Serendipity
-A Barbara.
Una persona
stupenda.
Un’Amica
unica.-
Chapter One
“First
light”
«Tutti
quelli che se ne vanno ti lasciano sempre addosso un po' di
sé... È questo il segreto della memoria? Se
è così allora mi sento più sicura
perché so... che non sarò mai sola...»
(dal film “La finestra di fronte”)
uesta
è una storia che parla del Destino.
Del Caso.
Ma
da soli non basterebbero.
Questa
è una vicenda che narra di un attimo.
Un
baleno che per magia compare, sorprendendoci, e che bisogna afferrare
prima che svanisca per sempre.
Basta
quel battito di ciglia per cambiare la nostra vita.
Cercare
una cosa, per trovarne un’altra.
Avere
il coraggio di seguire una sensazione.
“Hermione,
tu hai colto l’attimo?”
***
Il
sibilo che da giorni la tormentava era diventato estremamente
fastidioso.
Avvertiva
il calore del sole mattutino infrangersi prepotentemente contro le
palpebre ancora chiuse. L’impalpabile tocco dei suoi raggi le
solleticava le gote.
Era
giunto il giorno e con esso il momento di svegliarsi.
***
Aprire
gli occhi non le era mai sembra più difficile.
Nuovo.
La
luce filtrava attraverso le tende bianche poste a
quell’’unica finestra presente nella stanza.
Nonostante
fosse tenue e fioca, la costrinse a serrare gli occhi, abbagliandola.
Sbattè
più volte le palpebre per ambientarsi a quel nuovo chiarore.
Un
tedioso ticchettio proveniva da quei macchinari posti ai lati del letto
in cui giaceva.
Fece
scorrere attentamente lo sguardo su ciò che la circondava.
Le
pareti della stanza erano di un grigio
chiarissimo.
Bianco.
Un chiaro telo
faceva da sipario tra le due estremità della camera.
Tutto
era di un opprimente bianco.
Come
bianca era la cortina di nebbia che le offuscava la mente, confondendola.
L‘usuale
torpore del risveglio avvolgeva ogni singola parte del suo corpo.
Aveva
difficoltà a muovere le gambe.
Come
se fossero state immobili per troppo tempo.
Con
eccessivo sforzo, riuscì a mettersi seduta nel mezzo del
letto, cercando di stringere i pugni,
ma
si sentiva troppo debole per farlo.
La
sua mente era troppo intorpidita per ricordare il perché fosse
lì.
Come
se fosse oltremodo stanca.
Eppure,
quel senso di spossatezza la tormentava.
La
induceva a posrsi domande.
Dov’era?
Perché
era lì?
Cercava
le risposte nella sua mente.
Erano
lì – dovevano
essere lì – ma, appena vi si avvicinava, tutto
spariva.
Quel
senso di confusione l’angosciava.
Più
si sforzava, più la testa le cominciava a farle male
insistentemente, inducendola a socchiudere gli occhi.
Portò
una mano alle tempie e solo allora si accorse di portare delle bende.
Spalancò
gli occhi repentinamente.
Era
stata la sorpresa.
Il
dolore.
O
forse il senso di allerta che aveva provato nel sentire il rumore di
una porta che veniva gentilmente richiusa.
Un
colpo impercettibile, ma lo aveva avvertito.
Come
se tanta accortezza fosse abitudinaria.
Metodica.
In
quello stesso istante una donna varcava la soglia della camera
lasciando cadere la biancheria che portava.
Nel
vederla sveglia,
un piccolo grido di sconcerto le sfuggì dalle lebbra.
Continuava
a fissarla a metà tra lo stupito e lo spaventato, prima di
voltarsi e sparire al di là della porta.
Perché?
La
sentiva pronunciare parole allarmate, chiamare qualcuno.
“Presto!
Qualcuno alla 121” – schiamazzava senza sosta.
Perché?
“Aiuto”
– in
quel momento avrebbe voluto urlare.
Se
solo non sentisse la su voce provenire da troppo lontano.
Avrebbe
voluto gridare, qualsiasi cosa.
Perché
non ricordava.
Avrebbe
voluto sentire qualcuno pronunciare il suo nome.
Perché
non lo conosceva.
Chi
era?
Non
lo sapeva.
Alla
luce di questa assurda consapevolezza, sentì qualcosa dentro
di sé spezzarsi.
Fu
questione di pochi attimi e la nube bianca che le ottenebrava la mente
riuscì a varcare quel labile confine infranto, avvolgendo la
realtà.
Gli
occhi le si chiusero contro la sua volontà, improvvisamente
stremata.
Intorno
a lei solo il Nulla.
Il
Nulla dilaga irrefrenabile.
Confonde.
Annienta
ammaliandoci.
E
noi restiamo immobili, cessando di Credere.
***
Dei
passi continuavano a susseguirsi pesantemente, accavallandosi
l’un l’altro nervosamente.
Qualcuno
camminava su e giù per la stanza.
“Dovremmo
dirle tutto.” – sbottò improvvisamente
una voce maschile.
Un
vociare confuso – ansioso
e preoccupato –
le giunse alle orecchie.
“Ma
sei impazzito? Ne soffrirebbe troppo” – qualcuno si
avvicinò al letto, carezzandole la guancia.
Il
suo tocco era gentile.
Il
suo profumo fresco.
La
sua voce un dolce sussurro.
Ma
per la sua mente – i suoi ricordi – risultava una
perfetta sconosciuta.
Le
palpebre erano ancora troppo pesanti per riuscire a sollevarle.
Forse
non voleva svegliarsi.
L’incubo,
però, era già iniziato.
L’eco
dei passi irrequieti cessò, cedendo il posto ad amare parole.
“Soffrirà
ancora di più se non le diciamo la
verità”
Silenzio,
acuto e lancinante come il dolore che provava.
Mai
aveva avvertito un simile strazio, ma non poteva esserne sicura.
Non
sapeva.
Un
insopportabile peso all’altezza del petto la costrinse ad
aprire lentamente gli occhi.
Era
già sera inoltrata, quando si accorse di essere ancora stesa
nello stesso letto in cui si era risvegliata quella stessa mattina.
Un
uomo ed una donna si fronteggiavano poco distanti dal letto.
Si
lanciavano sguardi torvi, non curandosi della sua presenza, fin quando
non si accorsero del suo risveglio.
“Hermione.”
– l’uomo accorse al suo giaciglio, gettandole le
braccia al collo.
Dovette
trattenersi per non farle male, ma la gioia di vederla finalmente
sveglia era immensa.
Era
troppo tempo che attendevano notizie.
Quella
mattina, però, finalmente era giunta la chiamata
dall’ospedale.
“Sua
figlia si è risvegliata.”
Aveva
fatto fatica a credere a quelle parole.
Il
Nulla ci consuma e la disperazione ci
circonda.
Eppure
la sua adorata figlia era lì, tra le sue braccia.
La
ragazza, intanto, lo osservava smarrita.
Con
aria circospetta.
“Hermione”
– ripetè tra sé e sé.
Quindi
era quello il suo nome?
Così
armonioso nel pronunciarlo.
Così
caldo nell’ascoltarlo.
Era
così felice di aver conosciuto il suo nome, che avrebbe
voluto rispondere all’abbraccio di quell’uomo con
altrettanto ardore, ma non ci riusciva.
Non
ne aveva ancora la forza.
Per
rispondere.
Per
reagire.
Si
limitò a circondare le sue spalle con le esili braccia,
mentre la donna era rimasta sulla soglia della porta, ad osservare la
scena in silenzio, con una mano poggiata contro le labbra e gli occhi
colmi di lacrime.
Aveva
degli occhi di un ammaliante color ambra.
I
capelli erano acconciati in modo tale da metter in evidenza i dolci
lineamenti del viso.
Era
d’avvero bellissima.
Con
passi titubanti, appena i loro sguardi si incontrarono, la donna si
avvicinò al letto.
“Come
ti senti cara?”
Hermione
la fissava intimidita, soppesando la risposta.
Disorientata.
Perché
non sapeva chi loro fossero.
Confusa.
Perché
ancora non capiva perché tanta apprensione.
Sconvolta.
Perché
non sapeva dove si trovasse.
Smarrita.
Perché
aveva perso sé stessa.
Eppure,
come poteva deludere quelle iridi così calde e piene
d’amore – per
lei che non li riconosceva.
“Sto
bene.” – rispose sorridendo.
Mentì,
forse, però, quella menzogna bianca si
sarebbe tramutata in una pura realtà.
“Mamma?
P-papà? – domandò.
Esitante?
No,
speranzosa.
Perché
aveva bisogno di loro.
Del
loro affetto.
O
semplicemente aveva bisogno di qualcuno.
“Sì
tesoro, siamo noi” – rispose, sorridendo,
l’uomo seduto al suo fianco, sul bordo del letto.
No
lo aveva notato prima, ma il suo sorriso era in grado di illuminare
quella triste stanza grigia.
“Jane”
– si rivolse alla moglie inginocchiata al letto
–“vai a chiamare un medico, sbrigati.”
Ritornò
ad osservare la giovane nel letto
–“Andrà tutto bene ora.”
Hermione
sorrise fiduciosa.
Forse,
le cose sarebbero andate bene. Anche se non ricordava.
In
fondo, cos’è un ricordo?
Il ricordo è
una pietra che
ostacola il cammino della speranza. (Kahlil Gibran)
***
18
gennaio.
Era
passato molto tempo, ormai, da quando si era risvegliata in quella
stanza di ospedale ed ora aveva ripreso la sua vita.
La
vita di Hermione
Jane Granger.
I
medici le avevano diagnosticato un’Amnesia
retrograda dovuta ad un trauma cranico severo.
I
suoi genitori le avevano raccontato di un brutto incidente,avvenuto
poco dopo l’estate.
Le
capitava spesso di perdere coscienza o di cadere in confusione.
Spesso, addirittura, le riusciva impossibile svegliarsi.
Proprio
come era accaduto il giorno in cui l’anno portata
d’urgenza in ospedale.
L’incidente
aveva creato dei danni al sistema nervoso centrale ed era rimasta in
coma per oltre un mese. Orami tutti avevano perso le speranze.
Poi
si era svegliata.
Improvvisamente.
In
compenso, aveva perso tutti i suoi ricordi precedenti al trauma.
La
ragazza, però, aveva fatto le sue ricerche – leggendo
tutto sull’argomento –
non perché non si fidasse dei medici o dei suoi genitori, ma
perché non le erano piaciuti gli sguardi complici che si
erano scambiati durante la visita.
Tutto
quadrava, eppure sapeva che qualcosa non andava.
La
discussione tra i suoi nella camera d’ospedale le
riecheggiava ancora in mente.
Uno
dei suoi primi ricordi.
Avrebbe
fatto fatica a dimenticarlo,anche se avesse voluto. Quelle parole,
però, non facevano altro che insinuarla nelle ombre del
dubbio.
Indossare
i panni di Hermione non le era costato molto, in fin dei conti.
Sembrava
che la giovane non avesse un passato.
Uscita
dall’ospedale aveva trascorso qualche settimana a casa dei
suoi.
Le
avevano mostrato vecchie photo, raccontato di viaggi e buffi aneddoti,
cercando di farle rivivere quel frammento di passato che le mancava.
Tutto,
però, terminava con suoi 11 anni.
Le
photo erano andate smarrite durante il trasloco.
Gli
aneddoti erano diventati meno piacevoli da raccontare perché
lei era cresciuta.
Aveva
provato a chiedere di amici e conoscenti, ma nessuno sembrava
conoscerla perché aveva frequentato fin da piccola
un’esclusiva scuola all’estero.
Scuse.
Pretesti
inventati per nascondere qualcosa.
Ma
cosa?
Anche
quello che era il suo appartamento, dove vi era ritornata dopo numerose
pressioni e discussioni, sembrava vuoto.
Non
dava l’impressione di una casa vissuta, ma abbandonata a
sé stessa.
Era
situata nel centro di Londra.
Era
abbastanza grande, ma priva
di vita.
L’unica
cosa che non mancava erano i libri.
Numerosi
ed interessatissimi libri.
I
giorni passavano lenti.
Le
domande si accavallavano l’una sull’altra,
pretendendo risposte.
Quesiti
che sarebbero rimasti sempre irrisolti.
La
lettura l’aiutava a distrarsi.
Proprio
come quella domenica di gennaio.
Era
fredda.
La
neve scendeva in candidi fiocchi ricoprendo tutto con il suo manto
bianco ed Hermione osservava quello spettacolo seduta sul divano posto
davanti all’enorme vetrata.
Era
il suo angolino prediletto.
La
sua piccola finestra su quel mondo che le era estraneo.
Era
totalmente immersa nella letture di romanzo noir, quando un soffio di
aria fredda la colpì alla sprovvista.
Solo
uno spiffero d’aria.
Forse
c’era sempre stato ed aveva intenzione di rimediare.
Probabilmente
non se ne era mia accorta.
Ma
aveva importanza?
Quello
spiffero d’aria la costrinse ad alzarsi dal divano e a
dirigersi nella camera da letto, alla ricerca di una calda coperta.
Aprì
l’armadio.
Non
ne prese una a caso,
ma prese quella verde.
Forse
era il suo colore preferito.
Forse
le sembrava più calda.
O
forse le ricordava qualcosa, inconsciamente.
Quando
l’aprì, però, qualcosa cadde dal suo
interno.
La
ragazza si chinò per raccogliere l’oggetto caduto.
Una
busta.
Una
di quelle vecchie, di pergamena, sigillate con la cera lacca.
Cosa
ci faceva quella lettera nascosta in una coperta?
Basta
un attimo per cambiare la nostra vita.
Per
trovare un appiglio per andare avanti.
La
rigirò tra le mani.
Non
c’era il nome del mittente, ma quello del destinatario.
Hermione
Jane Granger.
La
lettera era per lei.
Afferralo
e non te ne pentirai.
|