cap3
Cara si sentì avvolta in
qualcosa di morbido, di caldo e morbido. Non riusciva a capire se stesse ancora
respirando o se quella fosse la sensazione della morte. Sembrava avesse la gola
in fiamme e che un treno le stesse attraversando il cervello. Sembrava fosse
schiacciata sotto una tonnellata di cemento. Tentò di intrattenere una
conversazione con i suoi neuroni, cercando di capire se potessero ancora
sentirla. Ordinò al suo indice destro di muoversi, almeno un paio di volte
prima di percepire che stava toccando qualcosa di liscio. Ordinò alle sue
palpebre di sollevarsi, ma la luce al di là sembrò ferirla come una lama
incandescente. Le sfuggì un lamento roco.. Se poteva ancora muoversi ed
emettere suoni forse non era morta dopotutto, oppure la sua versione di
paradiso faceva ancora più schifo della realtà.
Provò ancora una volta ad
aprire gli occhi, uno alla volta, il più lentamente possibile. La stanza era
avvolta in una luce gialla, i dettagli difficili da cogliere, il suo corpo
disteso sotto lenzuola bianche. Era un letto. Era sdraiata in una minuscola
stanza sconosciuta. Il letto sembrò muoversi di colpo e Cara emise un altro
gemito infastidito cercando di tenere a bada la nausea.
“Buongiorno.”
La voce sconosciuta le
arrivò alle orecchie come fosse lontana un chilometro. Cara biascicò cercando
di riportare la mente ad un piano di realtà accettabile. Aereo. Assassino.
Toilette. Paracadute. Non respirare. Assassino. Spalancò gli occhi e si tirò su
in un istante. La vista sembrò mancarle per qualche secondo, poi riuscì
finalmente a mettere a fuoco dove si trovava.
La stanza era davvero
piccola, dalla finestra tonda alla sua sinistra entrava la fastidiosa luce del
sole, le pareti erano color crema, le finiture erano in legno e l’assassino
dell’aereo se ne stava seduto su un’anonima sedia nell’angolo. Sulla sua faccia
un mezzo sorriso.
Cara indietreggiò sul
materasso fino a spalmare la schiena contro la lettiera. Il cambio improvviso
di posizione le fece vedere blu e, nel tentativo di non svenire, si portò entrambe
le mani alla testa.
Lui inclinò la testa “Vacci
piano. E’ stato un viaggio piuttosto impegnativo per te.” Disse con tono
sarcastico e divertito, mentre lei cercava di prendere ossigeno e allo stesso
tempo fissarlo in assetto da fuga.
Cara rimase immobile dopo un
paio di lunghi respiri, rivolgendo l’attenzione a sé stessa. Aveva ancora
addosso il vestito macchiato di caffè, mentre i suoi piedi erano scalzi sotto
le lenzuola. Tutta la sua pelle sembrava tirare, come se avesse fatto il bagno nel
Mar Morto senza poi spalmare l’idratante. Si portò una mano alla testa, le sue
dita rimasero incastrate tra i capelli come fossero un fitto ammasso di paglia
e lana cardata.
“Dove sono?”
Lui sollevò le sopracciglia
“Su una barca. Nel bel mezzo dell’oceano Atlantico.”
Cara cercò di muoversi e
venir via dalle coperte. La testa prese a girarle d’improvviso.
“Io te l’avevo detto di
trattenere il respiro.”
Cara poggiò i piedi a terra
ignorando la sua ironia
“Che mi hai fatto?”
Joseph si alzò dalla sedia,
aveva addosso abiti puliti e sembrava stare decisamente meglio di lei.
“Io niente. Ma l’aereo era
pieno di gas narcotico.”
Lei cercò di far quadrare
tutti i ricordi e le deduzioni logiche, ma si arrese ben presto. Fece forza
sulle braccia per tirarsi su. Barcollò vistosamente e Joseph le si avvicinò
cercando di afferrarla. Cara sgranò gli occhi e si tirò indietro.
“Non mi toccare.”
Lui sorrise di nuovo.
Nonostante il gas, il volo e la “nuotata” in quelle acque gelide, la ragazza
aveva ancora abbastanza grinta per difendersi.
“Ti ho salvato la vita.
Dovresti essere un po’ più gentile con me.”
“Che ne è stato degli altri
passeggeri?”
Joseph sollevò le spalle
cercando un modo carino per risponderle. Non gli piacevano le scene di panico e
quella risposta beh, avrebbe portato ad un’inevitabile scena di panico. Mentre
rifletteva gli occhi della ragazza si strinsero su di lui, scansando la paura
per un attimo, al suo posto il giudizio, un profondo sguardo di sdegno e
repulsione, il tutto contornato da un alone di pietà per i caduti.
Non fu necessario
rispondere. Cara spalancò di nuovo gli occhi
“Oh dio mio li hai uccisi
tutti… Ucciderai anche me adesso vero? Mi farai a pezzi!”
Dando il via al tanto
preannunciato panico, l’isteria sembrò impossessarsi di lei in un attimo,
rendendole tutta la forza persa. Cara balzò in piedi cercando la prima via di
fuga accessibile, il respiro affannato ed il preludio di un lungo pianto negli
occhi. Joseph roteò gli occhi al cielo,
fin troppo prevedibile, anche se non credeva che la sua ragazza dell’aereo
fosse un tipo dalla lacrima facile.
Cara adocchiò la porta
dietro di lui come unica possibile salvezza e decise di correre verso la
maniglia. Lui non si mosse nemmeno, bloccando la sua breve fuga con un solo
braccio. Cara balzò indietro al contatto e scosse la testa, fermamente decisa a
non essere una preda facile. Saltò sul letto e passò all’altro lato della
stanza, fiondandosi immediatamente contro la porta della cabina. Strinse la
mano intorno al metallo, ma prima che potesse fare pressione, la mano di Joseph
si spalmò contro la porta annullando qualsiasi suo tentativo di far forza. Cara
provò comunque a tirare con tutta sé stessa, arrivando presto alla conclusione
che in quel momento le sue risorse erano piuttosto scarse. Mandando giù si
voltò verso di lui, trovandosi con la schiena inchiodata all’uscita. Avrebbe
voluto intimorirlo con lo sguardo, rendergli presente che non aveva rapito la
solita ragazzina indifesa, ma non mosse un muscolo né proferì parola. Joseph la
teneva premuta contro la porta col suo corpo, senza neanche il bisogno di
toccarla davvero. Quella scintilla di combattività gli aveva ricordato il
motivo per cui l’aveva portata giù con sé, anche se solo in quel momento
iniziava a domandarsi cosa avrebbe potuto o dovuto farne di lei. Ben presto uno
dei suoi fratelli sarebbe venuto a prenderlo e di certo, non sarebbe stato
contento di trovare un ospite a bordo. Nessuno ne sarebbe stato contento. La
ragazza in fondo aveva ragione, era spacciata.
Tuttavia, oltre ad essere
condannata era anche dannatamente bella, perfino con quel disastro di capelli e
ricoperta dalla salsedine. Quegli occhi poi, quegli occhi avevano qualcosa di
innaturale, mai visto prima… E la forza con cui cercava di combatterlo, la
determinazione e l’indignazione… Joseph si morse il labbro al pensiero di
quanto gli sarebbe piaciuto portare quella lotta ad un altro livello.
Cara, d’altra parte, ancora
confusa e disorientata dallo sguardo predatore con cui lui la fissava, decise
di fare un ultimo tentativo. Su quell’aereo l’idea di morire non le era
sembrata tanto male, qualche secondo prima di svenire e poi non avrebbe sentito
più nulla, ora invece, la sola idea di essere torturata, picchiata, fatta a
pezzi, forse perfino stuprata… No, non voleva morire così.
Raccolse tutte le sue forze
e ficcò il ginocchio nel basso ventre di Joseph, non era certa di aver preso il
punto più sensibile, ma tanto era bastato per farlo scansare da lei. Aprì la
porta di fretta e si precipitò su per la scaletta di legno seguendo la luce,
continuando a correre da una parte all’altra del piccolo ponte guardando il monotono
blu dell’oceano tutt’attorno. Alla fine sbatté contro il parapetto di prua e si
fermò a riprendere fiato guardando le onde. Non aveva via d’uscita, nessuna
eccetto…
Inspirando strinse le mani
tremolanti attorno al parapetto e si decise a scavalcarlo, una gamba alla
volta. Meglio annegare che soffrire per ore le torture di quel mostro.
“Fossi in te non lo farei.”
Lui le stava alle spalle,
probabilmente già da un po’. Suonava
ancora calmo e tranquillo. Cara non si voltò
“Perché no? Morirò
comunque.”
“Quell’acqua è fredda
tesoro, molto fredda. E non dimenticare gli squali. Credevo che non volessi
finire fatta a pezzi.”
Cara deglutì continuando a
guardar giù
“Tu cosa mi farai invece?”
Joseph sorrise, doveva
davvero essersi fatta una brutta idea di lui.
“Non ho ancora deciso in
realtà.”
Lui iniziò a muoversi e
farsi vicino. Cara strinse le mani attorno al metallo freddo del parapetto. Il
rumore delle onde poteva già riempirle le orecchie.
“Scendi da lì adesso.”
Stavolta il suo tono si era
fatto autoritario, ma non abbastanza da farla demordere. Cara lo sentì
sbuffare, ormai era dietro di lei, se voleva davvero suicidarsi doveva farlo in
quel momento. Mosse le dita, ma non riuscì a mollare.
“Ok tesoro, visto che non
vuoi proprio starmi a sentire, da adesso in poi faremo a modo mio.”
Joseph la afferrò per la
vita e la sollevò come fosse fatta d’aria, totalmente indisturbato dai suoi
tentativi di scalciare, prenderlo a pugni o strillargli nelle orecchie. Era già
stanco di quella commedia, meglio rimettere le cose in chiaro.
La buttò di peso sul letto,
lasciandola rimbalzare mentre ricorreva al trattamento pesante. Cara cercò di
dimenarsi, ma lui la bloccò col proprio peso, stringendole i polsi sopra la
testa. Qualcosa le si strinse attorno alla mano e subito dopo l’assassino
sembrò mollare la presa. Cara cercò immediatamente di muoversi di nuovo, ma si
ritrovò incatenata alla spalliera del letto per il polso destro, lui le stava ancora
sopra e dallo sguardo poteva dirsi abbastanza soddisfatto.
Quel mezzo sorriso
compiaciuto, i capelli scompigliati per la lotta, i muscoli tesi per restare in
bilico su di lei senza schiacciarla. Cara sospirò guardando altrove. Doveva
esserci qualcosa di molto molto perverso nel trovare attraente il proprio
assassino.
Joseph si passò la lingua
sul labbro, dimostrarsi più forte era un dolce piacere come sempre. Prese
coscienza del suo corpo mezzo steso su di lei, della condizione da prigioniera
di Cara e delle sue lunghe gambe scoperte. Quello sarebbe stato un buon momento
per farla sua, sarebbe stato fin troppo facile e, a giudicare dall’espressione
della ragazza rivolta al vuoto, lei non si sarebbe nemmeno lamentata troppo.
Joseph sorrise di nuovo ripensando al modo in cui si erano guardati sull’aereo,
anche la ragazzina aveva fantasie peccaminose su di lui, poco ma sicuro.
Cedendo alla tentazione
passò la mano sulla gamba di Cara, la pelle ruvida per via dell’acqua salata.
Lei si irrigidì cercando di tenerlo lontano con la mano libera, provando a
spingerlo via. Era questo che l’aspettava? Essere violentata su una barca in
mezzo al nulla? La mano dell’assassino proseguì lenta, accarezzando la linea
del suo ginocchio e poi a salire lungo la coscia. Il tocco delicato, le sue
dita calde contro la pelle, gli occhi azzurri ancora incollati al suo viso. Non
sembrava la carezza di un mostro. Cara chiuse gli occhi sperando che lui non si
muovesse oltre. Non era certa di come il suo corpo avrebbe reagito.
“Adesso almeno starai
buona.”
Joseph si tirò su di colpo
sopprimendo il desiderio di proseguire l’esplorazione di quel corpo, la sua
circolazione sanguigna già fin troppo accelerata. Si ricompose velocemente e
tornò a sedersi sulla sedia all’angolo.
“Come ti chiami?”
Esordì. Cara strinse le
gambe al petto, lui continuava a fissarla con i gomiti poggiati alle ginocchia.
Deglutì
“Sonia.”
Rispose, cercando il primo
nome da dire che non fosse il suo. Joseph sollevò un sopracciglio
“Non mentire.” La ammonì,
serio come un funerale. Cara inspirò profondamente chiedendosi se fosse il caso
di continuare la commedia, probabilmente il suo era solo un bluff.
“Sonia, Sonia Brown.”
Insistette e lo sentì sbuffare rumorosamente in risposta. Joseph si alzò in
piedi e le si avvicinò con lo stesso sguardo grave, giocherellando con le sue
stesse dita come se si stesse preparando ad usarle. Cara sentì le sue falangi
scrocchiare e sussultò nel trovarselo di nuovo tanto vicino, lui si chinò
lentamente e le passò i polpastrelli sulla gola, rendendo chiaro quanto il suo
collo sarebbe stato fragile nella propria presa.
“Non. Mentire.” Precisò
ancora una volta, glaciale.
Cara annuì nervosamente e
prese coraggio
“Cara, il mio nome è Cara
Phillis.”
Joseph sorrise
allontanandosi “Come facevi a sapere?”
Lei contrasse la mandibola
“Sapere cosa?” Chiese in un mezzo sussurro. Lui sospirò tornando a sedersi
“Sapevi del braccialetto,
sapevi chi sono. Come?”
“Io non so chi sei.” Ribatté
istintivamente in difesa. Lui chiuse piano le palpebre, odiava dover ripetere
le cose.
“Come facevi a sapere?”
Cara prese fiato, la sua
inferiorità troppo palese per cercare di improvvisare un castello di bugie. E
comunque la realtà era già abbastanza ridicola.
“Una mia amica lavora
all’American Airlines. E’ stata lei a dirmi che sul volo ci sarebbe stato un
criminale con un braccialetto. Mi aveva anche detto di non prenderlo.. E avrei
fatto meglio ad ascoltarla.”
Lui aguzzò lo sguardo, senza
lontanamente cogliere il suo tentativo di ironizzare. Cercava di capire se la
ragazza stesse mentendo.
“Che ci facevi a
Johannesburg?”
Cara abbassò gli occhi,
anche se la sua sopravvivenza era ancora in dubbio, stavolta lo stomaco le si
torse al solo pensiero. Tutta colpa di Ty.
“Ero andata a trovare il mio
fidanzato.”
Joseph sorrise. Naturalmente
qualcuno aveva già messo le mani sulla ragazza. Beato lui, benché fosse un
dettaglio irrilevante nel suo piano. Improvvisamente un pensiero gli tornò alla
mente, cercò di scrutarla ancora più a fondo
“Sull’aereo hai detto di non
avere ragioni per vivere. Un fidanzato sembrerebbe una buona ragione invece.”
Cara tornò a guardare le sue
stesse mani
“L’ho trovato a letto con
un’altra” Confessò senza troppi giri di parole.
Lui rimase basito per un
secondo, uno appena. Questo fidanzato doveva essere un vero idiota. Si passò la
lingua sui denti curvando la schiena per esserle in qualche modo più vicino
“E’ per questo che volevi
morire? Perché il tuo uomo ti ha tradita?”
Stavolta Cara decise di
sollevare gli occhi ed incontrare i suoi, l’assassino la stava giudicando. La
stava giudicando una stupida. Peccato non sapesse nulla della sua vita.
“Lui è solo l’ultima di una
serie di ragioni.”
Joseph sentì il desiderio di
scavare in quell’affermazione, ma si bloccò prima di parlare. Quell’interrogatorio
si stava lentamente trasformando in una seduta psicanalitica, mentre il suo
compito era esclusivamente assicurarsi che la ragazza dell’aereo non fosse una
minaccia.
“Beh…” Prese fiato
lentamente “…Ti consiglio di trovare un buon motivo per vivere allora.”
Cara avvertì un brivido
correrle lungo la schiena
“Che..Che vuoi dire?”
Lui sollevò le sopracciglia
“Presto verranno a prendermi
e sinceramente…” DI nuovo una pausa “…Non ho idea di cosa farne di te.”
Cara deglutì
“Mi..Mi ucciderai?” Avrebbe voluto
suonare risoluta e coraggiosa, ma la voce le tremò come una foglia.
Joseph prese a fissarla. Su
quell’aereo non era riuscito a trattenere l’istinto, cosa assurda per uno come
lui, aveva afferrato la ragazza e l’aveva buttata giù con sé senza pensare.
Belle donne ne aveva viste a bizzeffe nella sua vita, tutte o quasi pronte a
rotolarsi con lui, bionde o more, europee o orientali, tutte piacevoli comparse
nei suoi soggiorni di “lavoro”. Quella ragazzina non avrebbe dovuto fare alcuna
differenza eppure, ripensando al momento preciso in cui i loro occhi si erano
incontrati per la prima volta, qualcosa in lui si era mosso. E nulla smuove mai
le viscere del Lupo. Era stato quel secondo a fregarlo, quell’improvviso
inaspettato sobbalzo all’altezza dello stomaco.
Cara teneva il suo sguardo,
sperando di leggerci dentro una risposta. Se ne stava rannicchiata all’angolo
del letto e provava ad immaginare cosa ne sarebbe stato di lei. Joseph
contrasse la mandibola, anche in quel momento, consapevole del suo errore, non
riusciva a non sentirsi attratto dal suo ostaggio. Dopotutto era quello il
motivo per cui l’aveva salvata, giusto? Per poterla avere, per potersi togliere
quel prurito e continuare con la sua vita di sempre. L’idea di farlo con la
forza, tuttavia, sembrava troppo perfino per lui. Gli venne da sorridere. Il
suo stesso codice di condotta lo stava beffando.
Le si avvicinò. Cara cercò
di farsi ancora più piccola, consapevole di avere solo un metro di gioco per
via della catena che la legava al letto. Gli occhi dell’assassino la stavano
accarezzando, caldi come il velluto, intensi come nel primo sguardo, quando lei
si era concessa di pensare che fosse l’uomo più bello del mondo. Adesso invece
quello stesso pensiero le sembrava inaccettabile, ripugnante, doveva sforzarsi
di cacciarlo nell’angolo più remoto della propria mente. Lui poggiò le mani sul
materasso e si fece alla sua altezza, scavando con forza nelle sue iridi blu,
tanto intensamente che Cara dovette spostare lo sguardo per non sentirsi nuda
di fronte a lui.
“No.”
Disse infine con la voce
bassa
“Non se mi convincerai a non
farlo.”
Cara tornò a ricambiare
istintivamente i suoi occhi, colpita dal tono allusivo delle ultime parole. Era
così vicino che poteva facilmente notare le poche pagliuzze verdi nell’azzurro
delle sue iridi, le piccole righe d’espressione sulla sua fronte, la linea
delle barba che non rasava da giorni ed il rosa perfetto delle sue labbra. Cosa
le stava chiedendo? Voleva forse che lo pregasse di non ucciderla? Era quel
tipo di criminale? La bocca di Cara si aprì lievemente per lasciar passare più
aria, non era questo che lui sembrava volere. Al solo pensiero il cuore prese a
batterle in gola, una strana sensazione di calore le riempì la pancia. Voleva
baciarla?? Quell’idea suonava assurda date le circostanze eppure pareva
alquanto difficile fraintendere la sua espressione, il modo in cui le sue
ciglia sbattevano lente mentre i suoi occhi indugiavano tra il suo sguardo
confuso e le sue labbra socchiuse.
Cara si sentì paralizzata,
ogni muscolo del suo corpo si tese all’istante, incapace di reagire davanti ad
un uomo che deteneva il potere completo, un uomo che il suo istinto di
sopravvivenza rigettava, al contrario della sua epidermide. Lo sentì
avvicinarsi ulteriormente e tutti i suoi pori si aprirono cercando di non
lasciarla andare a fuoco, il viso bloccato all’altezza del suo. Joseph indugiò
per un secondo mischiando il respiro a quello di lei, meravigliato eppure non
sorpreso del fatto che la ragazza non si fosse mossa di un millimetro.
Impercettibilmente girò la testa, inclinando il collo appena un po’, le sue
labbra sfiorarono finalmente la pelle di Cara, accarezzando la linea della sua
mandibola. Sentì il mare e la sabbia sulla bocca.
Lei chiuse gli occhi al
contatto, voltando il capo e stringendo le lenzuola nei pugni. Poteva sentire
il cuore pulsarle nelle orecchie, scorrerle dentro la testa come un fiume in
piena. Avrebbe voluto saltare e colpirlo, avrebbe voluto trovare quel tocco
rivoltante, ascoltare la voce nella sua testa che andava facendosi sempre più
lontana. Al suo posto un nuovo e sconosciuto formicolio, il risveglio
contemporaneo di tutte le sue cellule ricettive.
Joseph inspirò, riempiendosi
il naso con l’odore salino della sua pelle. Non resistette alla tentazione ed
aprì le labbra, passando la punta della lingua sul sale. In quel momento la
sentì tremare e si fermò per un secondo, notando con la coda dell’occhio come
la sua presa sulle coperte si fosse allentata. Guardò i suoi occhi chiusi e le
sue labbra, ora dipinte di un rosso acceso, i muscoli andavano pian piano
rilassandosi e lui le sorrise contro il collo. Se fosse stata di vetro si
sarebbe sciolta su quel letto, con così poco.
Il pensiero gli infiammò le
mani e allo stesso tempo lo fece gelare, costringendolo a staccarsi bruscamente
da lei. Era lui ad avere il potere, era lui a dover mantenere il controllo
della situazione, la ragazza era solo un ostaggio, una specie di passatempo,
nulla di più. Riprendendo il possesso di sé annullò in un istante il batticuore
ed i nodi allo stomaco. Nessun coinvolgimento ripeté a sé stesso. Nessun
coinvolgimento, questa è la regola.
Cara balzò sul letto come se
si fosse svegliata da un bel sogno, stringendosi in sé per calmare il freddo
improvviso. L’assassino era in piedi e guardava il vuoto, rendendole
impossibile capire cosa stesse pensando adesso. Forse non aveva capito nulla,
forse la lussuria non c’entrava, forse lui era solo una specie di psicopatico.
Finì a fissare le proprie mani e sembrò realizzare solo in quel momento le sue
condizioni, la pelle tirata, le striature bianche dell’acqua salata, il vestito
sporco, i capelli ammatassati. Ovvio che nemmeno uno psicopatico potesse
volerla in quelle condizioni. Scosse la testa perché ormai la sua mente stava
spaziando nel ridicolo, non solo si stava preoccupando di cosa lui pensasse, ma
iniziava a sperare che dopo averla uccisa avrebbe buttato il suo corpo
nell’oceano; almeno nessun altro l’avrebbe vista in quelle condizioni.
Joseph riprese a muoversi
puntando la porta
“Ti porterò qualcosa da bere.”
Disse con nonchalance, come
se il piccolo momento precedente fosse già caduto nel dimenticatoio. Cara lo
guardò afferrare la maniglia e si morse il labbro
“Aspetta.”
Lui si inchiodò sulla
soglia. Mandò giù e si voltò verso di lei senza proferire parola. Cara inspirò
profondamente e decise di tentare la propria fortuna
“Potrei.. Potrei almeno lavarmi
per favore?”
Osò chiedere con un filo di
voce. Lui aggrottò le sopracciglia, forse spiazzato dalla sua richiesta banale,
forse indeciso sulla risposa da dare. Rimase serio tutto il tempo, anche mentre
tornava sui suoi passi, facendosi vicino ancora una volta. Cara sentì l’istinto
di raggomitolarsi, probabilmente aveva tirato troppo la corda. Lui invece non
la guardò nemmeno mentre, con una piccola chiave, apriva la manetta al suo
polso. Con un cenno della testa indicò la porta di rimpetto a quella della
stanza
“Non più di dieci minuti. E
non cercare di combinare qualcosa perché potrei arrabbiarmi.”
Cara annuì massaggiandosi il
polso libero, aspettando di vederlo andar via prima di poggiare i piedi a terra
e correre verso il minuscolo bagno. Chiuse a chiave restando appoggiata alla
parete per qualche minuto. La prima cosa che le tornò alla mente fu la voce di
Sonia, ma perché cavolo non l’aveva ascoltata? Sbatté la fronte contro la
porta. Stupida. Stupida fino alla fine Cara.
Infilandosi velocemente
sotto il debole getto della doccia cercò di raggiungere contemporaneamente il
maggior numero di parti del suo corpo, di certo non voleva indispettire
l’assassino impiegando più del tempo richiesto. Ficcò tra i capelli il primo
shampoo a portata di mano e cercò di tirar via tutta l’acqua salata, quasi fino
a graffiarsi la pelle. Chiuse gli occhi e si lasciò ricoprire completamente
dall’acqua bollente, lasciando che lavasse via il sapone, lo shampoo e parte
della sua incredulità/incapacità di dare un senso a quella situazione. Risentì
in bocca il sapore della paura, il gusto metallico del terrore di morire,
mischiato all’odore dolciastro dell’aereo. Il blu che riempiva la sua vista,
ben presto rimpiazzato dal nero e dall’incoscienza. Non riusciva minimamente a
ricordare come fosse finita su quella barca, di certo era stato lui a
portarcela, ma come? E perché se ne stavano nel mezzo dell’oceano senza che
nessuno li trovasse? Doveva essersi occupato di tutto lui. Lui. Già.. Lui.
Senza rendersene conto passò una mano a cavallo tra viso e collo, ricercando il
punto preciso su cui aveva poggiato le labbra. Si sentì tremare per un istante.
Aveva creduto davvero che lui stesse per baciarla, che l’avrebbe fatto più e
più volte. Aveva creduto davvero che lui la desiderasse e che l’avrebbe presa
lì, in quel momento, senza sapere nulla più che il suo nome. Aveva sperato
davvero che quella sarebbe stata la sua salvezza.
Riaprendo gli occhi temette
di aver perso la cognizione del tempo e chiuse il rubinetto venendo fuori dalla
doccia in tutta fretta. Afferrò un asciugamano e ci si arrotolò dentro, di
colpo terrorizzata all’idea di uscire di lì. ‘No. Non
se mi convincerai a non farlo.’ Le
parole si ripeterono nella sua testa cercando un significato, cercando di
ignorare il loro implicito contrario. Se non fosse riuscita a convincerlo
sarebbe morta, proprio per mano sua.
Lasciò scattare piano la
serratura, convinta che se lo sarebbe presto trovato di fronte, ma tutto ciò
che vide fu il letto sgualcito dell’altra stanza. Calmò il respiro e si guardò
intorno nel silenzio, lui doveva essere di sopra. A destra un’altra porta
chiusa attirò la sua attenzione, un rumore insolito simile ad un borbottio
sembrava venirne fuori. Cara non aveva idea di come fosse fatta una barca,
tantomeno quante stanze potesse avere né cosa dovessero contenere, ma iniziò a
sperare che in quella camera chiusa ci fossero armi e telefoni satellitari.
Nella sua testa reminescenze di vecchi film d’azione presero forma, se fosse
riuscita a trovare una pistola, un coltello o un qualsiasi corpo contundente
avrebbe potuto colpire l’assassino a tradimento e metterlo fuori gioco.
Dopodiché avrebbe chiesto aiuto o navigato fino alla terra ferma. Annuì e mosse il primo passo a piedi nudi sul
parquet, calibrando ogni piccolo movimento per non fare alcun rumore. La
tensione era talmente forte che quasi non riusciva a respirare.
La maniglia della porta
venne giù senza intoppi e Cara si gettò nella stanza. Era caldo lì dentro. Il
borbottio proveniva da una specie di caldaia o scaldabagno nell’angolo. Girò su
sé stessa nella penombra, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse afferrare e
scagliare contro il suo rapitore. Sulle mensole impolverate se ne stavano
diversi oggetti sconosciuti, tutti apparentemente innocui. Scuotendo la testa
ed inveendo silenziosamente contro la propria fortuna, Cara si inginocchiò ad
ispezionare l’ultimo ripiano. Inaspettatamente le sembrò di avere tra le mani
la chiave della sua salvezza, una radio, uno di quei radiotrasmittori vecchio
modello in cui basta portarsi alla bocca la trasmittente, premere un pulsante e
lanciare un SOS. La poggiò su una
mensola alla sua altezza ed iniziò a premere nervosamente i tasti, ora che
vedeva una via d’uscita sembrava non poter aspettare nemmeno un secondo. Una
piccola lucina rossa si accese e Cara si lasciò sfuggire un sospiro di
sollievo. Totalmente priva di nozioni sulla radiocomunicazione decise di girare
tutte le manopole e tirar su i cursori poi, tremando e sperando, avvicinò la
trasmittente alle labbra, pronta a spingere il pollice sul bottone laterale.
Un fischio stridulo e
fastidioso riempì la stanzetta, costringendo Cara a mollare la presa e balzare
in piedi. I suoi occhi spalancati si puntarono immediatamente sulla porta,
strinse le mani al petto ed accostò l’asciugamano, pregando con tutta sé stessa
che lui non avesse sentito. Sarebbe stata la fine.
Un colpo secco spalancò la
porta, come se l’assassino l’avesse presa a calci per aprirla. Cara divenne un
pezzo di ghiaccio pulsante rendendosi conto solo in quel momento, per la prima
volta, di chi avesse davvero di fronte. Joseph era dritto davanti a lei, i
pugni chiusi e le labbra strette in una linea sottile, i suoi occhi vuoti come
vetro, il corpo mosso da un tremore generale, come se stesse per venir fuori
dalla propria pelle. Era arrabbiato. Era vistosamente arrabbiato.
Joseph rimase sulla soglia a
fissarla, i suoi muscoli vibravano, l’adrenalina gli faceva ballare il cuore
nel petto. Strinse le mani a palla cercando di trattenere l’istinto, bellissima
o meno, era riuscita a fargli saltare i nervi e risvegliare il Lupo, la parte
di sé più oscura e cattiva, quella che riservava solo alle sue vittime, solo ai
nemici della sua famiglia.
Cara indietreggiò sbattendo
ben presto contro il muro. Stava per morire. Adesso era certo, stava per
morire.
Lui deglutì rumorosamente
muovendosi di un solo passo. Se è questo che la ragazzina voleva l’avrebbe
presto accontentata. Se aveva bisogno di conoscere il Lupo per capire chi
avesse il comando, allora beh, senz’altro lui era pronto a morderla.
“Ti avevo detto di non farmi
arrabbiare.”
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