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Autore: elsie    24/09/2007    4 recensioni
"Potevano salvarsi entrambi, oppure perdersi entrambi. L'unica cosa che rimaneva da fare ora, l'unica cosa che rimaneva da fare era entrare nel fuoco..." Pyro incontra una ragazza al Xavier Institute e insieme dovranno prendere la decisione più importante della loro vita. Basato su X-Men 2. PyroOC
Genere: Romantico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ItF15

Disclaimer: Pyro e gli X-men non appartengono a me ma a Stan Lee e a Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox, che ha acquistato i diritti per il film. Possiedo invece, dato che l’ho creata io, il personaggio di Meredith St.Clair.

Scusate il ritardo. Giuro che non è stato per fare la splendida e creare un po' di suspance; ho riscritto tre volte questo capitolo prima che ne uscisse qualcosa di decente. Credo (e sia detto con tutta la modestia possibile) che il risultato finale sia piuttosto buono; comunque, come sempre, il giudizio finale spetta a voi.

C'è anche un altro motivo per cui sto postando così in ritardo, ed è che.... Mi dispiace, vi dovrete ciucciare tutto il capitolo 15 prima di scoprirlo. Ebbene sì, sono una vera carogna. ;-)

Comunque, adesso basta con la chiacchere. Ecco a voi l'ultimo capitolo di "Into the Fire".

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Marie e Meredith biascicarono qualche parola di scusa ed entrarono a testa bassa nella stanza.

La professoressa Munroe e la dottoressa Grey erano in piedi a pochi passi dalla console di comando dell’X-Jet, entrambe in pieno assetto da battaglia, e guardavano le nuove arrivate con aria solenne. Alla loro sinistra, in piedi anche loro ma senza le uniformi di combattimento, stavano John e Bobby. Le due ragazze si affrettarono a sistemarsi alla sinistra delle professoresse.
Con grande sollievo di Meredith, Magneto e Mistica sembravano non essere presenti.

“Siamo arrivati a destinazione.” iniziò Jean Grey, guardando ora Meredith e Marie, ora John e Bobby. “Tra qualche minuto, io e i professori ci introdurremo nella base del colonnello Stryker, che si trova all’interno della diga.”

“Noi non veniamo?” chiese Bobby, deluso.

“No, non questa volta.” rispose la dottoressa. La sua voce tradiva una certa impazienza.

“Ma ci siamo allenati per mesi, e poi...” insisté John.

“Mi dispiace, testa calda, ma questa volta dovrai lasciare l’azione a noi.” tagliò corto Logan, il rimprovero chiaro nel suo tono.

John distolse lo sguardo e fece scattare il suo Zippo.

“Il piano è di distruggere Cerebro II,” continuò la dottoressa Grey. “e di tornare all’X-Jet insieme ai vostri compagni e ai professori che sono stati presi prigionieri durante l’incursione nell’Istituto.” Fece una pausa. “Ci sono domande?”

“E noi che facciamo, nel frattempo?” domandò Meredith. Invidiava la calma di Jean Grey. Parlava di introdursi nella tana di un uomo che li voleva morti come se fosse in classe a spiegare il ciclo vitale della rana.

“Aspettate qui e tenete l’aereo pronto per il decollo immediato non appena saremo tornati.” rispose la dottoressa.

“Nessun colpo di testa.” disse la professoressa Munroe con un tono severo. “Nessuno di voi quattro” Li guardò uno per uno. “metterà piede a terra, per nessuna ragione al mondo. Sono stata chiara?”

I quattro ragazzi mugugnarono un sì.

“Staremo via un’ora al massimo.” disse Logan. “Se scaduto il tempo non saremo ancora tornati, voi dovrete sganciarvi.”

“Ma...” iniziò Marie, la voce tremante per la paura e la sorpresa.

Logan alzò una mano. “No, non voglio sentire nessun ma. Se entro un ora non saremo ancora qui, voi azionerete le procedure di emergenza e ve ne andrete. Bobby, sto parlando con te.” disse rivolgendosi direttamente a lui. “Il computer di bordo sa cosa fare. Dovrai solo azionarlo, e il pilota automatico vi porterà in una destinazione sicura. Hai capito?”

Bobby si limitò ad annuire in silenzio, evidentemente spaventato per la responsabilità che gli era piombata addosso.

“E che ne sarà di voi? E degli altri? E...” insisté Marie.

“Di questo non vi dovete preoccupare. Se l’ora dovesse scadere e noi non ci fossimo ancora fatti vivi, voi quattro ve ne andrete, e questo è quanto. Non voglio discussioni su questo argomento.”

Marie aprì di nuovo la bocca per contestare, ma poi la richiuse senza dire nulla. Tutti e quattro abbassarono gli occhi, incapaci di guardare i professori o i loro compagni. Meredith non riusciva a concepire un’ipotesi così orribile, doversene andare abbandonando gli altri al loro destino, tra le mani della iena e del suo branco di mostri in divisa. Senza contare che comunque non sarebbero andati poi così lontano: se Stryker riusciva ad azionare Cerebro sarebbero morti lo stesso.

“Voglio che promettiate, tutti voi, che se dovesse essere necessario azionerete l’X-Jet e ve ne andrete da qui più in fretta che potrete.” disse Logan, il suo tono un po’ più indulgente.

“E anche che non scenderete dall’X-Jet.” aggiunse la professoressa Munroe.

“Ok.” concesse Logan. “Promettete che non scenderete dall’X-Jet e che lascerete questo posto se non saremo tornati entro un ora.”

Nessuno parlò.

“Bobby, tu per primo.” disse Logan, il suo tono di nuovo duro e inflessibile.

Bobby alzò lentamente gli occhi dal pavimento e guardò Wolverine. “Sì.” sussurrò.

“Sì cosa?” insisté lui, impaziente.

Bobby deglutì e aprì le labbra, ma non ne uscì alcun suono. Era pallido come un cencio. Alla fine chiuse gli occhi per qualche secondo, espirò e poi guardò Logan con un espressione risoluta sul viso.

“Sì, lo prometto.” disse.

Logan sembrò soddisfatto. “John?”

John fece scattare un paio di volte il suo accendino. “Prometto.” rispose fissando la fiammella.

“Guardami in faccia.”

John staccò gli occhi dal fuoco e guardò Logan. “Prometto.” ripeté.

“Molto bene. Meredith?”

Meredith si sforzò di guardare Logan negli occhi. Era la frase più difficile e dolorosa che si era trovata a pronunciare in tutta la sua vita. Come faceva a giurare una cosa simile?

Prese un bel respiro. “Lo prometto.” disse. La sua voce, roca e tremante, sembrava appartenere ad un'altra persona.

Logan annuì e si voltò a guardare Marie. “Manchi solo tu.” le disse.

Marie serrò le labbra e scosse la testa.

Logan sospirò. “Devi promettere, Marie.”

Lei scosse la testa con ancor più violenza. “No, no, mai!” disse mentre una lacrima le scivolava su una guancia.

Logan la guardò con tenerezza. “L’ora sta passando, piccola. Sono tutti minuti che perdiamo.”

Gli occhi di Marie si spalancarono per l’orrore. “No!” gridò spaventata. “Lo prometto, lo prometto, ok?”

Logan le sorrise. “Brava la mia piccola.”

Marie si asciugò con rabbia le lacrime e tirò un paio di volte su col naso. Meredith si sentì sporchissima, come se avesse appena consegnato al boia il suo migliore amico.

“Un ora.” ripeté Jean Grey mentre lei, la professoressa Munroe e Wolverine si incamminavano fuori dalla sala comandi. “Rimanete qui dentro e non vi preoccupate. Andra tutto bene, ragazzi.”

La professoressa Munroe sorrise e Logan fece loro l’occhiolino prima di attraversare la porta. I quattro ragazzi sentirono le loro voci e quelle di Magneto e Mistica che si accordavano sugli ultimi dettagli del piano, poi i loro passi che si allontanavano in corridoio, poi più nulla.

I quattro ragazzi si guardarono ansiosamente in viso l’uno con l’altro, aspettando che uno di loro parlasse, ma nessuno ne ebbe il coraggio. Lentamente, Marie si sedette su una delle poltroncine di fronte la console dei comandi, e Bobby occupò quella a fianco, guardando fuori dal finestrino con aria preoccupata. John si appoggiò contro la parete d’acciaio e fece scattare più volte il suo accendino, guardando il vuoto davanti a sé. Meredith si mise alla sua sinistra e gli strinse la mano che non era occupata a giocherellare con lo Zippo.

Il pesante silenzio tra loro era interrotto solo dal click click click dell’accendino di John che si accendeva e si spegneva. Meredith alzò lo sguardo dal pavimento d’acciaio dell’X-Jet e i suoi occhi indugiarono sui suoi compagni.

“Sapete,” esordì con cautela. “quando la dottoressa Grey ha detto “rimanete qui dentro”, secondo me non intendeva proprio in questa stanza.”

Marie alzò lentamente la testa e la guardò come se la stesse vedendo per la prima volta. “Sì... Credo che Meredith abbia ragione.”

Meredith guardò Bobby e gli sorrise timidamente, sperando che non fosse più arrabbiato con lei. Con suo grande sollievo, Bobby le sorrise a sua volta. “Se andassimo nella sala di carico...” continuò Bobby. “Voglio dire, non scendiamo mica dal jet, no?”

John annuì. “Potremmo aprire il portellone.” suggerì. “Senza scendere, senza scendere, ovvio. Ma così è già tutto pronto, e appena arrivano...”

“E’ per velocizzare le cose.” concluse Meredith.

“Andiamo.” disse Marie scattando in piedi.

Gli altri tre la imitarono al volo e in un secondo erano già nel corridoio, Bobby in testa, diretti alla sala di carico. I loro passi rieccheggiarono tra le strette pareti di ferro dell’X-Jet, e Meredith provò un vago senso di inquietudine nel pensare che erano loro quattro da soli in tutto l’aereo, e con ancora maggiore irrequietezza si chiese quanto tempo fosse passato dall’inizio della missione. Stava per domandarlo a Bobby, l’unico di loro che avesse al polso l’orologio, ma poi si rese conto con una fitta di paura che non voleva affatto saperlo.

Strinse più forte la mano di John.

Appena arrivarono nell’ampia sala di carico dell’aereo Bobby si affrettò a raggiungere i comandi del portellone e l’azionò. Gli ingranaggi entrarono svelti in funzione, e la parete posteriore della stanza si abbassò lentamente finché non toccò terra.

Un’ improvvisa folata di vento gelido li fece tremare. Bobby accese le luci esterne e Meredith vide che l’aereo era atterrato in una radura innevata a pochi passi da una foresta di abeti, molto simile a quella in cui si trovava la scuola. Inconsciamente i quattro ragazzi fecero qualche passo verso l’apertura, e grazie alla luce della luna riuscirono a scorgere, in lontananza, quella che sembrava una grossa parete di cemento incastrata tra due montagne. Tesero le orecchie, ma dalla diga non proveniva alcun rumore.

Marie si sedette per terra contro la parete di sinistra, e Bobby si sistemò al suo fianco. John si issò su una delle casse che erano ammucchiate in fondo alla sala, vi si sedette a gambe larghe e poi prese delicatamente Meredith per i fianchi e l’aiutò a sollevarsi, facendola sedere tra le sue gambe. Meredith si sistemò più comodamente che poteva mentre le braccia di John si stringevano attorno alla sua vita, serrandola contro il suo corpo. Meredith mise le mani sopra quelle di lui e ne accarezzò il dorso. Dentro di sé sorrise ripensando alla prima volta che aveva toccato la sua mano, mentre tagliavano la legna nel giardino della scuola. Si rese conto di non aver mai chiesto a John se si era accorto, quel giorno, che la mano di lei era appoggiata sulla sua.

Meredith guardò verso l’esterno e grazie la luce dei fari potè vedere la neve sul terreno, candida e immacolata. Da quanto tempo non pensava alla neve. Da quando...

John appoggiò il mento sulla sua spalla e Meredith potè sentire che era turbato. Lentamente tolse la mano destra da quella di lui e cominciò ad accarezzargli l’esterno della coscia, cercando di farlo rilassare almeno un po’. Si voltò a guardarlo, ma lui continuò a fissare il nulla davanti a sé, il mento appoggiato sulla spalla di Meredith.
Assicurandosi che Bobby e Marie non stessero guardando, premette un bacio sulla guancia di John, e poi ritornò a guardare la neve. Pensò alla diga tra le montagne, e poi alla fotografia di Evie sepolta ai piedi della rosa, nel cortiletto delle cucine. John aveva ragione: era sicura che Stryker non avesse neppure sospettato della sua esistenza. La neve protegge e nasconde, pensò Meredith. Custodisce tutti i segreti che le vengono affidati, ma non le importa di niente. Non le importa se cela la tomba di una bambina uccisa dalla cattiveria della gente, o se si posa sulla tana di una iena.

John appoggiò la bocca al suo orecchio. “Oggi ho perso il mio accendino.” sussurrò.

Meredith si voltò a guardarlo. Non capiva quello che John le voleva dire e questo la inquietava.

“E’ stato...” John fece una pausa e si bagnò le labbra con la lingua, come se stesse scegliendo accuratamente le sue prossime parole. “E’ stato Magneto a trovarlo.”

Meredith rivide Magneto sorriderle dolcemente oltre la porta semichiusa, e il suo cuore rifiutò di continuare a battere, o almeno così le sembrò.

Ricordò quello che la professoressa Grey le aveva detto l’ultima volta che l’aveva chiamata nel suo studio: se l’odio e la rabbia dovessero prevalere dentro John, tu dovrai riequilibrare la bilancia e sforzarti di riportare entrambi verso il positivo.

“Mi ha detto delle cose.” aggiunse John con un filo di voce.

Ma c’è la possibilità che tu non riesca a farlo.

Meredith lo guardò, la mente completamente vuota, incapace di suggerirle qualcosa da dire.

Forse un giorno, non oggi, non subito, ma un giorno, tu dovrai prendere una decisione.

“Dovremmo prendere qualcosa per i feriti.” La voce di Bobby risuonò secca e roca, e lui si schiarì la gola prima di continuare. “In caso ce ne fossero. Non ce ne saranno, ma in caso...” Lasciò cadere la frase e guardò verso l’esterno.

“Bobby ha ragione.” continuò Marie. Anche se cercava di sembrare calma e controllata c’era un tremito di angoscia nella sua voce. “Dovremmo essere pronti. Bende, lacci emostatici, cose così.”

“Io so dove cercare.” disse Meredith saltando giù dalla cassa e liberandosi dalla stretta di John. La sua voce era acuta e isterica, e tutti si voltarono a guardarla. “Quando l’aereo stava precipitando gli armadietti dell’infermeria si sono aperti. Vado e torno.”

Si voltò e corse fuori dalla stanza prima che qualcuno potesse offrirsi di andare con lei per aiutarla. Mentre attraversava la porta incrociò lo sguardo di John. C’era dolore nei suoi occhi, e paura, paura di essere rifiutato, di essere abbandonato, lo sguardo che ha ogni figlio trascurato e ripudiato. La maledizione di ogni bambino rimasto solo.

Ti prego, ti prego, non posso, pensò Meredith con le lacrime agli occhi mentre correva nei corridoi. Non posso fare niente, e non ce la faccio a decidere.

Spalancò la porta dell’infermeria e vi si gettò dentro, cercando di ricordare da quale armadietto aveva visto cadere bende e cerotti. Alla fine ne scelse uno a caso e vi si inginocchiò davanti.

Appena aprì le ante riparate alla bel e meglio dopo gli incidenti del giorno prima, però, sentì un’improvvisa stretta allo stomaco, come se qualcosa l’avesse colpita con forza. Forse è solo la tua anima, disse una voce dentro di lei.

Strinse con forza il bordo dell’armadietto mentre rivedeva John inginocchiarsi accanto a lei nella neve, rivedeva le sue dita graffiare il terreno e lottare contro il gelo che voleva impedire loro di dare ad Evie un posto sicuro dove avrebbe potuto smettere di scappare, una buona volta, e riposare tranquilla.

Una lacrima le colò sulla maglietta mentre chiudeva gli occhi. Le faceva troppo male rivedere lo sguardo di Evie mentre posavano per la foto a Times Square e poi immaginare l’espressione sul suo volto mentre apriva il flacone di Valium e si rovesciava le pillole sulla mano. Le faceva troppo male rivedere la paura e la sofferenza negli occhi di John mentre lei si divincolava dal suo abbraccio e correva fuori dalla stanza.

John da solo non è in grado di aiutare sé stesso.

Le sembrò che grosse lacrime di sangue spillassero dal suo cuore e le gocciolassero lentamente nello stomaco.

Il respiro le si serrò per un istante, e Meredith alzò la testa di scatto verso il soffitto, in cerca di aria. Le luci al neon le bruciarono gli occhi e lei distolse in fretta la sguardo, mentre sentiva il suo cuore battere ad una velocità folle nel petto e il sangue rombarle nei timpani, e per una frazione di secondo il sangue annegò la sua paura.

Si alzò in piedi prima che il sangue si ritirasse e la paura avesse il tempo di riaffiorare, maligna e tenace, e in un secondo correva già lungo i corridoi dell’X-Jet, diretta alla sala di carico, e mentre correva le sembrò che il suo cuore avesse smesso di sanguinare, o se non altro che sanguinasse un po’ meno.

Bobby e Marie erano in piedi ai lati del portellone spalancato, e chiamavano a gran voce qualcuno che a quanto pareva si stava allontanando dall’aereo in direzione del bosco. Quando la sentirono arrivare, si voltarono di scatto e la guardarono, il viso contorto dall’ansia e dalla preoccupazione.

Potete perdervi entrambi, Meredith, oppure salvarvi entrambi.

Bobby e Marie urlarono e urlarono il suo nome e il vento fischiò gelido e crudele tra gli alberi mentre Meredith si lasciava alle spalle l’X-Jet e correva nella neve, diretta verso la foresta.

****

La luna piena splendeva luminosa nel cielo senza nubi, e anche nel folto del bosco Meredith non ebbe problemi a distinguere dove stava andando. Aveva seguito le orme di John per un po’, ma poi le aveva confuse con altre, probabilmente lasciate da Wolverine e dal resto degli X Men mentre si dirigevano alla diga, e ora proseguiva a casaccio, correndo qui e là guidata solo dal suo istinto.

La neve era più alta di quello che le era sembrato dall’X-Jet, e come le era successo tempo prima era uscita senza preoccuparsi di prendere qualcosa con cui coprirsi dal freddo. Meredith tremava mentre il sudore le si ghiacciava addosso, eppure correva e correva, e una parte del suo cervello le bisbigliò che questa volta non ci sarebbe stato nessuno che si sarebbe sfilato la felpa e gliela avrebbe offerta perché lei potesse scaldarsi.

Una radice che spuntava dal terreno la fece inciampare e Meredith dovette appoggiarsi al tronco di un abete per non cadere a terra. Premette per un istante le mani e il viso contro la corteccia ruvida, inspirando l’odore pungente della resina, e poi ricominciò a correre in cerca di John.

Avrebbe potuto urlare, chiamare il suo nome, ma la sua gola si era serrata nel momento stesso in cui il suo piede aveva toccato terra. Nella sua mente rivide sé stessa nella sala comandi dell’X-Jet, in piedi davanti ai suoi amici e ai suoi professori mentre guardava in faccia Logan e gli giurava che sarebbe rimasta sull’aereo. Bugiarda, piccola schifosa, mostro, disse qualcuno o qualcosa da dentro di lei, parlando con la voce cattiva di Alex Hagen.

Rivide sé stessa la notte dell’invasione, e pensò al soldato a cui aveva fracassato la faccia contro il muro. A volte la forza è necessaria, Meredith, le sussurrò la voce di Evie. E a te non dispiace di averlo fatto. Ti dispiace che sia dovuto accadere, ma non ti dispiace di aver usato i tuoi poteri contro quel soldato, né che John abbia fatto esplodere le auto della polizia. E’ come con la finestra della cucina, giù alla scuola. Se tu e John foste stati nelle vostre stanze, invece che in cortile a fumare, non avreste mai rotto quel vetro.

Meredith inspirò profondamente l’aria gelida della notte e continuò a correre a perdifiato nella neve, che scricchiolava sotto la suola delle sue scarpe da ginnastica come se protestasse oltraggiata per la sua intrusione. Come faceva Evie a sapere del vetro?

Me lo ha raccontato la rosa, rispose lei ridendo. Non sai quanto mi sono divertita. Meredith sorrise tra sé e sé. Non faticava ad immaginarlo. In fondo, si trattava di una storia davvero buffa.

Se quegli uomini non vi avessero attaccati, non sarebbe successo loro niente di male, continuò la voce di Evie. Ti ricordi cosa ci ha detto la mamma quando ci siamo volute arrampicare sul muro del parco giochi anche se lei ci aveva detto di non farlo, e siamo tornate a casa con i gomiti e le ginocchia tutte sbucciate?

“Chi è causa del suo male pianga sé stesso.” sussurrò Meredith al vento che le sferzava la faccia mentre correva tra gli alberi.

Le sembrò di sentire un rumore provenire da un punto indistinto alla sua destra, e Meredith vi si diresse senza pensare neppure per un momento che avrebbe potuto trattarsi della iena o di uno dei militari del suo branco.

Esattamente come tu tendi al positivo, John tende al negativo. Al nichilismo. All’autodistruzione, le ricordò la voce di Jean Grey.

Beh, forse la dottoressa si era sbagliata. Forse aveva fatto male i suoi conti. Forse non era John il polo negativo tra i due, forse il polo negativo... Sei tu, disse una voce, e questa volta Meredith non riuscì a riconoscere chi avesse parlato. Sei tu, e lo sei sempre stata.

Era buffo, che lei, la negativa tra le due sorelle, la pessimista, preferisse i colori chiari, mentre Evie, sempre così serena e allegra, si vestisse esclusivamente di nero. Quando Meredith era triste, Evie l’abbracciava ridendo e le diceva: “Su con la vita, sorellina, che oggi il sole splende!”

A Meredith venne da ridere anche se era quasi senza fiato per via della corsa. Evie era capace di dire “il sole splende” anche se fuori grandinava e c’erano dieci gradi sotto zero. Per lei il sole splendeva sempre.
Ed era così buona. Meredith non avrebbe saputo dire quante volte aveva dovuto dividere il pranzo a metà con Evie perché lei aveva dato tutti suoi soldi a qualche mendicante che aveva incontrato sulla strada da casa a scuola. Papà diceva che Evie aveva talmente tanta luce dentro di sé che quella non ce la faceva a restare tutta compressa nel suo corpo e se ne usciva. Luce gratis per tutti, diceva papà ridendo, e mica solo quella.

Guarda, guarda cosa hanno fatto alla nostra piccola Evie, papà, pensò Meredith guardando la luna piena. L'hanno costretta a scappare e a scappare finché la sua luce non si è spenta a poco a poco, finché la sua vita non è gocciolata via giorno per giorno.

Una nube nera e leggera come fumo passò veloce davanti alla luna, oscurandone la luce, e Meredith si dovette fermare per qualche istante. Si appoggiò con una mano ad un albero e respirò a pieni polmoni, cercando di recuperare un po’ di energie e di fiato per continuare a correre.
La nuvola passò, e la luce della luna ritornò ad illuminare la foresta rivestita del suo manto bianco. La neve brillò orgogliosa e altera sotto il pallido riverbero della luna e Meredith guardò in alto, verso il cielo. Pensò a Evie, addormentata sotto la rosa.

Non ero lì con te per proteggerti. Avrei dovuto esserci, ma non c’ero. Ero alla scuola, e ci sono rimasta perché lì non dovevo lottare per sopravvivere, non dovevo essere cattiva, o uccidere, o semplicemente difendermi da chi voleva farmi del male. Ho scelto la strada più facile.

I polmoni le facevano male per lo sforzo, e Meredith si concesse ancora qualche secondo di riposo prima di ricominciare a correre. Le sue unghie graffiarono la corteccia e l’abete si vendicò conficcandole una scheggia nel palmo. Meredith rise e appoggiò la schiena al tronco. La natura non perdona. Occhio per occhio, dente per dente.

La luna sembrò fissarla con un’espressione corrucciata, e Meredith smise improvvisamente di ridere. Evie era morta sola. Aveva inghiottito un intero flacone di tranquillanti e si era uccisa a sedici anni, e lei, Meredith, la sorella che Evie amava tanto, le aveva voltato le spalle e se ne era rimasta tranquilla a migliaia di chilometri di distanza, troppo debole, troppo vigliacca per combattere al suo fianco.

Era bastato che un branco di iene assaltasse la scuola perchè il sogno di Xavier crollasse come un castello di carte, schiacciato dal peso delle sue stesse sciocche e vane illusioni. Se la situazione non fosse stata così disperata, probabilmente Meredith avrebbe apprezzato il lato comico della faccenda.
Umani e mutanti che collaborano per un mondo migliore, come no. L’unico modo in cui gli umani intendevano avere contatti con i mutanti era separati dalla canna di un fucile.

Papà, papà, mi puoi perdonare? chiese Meredith alzando gli occhi verso l’alto. Ma la luna la guardò dal cielo e non le rispose.

Ci fu un altro rumore, più forte, come se qualcuno stesse spezzando dei rami, e Meredith si staccò dall’abete e si scagliò in quella direzione, correndo più veloce che poteva. Quanto tempo era passato, da quando era scesa dall’X-Jet? Quanto ne era passato dall’inizio della missione? Ripensò alla professoressa Munroe, che aveva sorriso mentre usciva dalla sala comandi dell’aereo, e che aveva pianto quando l’aveva salutata in cortile, il giorno in cui Logan l’aveva portata al JFK perché Meredith potesse prendere l’aereo per Phoenix.

Voglio che tu mi prometta che se sarà necessario, prenderai la decisione giusta e ti staccherai da John, riprese la dottoressa Grey.

Improvvisamente le sembrò di sentire una musica diffondersi nell’aria, e per una frazione di secondo Meredith rallentò la sua corsa, cercando di capire da dove venisse, ma poi si rese conto che era solo dentro la sua testa.

Era la canzone che aveva sentito alla radio quando era tornata dal funerale di Evie, la canzone che aveva cominciato a suonare mentre Logan svoltava nel viale della villa e che aveva continuato ostinatamente ad andare avanti anche se loro ormai erano arrivati a destinazione.

Come on, come on
Put your hands into the fire
Explain, explain
As I turn and meet the power
This time, this time
Turning white and senses dire
Pull up, pull up
From one extreme to another...

Nel fuoco... Forse alla fine era di questo che si trattava, solo di questo.

Ho infranto la promessa, pensò. Ho oltrepassato la linea. Sono marchiata per sempre.

Davanti a lei c’era una piccola salita e Meredith l’affrontò con uno scatto, arrampicandosi tra gli alberi che punteggiavano il pendio. Più di una volta le sue scarpe persero aderenza sul terreno innevato, rischiando di farla scivolare e cadere, ma ogni volta Meredith si rimise in piedi e continuò a correre, anche se ormai le gambe le tremavano per lo sforzo e una fitta dolorosa al fianco la costringeva a procedere piegata in due.

La cima della collinetta si avvicinava sempre più, e Meredith riusciva a vedere brandelli di cielo e di luna attraverso i rami degli alberi, come se qualcuno ne avesse strappato via dei pezzetti e li avesse poi appesi tra un abete e l’altro, come decorazioni per una macabra festa. Scivolò di nuovo e questa volta finì a terra, ma riuscì a parare la caduta appoggiandosi sulle mani e le ginocchia.

La neve le morse crudelmente le dita, felice di poterla finalmente punire dopo che Meredith aveva osato violare l’integrità e la purezza del suo reame segreto. Alla neve non importa, pensò di nuovo Meredith, perché a me dovrebbe importare di lei?

Si rialzò in piedi e percorse gli ultimi metri che la separavano dalla sommità della collinetta, il respiro che le si mozzava in gola ad ogni passo, il dolore al fianco ormai insopportabile. Con le ultime energie che le rimanevano si appoggiò al tronco di un abete e guardò in basso, in fondo al pendio.

Tre persone avanzavano nella neve. In testa al gruppetto procedeva un uomo anziano con un vestito di panno e un lungo mantello nero. Pochi passi dietro di lui c’era una donna con i capelli rossi e la pelle blu scuro ricoperta di squame, e alla sinistra della donna camminava un ragazzo, anche lui, come Meredith, vestito solo di una maglietta a maniche lunghe. Il freddo non sembrava dargli noia.

Meredith guardò John camminare al fianco di Magneto e Mistica, il suo sguardo fisso davanti a sé, il viso calmo e risoluto. Non c’era più traccia di dolore nei suoi occhi, né di paura. E nemmeno lei ne provò più.

Potevano salvarsi entrambi, oppure perdersi entrambi. L'unica cosa che rimaneva da fare ora, l'unica cosa che rimaneva da fare era entrare nel fuoco e vedere se riuscivano ad attraversarlo indenni, oppure se ne sarebbero stati consumati.

Lentamente Meredith si staccò dall’abete e scese con cautela il pendio innevato. Richiamato dal rumore dei suoi passi, il gruppetto si fermò di colpo e alzò gli occhi in direzione della collinetta. Mistica e John la guardarono con sorpresa, e per un istante le sembrò che la cambiaforma fosse anche sul punto di attaccarla. Magneto, invece, non fece e non disse nulla. Si limitò a guardarla con curiosità, come se si trovassero in un locale, o ad una festa, e Meredith avesse appena varcato la soglia.

Meredith restituì a Magneto lo sguardo, e si fermò davanti a lui, esausta. Le gambe a malapena la reggevano ed era sicura che se avesse dovuto fare un altro passo ancora sarebbe caduta a terra e sarebbe stata incapace di rialzarsi. Se Mistica la voleva uccidere, o Magneto avesse deciso di ordinarglielo, forse non sarebbe stata nemmeno in grado di combattere.

Ma Magneto le sorrise di nuovo, come le aveva sorriso sull’X-Jet. “Come ti chiami, mia cara?” le chiese con gentilezza.

Meredith staccò gli occhi dal volto di Magneto e guardò John, desiderando ardentemente che lui rispondesse al posto suo e scegliesse per lei il suo destino.

Ma John si limitò a restituirle lo sguardo e non parlò. Non poteva farlo. Non poteva decidere per lei quale fosse il suo nome, né quale fosse il suo posto. Toccava a lei rispondere a quella domanda.

Meredith tornò a guardare Magneto. Lui le sorrideva ancora con dolcezza e aspettava pazientemente che lei parlasse, incurante del fatto che si trovassero in una foresta nel cuore della notte, a pochi passi dalla base di Stryker.

“Medusa.” rispose infine Meredith.

Magneto alzò un sopracciglio, evidentemente trovandolo un nome bizzarro, ma non fece alcun commento. Si buttò un lembo del mantello oltre la spalla destra, avvolgendolo attorno al suo corpo, e indicò qualcosa situato dietro Meredith. “Bene. Andiamo, allora.” disse rivolto alle tre persone che erano lì con lui.

Meredith rimase ferma mentre Magneto e Mistica riprendevano a camminare nella neve. Lei e John si guardarono per qualche secondo in silenzio, poi John la raggiunse e fece scivolare la mano in quella di lei, e le diede una stretta. Forte.

Insieme cominciarono a camminare sulla scia di Magneto e Mistica. La mano di John era calda, e quel calore le diede le energie che le servivano per andare avanti e arrivare all’elicottero militare, che li aspettava fermo in una piccola radura tra gli alberi, a qualche metro da loro.

Meredith intrecciò le dita con quelle di John mentre salivano sull’elicottero, e Mistica sorrise sarcastica quando scorse le loro mani unite. Nessuno dei due la degnò di uno sguardo.

Stavano già camminando nel fuoco, ed era difficile vedere qualcosa al di là delle fiamme.

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E così finisce "Into the Fire". Spero che vi sia piaciuto. Cavoli, mi sto commuovendo...

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno avuto la pazienza di arrivare fino in fondo, specialmente Star_Dust_Daga, Gertie e Lia (nessuna preferenza, siete in "ordine temporale di recensione"), che hanno avuto la gentilezza e la bontà di seguire passo passo questo racconto, lasciandomi dei preziosissimi incoraggiamenti che mi hanno sollevato il morale nei momenti di blocco dello scrittore. Davvero grazie con tutto il cuore, ragazze. Non ho parole per dirvi quanto siano state importanti per me le vostre recensioni. Vi mando un abbraccio fortissimo!

Ringrazio anche te, lettore anonimo. Spero che il tuo silenzio sia dovuto alla mancanza di tempo e non al fatto che questo racconto ti abbia fatto schifo. (Anche se, te lo assicuro, in caso di recensione negativa non ti avrei mandato a casa un pacco pieno di api africane assassine.) Ti saluto, lettore anonimo, e mi auguro con tutto il cuore che "Into the Fire" ti sia piaciuto.

Il motivo per cui ho fatto così tardi ad aggiornare, oltre alle numerose riscritture di cui sopra, è che mentre scrivevo il capitolo 15 mi è balzata in mente l'idea di un seguito. E sapete com'è, quando ti viene in mente qualcosa, lo devi scrivere e basta. Mettere giù due capitoli di due storie diverse contemporaneamente è un'impresa da squilibrati, ve lo posso assicurare, ma finalmente ce l'ho fatta. Chissà come mai.
Così, insieme a questo capitolo, ho anche postato il primo capitolo del seguito di "Into the Fire". Si intitola "Winning a Battle, Losing the War". Se questo racconto vi è piaciuto, e volete conoscere la mia personale versione delle vicende di X Men 3, vi invito a dargli un'occhiata.

Bene, non ho altro da aggiungere se non che mando un ultimo, affettuosissimo saluto a tutti voi. Grazie di tutto e buona vita!!

  
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