Note
dell'autrice: Ho
scritto per la prima volta in tutta la mia vita qualcosa di vagamente
Wolfstar. Mi sento fiera di aver fatto il salto, ma ho come
l'impressione di essere entrata in un baratro di dolore.
Harry.
Hermione. Ron. Ginny. Neville.
Era
stato facile evocare il suo primo Patrono. Vedere la lepre argentea
saltare intorno a lei l'aveva fatta ridere e per un attimo non aveva
pensato che poteva avere dei Guazzabuchi annidati nelle lunghe
orecchie.
Aveva
riso e basta.
Harry.
Hermione. Ron. Ginny. Neville.
La
vernice che le scivolava fra le dita lasciava sempre una sensazione
piacevole. Era fredda, era calda, era un po' tutto e un po' niente, e
ad ogni pennellate Luna rideva sempre di più, sempre con
più cuore,
perché il naso di Ron era proprio lungo come quello che
stava
disegnando e gli occhi di Neville brillavano esattamente in quel
modo.
Aveva
riso a lungo.
Harry.
Hermione. Ron. Ginny. Neville.
L'umidità
della cella di Malfoy Manor entrava nelle ossa e te le spaccava una
ad una. A volte Luna credeva di essere a metri di profondità
sotto
il Lago Nero, con il gelo degli abissi insidiato nel petto e l'acqua
nei polmoni, senza più fiato, senza più respiro.
Ma
poi intrecciava fra loro le dita e li chiamava di nuovo. Dieci,
cento, mille volte ancora – non avrebbe smesso tanto in
fretta.
Harry.
Hermione. Ron. Ginny. Neville.
«Venitemi
a
prendere...».
*
Impeto
Lucius
Malfoy
196
parole
«Crucio!».
Lo
guarda contorcersi ai propri piedi senza battere ciglio, la bacchetta
levata, lo sguardo gelido e impietoso. È lì che
deve stare – se
lo ripete come un mantra, se lo cuce nella testa e nella pelle con un
impeto violento. Il Babbano strilla, strilla e si dimena, strilla e
piange, strilla e implora, e Lucius resta immobile.
Bellatrix
ride al suo fianco.
«Crucio!».
Ancora,
ancora e ancora. È una ballata senza fine di grida che
spezzano la
notte, ma nelle orecchie di Lucius rimane solo un vago ronzio.
È
lì che deve stare.
Lo
pensa ancora, lo pensa finché non ne ha il vomito, e
all'improvviso
ripensa a Narcissa che lo sta aspettando a Malfoy Manor con il cuore
in ansia e un bambino che piange fra le braccia.
È
lì che deve stare.
«Uccidilo,
Lucius».
È
lì che deve stare.
Solleva
la bacchetta con la maledizione che sfrigola sulla punta della
lingua, ma dalla sua gola risale solo un vago verso strozzato. E
Narcissa è ancora davanti a lui, tormentata, terrorizzata,
con
quella luce di accusa negli occhi che non riesce mai a nascondere.
«Avada
Kedavra!».
E
lui? Lui dov'è che dovrebbe stare?
*
«Non
temere le ombre», William Shakespeare
RemusxSirius
Tripla
drabble – 313 parole
Atto
primo – Avvicina le mani e vola.
«Non
ci riesco».
Remus
sospira, ma le sue labbra sottili sono piegate in un sorriso
paziente. L'espressione capricciosa sull'elegante viso di Sirius
è
quella di un bambino. Lo costringe a ruotare appena il polso e lo
avvicina alla fiamma ballerina della candela che illumina il
dormitorio di Grifondoro.
«Più
basso. Accosta i pollici e stringi le altre dita».
«Non
ci riesco».
«Non
hai nemmeno provato».
Sirius
sbuffa, inchina il capo e scruta con aria infastidita le ombre cinesi
che Remus sa ricreare sulla parete di pietra. Non può che
notare
quanto la sua farfalla appaia fragile e sottile.
Atto
secondo – Avvicina le mani e stringimi.
Nella
penombra della Stamberga il suo viso gli appare ancora più
scuro –
eppure è il suo viso, è davvero il suo viso, e
rivederlo come lo
vedeva prima che il mondo crollasse loro addosso è come
rivivere
mille albe dopo mille pleniluni.
Dodici
anni. Si illude siano trascorsi pochi secondi e gli getta le braccia
al collo.
Dodici
anni e per un attimo in quella bisarca distrutta non restano che loro
due, non resta che la sensazione di riavere fra le mani una candela
dalla fiamma che danza.
«R-Remus...».
La
sua voce trema e Remus tace – tremerebbe anche lui.
Le
loro ombre sul muro sono fuse l'una con l'altra.
Forse
è davvero passato solo un attimo.
Atto
terzo – Avvicina le mani e cadi.
Se
potessi conoscere il momento in cui morirai fin dal primo attimo in
cui vivi, lo vorresti sapere? Remus se lo è chiesto spesso.
Una
volta lo aveva chiesto a Sirius e lui era scoppiato in quella risata
canina denigratoria tutta sua.
«Col
cavolo. Voglio vivermela tutta, la vita».
Remus
sapeva che aveva
ragione, ma non poteva fare a meno di pensare che essere pronti
è
sempre un vantaggio. Anche quando si muore.
Anche
quando si cade.
Anche
se fai lo stesso
rumore di una candela che si spegne.
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