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Autore: BeautifulMessInside    04/02/2013    3 recensioni
"Non hai paura di morire?" - "Non ho molte ragioni per vivere."
Cara non sarebbe dovuta salire su quell'aereo, non sapendo che Joseph Michaelson, detto il Lupo, sarebbe stato sul suo stesso volo.
Joseph non avrebbe dovuto salvare la ragazza, non sapendo chi lei fosse. Ma Joseph non ha idea di chi sia Cara e lei non può sapere che lui davvero farà il grosso sbaglio di salvarla.
Assassini, famiglie potenti, attrazioni pericolose e segreti nascosti in una storia dove non tutto è come sembra.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap3

Cara si sentì avvolta in qualcosa di morbido, di caldo e morbido. Non riusciva a capire se stesse ancora respirando o se quella fosse la sensazione della morte. Sembrava avesse la gola in fiamme e che un treno le stesse attraversando il cervello. Sembrava fosse schiacciata sotto una tonnellata di cemento. Tentò di intrattenere una conversazione con i suoi neuroni, cercando di capire se potessero ancora sentirla. Ordinò al suo indice destro di muoversi, almeno un paio di volte prima di percepire che stava toccando qualcosa di liscio. Ordinò alle sue palpebre di sollevarsi, ma la luce al di là sembrò ferirla come una lama incandescente. Le sfuggì un lamento roco.. Se poteva ancora muoversi ed emettere suoni forse non era morta dopotutto, oppure la sua versione di paradiso faceva ancora più schifo della realtà.

Provò ancora una volta ad aprire gli occhi, uno alla volta, il più lentamente possibile. La stanza era avvolta in una luce gialla, i dettagli difficili da cogliere, il suo corpo disteso sotto lenzuola bianche. Era un letto. Era sdraiata in una minuscola stanza sconosciuta. Il letto sembrò muoversi di colpo e Cara emise un altro gemito infastidito cercando di tenere a bada la nausea.

“Buongiorno.”

La voce sconosciuta le arrivò alle orecchie come fosse lontana un chilometro. Cara biascicò cercando di riportare la mente ad un piano di realtà accettabile. Aereo. Assassino. Toilette. Paracadute. Non respirare. Assassino. Spalancò gli occhi e si tirò su in un istante. La vista sembrò mancarle per qualche secondo, poi riuscì finalmente a mettere a fuoco dove si trovava.

La stanza era davvero piccola, dalla finestra tonda alla sua sinistra entrava la fastidiosa luce del sole, le pareti erano color crema, le finiture erano in legno e l’assassino dell’aereo se ne stava seduto su un’anonima sedia nell’angolo. Sulla sua faccia un mezzo sorriso.

Cara indietreggiò sul materasso fino a spalmare la schiena contro la lettiera. Il cambio improvviso di posizione le fece vedere blu e, nel tentativo di non svenire, si portò entrambe le mani alla testa.

Lui inclinò la testa “Vacci piano. E’ stato un viaggio piuttosto impegnativo per te.” Disse con tono sarcastico e divertito, mentre lei cercava di prendere ossigeno e allo stesso tempo fissarlo in assetto da fuga.

Cara rimase immobile dopo un paio di lunghi respiri, rivolgendo l’attenzione a sé stessa. Aveva ancora addosso il vestito macchiato di caffè, mentre i suoi piedi erano scalzi sotto le lenzuola. Tutta la sua pelle sembrava tirare, come se avesse fatto il bagno nel Mar Morto senza poi spalmare l’idratante. Si portò una mano alla testa, le sue dita rimasero incastrate tra i capelli come fossero un fitto ammasso di paglia e lana cardata.

“Dove sono?”

Lui sollevò le sopracciglia “Su una barca. Nel bel mezzo dell’oceano Atlantico.”

Cara cercò di muoversi e venir via dalle coperte. La testa prese a girarle d’improvviso.

“Io te l’avevo detto di trattenere il respiro.”

Cara poggiò i piedi a terra ignorando la sua ironia

“Che mi hai fatto?”

Joseph si alzò dalla sedia, aveva addosso abiti puliti e sembrava stare decisamente meglio di lei.

“Io niente. Ma l’aereo era pieno di gas narcotico.”

Lei cercò di far quadrare tutti i ricordi e le deduzioni logiche, ma si arrese ben presto. Fece forza sulle braccia per tirarsi su. Barcollò vistosamente e Joseph le si avvicinò cercando di afferrarla. Cara sgranò gli occhi e si tirò indietro.

“Non mi toccare.”

Lui sorrise di nuovo. Nonostante il gas, il volo e la “nuotata” in quelle acque gelide, la ragazza aveva ancora abbastanza grinta per difendersi.

“Ti ho salvato la vita. Dovresti essere un po’ più gentile con me.”

“Che ne è stato degli altri passeggeri?”

Joseph sollevò le spalle cercando un modo carino per risponderle. Non gli piacevano le scene di panico e quella risposta beh, avrebbe portato ad un’inevitabile scena di panico. Mentre rifletteva gli occhi della ragazza si strinsero su di lui, scansando la paura per un attimo, al suo posto il giudizio, un profondo sguardo di sdegno e repulsione, il tutto contornato da un alone di pietà per i caduti.

Non fu necessario rispondere. Cara spalancò di nuovo gli occhi

“Oh dio mio li hai uccisi tutti… Ucciderai anche me adesso vero? Mi farai a pezzi!”

Dando il via al tanto preannunciato panico, l’isteria sembrò impossessarsi di lei in un attimo, rendendole tutta la forza persa. Cara balzò in piedi cercando la prima via di fuga accessibile, il respiro affannato ed il preludio di un lungo pianto negli occhi.  Joseph roteò gli occhi al cielo, fin troppo prevedibile, anche se non credeva che la sua ragazza dell’aereo fosse un tipo dalla lacrima facile.

Cara adocchiò la porta dietro di lui come unica possibile salvezza e decise di correre verso la maniglia. Lui non si mosse nemmeno, bloccando la sua breve fuga con un solo braccio. Cara balzò indietro al contatto e scosse la testa, fermamente decisa a non essere una preda facile. Saltò sul letto e passò all’altro lato della stanza, fiondandosi immediatamente contro la porta della cabina. Strinse la mano intorno al metallo, ma prima che potesse fare pressione, la mano di Joseph si spalmò contro la porta annullando qualsiasi suo tentativo di far forza. Cara provò comunque a tirare con tutta sé stessa, arrivando presto alla conclusione che in quel momento le sue risorse erano piuttosto scarse. Mandando giù si voltò verso di lui, trovandosi con la schiena inchiodata all’uscita. Avrebbe voluto intimorirlo con lo sguardo, rendergli presente che non aveva rapito la solita ragazzina indifesa, ma non mosse un muscolo né proferì parola. Joseph la teneva premuta contro la porta col suo corpo, senza neanche il bisogno di toccarla davvero. Quella scintilla di combattività gli aveva ricordato il motivo per cui l’aveva portata giù con sé, anche se solo in quel momento iniziava a domandarsi cosa avrebbe potuto o dovuto farne di lei. Ben presto uno dei suoi fratelli sarebbe venuto a prenderlo e di certo, non sarebbe stato contento di trovare un ospite a bordo. Nessuno ne sarebbe stato contento. La ragazza in fondo aveva ragione, era spacciata.

Tuttavia, oltre ad essere condannata era anche dannatamente bella, perfino con quel disastro di capelli e ricoperta dalla salsedine. Quegli occhi poi, quegli occhi avevano qualcosa di innaturale, mai visto prima… E la forza con cui cercava di combatterlo, la determinazione e l’indignazione… Joseph si morse il labbro al pensiero di quanto gli sarebbe piaciuto portare quella lotta ad un altro livello.

Cara, d’altra parte, ancora confusa e disorientata dallo sguardo predatore con cui lui la fissava, decise di fare un ultimo tentativo. Su quell’aereo l’idea di morire non le era sembrata tanto male, qualche secondo prima di svenire e poi non avrebbe sentito più nulla, ora invece, la sola idea di essere torturata, picchiata, fatta a pezzi, forse perfino stuprata… No, non voleva morire così.

Raccolse tutte le sue forze e ficcò il ginocchio nel basso ventre di Joseph, non era certa di aver preso il punto più sensibile, ma tanto era bastato per farlo scansare da lei. Aprì la porta di fretta e si precipitò su per la scaletta di legno seguendo la luce, continuando a correre da una parte all’altra del piccolo ponte guardando il monotono blu dell’oceano tutt’attorno. Alla fine sbatté contro il parapetto di prua e si fermò a riprendere fiato guardando le onde. Non aveva via d’uscita, nessuna eccetto…

Inspirando strinse le mani tremolanti attorno al parapetto e si decise a scavalcarlo, una gamba alla volta. Meglio annegare che soffrire per ore le torture di quel mostro.

“Fossi in te non lo farei.”

Lui le stava alle spalle, probabilmente già da un po’.  Suonava ancora calmo e tranquillo. Cara non si voltò

“Perché no? Morirò comunque.”

“Quell’acqua è fredda tesoro, molto fredda. E non dimenticare gli squali. Credevo che non volessi finire fatta a pezzi.”

Cara deglutì continuando a guardar giù

“Tu cosa mi farai invece?”

Joseph sorrise, doveva davvero essersi fatta una brutta idea di lui.

“Non ho ancora deciso in realtà.”

Lui iniziò a muoversi e farsi vicino. Cara strinse le mani attorno al metallo freddo del parapetto. Il rumore delle onde poteva già riempirle le orecchie.

“Scendi da lì adesso.”

Stavolta il suo tono si era fatto autoritario, ma non abbastanza da farla demordere. Cara lo sentì sbuffare, ormai era dietro di lei, se voleva davvero suicidarsi doveva farlo in quel momento. Mosse le dita, ma non riuscì a mollare.

“Ok tesoro, visto che non vuoi proprio starmi a sentire, da adesso in poi faremo a modo mio.”

Joseph la afferrò per la vita e la sollevò come fosse fatta d’aria, totalmente indisturbato dai suoi tentativi di scalciare, prenderlo a pugni o strillargli nelle orecchie. Era già stanco di quella commedia, meglio rimettere le cose in chiaro.

La buttò di peso sul letto, lasciandola rimbalzare mentre ricorreva al trattamento pesante. Cara cercò di dimenarsi, ma lui la bloccò col proprio peso, stringendole i polsi sopra la testa. Qualcosa le si strinse attorno alla mano e subito dopo l’assassino sembrò mollare la presa. Cara cercò immediatamente di muoversi di nuovo, ma si ritrovò incatenata alla spalliera del letto per il polso destro, lui le stava ancora sopra e dallo sguardo poteva dirsi abbastanza soddisfatto.

Quel mezzo sorriso compiaciuto, i capelli scompigliati per la lotta, i muscoli tesi per restare in bilico su di lei senza schiacciarla. Cara sospirò guardando altrove. Doveva esserci qualcosa di molto molto perverso nel trovare attraente il proprio assassino.

Joseph si passò la lingua sul labbro, dimostrarsi più forte era un dolce piacere come sempre. Prese coscienza del suo corpo mezzo steso su di lei, della condizione da prigioniera di Cara e delle sue lunghe gambe scoperte. Quello sarebbe stato un buon momento per farla sua, sarebbe stato fin troppo facile e, a giudicare dall’espressione della ragazza rivolta al vuoto, lei non si sarebbe nemmeno lamentata troppo. Joseph sorrise di nuovo ripensando al modo in cui si erano guardati sull’aereo, anche la ragazzina aveva fantasie peccaminose su di lui, poco ma sicuro.

Cedendo alla tentazione passò la mano sulla gamba di Cara, la pelle ruvida per via dell’acqua salata. Lei si irrigidì cercando di tenerlo lontano con la mano libera, provando a spingerlo via. Era questo che l’aspettava? Essere violentata su una barca in mezzo al nulla? La mano dell’assassino proseguì lenta, accarezzando la linea del suo ginocchio e poi a salire lungo la coscia. Il tocco delicato, le sue dita calde contro la pelle, gli occhi azzurri ancora incollati al suo viso. Non sembrava la carezza di un mostro. Cara chiuse gli occhi sperando che lui non si muovesse oltre. Non era certa di come il suo corpo avrebbe reagito.

“Adesso almeno starai buona.”

Joseph si tirò su di colpo sopprimendo il desiderio di proseguire l’esplorazione di quel corpo, la sua circolazione sanguigna già fin troppo accelerata. Si ricompose velocemente e tornò a sedersi sulla sedia all’angolo.

“Come ti chiami?”

Esordì. Cara strinse le gambe al petto, lui continuava a fissarla con i gomiti poggiati alle ginocchia. Deglutì

“Sonia.”

Rispose, cercando il primo nome da dire che non fosse il suo. Joseph sollevò un sopracciglio

“Non mentire.” La ammonì, serio come un funerale. Cara inspirò profondamente chiedendosi se fosse il caso di continuare la commedia, probabilmente il suo era solo un bluff.

“Sonia, Sonia Brown.” Insistette e lo sentì sbuffare rumorosamente in risposta. Joseph si alzò in piedi e le si avvicinò con lo stesso sguardo grave, giocherellando con le sue stesse dita come se si stesse preparando ad usarle. Cara sentì le sue falangi scrocchiare e sussultò nel trovarselo di nuovo tanto vicino, lui si chinò lentamente e le passò i polpastrelli sulla gola, rendendo chiaro quanto il suo collo sarebbe stato fragile nella propria presa.

“Non. Mentire.” Precisò ancora una volta, glaciale.

Cara annuì nervosamente e prese coraggio

“Cara, il mio nome è Cara Phillis.”  

Joseph sorrise allontanandosi  “Come facevi a sapere?”

Lei contrasse la mandibola “Sapere cosa?” Chiese in un mezzo sussurro. Lui sospirò tornando a sedersi

“Sapevi del braccialetto, sapevi chi sono. Come?”

“Io non so chi sei.” Ribatté istintivamente in difesa. Lui chiuse piano le palpebre, odiava dover ripetere le cose.

“Come facevi a sapere?”

Cara prese fiato, la sua inferiorità troppo palese per cercare di improvvisare un castello di bugie. E comunque la realtà era già abbastanza ridicola.

“Una mia amica lavora all’American Airlines. E’ stata lei a dirmi che sul volo ci sarebbe stato un criminale con un braccialetto. Mi aveva anche detto di non prenderlo.. E avrei fatto meglio ad ascoltarla.”

Lui aguzzò lo sguardo, senza lontanamente cogliere il suo tentativo di ironizzare. Cercava di capire se la ragazza stesse mentendo.

“Che ci facevi a Johannesburg?”

Cara abbassò gli occhi, anche se la sua sopravvivenza era ancora in dubbio, stavolta lo stomaco le si torse al solo pensiero. Tutta colpa di Ty.

“Ero andata a trovare il mio fidanzato.”

Joseph sorrise. Naturalmente qualcuno aveva già messo le mani sulla ragazza. Beato lui, benché fosse un dettaglio irrilevante nel suo piano. Improvvisamente un pensiero gli tornò alla mente, cercò di scrutarla ancora più a fondo

“Sull’aereo hai detto di non avere ragioni per vivere. Un fidanzato sembrerebbe una buona ragione invece.”

Cara tornò a guardare le sue stesse mani

“L’ho trovato a letto con un’altra” Confessò senza troppi giri di parole.

Lui rimase basito per un secondo, uno appena. Questo fidanzato doveva essere un vero idiota. Si passò la lingua sui denti curvando la schiena per esserle in qualche modo più vicino

“E’ per questo che volevi morire? Perché il tuo uomo ti ha tradita?”

Stavolta Cara decise di sollevare gli occhi ed incontrare i suoi, l’assassino la stava giudicando. La stava giudicando una stupida. Peccato non sapesse nulla della sua vita.

“Lui è solo l’ultima di una serie di ragioni.”

Joseph sentì il desiderio di scavare in quell’affermazione, ma si bloccò prima di parlare. Quell’interrogatorio si stava lentamente trasformando in una seduta psicanalitica, mentre il suo compito era esclusivamente assicurarsi che la ragazza dell’aereo non fosse una minaccia.

“Beh…” Prese fiato lentamente “…Ti consiglio di trovare un buon motivo per vivere allora.”

Cara avvertì un brivido correrle lungo la schiena

“Che..Che vuoi dire?”

Lui sollevò le sopracciglia

“Presto verranno a prendermi e sinceramente…” DI nuovo una pausa “…Non ho idea di cosa farne di te.”

Cara deglutì

“Mi..Mi ucciderai?” Avrebbe voluto suonare risoluta e coraggiosa, ma la voce le tremò come una foglia.

Joseph prese a fissarla. Su quell’aereo non era riuscito a trattenere l’istinto, cosa assurda per uno come lui, aveva afferrato la ragazza e l’aveva buttata giù con sé senza pensare. Belle donne ne aveva viste a bizzeffe nella sua vita, tutte o quasi pronte a rotolarsi con lui, bionde o more, europee o orientali, tutte piacevoli comparse nei suoi soggiorni di “lavoro”. Quella ragazzina non avrebbe dovuto fare alcuna differenza eppure, ripensando al momento preciso in cui i loro occhi si erano incontrati per la prima volta, qualcosa in lui si era mosso. E nulla smuove mai le viscere del Lupo. Era stato quel secondo a fregarlo, quell’improvviso inaspettato sobbalzo all’altezza dello stomaco.

Cara teneva il suo sguardo, sperando di leggerci dentro una risposta. Se ne stava rannicchiata all’angolo del letto e provava ad immaginare cosa ne sarebbe stato di lei. Joseph contrasse la mandibola, anche in quel momento, consapevole del suo errore, non riusciva a non sentirsi attratto dal suo ostaggio. Dopotutto era quello il motivo per cui l’aveva salvata, giusto? Per poterla avere, per potersi togliere quel prurito e continuare con la sua vita di sempre. L’idea di farlo con la forza, tuttavia, sembrava troppo perfino per lui. Gli venne da sorridere. Il suo stesso codice di condotta lo stava beffando.

Le si avvicinò. Cara cercò di farsi ancora più piccola, consapevole di avere solo un metro di gioco per via della catena che la legava al letto. Gli occhi dell’assassino la stavano accarezzando, caldi come il velluto, intensi come nel primo sguardo, quando lei si era concessa di pensare che fosse l’uomo più bello del mondo. Adesso invece quello stesso pensiero le sembrava inaccettabile, ripugnante, doveva sforzarsi di cacciarlo nell’angolo più remoto della propria mente. Lui poggiò le mani sul materasso e si fece alla sua altezza, scavando con forza nelle sue iridi blu, tanto intensamente che Cara dovette spostare lo sguardo per non sentirsi nuda di fronte a lui.

“No.”

Disse infine con la voce bassa

“Non se mi convincerai a non farlo.”

Cara tornò a ricambiare istintivamente i suoi occhi, colpita dal tono allusivo delle ultime parole. Era così vicino che poteva facilmente notare le poche pagliuzze verdi nell’azzurro delle sue iridi, le piccole righe d’espressione sulla sua fronte, la linea delle barba che non rasava da giorni ed il rosa perfetto delle sue labbra. Cosa le stava chiedendo? Voleva forse che lo pregasse di non ucciderla? Era quel tipo di criminale? La bocca di Cara si aprì lievemente per lasciar passare più aria, non era questo che lui sembrava volere. Al solo pensiero il cuore prese a batterle in gola, una strana sensazione di calore le riempì la pancia. Voleva baciarla?? Quell’idea suonava assurda date le circostanze eppure pareva alquanto difficile fraintendere la sua espressione, il modo in cui le sue ciglia sbattevano lente mentre i suoi occhi indugiavano tra il suo sguardo confuso e le sue labbra socchiuse.  

Cara si sentì paralizzata, ogni muscolo del suo corpo si tese all’istante, incapace di reagire davanti ad un uomo che deteneva il potere completo, un uomo che il suo istinto di sopravvivenza rigettava, al contrario della sua epidermide. Lo sentì avvicinarsi ulteriormente e tutti i suoi pori si aprirono cercando di non lasciarla andare a fuoco, il viso bloccato all’altezza del suo. Joseph indugiò per un secondo mischiando il respiro a quello di lei, meravigliato eppure non sorpreso del fatto che la ragazza non si fosse mossa di un millimetro. Impercettibilmente girò la testa, inclinando il collo appena un po’, le sue labbra sfiorarono finalmente la pelle di Cara, accarezzando la linea della sua mandibola. Sentì il mare e la sabbia sulla bocca.

Lei chiuse gli occhi al contatto, voltando il capo e stringendo le lenzuola nei pugni. Poteva sentire il cuore pulsarle nelle orecchie, scorrerle dentro la testa come un fiume in piena. Avrebbe voluto saltare e colpirlo, avrebbe voluto trovare quel tocco rivoltante, ascoltare la voce nella sua testa che andava facendosi sempre più lontana. Al suo posto un nuovo e sconosciuto formicolio, il risveglio contemporaneo di tutte le sue cellule ricettive.

Joseph inspirò, riempiendosi il naso con l’odore salino della sua pelle. Non resistette alla tentazione ed aprì le labbra, passando la punta della lingua sul sale. In quel momento la sentì tremare e si fermò per un secondo, notando con la coda dell’occhio come la sua presa sulle coperte si fosse allentata. Guardò i suoi occhi chiusi e le sue labbra, ora dipinte di un rosso acceso, i muscoli andavano pian piano rilassandosi e lui le sorrise contro il collo. Se fosse stata di vetro si sarebbe sciolta su quel letto, con così poco.

Il pensiero gli infiammò le mani e allo stesso tempo lo fece gelare, costringendolo a staccarsi bruscamente da lei. Era lui ad avere il potere, era lui a dover mantenere il controllo della situazione, la ragazza era solo un ostaggio, una specie di passatempo, nulla di più. Riprendendo il possesso di sé annullò in un istante il batticuore ed i nodi allo stomaco. Nessun coinvolgimento ripeté a sé stesso. Nessun coinvolgimento, questa è la regola.

Cara balzò sul letto come se si fosse svegliata da un bel sogno, stringendosi in sé per calmare il freddo improvviso. L’assassino era in piedi e guardava il vuoto, rendendole impossibile capire cosa stesse pensando adesso. Forse non aveva capito nulla, forse la lussuria non c’entrava, forse lui era solo una specie di psicopatico. Finì a fissare le proprie mani e sembrò realizzare solo in quel momento le sue condizioni, la pelle tirata, le striature bianche dell’acqua salata, il vestito sporco, i capelli ammatassati. Ovvio che nemmeno uno psicopatico potesse volerla in quelle condizioni. Scosse la testa perché ormai la sua mente stava spaziando nel ridicolo, non solo si stava preoccupando di cosa lui pensasse, ma iniziava a sperare che dopo averla uccisa avrebbe buttato il suo corpo nell’oceano; almeno nessun altro l’avrebbe vista in quelle condizioni.

Joseph riprese a muoversi puntando la porta

“Ti porterò qualcosa da bere.”

Disse con nonchalance, come se il piccolo momento precedente fosse già caduto nel dimenticatoio. Cara lo guardò afferrare la maniglia e si morse il labbro

“Aspetta.”

Lui si inchiodò sulla soglia. Mandò giù e si voltò verso di lei senza proferire parola. Cara inspirò profondamente e decise di tentare la propria fortuna

“Potrei.. Potrei almeno lavarmi per favore?”

Osò chiedere con un filo di voce. Lui aggrottò le sopracciglia, forse spiazzato dalla sua richiesta banale, forse indeciso sulla risposa da dare. Rimase serio tutto il tempo, anche mentre tornava sui suoi passi, facendosi vicino ancora una volta. Cara sentì l’istinto di raggomitolarsi, probabilmente aveva tirato troppo la corda. Lui invece non la guardò nemmeno mentre, con una piccola chiave, apriva la manetta al suo polso. Con un cenno della testa indicò la porta di rimpetto a quella della stanza

“Non più di dieci minuti. E non cercare di combinare qualcosa perché potrei arrabbiarmi.”

Cara annuì massaggiandosi il polso libero, aspettando di vederlo andar via prima di poggiare i piedi a terra e correre verso il minuscolo bagno. Chiuse a chiave restando appoggiata alla parete per qualche minuto. La prima cosa che le tornò alla mente fu la voce di Sonia, ma perché cavolo non l’aveva ascoltata? Sbatté la fronte contro la porta. Stupida. Stupida fino alla fine Cara.

Infilandosi velocemente sotto il debole getto della doccia cercò di raggiungere contemporaneamente il maggior numero di parti del suo corpo, di certo non voleva indispettire l’assassino impiegando più del tempo richiesto. Ficcò tra i capelli il primo shampoo a portata di mano e cercò di tirar via tutta l’acqua salata, quasi fino a graffiarsi la pelle. Chiuse gli occhi e si lasciò ricoprire completamente dall’acqua bollente, lasciando che lavasse via il sapone, lo shampoo e parte della sua incredulità/incapacità di dare un senso a quella situazione. Risentì in bocca il sapore della paura, il gusto metallico del terrore di morire, mischiato all’odore dolciastro dell’aereo. Il blu che riempiva la sua vista, ben presto rimpiazzato dal nero e dall’incoscienza. Non riusciva minimamente a ricordare come fosse finita su quella barca, di certo era stato lui a portarcela, ma come? E perché se ne stavano nel mezzo dell’oceano senza che nessuno li trovasse? Doveva essersi occupato di tutto lui. Lui. Già.. Lui. Senza rendersene conto passò una mano a cavallo tra viso e collo, ricercando il punto preciso su cui aveva poggiato le labbra. Si sentì tremare per un istante. Aveva creduto davvero che lui stesse per baciarla, che l’avrebbe fatto più e più volte. Aveva creduto davvero che lui la desiderasse e che l’avrebbe presa lì, in quel momento, senza sapere nulla più che il suo nome. Aveva sperato davvero che quella sarebbe stata la sua salvezza.

Riaprendo gli occhi temette di aver perso la cognizione del tempo e chiuse il rubinetto venendo fuori dalla doccia in tutta fretta. Afferrò un asciugamano e ci si arrotolò dentro, di colpo terrorizzata all’idea di uscire di lì.  ‘No. Non se mi convincerai a non farlo.’  Le parole si ripeterono nella sua testa cercando un significato, cercando di ignorare il loro implicito contrario. Se non fosse riuscita a convincerlo sarebbe morta, proprio per mano sua.

Lasciò scattare piano la serratura, convinta che se lo sarebbe presto trovato di fronte, ma tutto ciò che vide fu il letto sgualcito dell’altra stanza. Calmò il respiro e si guardò intorno nel silenzio, lui doveva essere di sopra. A destra un’altra porta chiusa attirò la sua attenzione, un rumore insolito simile ad un borbottio sembrava venirne fuori. Cara non aveva idea di come fosse fatta una barca, tantomeno quante stanze potesse avere né cosa dovessero contenere, ma iniziò a sperare che in quella camera chiusa ci fossero armi e telefoni satellitari. Nella sua testa reminescenze di vecchi film d’azione presero forma, se fosse riuscita a trovare una pistola, un coltello o un qualsiasi corpo contundente avrebbe potuto colpire l’assassino a tradimento e metterlo fuori gioco. Dopodiché avrebbe chiesto aiuto o navigato fino alla terra ferma.  Annuì e mosse il primo passo a piedi nudi sul parquet, calibrando ogni piccolo movimento per non fare alcun rumore. La tensione era talmente forte che quasi non riusciva a respirare.

La maniglia della porta venne giù senza intoppi e Cara si gettò nella stanza. Era caldo lì dentro. Il borbottio proveniva da una specie di caldaia o scaldabagno nell’angolo. Girò su sé stessa nella penombra, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse afferrare e scagliare contro il suo rapitore. Sulle mensole impolverate se ne stavano diversi oggetti sconosciuti, tutti apparentemente innocui. Scuotendo la testa ed inveendo silenziosamente contro la propria fortuna, Cara si inginocchiò ad ispezionare l’ultimo ripiano. Inaspettatamente le sembrò di avere tra le mani la chiave della sua salvezza, una radio, uno di quei radiotrasmittori vecchio modello in cui basta portarsi alla bocca la trasmittente, premere un pulsante e lanciare un SOS.  La poggiò su una mensola alla sua altezza ed iniziò a premere nervosamente i tasti, ora che vedeva una via d’uscita sembrava non poter aspettare nemmeno un secondo. Una piccola lucina rossa si accese e Cara si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Totalmente priva di nozioni sulla radiocomunicazione decise di girare tutte le manopole e tirar su i cursori poi, tremando e sperando, avvicinò la trasmittente alle labbra, pronta a spingere il pollice sul bottone laterale.

Un fischio stridulo e fastidioso riempì la stanzetta, costringendo Cara a mollare la presa e balzare in piedi. I suoi occhi spalancati si puntarono immediatamente sulla porta, strinse le mani al petto ed accostò l’asciugamano, pregando con tutta sé stessa che lui non avesse sentito. Sarebbe stata la fine.

Un colpo secco spalancò la porta, come se l’assassino l’avesse presa a calci per aprirla. Cara divenne un pezzo di ghiaccio pulsante rendendosi conto solo in quel momento, per la prima volta, di chi avesse davvero di fronte. Joseph era dritto davanti a lei, i pugni chiusi e le labbra strette in una linea sottile, i suoi occhi vuoti come vetro, il corpo mosso da un tremore generale, come se stesse per venir fuori dalla propria pelle. Era arrabbiato. Era vistosamente arrabbiato.

Joseph rimase sulla soglia a fissarla, i suoi muscoli vibravano, l’adrenalina gli faceva ballare il cuore nel petto. Strinse le mani a palla cercando di trattenere l’istinto, bellissima o meno, era riuscita a fargli saltare i nervi e risvegliare il Lupo, la parte di sé più oscura e cattiva, quella che riservava solo alle sue vittime, solo ai nemici della sua famiglia.

Cara indietreggiò sbattendo ben presto contro il muro. Stava per morire. Adesso era certo, stava per morire.

Lui deglutì rumorosamente muovendosi di un solo passo. Se è questo che la ragazzina voleva l’avrebbe presto accontentata. Se aveva bisogno di conoscere il Lupo per capire chi avesse il comando, allora beh, senz’altro lui era  pronto a morderla.  

“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare.”

    

  

 

    

 

  
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