di tempo sublime lasciava ascendere al cielo quanto di più metafisico albergasse dentro di lei.

Ciò accadeva perché più d’ogni altra cosa le piaceva abbandonarsi mentre il sole calava, e, quando la luce lasciava spazio al manto morbido dell’oscurità e i grilli prendevano a frinire, una tregua umorale ingentiliva i suoi tratti taglienti. Adorava queste sospensioni durante le quali rilassava le membra sempre attive, intanto che dal bosco le arrivava alle narici il profumo dell’erba accompagnato dal verso ritmico degli uccelli notturni. E, per quanto mondana fosse obbligata ad apparire, non avrebbe mai barattato i vitali giorni che trascorreva qui, in cambio di un’esclusiva località vip dove mettersi in mostra.

Che andassero a farsi fottere tutti! Questo luogo era diventato il suo elitario eremo e per nulla al mondo ci avrebbe rinunciato. E non solo perché aveva posato con le sue stesse mani gran parte del legno di cui era fatto questo ricovero, ma soprattutto perché alla progettazione e costruzione dello stesso aveva preso parte una persona che le era cara quanto le memorie appena evocate. Del resto ne era parte integrante.

Sorrise nostalgica e rivide, come se ce l’avesse di nuovo innanzi, la figura angolosa, rivestita dal candido camicione messicano e dai jeans sfilacciati, della ragazza che da un giorno all’altro era diventata elemento fondamentale del clan del flower power in mezzo al quale era cresciuta.

Beh, a dirla tutta c’era da ammettere che in quella moltitudine Siddharta, che lei aveva chiamato sempre e soltanto Sid, spiccava per concretezza ed intelletto. Forse proprio per questo le si era affezionata fin da subito, contrariamente a quanto, prima e dopo, le sarebbe successo con chiunque altro. Ma forse non si era trattato solo di questo, molto probabilmente si era trattato dell’innamoramento di due anime affini, di due spiriti nutriti dal medesimo senso di solitudine, sebbene una fosse ancora una bimbetta e l’atra sulle soglie dell’età adulta. Ma a ben guardarla Sid avrebbe potuto essere sua sorella maggiore, tanto erano rassomiglianti nei colori degli occhi e dei capelli, e in effetti spesso le avevano scambiate per tali, anche perché Haruka le stava sempre appiccicata come una pulce. Quando l’aveva vista per la prima volta era ancora una mocciosa, mentre l’altra andava per i venti, e aveva avuto nei suoi riguardi una sorta di irresistibile imprinting, ché a tutt’oggi Sid restava ancora l’unica persona che avesse suscitato in lei un desiderio d’emulazione. Ad ogni modo la ragazza l’aveva presa sotto la sua ala protettrice e fin da subito aveva cominciato ad insegnarle tutto quanto sapesse e quanto via, via stesse apprendendo sulle polverose strade dell’ovest che macinavano.

Da lei aveva imparato il muei tai in tutte le sue svariate forme e, prima ancora d’imparare a leggere o scrivere, grazie a quella dottrina, Haruka aveva cominciato a disciplinarsi, mentre Sid con maestria, attraverso un versatile addestramento, adeguatamente incanalava la sua forza interiore. Senza contare che, se durante i suoi periodi di detenzione le aveva suonate di brutto a tutti quelli che avevano tentato di sopraffarla, doveva ringraziare lei, la quale aveva ritenuto non fosse mai troppo presto per imparare a difendersi e, meglio ancora, ad attaccare.

Del resto Sid era stata la sola che nei frangenti appena citati aveva ricercato assiduamente l’occasione di vederla, ché dopo la rinuncia della sua custodia da parte di Ame, sia in riformatorio che presso le famiglie cui era in affido, il suo era stato il solo volto noto che aveva incontrato ancora. Purtroppo non sempre era stato possibile, ma comunque per molto tempo la bionda asceta aveva rappresentato per Haruka quel fondamentale punto fermo di cui abbisognava in un mondo che vedeva andarle, ogni giorno sempre di più, completamente allo sbando.

Poi le loro strade si erano divise, in quanto la ragazza aveva ripreso a viaggiare, e quando Haruka si stava preparando per il suo ritorno in Giappone, prima di partire, le aveva lasciato una lunga lettera presso il dojo nel quale soleva allenarsi quando passava per Santa Fè, nella speranza che in futuro passasse di lì e che in qualche modo avrebbero avuto l’opportunità di rivedersi.

In seguito, dopo l’opportuna lettura della missiva lasciatale, la fame di vita e di esperienze di Sid, nonché la voglia di rivedere la sua piccola peste, l’avevano condotta nel paese del sol levante. E nonostante fossero passati anni, durante i quali molto era cambiato, l’affetto che nutrivano l’una per l’altra era rimasto immutato. E la felicità di Haruka raggiunse un picco mai più provato quando se la ritrovò davanti e, dopo qualche giorno trascorso ad aggiornarsi su quanto era accaduto nel frattempo, erano partite per trascorrere insieme tutto il periodo delle vacanze scolastiche, tre mesi tutti per loro. Tutto ciò col beneplacito del suo tutore, ché i Meiou infatti, sotto le adeguate insistenze ed argomentazioni della stessa Setsuna, considerata la gioia evidente dipinta sul volto della loro protetta, non avevano avuto cuore di negarle il loro assenso. Così Sid e Haruka, proprio come un tempo, avevano preso a seguire un itinerario tutto loro che attraversava in lungo e in largo il Giappone.

In effetti la realizzazione di questa baita era stata una sua idea, stavano vagando tra questi monti quando avevano rinvenuto il rudere di un vecchio rifugio di montagna abbandonato. E fatte le dovute ricerche avevano scoperto che sarebbero state sufficienti poche migliaia di yen per averne il possesso. Al che di comune accordo avevano deciso di riportarlo a nuova vita, non solo per il tangibile incanto del luogo, quanto per la gioia di creare di nuovo qualcosa insieme. Sid era un’esperta nella trasformazione del legno infatti, nonché un falegname provetto, ed era stata più che contenta di trasmetterle tutte le tecniche di lavorazione di cui era a conoscenza. Così avevano passato tutta l’estate prese da questa immane fatica, lasciando in piedi solo i muri originari e sistemando ad una ad una le travi del tetto e le liste del pavimento. Di notte dormivano all’addiaccio, oppure sotto una tenda improvvisata, quando i repentini temporali estivi le sorprendevano.

Era stato un impegno gravoso, immane, e, quando infine il soggiorno di Sid era arrivato al capolinea, non ne erano arrivate neppure a metà. Ma questo non aveva affatto spaventato l’ingegnosa vagabonda, riteneva infatti che a quel punto Haruka fosse in grado di cavarsela da sola. Quindi il giorno della partenza le aveva battuto una mano sulla spalla e aveva preso ad allontanarsi senza voltarsi indietro, come sempre, mentre quella che non manifestava mai apertamente i suoi sentimenti, la salutava con gli occhi pieni di lacrime. Ma Haruka non piangeva per il dolore, poiché capiva quel distacco e sapeva della sua necessità, piuttosto lo faceva perché non l’aveva mai fatto per nessuno e quindi, in quel modo, le lacrime che versava in un certo senso rappresentavano la prova tangibile della gratitudine che provava verso di lei.

La riconoscenza ha tante sfaccettature diverse, proprio come l’amore, e anche per questo, ogniqualvolta che c’era più di un giorno di vacanza, Haruka lavorava sodo per portare a termine il compito che Sid le aveva lasciato come ennesima lezione di vita. E così fu che, poco dopo il suo sedicesimo compleanno, quel lungo ed estenuante lavoro ebbe fine e da quel momento in poi Haruka cercava di passare quanto più tempo possibile in questa che considerava la sua vera casa.

E non desti stupore il fatto che non nominasse mai Sid, né che non vi facesse menzione sia pure indirettamente. Era una scelta precisa, in primo luogo perché faceva di tutto per onorarla principalmente con il proprio agire, e soprattutto, perché pensava che quello fosse un privilegio da concedersi solo all’interno di quel determinato contesto bucolico. Insomma, avrebbe trovato inappropriato farlo in un ambito che immaginava Sid avrebbe detestato con tutto il cuore e del resto, richiamarne alla mente la voce e il volto nei meandri di quella snobistica scuola, oppure nel suo appartamento tutto cromato e hi-tech, le sarebbe sembrato assurdo. Per cui si permetteva di farlo solo qui, dove ancora si respirava la sua presenza, dove ogni albero, ogni forra, aveva un qualcosa che gliela ricordava, ché persino quando le onde del lago a fondovalle s’increspavano, le sembrava di udirne la profonda risata.

Haruka batté le palpebre, come a creare uno stacco concreto dalla malia di quelle divagazioni, e attraverso la penombra fissò Michiru che se ne stava accoccolata su di una pila di cuscini multicolori all’altro capo del porticato. Continuava a schizzare come se fosse completamente dimentica di ogni altra cosa, facendo sentire la sua presenza solo di tanto in tanto, magari con l’occasionale strofinio della carta o l’involontario movimento degli arti. La bionda la contemplò assorta mentre mentalmente la comparava a chi prima di lei amava stare distesa esattamente nel stesso posto. E non era un paragone del tutto azzardato, sebbene Michiru e Sid non avessero nulla in comune, sia nei modi che nell’aspetto. Ma decisamente la sua antica mentore e la violinista avevano un qualcosa che le avvicinava, anzi, in alcuni casi Michiru pareva addirittura sovrapporsi all’altra, cosa che Haruka non avrebbe mai creduto possibile. Del resto era straordinario come la ragazza stesse rapidamente entrando in simbiosi con la natura del luogo, non sembrava affatto che questa fosse la prima volta che venisse qui. Si era integrata con una facilità incredibile ai suoi ritmi e, allo stesso tempo, pur ricercando sempre il suo contatto, manteneva comunque la propria autonomia.

Praticamente aveva imparato ad accettare il suo bisogno di solitudine ogniqualvolta si manifestava, esattamente come stava cominciando a pretendere lo stesso rispetto per i propri. E spesso capitava che non si vedessero per tutto il giorno, ché magari una se ne andava verso il lago a dipingere e nuotare, e l’altra verso le vette da scalare a mani nude o in bicicletta. E se al suo posto ci fosse stata Sid sarebbe accaduto lo stesso, ma con la differenza che quest’ultima tendeva ad estraniarsi con lo yoga, mentre Michiru si ritirava nel suo mondo interiore attraverso l’esercizio quotidiano del violino. E, se quando ciò avveniva, non mancava mai di dispiacerle un po’, restava il fatto che vederla suonare con alle spalle quello sfondo, udire il riverbero delle note attraversare quell’anfiteatro naturale, era uno spettacolo che ne valeva davvero la pena. Ma in ogni caso non aveva senso questo suo ostinarsi a farle coincidere a tutti i costi, teneva molto ad entrambe e non c’era bisogno che creasse questo parallelo come per giustificarsene.

Mah, chissà quale sarebbe stata l’opinione di Michiru in merito, magari un giorno gliene avrebbe parlato, esattamente come aveva fatto riguardo a miriadi di argomenti che non avrebbe mai pesato d’essere in grado di rivelare. Soprattutto a lei, quella che nel giro di neanche un anno aveva compiuto l’incredibile impresa di scavarsi una nicchia tra le sue costole e un esclusivo incavo nella sua testa.

Sospirò appagata nonostante l’evidente contraddizione, ché il fatto che la presenza di quella ragazzina qui e ora la rendesse estremamente appagata era un monumentale paradosso, eppure oggi finalmente poteva dirsi lieta di tutte le petulanze delle quali l’aveva fatta oggetto fin dall’inizio. E guai se non avesse insistito, altrimenti a quest’ora chissà che accidenti di fine avrebbero fatto.

Lentamente si alzò e iniziò ad accendere le fiaccole che aveva posto sulla balaustra per illuminare la loggia, dopodichè tornò nella posizione in cui era prima e riprese a caso il flusso delle digressioni cui stava dando libero corso.

Che pace! Qui poteva assaporare un’armonia e un equilibrio incomparabili, magari dipendeva dal suo stato d’animo, o dalla bellezza del posto, o meglio ancora dalla silente figura che le era vicina senza per questo ingombrarla, ma quest’imbrunire aveva in sé qualcosa di magico che allontanava dalla sua mente tutte le malinconie negative per far posto solo a quelle gradevoli.

E allora le venne spontaneo ripensare a tutti gli episodi che erano avvenuti negli ultimi mesi. Il che era buffo, perché al loro accadere le erano sembrati di poco conto, invece ripensandoci adesso, li scopriva quantomai significativi. Si portò la mano destra davanti agli occhi e, contemplando l’alone di colore che non era ancora scomparso del tutto, sogghignò a dispetto di sé stessa. Una volta tanto gli strali della sua pungente ironia erano rivolti verso il suo stesso di comportamento, poiché non avrebbe mai immaginato di scoprirsi superstiziosa. Ché una scettica come lei non poteva esserlo, per nulla al mondo, pure ne ostentava chiare tracce, proprio lì, sul dorso della mano.

Ma poteva definirsi scaramanzia quella, oppure era la stimmata di qualcos’altro che le faceva più comodo definire tale? Valeva la pena di rivangare da dove avesse preso le mosse questa singolare faccenda allora.

Tutto si correlava alla sua attività di pilota. Naturalmente anche l’ultima corsa cui aveva preso parte, non più tardi di due settimane addietro, altro non era stata che l’ennesimo successo della lunga serie alla quale aveva dato principio fin dal suo esordio. Ciò nonostante, la sera precedente il suo debutto, era stata presa da una strizza completamente estranea alla sua abituale presunzione. Sarà che era stressata da morire a causa dalle incessanti prove che fino all’ultimo l’avevano vista protagonista, sarà che durante le qualifiche aveva avuto qualche problema di troppo con il sovrasterzo della monoposto, sarà che c’era in ballo molto di più di quel che le piaceva ammettere, ma in quelle snervanti ore antecedenti la gara il suo circuito interno era andato in tilt. Casualmente, anzi provvidenzialmente sarebbe stato il caso di dire, Michiru era lì con lei e quel che era accaduto quella notte, con l’andare del tempo, aveva assunto una valenza assai sintomatica.

Giaceva insonne nel letto, voltandosi e rivoltandosi in preda all’ansia e, non riuscendo ad assopirsi in nessun modo, benché fosse esausta e l’indomani l’attendesse l’ennesima levataccia, alla fine si era alzata e aveva preso a gironzolare per il suo appartamento. Tesa e preoccupata si era fatta un caffé ed era andata a berselo in soggiorno sperando che la vista delle luci della città in qualche modo potesse placarla. Non credeva d’aver fatto baccano, e proprio per questo, quando la violinista era emersa dalla stanza degli ospiti stropicciandosi gli occhi e andandole incontro, l’aveva fissata alquanto sorpresa.

"Che succede?" Aveva chiesto Michiru mentre si accomodava sul divano e tirava le gambe sotto di sé, soffocando un grosso sbadiglio. A quella domanda la bionda si era limitata a fare un gesto spazientito, che non diceva nulla, e aveva continuato imperterrita il suo addivieni con la calma di un animale in gabbia. Finché improvvisamente non si era buttata a peso morto sulla poltrona di fronte a lei e non aveva sbottato:

"E se domani va da schifo?"

A quest’interrogativo, e al cipiglio provocatorio e inquieto della sua interlocutrice, Michiru si era limitata a sorridere. Ed era uno di quei sorrisi che avevano cominciato a contraddistinguerla da qualche tempo in qua, uno di quelli consistenti in una smorfia a un tempo dolce, ma parallelamente un po’ canzonatoria, che covava in sé un che d’enigmatico non sempre decifrabile agli occhi dell’altra.

"Vincerai." L’aveva contraddetta tranquillissima, come se quella convinzione le derivasse da un dato precedentemente acclarato e del quale era del tutto inutile discutere. Ma Haruka, alla quale la tensione mal repressa faceva l’effetto di renderla vieppiù polemica, aveva sbuffato sarcastica.

"Vorrei sapere che accidenti ne sai tu!? Ci sono tante di quelle variabili che neppure puoi immaginare! Un treno di gomme difettoso, un pit stop organizzato male, uno stronzo che in pista ti viene addosso deliberatamente! L’abilità del pilota può incidere solo fino ad un certo punto, il resto giace in grembo a quella puttana della fortuna!" Aveva concluso rabbiosa dando una botta clamorosa al bracciolo rivestito di pelle.

Innanzi a quel comportamento aggressivo Michiru non si era scomposta più di tanto, anzi, facendo spallucce e uscendosene con un: "Se si tratta solo di fortuna..." aveva raccattato dal piano vicino alla vetrata il kit da disegno che portava sempre con sé e ne aveva tratto una boccetta dal tappo nero e un pennello a punta fine. Dopodichè, accoccolandosi a terra davanti a lei, aveva intinto l’estremità di quest’ultimo nel colore e, tirandosi in grembo uno dei suoi piedi, aveva cominciato un complicato disegno che si estendeva dal polpaccio al malleolo.

"Ma che diavolo stai facendo?!" Aveva chiesto Haruka quando infine si era ripresa dall’iniziale meraviglia ed era riuscita a recuperare l’uso della parola. E, visto che non ne aveva ricevuto risposta, ché Michiru sembrava concentratissima su quanto stava facendo, aveva aggiunto tanto per dir qualcosa: "Mi stai facendo il solletico."

"Resisti." Aveva replicato criptica l’altra continuando imperterrita e allungando i tratti di nero dal tallone al retro del ginocchio. Poi, con un ultima rifinitura aveva concluso l’elaborata creazione e, sempre senza profferire parola, le aveva afferrato la mano e delicatamente l’aveva girata prima da un verso e poi dall’altro, come a cercare la prospettiva migliore. Quindi, dopo un tempo che ad Haruka parve lunghissimo, si decise e, stringendola con una blanda presa, aveva cominciato a tracciare delle sottili linee spezzate che dal polso si protendevano fino al punto in cui cominciavano le falangi.

Così fu che Haruka vide nascere dal nulla sulla sua pelle una folgore dalla squisita quota stilistica. Incuriosita, e soprattutto sedotta dalla bellezza di quella raffigurazione, mosse impercettibilmente il capo per adocchiare cosa invece le avesse fatto al piede e, scrutando l’intrico di arabeschi che lo decoravano, intuì che altro non erano che la rappresentazione di un‘ala.

Voleva dirle qualcosa, chiederle il perché di quella sorta di pittura tribale, ma vedendo quanto ancora fosse intenta nella realizzazione della sua opera, preferì starsene zitta per non rompere l’incanto di quel momento. Ché, incredibile a credersi, sentiva scivolare via da lei l’ansietà, sostituita da qualcos’altro che difficilmente avrebbe potuto definire. Avrebbe potuto dire a riguardo solo che si trattava di un che di caldo ed avvolgente, come una coperta o un abbraccio rassicurante nel bel mezzo del gelido inverno.

"Non ti muovere, lasciali asciugare prima."

La voce della violinista la riscosse dalle sue fantasie e con un cenno annuì, non fidandosi a parlare, poiché temeva che la voce potesse uscirle in un tono notevolmente differente dal suo abituale.

"Scommetto che per le testa ti stanno frullando infinità d’interrogativi, vero?" Fece la ragazza ridacchiando e rompendo quel silenzio inconsueto.

"Già. Una saetta e un’ala, simbologia interessante, considerato che dovrò correre come il vento domani. " Concesse rimirando per l’ennesima volta i decori che l’adornavano.

"Appunto, considerali dei talismani, una sorta di amuleti di buona fortuna. Per quanto mi riguarda sono convinta che non ne avresti affatto bisogno, ma hai visto mai?" Aveva ribattuto maliziosa e con un tanto di condiscendenza che, se non si fosse trattato di lei, la bionda avrebbe trovato intollerabile.

Ad ogni modo, superstizione o no, se li era tenuti e aveva fatto una gara strepitosa, stupendo pubblico e addetti ai lavori con la sua guida spericolata e la sonante vittoria che ne era derivata. E da quel momento in poi aveva preteso sempre che alla vigilia di qualsiasi competizione Michiru passasse la notte nel suo appartamento e rinnovasse di volta in volta quel rito propiziatorio. Senza contare inoltre che quei disegni erano di una magnificenza incomparabile. Spesso si diceva che avrebbe dovuto farseli tatuare, ma poi che fine avrebbe fatto quella cerimonia che condividevano? Ormai sapeva che non avrebbe saputo rinunciarvi, per cui aveva lasciato le cose così come stavano. Ma per quanto potevano continuare così a vegetare in quella terra di nessuno?

La guardò di tralice mentre quella ignara continuava a dipingere, era a pochi metri da lei, una distanza esigua, tanto che le sarebbe bastato qualche passo per annullarla e gettare una volta per tutte la maschera. Sì, ma poi? Non sapeva neppure lei di che cosa si trattasse davvero, senza contare che non era ancora pronta ad affrontarne tutte le conseguenze.

Sospirò indecisa e fissò ancora una volta le linee sbiadite della mano, chiedendosi se allo stesso modo, col tempo, avessero potuto perdere vigore anche le sensazioni che, sempre più forti, le si agitavano dentro quando Michiru era con lei. A volte riusciva a tenerle a bada, ma non sempre e allora poteva capitare pure che si trovassero ad un passo dalla rotta di collisione. Ed era un male, era evidente infatti che alla violinista la situazione stava bene esattamente così e che qualsiasi accenno prevaricante l’amicizia e sconfinante nell’appassionato avrebbe potuto turbarla, se non addirittura allontanarla per sempre da lei.

Così Haruka aveva scelto il silenzio, benché nei mesi precedenti spesso fosse stata ad un passo dall’infrangerlo, anche se non sempre in modo del tutto involontario. Ad ogni modo avrebbe potuto rivangare molti di questi momenti topici, ché parecchi se n’erano susseguiti dacché Michiru aveva praticamente eletto casa sua come territorio prescelto dove trascorrere il suo tempo libero, ma uno in particolare le era rimasto impresso. Già, in quel caso c’era mancato davvero poco e volendo, ad uno spettatore imparziale, la faccenda poteva apparire addirittura in chiave comica. Eh sì, giacché in quel frangente tra tanti, il sentimento, la ragione e la libido che si mescolavano incessanti in lei, si erano fatti una grandissima scazzottata tra loro.

Tutto era accaduto in un pomeriggio di sabato che avevano accuratamente prestabilito con adeguato anticipo in modo da essere entrambe svincolate da qualsiasi obbligo. In effetti Michiru aveva davvero bisogno di un ripasso approfondito di geometria, ché i suoi voti ultimamente non avevano brillato e lei desiderava avere una valutazione finale che non comprendesse nelle sue eccellenze una striminzita sufficienza. Quindi, chi più della bionda avrebbe potuto porgerle il destro? Anche perché un doposcuola presso un professore mal si sarebbe incastrato con tutte le attività che già svolgeva, oltre a ciò Michiru riteneva che Haruka fosse più che qualificata, per cui si erano accordate in tal senso. E quest’ultima, la quale riteneva che le falle della ragazza in merito fossero più che altro dovute all’antipatia per la materia e non ad una radicata ignoranza, aveva accettato senza considerare che ultimamente le sue pulsioni si stavano facendo sempre più turbolente.

Ah certo, Shanaya sapeva come ben placarle, altrochè se lo sapeva, tanto che stavano sperimentando una varietà e quantità cui a volte era difficile stare dietro. Praticamente ormai conoscevano menadito la zona dei love hotel di Shinjuku, anche se la ragazza sempre più spesso le chiedeva sospettosa perché si rifiutasse ostinatamente di usare il proprio appartamento come alcova. Haruka a tal proposito adduceva di volta in volta una serie di scuse credibili, senza però rivelarle che il motivo pregnante consisteva nel fatto che non voleva assolutamente che Shanaya arrivasse ad introdursi più di tanto nella sua sfera privata. Ad ogni modo non era questo il punto, piuttosto si trattava del fatto che, da un po’ di tempo a questa parte, l’effetto placebo di quelle effusioni avevano preso ad avere una durata sempre più limitata. E con raccapriccio Haruka si era accorta che in molte occasioni, proprio nel momento culminante, le sue fantasie correvano in ben altra direzione, tanto che, almeno un paio di volte, poco ci era mancato che le scappasse di bocca un nome che non era quello di colei la quale in quel momento le si agitava addosso.

Insomma, come allentava la morsa del suo ferreo controllo, come si lasciava andare alla passione, l’immaginazione le si scatenava, incurante del fatto che fosse tra le braccia di un’altra persona. Rischioso, molto imprudente. Ma che poteva farci?

E per fortuna che fin lì era andato tutto bene! Sennonché, durante quel particolare pomeriggio deputato alla geometria in tutte le sue varianti, finì per impelagarsi dritta, dritta nel gorgo del suo desiderio represso.

Michiru stava a capo chino sul libro che le aveva piazzato davanti e, dopo esserselo studiato per qualche minuto, memore delle spiegazioni che la bionda le aveva dato, aveva scribacchiato un’equazione per poi chiederle:

"Quindi qui qual è la funzione del seno?"

A siffatta domanda Haruka avrebbe potuto dare più una risoluzione, ma nessuna delle quali c’entrasse molto con la trigonometria. E, colta da improvvisa arsura, deglutì più volte, attaccandosi alla bottiglia d’acqua allo scopo d’evitare di darle una risposta. Temeva infatti che potesse sfuggirle qualche lapsus terrificante. In effetti erano cinque minuti buoni che gli occhi continuavano a correrle, quantunque li stesse storpiando in maniera innaturale nel tentativo d’impedirselo, per l’appunto verso la zona intermedia tra lo stomaco e lo sterno della violinista seduta di fronte a lei.

Perché aveva acconsentito a darle delle ripetizioni? E perché Michiru, accidenti a lei, era venuta in metropolitana e senza ombrello? Se l’avesse accompagnata l’autista di famiglia non si sarebbe infradiciata e, in tal caso, non avrebbe avuto necessità di cambiarsi. Invece, causa l’improvviso bisogno d’indipendenza che aveva preso a stimolarla dacché si frequentavano abitualmente, se n’era venuta a casa sua come una pendolare qualsiasi, facendosi cogliere in pieno dalla pioggia gelata che da giorni sferzava la città.

Se l’era ritrovata sulla soglia completamente zuppa e, d’accordo che non poteva restarsene con quella roba fradicia addosso, ma aveva proprio bisogno di indossare quei suoi vecchi short e quella maglietta senza maniche che accidentalmente aveva ristretto in lavatrice? E, considerato che i pantaloncini risalivano a quando Haruka aveva una dozzina d’anni e che la t-shirt si era ritirata con un lavaggio a novanta gradi (altra cifra che riportava i suoi pensieri verso un territorio da evitare assolutamente, porcaccia zozza!) le calzavano a pennello. Anzi, a dire la verità il tessuto della maglietta tendeva pericolosamente a salirsene al di là dell’ombelico… Ma maledizione, non sarebbe stato meglio che si fosse data una mossa e che le avesse preso di persona qualcosa da mettersi? Magari un bel completino oversize!?

Bella idea questa, peccato che qualsiasi sua eventuale contromisura fosse stata prontamente azzerata dal tempismo incredibile che Michiru aveva sfoderato. Infatti la violinista si era fiondata verso i cassetti della sua roba smessa ad una velocità pari a quella di una Ferrari sul rettilineo di Indianapolis e a lei altro non era rimasto che battersene in ritirata prima che cominciasse a svestirsi. Ah certo, avrebbe potuto restare e magari darle un consiglio spassionato su cosa mettere e cosa no, ma così non avrebbe fatto che ripetere la torturante esperienza già patita a bordo dell’Abatros, e per l’amor di dio, non era proprio il caso! Ché se la ricordava benissimo la faticaccia che aveva fatto allora per impedirsi di star lì a guardarla a con mezzo metro di bocca aperta, per cui si era dovuta arrendere all’inevitabile. E purtroppo per lei questo non era stato che l’inizio.

Haruka stava sudando abbondantemente e non solo per via dell’aria condizionata tenuta molto alta, ma a chi poteva darne la colpa se non a sé stessa? Certo che se avesse saputo tutto ciò in anticipo, col cavolo che l’avrebbe posizionata a quelle temperature tropicali! Sottozero sarebbe stata l’ideale, così quella maledetta si sarebbe dovuta per forza coprire, magari con un burqua di lana!

E invece no, Michiru se ne stava mezza spogliata esibendo un’invidiabile disinvoltura e, come se niente fosse, levava il suo sguardo innocente a lei, in attesa delle sue perle trigonometriche. Come se poi fosse una cosa facile ragionare su periodiche e radianti innanzi a quel po’, po’ di spettacolo esposto. Ma come spiegarle il suo impasse senza scendere nel dettaglio?

"Maledetto Cartesio!" Pensò piena di livore e prossima all’ebollizione mentre si faceva aria con una mano. "Lui e le sue rette di sto par de palle! Ché qui più che cogito ergo sum, si è al coito ergo sum!"

Innalzò gli occhi al cielo mormorando un misto d’invettive e una silente preghiera all’indirizzo di un nume qualsiasi, ma tanto benigno da darle la forza di restare quieta.

"Allora Haruka, facciamo notte?" Chiese Michiru impaziente battendo l’indice sulla curva del grafico illustrato sul libro degli esercizi.

Haruka ebbe un soprassalto e la fissò con tanto d’occhi, persa com’era nel suo mondo di maledizioni e recriminazioni. Ma la parola notte s’illuminò nella sua testa come le insegne a Brodway durante la stagione dei musical.

Notte? Aveva detto notte? Porca puttana no! Ci mancava solo il calare delle tenebre per trasformarla definitivamente in una potenziale violentatrice! No, no, no, avrebbero terminato quel fotuttissimo problema immediatamente e poi l’avrebbe spedita di corsa a casa!

"Ah, scusa. Stavo pensando ad altro." Aveva borbottato avvertendo, per la prima volta dopo tanto tempo, il bisogno di qualcosa di forte. Peccato che l’unico alcolico presente nel suo appartamento fosse quello contenuto nella bottiglia del suo profumo preferito.

Saké!

Aveva invocato disperata, peggio di un avvinazzato fetente buttato fuori a calci dalla più infima delle bettole, ma, visto che a quell’appello nessuna cassa di bottiglie scintillanti si era miracolosamente materializzata, aveva tentato di sgombrare la testa da tutte le immagini tentatrici che le si presentavano, spazzandole con una ruspa di scevra razionalità. Ci voleva qualcosa che le ammosciasse la libido all'istante, subito! Pensò a Pitagora, l’eccelso non falliva mai con lei. Peccato però che, mentre s’accingeva ad enunciare il celeberrimo assioma, nel frattempo lo sguardo le fosse caduto sulle gambe allungate dal suo lato. Così il suo tentativo di citazione era diventato una parodia consistente ne: La somma dei quadrati costruiti sulle cosce… oh merda!

Scuotendo il capo aveva distolto gli occhi e ostinata aveva riprovato riesumando stavolta Talete e il suo simpatico teorema semplice. E in effetti l’avvio fu abbastanza buono, ma a metà della formula era precipitata a volo d’angelo nella diretta contemplazione del volto di Michiru, perdendosi nella delicata curva della mascella, seguita dall’esame attento al madreperlaceo orecchio, fino a terminare nelle volute delle ciocche dei capelli che lì si arricciolavano setosi.

Niente da fare!

Frustrata aveva constatato la sua totale debacle su tutti i fronti.

"E’ evidente. Forse è colpa mia." Aveva detto tutto ad un tratto Michiru sospirando.

Sì bella, diciamocelo, è proprio colpa tua. Rivestiti!

L’aveva esortata mentalmente, ma ovviamente la violinista non aveva inteso quello e avevano continuato con quel tira e molla finché quest’ultima non aveva portato a termine, e in piena autonomia, un’intera pagina del suo libro di esercizi. Il che costò ad Haruka un esborso incredibile d’energie, in quanto quel dominarsi la stancò più di quanto avrebbe potuto una sessione massacrante di fitness, oltre che innumerevoli passaggi alla toilette, dove si recava a immergere la faccia nell’acqua gelida allo scopo di calmare i suoi bollenti spiriti.

Haruka ridacchiò voltando il capo verso l’oscurità della valle, meglio nascondere il ghigno che le era fiorito al ricordo di quel pomeriggio terrificante, altrimenti come avrebbe potuto spiegarlo all’altra? C’era ben poco da ridere d’accordo, sapeva benissimo che sarebbe potuto capitare di nuovo, anche se si adoperava i tutti i modi perché così non fosse, però ciò non toglieva che ci fosse una grande ironia di fondo con la quale la sua natura sarcastica si divertiva un modo.

Doveva proprio star facendosi un sacco di risate, ché , come per osmosi la sua personalità ultimamente sembrava stesse scindendosi in due differenti branche. In più di un’occasione infatti aveva notato il prepotente insorgere di una parte di sé del tutto inedita rispetto a quella che da sempre aveva imperato sui suoi atti. E se da un lato c’era il suo vecchio io, ombroso, saccente e maledettamente spiritoso, dall’altro, a tratti si ritrovava ad essere timida, indecisa e incredibilmente attenta alle altrui esigenze. Inutile star a sottolineare comunque che tutta sta premura e nobiltà d’animo balzavano fuori, fortunatamente non sempre, solo quando si trovava al cospetto di una determinata femmina.

Oddio, magari poteva essere addirittura un cambiamento in positivo, anche se non ne era affatto convinta, ma restava il fatto che fosse decisamente rischioso, dato che arrivava inaspettato ed imprevedibile nelle sue manifestazioni. Inoltre l’assurdo era che per lo più certe sensazioni si scatenavano davanti ad emerite bazzecole. Passi che stesse diventando una mammoletta in seguito ad uno shock emozionale, ma lo scoprirsi tutta intenerita davanti al futile dettaglio degli occhiali da vista di Michiru la trovava davvero una clamorosa stronzata! Ma quando mai si era persa in simili arrossamenti? Che aveva quella ragazza di diverso dalle altre?

Era importante, troppo importante. Questo era il punto al di là di ogni ragionevole sproloquio. Ma non era amore, non poteva essere quello. Ché le uniche forme d’amore che avesse mai provato si erano cristallizzate attraverso Ame e Sid, due persone con le quali aveva un legame libero, incondizionato, scevro da catene e resistente alla lontananza e al tempo. Per cui, constatando invece quanto stesse diventando progressivamente dipendente dalla violinista, e come non sarebbe stata capace di sopportare il medesimo distacco da lei, il suo non poteva essere amore.

Piuttosto doveva trattarsi di una forma viscerale di ossessività da parte sua, altro non era che il risvegliarsi di un istinto possessivo velato d’affetto e prepotentemente condizionato dall’attrazione fisica.

Magari fosse stato amore, nel qual caso l’avrebbe preferito, giacché sarebbe stato senz’altro più semplice da gestire rispetto a quel guazzabuglio. Ma così c’era solo da andarsene di testa, anche perché inevitabilmente le cose erano destinate a cambiare e allora che diavolo sarebbe successo?

Ora però non era in condizione di darle nulla, né di pretendere nulla e nuovamente si ritrovava ad essere spettatrice impotente in balia della sua volontà. Tutto stava a quel che Michiru avrebbe fatto e se lei avesse deciso di fluttuare per sempre in quell’ignavia avrebbe dovuto adeguarsi, tout court.

"Lei è il mio angelo." Si disse a fior di labbra appoggiando il capo alla balaustra, chiuse gli occhi e strinse i pugni. "E’ il mio angelo, e io sono troppo incostante per poter solo pensare di legarla a me."

 

 

 

 

 

N.d.A.

Si è in dirittura d’arrivo signore.

Inizialmente avevo pensato di orchestrare il finale di questa storia in un’unica soluzione. Però poi mi è venuto il dubbio che ne sarebbe derivato un capitolo troppo lungo, dalla difficile gestione per chi scrive, ma soprattutto per chi legge. Così ho deciso di scinderlo in più parti, abolendo il registro corale usato fin qui e lasciando che di volta in volta si alternasse il punto di vista delle due protagoniste. Forse a qualcuno, se non a tutti, l’inserimento del personaggio Sid sarà sembrato forzato, me ne rendo conto. Ma mi è stato necessario, in quanto l’ho usata come espediente per gettare uno squarcio di luce sul passato di Haruka, nonché come termine di paragone per le elucubrazioni che la nostra elabora nel finale. Per cui spero che venga assorbita in scioltezza.

Bene, per il momento è tutto, e ancora un grandissimo grazie a quanti mi spronano ad andare avanti! ^___^

 

 

   
 
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