ItF15
Disclaimer:
Pyro e gli
X-men non appartengono a me ma a Stan Lee e a Jack Kirby, alla Marvel Comics e
alla Twentieth Century Fox, che ha acquistato i diritti per il film. Possiedo
invece, dato che l’ho creata io, il personaggio di Meredith St.Clair.
Scusate il ritardo. Giuro che non è stato per fare la splendida e creare un po' di suspance; ho riscritto tre volte questo
capitolo prima che ne uscisse qualcosa di decente. Credo (e sia detto con tutta la modestia possibile) che il
risultato finale sia piuttosto buono; comunque, come sempre, il giudizio finale spetta a
voi.
C'è
anche un altro motivo per cui sto postando così in ritardo, ed
è che.... Mi dispiace, vi dovrete ciucciare tutto il capitolo 15
prima di scoprirlo. Ebbene sì, sono una vera carogna. ;-)
Comunque, adesso basta con la chiacchere. Ecco a voi l'ultimo capitolo di "Into the Fire".
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Marie e Meredith biascicarono qualche parola di scusa ed entrarono a testa bassa nella stanza.
La professoressa Munroe e la dottoressa Grey erano in piedi a pochi
passi dalla console di comando dell’X-Jet, entrambe in pieno
assetto da battaglia, e guardavano le nuove arrivate con aria solenne.
Alla loro sinistra, in piedi anche loro ma senza le uniformi di
combattimento, stavano John e Bobby. Le due ragazze si affrettarono a
sistemarsi alla sinistra delle professoresse.
Con grande sollievo di Meredith, Magneto e Mistica sembravano non essere presenti.
“Siamo arrivati a destinazione.” iniziò Jean Grey,
guardando ora Meredith e Marie, ora John e Bobby. “Tra qualche
minuto, io e i professori ci introdurremo nella base del colonnello
Stryker, che si trova all’interno della diga.”
“Noi non veniamo?” chiese Bobby, deluso.
“No, non questa volta.” rispose la dottoressa. La sua voce tradiva una certa impazienza.
“Ma ci siamo allenati per mesi, e poi...” insisté John.
“Mi dispiace, testa calda, ma questa volta dovrai lasciare
l’azione a noi.” tagliò corto Logan, il rimprovero
chiaro nel suo tono.
John distolse lo sguardo e fece scattare il suo Zippo.
“Il piano è di distruggere Cerebro II,”
continuò la dottoressa Grey. “e di tornare all’X-Jet
insieme ai vostri compagni e ai professori che sono stati presi
prigionieri durante l’incursione nell’Istituto.” Fece
una pausa. “Ci sono domande?”
“E noi che facciamo, nel frattempo?” domandò
Meredith. Invidiava la calma di Jean Grey. Parlava di introdursi nella
tana di un uomo che li voleva morti come se fosse in classe a spiegare
il ciclo vitale della rana.
“Aspettate qui e tenete l’aereo pronto per il decollo
immediato non appena saremo tornati.” rispose la dottoressa.
“Nessun colpo di testa.” disse la professoressa Munroe con
un tono severo. “Nessuno di voi quattro” Li guardò
uno per uno. “metterà piede a terra, per nessuna ragione
al mondo. Sono stata chiara?”
I quattro ragazzi mugugnarono un sì.
“Staremo via un’ora al massimo.” disse Logan.
“Se scaduto il tempo non saremo ancora tornati, voi dovrete
sganciarvi.”
“Ma...” iniziò Marie, la voce tremante per la paura e la sorpresa.
Logan alzò una mano. “No, non voglio sentire nessun ma. Se
entro un ora non saremo ancora qui, voi azionerete le procedure di
emergenza e ve ne andrete. Bobby, sto parlando con te.” disse
rivolgendosi direttamente a lui. “Il computer di bordo sa cosa
fare. Dovrai solo azionarlo, e il pilota automatico vi porterà
in una destinazione sicura. Hai capito?”
Bobby si limitò ad annuire in silenzio, evidentemente spaventato
per la responsabilità che gli era piombata addosso.
“E che ne sarà di voi? E degli altri? E...” insisté Marie.
“Di questo non vi dovete preoccupare. Se l’ora dovesse
scadere e noi non ci fossimo ancora fatti vivi, voi quattro ve ne
andrete, e questo è quanto. Non voglio discussioni su questo
argomento.”
Marie aprì di nuovo la bocca per contestare, ma poi la richiuse
senza dire nulla. Tutti e quattro abbassarono gli occhi, incapaci di
guardare i professori o i loro compagni. Meredith non riusciva a
concepire un’ipotesi così orribile, doversene andare
abbandonando gli altri al loro destino, tra le mani della iena e del
suo branco di mostri in divisa. Senza contare che comunque non
sarebbero andati poi così lontano: se Stryker riusciva ad
azionare Cerebro sarebbero morti lo stesso.
“Voglio che promettiate, tutti voi, che se dovesse essere
necessario azionerete l’X-Jet e ve ne andrete da qui più
in fretta che potrete.” disse Logan, il suo tono un po’
più indulgente.
“E anche che non scenderete dall’X-Jet.” aggiunse la professoressa Munroe.
“Ok.” concesse Logan. “Promettete che non scenderete
dall’X-Jet e che lascerete questo posto se non saremo tornati
entro un ora.”
Nessuno parlò.
“Bobby, tu per primo.” disse Logan, il suo tono di nuovo duro e inflessibile.
Bobby alzò lentamente gli occhi dal pavimento e guardò Wolverine. “Sì.” sussurrò.
“Sì cosa?” insisté lui, impaziente.
Bobby deglutì e aprì le labbra, ma non ne uscì
alcun suono. Era pallido come un cencio. Alla fine chiuse gli occhi per
qualche secondo, espirò e poi guardò Logan con un
espressione risoluta sul viso.
“Sì, lo prometto.” disse.
Logan sembrò soddisfatto. “John?”
John fece scattare un paio di volte il suo accendino. “Prometto.” rispose fissando la fiammella.
“Guardami in faccia.”
John staccò gli occhi dal fuoco e guardò Logan. “Prometto.” ripeté.
“Molto bene. Meredith?”
Meredith si sforzò di guardare Logan negli occhi. Era la frase
più difficile e dolorosa che si era trovata a pronunciare in
tutta la sua vita. Come faceva a giurare una cosa simile?
Prese un bel respiro. “Lo prometto.” disse. La sua voce, roca e tremante, sembrava appartenere ad un'altra persona.
Logan annuì e si voltò a guardare Marie. “Manchi solo tu.” le disse.
Marie serrò le labbra e scosse la testa.
Logan sospirò. “Devi promettere, Marie.”
Lei scosse la testa con ancor più violenza. “No, no,
mai!” disse mentre una lacrima le scivolava su una guancia.
Logan la guardò con tenerezza. “L’ora sta passando, piccola. Sono tutti minuti che perdiamo.”
Gli occhi di Marie si spalancarono per l’orrore.
“No!” gridò spaventata. “Lo prometto, lo
prometto, ok?”
Logan le sorrise. “Brava la mia piccola.”
Marie si asciugò con rabbia le lacrime e tirò un paio di
volte su col naso. Meredith si sentì sporchissima, come se
avesse appena consegnato al boia il suo migliore amico.
“Un ora.” ripeté Jean Grey mentre lei, la
professoressa Munroe e Wolverine si incamminavano fuori dalla sala
comandi. “Rimanete qui dentro e non vi preoccupate. Andra tutto
bene, ragazzi.”
La professoressa Munroe sorrise e Logan fece loro l’occhiolino
prima di attraversare la porta. I quattro ragazzi sentirono le loro
voci e quelle di Magneto e Mistica che si accordavano sugli ultimi
dettagli del piano, poi i loro passi che si allontanavano in corridoio,
poi più nulla.
I quattro ragazzi si guardarono ansiosamente in viso l’uno con
l’altro, aspettando che uno di loro parlasse, ma nessuno ne ebbe
il coraggio. Lentamente, Marie si sedette su una delle poltroncine di
fronte la console dei comandi, e Bobby occupò quella a fianco,
guardando fuori dal finestrino con aria preoccupata. John si
appoggiò contro la parete d’acciaio e fece scattare
più volte il suo accendino, guardando il vuoto davanti a
sé. Meredith si mise alla sua sinistra e gli strinse la mano che
non era occupata a giocherellare con lo Zippo.
Il pesante silenzio tra loro era interrotto solo dal click click click
dell’accendino di John che si accendeva e si spegneva. Meredith
alzò lo sguardo dal pavimento d’acciaio dell’X-Jet e
i suoi occhi indugiarono sui suoi compagni.
“Sapete,” esordì con cautela. “quando la
dottoressa Grey ha detto “rimanete qui dentro”, secondo me
non intendeva proprio in questa stanza.”
Marie alzò lentamente la testa e la guardò come se la
stesse vedendo per la prima volta. “Sì... Credo che
Meredith abbia ragione.”
Meredith guardò Bobby e gli sorrise timidamente, sperando che
non fosse più arrabbiato con lei. Con suo grande sollievo, Bobby
le sorrise a sua volta. “Se andassimo nella sala di
carico...” continuò Bobby. “Voglio dire, non
scendiamo mica dal jet, no?”
John annuì. “Potremmo aprire il portellone.”
suggerì. “Senza scendere, senza scendere, ovvio. Ma
così è già tutto pronto, e appena
arrivano...”
“E’ per velocizzare le cose.” concluse Meredith.
“Andiamo.” disse Marie scattando in piedi.
Gli altri tre la imitarono al volo e in un secondo erano già nel
corridoio, Bobby in testa, diretti alla sala di carico. I loro passi
rieccheggiarono tra le strette pareti di ferro dell’X-Jet, e
Meredith provò un vago senso di inquietudine nel pensare che
erano loro quattro da soli in tutto l’aereo, e con ancora
maggiore irrequietezza si chiese quanto tempo fosse passato
dall’inizio della missione. Stava per domandarlo a Bobby,
l’unico di loro che avesse al polso l’orologio, ma poi si
rese conto con una fitta di paura che non voleva affatto saperlo.
Strinse più forte la mano di John.
Appena arrivarono nell’ampia sala di carico dell’aereo
Bobby si affrettò a raggiungere i comandi del portellone e
l’azionò. Gli ingranaggi entrarono svelti in funzione, e
la parete posteriore della stanza si abbassò lentamente
finché non toccò terra.
Un’ improvvisa folata di vento gelido li fece tremare. Bobby
accese le luci esterne e Meredith vide che l’aereo era atterrato
in una radura innevata a pochi passi da una foresta di abeti, molto
simile a quella in cui si trovava la scuola. Inconsciamente i quattro
ragazzi fecero qualche passo verso l’apertura, e grazie alla luce
della luna riuscirono a scorgere, in lontananza, quella che sembrava
una grossa parete di cemento incastrata tra due montagne. Tesero le
orecchie, ma dalla diga non proveniva alcun rumore.
Marie si sedette per terra contro la parete di sinistra, e Bobby si
sistemò al suo fianco. John si issò su una delle casse
che erano ammucchiate in fondo alla sala, vi si sedette a gambe larghe
e poi prese delicatamente Meredith per i fianchi e l’aiutò
a sollevarsi, facendola sedere tra le sue gambe. Meredith si
sistemò più comodamente che poteva mentre le braccia di
John si stringevano attorno alla sua vita, serrandola contro il suo
corpo. Meredith mise le mani sopra quelle di lui e ne accarezzò
il dorso. Dentro di sé sorrise ripensando alla prima volta che
aveva toccato la sua mano, mentre tagliavano la legna nel giardino
della scuola. Si rese conto di non aver mai chiesto a John se si era
accorto, quel giorno, che la mano di lei era appoggiata sulla sua.
Meredith guardò verso l’esterno e grazie la luce dei fari
potè vedere la neve sul terreno, candida e immacolata. Da quanto
tempo non pensava alla neve. Da quando...
John appoggiò il mento sulla sua spalla e Meredith potè
sentire che era turbato. Lentamente tolse la mano destra da quella di
lui e cominciò ad accarezzargli l’esterno della coscia,
cercando di farlo rilassare almeno un po’. Si voltò a
guardarlo, ma lui continuò a fissare il nulla davanti a
sé, il mento appoggiato sulla spalla di Meredith.
Assicurandosi che Bobby e Marie non stessero guardando, premette un
bacio sulla guancia di John, e poi ritornò a guardare la neve.
Pensò alla diga tra le montagne, e poi alla fotografia di Evie
sepolta ai piedi della rosa, nel cortiletto delle cucine. John aveva
ragione: era sicura che Stryker non avesse neppure sospettato della sua
esistenza. La neve protegge e nasconde, pensò Meredith. Custodisce
tutti i segreti che le vengono affidati, ma non le importa di niente.
Non le importa se cela la tomba di una bambina uccisa dalla cattiveria
della gente, o se si posa sulla tana di una iena.
John appoggiò la bocca al suo orecchio. “Oggi ho perso il mio accendino.” sussurrò.
Meredith si voltò a guardarlo. Non capiva quello che John le voleva dire e questo la inquietava.
“E’ stato...” John fece una pausa e si bagnò
le labbra con la lingua, come se stesse scegliendo accuratamente le sue
prossime parole. “E’ stato Magneto a trovarlo.”
Meredith rivide Magneto sorriderle dolcemente oltre la porta
semichiusa, e il suo cuore rifiutò di continuare a battere, o
almeno così le sembrò.
Ricordò quello che la professoressa Grey le aveva detto l’ultima volta che l’aveva chiamata nel suo studio: se
l’odio e la rabbia dovessero prevalere dentro John, tu dovrai
riequilibrare la bilancia e sforzarti di riportare entrambi verso il
positivo.
“Mi ha detto delle cose.” aggiunse John con un filo di voce.
Ma c’è la possibilità che tu non riesca a farlo.
Meredith lo guardò, la mente completamente vuota, incapace di suggerirle qualcosa da dire.
Forse un giorno, non oggi, non subito, ma un giorno, tu dovrai prendere una decisione.
“Dovremmo prendere qualcosa per i feriti.” La voce di Bobby
risuonò secca e roca, e lui si schiarì la gola prima di
continuare. “In caso ce ne fossero. Non ce ne saranno, ma in
caso...” Lasciò cadere la frase e guardò verso
l’esterno.
“Bobby ha ragione.” continuò Marie. Anche se cercava
di sembrare calma e controllata c’era un tremito di angoscia
nella sua voce. “Dovremmo essere pronti. Bende, lacci emostatici,
cose così.”
“Io so dove cercare.” disse Meredith saltando giù
dalla cassa e liberandosi dalla stretta di John. La sua voce era acuta
e isterica, e tutti si voltarono a guardarla. “Quando
l’aereo stava precipitando gli armadietti dell’infermeria
si sono aperti. Vado e torno.”
Si voltò e corse fuori dalla stanza prima che qualcuno potesse
offrirsi di andare con lei per aiutarla. Mentre attraversava la porta
incrociò lo sguardo di John. C’era dolore nei suoi occhi,
e paura, paura di essere rifiutato, di essere abbandonato, lo sguardo
che ha ogni figlio trascurato e ripudiato. La maledizione di ogni
bambino rimasto solo.
Ti prego, ti prego, non posso, pensò Meredith con le lacrime agli occhi mentre correva nei corridoi. Non posso fare niente, e non ce la faccio a decidere.
Spalancò la porta dell’infermeria e vi si gettò
dentro, cercando di ricordare da quale armadietto aveva visto cadere
bende e cerotti. Alla fine ne scelse uno a caso e vi si
inginocchiò davanti.
Appena aprì le ante riparate alla bel e meglio dopo gli
incidenti del giorno prima, però, sentì
un’improvvisa stretta allo stomaco, come se qualcosa
l’avesse colpita con forza. Forse è solo la tua anima, disse una voce dentro di lei.
Strinse con forza il bordo dell’armadietto mentre rivedeva John
inginocchiarsi accanto a lei nella neve, rivedeva le sue dita graffiare
il terreno e lottare contro il gelo che voleva impedire loro di dare ad
Evie un posto sicuro dove avrebbe potuto smettere di scappare, una
buona volta, e riposare tranquilla.
Una lacrima le colò sulla maglietta mentre chiudeva gli occhi.
Le faceva troppo male rivedere lo sguardo di Evie mentre posavano per
la foto a Times Square e poi immaginare l’espressione sul suo
volto mentre apriva il flacone di Valium e si rovesciava le pillole
sulla mano. Le faceva troppo male rivedere la paura e la sofferenza
negli occhi di John mentre lei si divincolava dal suo abbraccio e
correva fuori dalla stanza.
John da solo non è in grado di aiutare sé stesso.
Le sembrò che grosse lacrime di sangue spillassero dal suo cuore e le gocciolassero lentamente nello stomaco.
Il respiro le si serrò per un istante, e Meredith alzò la
testa di scatto verso il soffitto, in cerca di aria. Le luci al neon le
bruciarono gli occhi e lei distolse in fretta la sguardo, mentre
sentiva il suo cuore battere ad una velocità folle nel petto e
il sangue rombarle nei timpani, e per una frazione di secondo il sangue
annegò la sua paura.
Si alzò in piedi prima che il sangue si ritirasse e la paura
avesse il tempo di riaffiorare, maligna e tenace, e in un secondo
correva già lungo i corridoi dell’X-Jet, diretta alla sala
di carico, e mentre correva le sembrò che il suo cuore avesse
smesso di sanguinare, o se non altro che sanguinasse un po’ meno.
Bobby e Marie erano in piedi ai lati del portellone spalancato, e
chiamavano a gran voce qualcuno che a quanto pareva si stava
allontanando dall’aereo in direzione del bosco. Quando la
sentirono arrivare, si voltarono di scatto e la guardarono, il viso
contorto dall’ansia e dalla preoccupazione.
Potete perdervi entrambi, Meredith, oppure salvarvi entrambi.
Bobby e Marie urlarono e urlarono il suo nome e il vento fischiò
gelido e crudele tra gli alberi mentre Meredith si lasciava alle
spalle l’X-Jet e correva nella neve, diretta verso la foresta.
****
La luna piena splendeva luminosa nel cielo senza nubi, e anche nel
folto del bosco Meredith non ebbe problemi a distinguere dove stava
andando. Aveva seguito le orme di John per un po’, ma poi le
aveva confuse con altre, probabilmente lasciate da Wolverine e dal
resto degli X Men mentre si dirigevano alla diga, e ora proseguiva a
casaccio, correndo qui e là guidata solo dal suo istinto.
La neve era più alta di quello che le era sembrato
dall’X-Jet, e come le era successo tempo prima era uscita senza
preoccuparsi di prendere qualcosa con cui coprirsi dal freddo. Meredith
tremava mentre il sudore le si ghiacciava addosso, eppure correva e
correva, e una parte del suo cervello le bisbigliò che questa
volta non ci sarebbe stato nessuno che si sarebbe sfilato la felpa e
gliela avrebbe offerta perché lei potesse scaldarsi.
Una radice che spuntava dal terreno la fece inciampare e Meredith
dovette appoggiarsi al tronco di un abete per non cadere a terra.
Premette per un istante le mani e il viso contro la corteccia ruvida,
inspirando l’odore pungente della resina, e poi ricominciò
a correre in cerca di John.
Avrebbe potuto urlare, chiamare il suo nome, ma la sua gola si era
serrata nel momento stesso in cui il suo piede aveva toccato terra.
Nella sua mente rivide sé stessa nella sala comandi
dell’X-Jet, in piedi davanti ai suoi amici e ai suoi professori
mentre guardava in faccia Logan e gli giurava che sarebbe rimasta
sull’aereo. Bugiarda, piccola schifosa, mostro, disse qualcuno o qualcosa da dentro di lei, parlando con la voce cattiva di Alex Hagen.
Rivide sé stessa la notte dell’invasione, e pensò
al soldato a cui aveva fracassato la faccia contro il muro. A volte la forza è necessaria, Meredith, le sussurrò la voce di Evie. E
a te non dispiace di averlo fatto. Ti dispiace che sia dovuto accadere,
ma non ti dispiace di aver usato i tuoi poteri contro quel soldato,
né che John abbia fatto esplodere le auto della polizia.
E’ come con la finestra della cucina, giù alla scuola. Se
tu e John foste stati nelle vostre stanze, invece che in cortile a
fumare, non avreste mai rotto quel vetro.
Meredith inspirò profondamente l’aria gelida della notte e
continuò a correre a perdifiato nella neve, che scricchiolava
sotto la suola delle sue scarpe da ginnastica come se protestasse
oltraggiata per la sua intrusione. Come faceva Evie a sapere del vetro?
Me lo ha raccontato la rosa, rispose lei ridendo. Non sai quanto mi sono divertita. Meredith sorrise tra sé e sé. Non faticava ad immaginarlo. In fondo, si trattava di una storia davvero buffa.
Se quegli uomini non vi avessero attaccati, non sarebbe successo loro niente di male, continuò la voce di Evie. Ti
ricordi cosa ci ha detto la mamma quando ci siamo volute arrampicare
sul muro del parco giochi anche se lei ci aveva detto di non farlo, e
siamo tornate a casa con i gomiti e le ginocchia tutte sbucciate?
“Chi è causa del suo male pianga sé stesso.”
sussurrò Meredith al vento che le sferzava la faccia mentre
correva tra gli alberi.
Le sembrò di sentire un rumore provenire da un punto indistinto
alla sua destra, e Meredith vi si diresse senza pensare neppure per un
momento che avrebbe potuto trattarsi della iena o di uno dei militari
del suo branco.
Esattamente come tu tendi al positivo, John tende al negativo. Al nichilismo. All’autodistruzione, le ricordò la voce di Jean Grey.
Beh, forse la dottoressa si era sbagliata. Forse aveva fatto male i
suoi conti. Forse non era John il polo negativo tra i due, forse il
polo negativo... Sei tu, disse una voce, e questa volta Meredith non riuscì a riconoscere chi avesse parlato. Sei tu, e lo sei sempre stata.
Era buffo, che lei, la negativa tra le due sorelle, la pessimista,
preferisse i colori chiari, mentre Evie, sempre così serena e
allegra, si vestisse esclusivamente di nero. Quando Meredith era
triste, Evie l’abbracciava ridendo e le diceva: “Su con la
vita, sorellina, che oggi il sole splende!”
A Meredith venne da ridere anche se era quasi senza fiato per via della
corsa. Evie era capace di dire “il sole splende” anche se
fuori grandinava e c’erano dieci gradi sotto zero. Per lei il
sole splendeva sempre.
Ed era così buona. Meredith non avrebbe saputo dire quante volte
aveva dovuto dividere il pranzo a metà con Evie perché
lei aveva dato tutti suoi soldi a qualche mendicante che aveva
incontrato sulla strada da casa a scuola. Papà diceva che Evie
aveva talmente tanta luce dentro di sé che quella non ce la
faceva a restare tutta compressa nel suo corpo e se ne usciva. Luce
gratis per tutti, diceva papà ridendo, e mica solo quella.
Guarda, guarda cosa hanno fatto alla nostra piccola Evie, papà, pensò Meredith guardando la luna piena. L'hanno
costretta a scappare e a scappare finché la sua luce non si
è spenta a poco a poco, finché la sua vita non è
gocciolata via giorno per giorno.
Una nube nera e leggera come fumo passò veloce davanti alla
luna, oscurandone la luce, e Meredith si dovette fermare per qualche
istante. Si appoggiò con una mano ad un albero e respirò
a pieni polmoni, cercando di recuperare un po’ di energie e di
fiato per continuare a correre.
La nuvola passò, e la luce della luna ritornò ad
illuminare la foresta rivestita del suo manto bianco. La neve
brillò orgogliosa e altera sotto il pallido riverbero della luna
e Meredith guardò in alto, verso il cielo. Pensò a Evie,
addormentata sotto la rosa.
Non ero lì con te per
proteggerti. Avrei dovuto esserci, ma non c’ero. Ero alla scuola,
e ci sono rimasta perché lì non dovevo lottare per
sopravvivere, non dovevo essere cattiva, o uccidere, o semplicemente
difendermi da chi voleva farmi del male. Ho scelto la strada più
facile.
I polmoni le facevano male per lo sforzo, e Meredith si concesse ancora
qualche secondo di riposo prima di ricominciare a correre. Le sue
unghie graffiarono la corteccia e l’abete si vendicò
conficcandole una scheggia nel palmo. Meredith rise e appoggiò
la schiena al tronco. La natura non perdona. Occhio per occhio, dente
per dente.
La luna sembrò fissarla con un’espressione corrucciata, e
Meredith smise improvvisamente di ridere. Evie era morta sola. Aveva
inghiottito un intero flacone di tranquillanti e si era uccisa a sedici
anni, e lei, Meredith, la sorella che Evie amava tanto, le aveva
voltato le spalle e se ne era rimasta tranquilla a migliaia di
chilometri di distanza, troppo debole, troppo vigliacca per combattere
al suo fianco.
Era bastato che un branco di iene assaltasse la scuola perchè il
sogno di Xavier crollasse come un castello di carte, schiacciato dal
peso delle sue stesse sciocche e vane illusioni. Se la situazione non
fosse stata così disperata, probabilmente Meredith avrebbe
apprezzato il lato comico della faccenda.
Umani e mutanti che collaborano per un mondo migliore, come no.
L’unico modo in cui gli umani intendevano avere contatti con i
mutanti era separati dalla canna di un fucile.
Papà, papà, mi puoi perdonare? chiese Meredith alzando gli occhi verso l’alto. Ma la luna la guardò dal cielo e non le rispose.
Ci fu un altro rumore, più forte, come se qualcuno stesse
spezzando dei rami, e Meredith si staccò dall’abete e si
scagliò in quella direzione, correndo più veloce che
poteva. Quanto tempo era passato, da quando era scesa dall’X-Jet?
Quanto ne era passato dall’inizio della missione? Ripensò
alla professoressa Munroe, che aveva sorriso mentre usciva dalla sala
comandi dell’aereo, e che aveva pianto quando l’aveva
salutata in cortile, il giorno in cui Logan l’aveva portata al
JFK perché Meredith potesse prendere l’aereo per Phoenix.
Voglio che tu mi prometta che se sarà necessario, prenderai la decisione giusta e ti staccherai da John, riprese la dottoressa Grey.
Improvvisamente le sembrò di sentire una musica diffondersi
nell’aria, e per una frazione di secondo Meredith rallentò
la sua corsa, cercando di capire da dove venisse, ma poi si rese conto
che era solo dentro la sua testa.
Era la canzone che aveva sentito alla radio quando era tornata dal
funerale di Evie, la canzone che aveva cominciato a suonare mentre
Logan svoltava nel viale della villa e che aveva continuato
ostinatamente ad andare avanti anche se loro ormai erano arrivati a
destinazione.
Come on, come on
Put your hands into the fire
Explain, explain
As I turn and meet the power
This time, this time
Turning white and senses dire
Pull up, pull up
From one extreme to another...
Nel fuoco... Forse alla fine era di questo che si trattava, solo di questo.
Ho infranto la promessa, pensò. Ho oltrepassato la linea. Sono marchiata per sempre.
Davanti a lei c’era una piccola salita e Meredith
l’affrontò con uno scatto, arrampicandosi tra gli alberi
che punteggiavano il pendio. Più di una volta le sue scarpe
persero aderenza sul terreno innevato, rischiando di farla scivolare e
cadere, ma ogni volta Meredith si rimise in piedi e continuò a
correre, anche se ormai le gambe le tremavano per lo sforzo e una fitta
dolorosa al fianco la costringeva a procedere piegata in due.
La cima della collinetta si avvicinava sempre più, e Meredith
riusciva a vedere brandelli di cielo e di luna attraverso i rami degli
alberi, come se qualcuno ne avesse strappato via dei pezzetti e li
avesse poi appesi tra un abete e l’altro, come decorazioni per
una macabra festa. Scivolò di nuovo e questa volta finì a
terra, ma riuscì a parare la caduta appoggiandosi sulle mani e
le ginocchia.
La neve le morse crudelmente le dita, felice di poterla finalmente
punire dopo che Meredith aveva osato violare l’integrità e
la purezza del suo reame segreto. Alla neve non importa, pensò di nuovo Meredith, perché a me dovrebbe importare di lei?
Si rialzò in piedi e percorse gli ultimi metri che la separavano
dalla sommità della collinetta, il respiro che le si mozzava in
gola ad ogni passo, il dolore al fianco ormai insopportabile. Con le
ultime energie che le rimanevano si appoggiò al tronco di un
abete e guardò in basso, in fondo al pendio.
Tre persone avanzavano nella neve. In testa al gruppetto procedeva un
uomo anziano con un vestito di panno e un lungo mantello nero. Pochi
passi dietro di lui c’era una donna con i capelli rossi e la
pelle blu scuro ricoperta di squame, e alla sinistra della donna
camminava un ragazzo, anche lui, come Meredith, vestito solo di una
maglietta a maniche lunghe. Il freddo non sembrava dargli noia.
Meredith guardò John camminare al fianco di Magneto e Mistica,
il suo sguardo fisso davanti a sé, il viso calmo e risoluto. Non
c’era più traccia di dolore nei suoi occhi, né di
paura. E nemmeno lei ne provò più.
Potevano salvarsi entrambi, oppure perdersi entrambi. L'unica cosa che
rimaneva da fare ora, l'unica cosa che rimaneva da fare era entrare nel
fuoco e vedere se riuscivano ad attraversarlo indenni, oppure se ne
sarebbero stati consumati.
Lentamente Meredith si staccò dall’abete e scese con
cautela il pendio innevato. Richiamato dal rumore dei suoi passi, il
gruppetto si fermò di colpo e alzò gli occhi in direzione
della collinetta. Mistica e John la guardarono con sorpresa, e per un
istante le sembrò che la cambiaforma fosse anche sul punto di
attaccarla. Magneto, invece, non fece e non disse nulla. Si
limitò a guardarla con curiosità, come se si trovassero
in un locale, o ad una festa, e Meredith avesse appena varcato la
soglia.
Meredith restituì a Magneto lo sguardo, e si fermò
davanti a lui, esausta. Le gambe a malapena la reggevano ed era sicura
che se avesse dovuto fare un altro passo ancora sarebbe caduta a terra
e sarebbe stata incapace di rialzarsi. Se Mistica la voleva uccidere, o
Magneto avesse deciso di ordinarglielo, forse non sarebbe stata nemmeno
in grado di combattere.
Ma Magneto le sorrise di nuovo, come le aveva sorriso sull’X-Jet.
“Come ti chiami, mia cara?” le chiese con gentilezza.
Meredith staccò gli occhi dal volto di Magneto e guardò
John, desiderando ardentemente che lui rispondesse al posto suo e
scegliesse per lei il suo destino.
Ma John si limitò a restituirle lo sguardo e non parlò.
Non poteva farlo. Non poteva decidere per lei quale fosse il suo nome,
né quale fosse il suo posto. Toccava a lei rispondere a quella
domanda.
Meredith tornò a guardare Magneto. Lui le sorrideva ancora con
dolcezza e aspettava pazientemente che lei parlasse, incurante del
fatto che si trovassero in una foresta nel cuore della notte, a pochi
passi dalla base di Stryker.
“Medusa.” rispose infine Meredith.
Magneto alzò un sopracciglio, evidentemente trovandolo un nome
bizzarro, ma non fece alcun commento. Si buttò un lembo del
mantello oltre la spalla destra, avvolgendolo attorno al suo corpo, e
indicò qualcosa situato dietro Meredith. “Bene. Andiamo,
allora.” disse rivolto alle tre persone che erano lì con
lui.
Meredith rimase ferma mentre Magneto e Mistica riprendevano a camminare
nella neve. Lei e John si guardarono per qualche secondo in silenzio,
poi John la raggiunse e fece scivolare la mano in quella di lei, e le
diede una stretta. Forte.
Insieme cominciarono a camminare sulla scia di Magneto e Mistica. La
mano di John era calda, e quel calore le diede le energie che le
servivano per andare avanti e arrivare all’elicottero militare,
che li aspettava fermo in una piccola radura tra gli alberi, a qualche
metro da loro.
Meredith intrecciò le dita con quelle di John mentre salivano
sull’elicottero, e Mistica sorrise sarcastica quando scorse le
loro mani unite. Nessuno dei due la degnò di uno sguardo.
Stavano già camminando nel fuoco, ed era difficile vedere qualcosa al di là delle fiamme.
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E così finisce "Into the Fire". Spero che vi sia piaciuto. Cavoli, mi sto commuovendo...
Voglio ringraziare tutti
coloro che hanno avuto la pazienza di arrivare fino in fondo,
specialmente Star_Dust_Daga, Gertie e Lia (nessuna preferenza, siete in
"ordine temporale di recensione"), che hanno avuto la gentilezza e la bontà
di seguire passo passo questo racconto, lasciandomi dei preziosissimi
incoraggiamenti che mi hanno sollevato il morale nei momenti di blocco
dello scrittore. Davvero grazie con tutto il cuore, ragazze. Non ho
parole per dirvi quanto siano state importanti per me le vostre
recensioni. Vi mando un abbraccio fortissimo!
Ringrazio anche te,
lettore anonimo. Spero che il tuo silenzio
sia dovuto alla mancanza di tempo e non al fatto che questo racconto
ti abbia fatto schifo. (Anche se, te lo assicuro, in caso di recensione
negativa non ti avrei mandato a casa un pacco pieno di api africane
assassine.) Ti saluto,
lettore anonimo, e mi auguro con tutto il cuore che "Into the
Fire" ti sia piaciuto.
Il
motivo per cui ho fatto così tardi ad aggiornare, oltre alle
numerose riscritture di cui sopra, è che mentre scrivevo il
capitolo 15 mi è balzata in mente l'idea di un seguito. E sapete
com'è, quando ti viene in mente qualcosa, lo devi scrivere e
basta. Mettere giù due capitoli di due storie diverse
contemporaneamente è un'impresa da squilibrati, ve lo posso
assicurare, ma finalmente ce l'ho fatta. Chissà come mai.
Così, insieme a questo capitolo, ho anche postato il primo capitolo del
seguito di "Into the Fire". Si intitola "Winning a Battle, Losing the
War". Se questo racconto vi è piaciuto, e volete conoscere la
mia personale versione delle vicende di X Men 3, vi invito a dargli
un'occhiata.
Bene, non ho altro da aggiungere se non che mando un ultimo, affettuosissimo saluto a tutti voi. Grazie di tutto e buona vita!!
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