Sing to me sleep
Bene,
non scrivo delle note da quasi un anno e già di mio non ero molto
brava, figuriamoci adesso! Non so quante delle lettrici di Down in a hole
leggeranno questa piccola OS. Si tratta di uno squarcio del rapporto
tra Agnes e Ian che potrebbe collocarsi idealmente tra il capitolo
Outside the wall e Down in a Hole, ossia subito dopo il concerto dei
5th Beatle a cui ha partecipato anche la nostra Agnes. Ho sempre voluto
scrivere qualcos'altro su Sutcliffe e sugli altri protagonisti di Down
in a Hole, ma nonostante quest'anno abbia fatto diversi tentativi solo
oggi, ascoltando una stupenda canzone degli Smiths(quella da cui è
tratto il titolo), sono riuscita a scrivere qualcosa che magari non ha
molto senso, ma che vuole essere un piccolo saluto a tutte quelle
persone che per mesi mi hanno riempita d'affetto. C'è sempre la paura
di deludervi, però su, al termine di questa storia abbiamo stabilito
che dobbiamo mandare via Sutcliffe dalle nostre vite, quindi anche
stavolta oserò pubblicarvi questa "cosa".
Buona lettura!
— Cosa fai al buio?
A fatica si
sollevò da terra e, solo quando fu all’in piedi, si rese
conto di quanto tempo avesse trascorso in quella scomoda posizione. Si
stiracchiò, tenendo gli occhi socchiusi. Aveva la mente
annebbiata. Dal fumo. Dai pensieri. Dalla musica. E forse anche da
qualcosa a cui non sapeva trovare un nome.
Lei era
lì, così reale, così vicina. Eppure non poteva
cacciare quel senso di distacco che sembrava nato con lui e che si
intensificava tutte le volte che provava ad avvicinarsi a lei: era
lì, Agnes, fiduciosa, pronta ad abbandonarsi come sempre, a
farsi trascinare da qualche parte.
Allungò
la mano verso il comodino e, quando finalmente ebbe trovato
l’interruttore, una luce gli bruciò gli occhi.
— Ti stavo ascoltando.
Agnes era
rimasta tutto il pomeriggio nella sua camera. La mattina avevano
discusso per qualche motivo che in quel momento Ian neanche ricordava e
avevano finito con l’ignorarsi tutto il giorno. Non litigavano
mai apertamente, non alzavano mai la voce: Agnes diceva qualcosa di
spiacevole e Ian reagiva di conseguenza, voltandole le spalle e
andandosene.
— Credevo fossi uscito,— disse guardandosi intorno.
La
osservò passarsi l’indice sul sopracciglio e, come tutte
le volte, pensò che avrebbe voluto essere trasparente come lei:
sapere che lui era stato lì ad ascoltarla cantare era fonte di
fastidio, come se avesse violato qualche regola non scritta del loro
rapporto. Assurda Agnes.
— Qualche
ora fa sono uscito per quello,— fece un cenno al tavolino dove
c’erano i segni inequivocabili di come avesse trascorso le ultime
ore.
— Per un
momento avevo pensato che avessi pianto,— commentò,
fissando gli occhi su quelli di lui, che evidentemente dovevano essere
arrossati.
Lei, invece, lo
aveva fatto davvero. Gli occhi di Agnes diventavano più grandi,
quando piangeva. Diventavano anche rossi e gonfi. Ma erano anche
più belli. E Ian si sentiva meschino, perché sapeva che
quelle lacrime erano per lui e lui soltanto e che lui e lui soltanto
avrebbe potuto farle smettere. Del resto, come tutte le volte, lei era
di nuovo lì, davanti a lui, più reale e vicina che mai.
Sospirò, nel tentativo di non distogliere gli occhi.— Agnes…
Cosa si diceva
in quei casi? Perdonami, mi dispiace? Erano parole vuote e, se forse a
lei avrebbero fatto bene, non erano sufficienti per quello che voleva
dirle in quel momento.
Era stato al
buio per delle ore, a intorbidirsi la mente con quei pensieri e quei
ricordi che avevano sempre avuto l’effetto di trascinarlo a
fondo. Era uno di quei momenti in cui credeva di riuscire a vedersi
davvero per quello che era: troppo debole, troppo inadeguato per quella
realtà spinosa in cui era costretto a stare.
Nel buio e nel
silenzio, poi, era arrivata beffarda la voce di quella ragazzina che
adesso gli stava di fronte. Forse troppo dolce e incerta, se avesse
voluto dare spazio alla sua vena critica. Ma chi voleva prendere in
giro? Erano state proprio queste le cose a fargli perdere la testa:
Agnes si muoveva per il mondo senza un briciolo di superbia, senza
spine che avrebbero potuto ferire chi avesse voluto avvicinarsi.
— Sono stanco.
Per un momento
passò un lampo di rabbia negli occhi di Agnes e Ian già
immaginava di vederla voltargli le spalle e uscire dalla camera. In
qualche modo, però, qualcosa nella sua risposta riuscì a
suggerirle che non si stava riferendo né a lei né alla
lite.
— Cosa ti succede, Ian?
Dopo quel
concerto che sembrava aver decretato il successo del gruppo, dopo un
paio di settimane in cui aveva creduto di poter essere anche lui felice
grazie ad Agnes, l’illusione si era spezzata. Quella mattina
— adesso lo ricordava— avevano litigato perché negli
ultimi giorni lei lo aveva sentito distante. “Dove te ne vai, Ian?”, gli aveva chiesto durante la colazione, senza nemmeno sapere quanto lui detestasse quel tipo di domande.
— Non
cambierò mai. Voglio che questo ti sia chiaro. Hai ragione, a
volte basta una canzone, un ricordo o anche solo un pensiero
perché la mente vada altrove. E credimi se ti dico che non vuoi
sapere in che direzione mi portano.
— Ne abbiamo già parlato, non ti ho mai chiesto di cambiare. E ti sbagli, voglio sapere tutto di te.
Riuscì
solo a scuotere la testa. Non avrebbe parlato di quello. Di Daniel, dei
suoi genitori, di quel bambino che non voleva mai abbandonare il suo
pianoforte. Né soprattutto sarebbe mai riuscito a raccontarle di
Sutcliffe. Voleva solo…
— Okay,— mormorò lei, guardandolo con attenzione,— Non parlarmene, se non vuoi.
Quando aveva
fatto quei passi verso di lei? Quand’è che il suo respiro
si era fatto così affannoso? E la mano che Agnes aveva appena
fatto scivolare sulla sua guancia cosa stava asciugando?
— Ho bisogno di dormire,— bisbigliò, mentre si chinava a baciarle la pelle delicata del collo.
La sentì irrigidirsi. Perché non esistevano parole innocue tra loro?
Per cancellare
quella brutta sensazione, cercò la sua bocca e la baciò.
E lei era più reale e vicina che mai, tanto da illuderlo per
l’ennesima volta che tutta quanta la realtà potesse essere
dolce e incerta come lo era lei. Ma non era così, Ian lo sapeva.
Ma la baciò e continuò a baciarla, mentre le sue mani
cercavano di assorbire tutta quanta la sua dolcezza, spogliandola dei
suoi vestiti e degli ultimi dubbi. A un certo punto, lei si
scostò con un sorriso imbarazzato. — Non avevi bisogno di
dormire?
— Questo
mi aiuterà,— le rispose mentre l’aiutava a stendersi
sul letto. Si sforzò di sorriderle, ma gli occhi di Agnes
nascondevano un’ombra di malinconia, la consapevolezza di aver
compreso cosa avesse voluto dire quando le aveva confessato la sua
stanchezza.
Fecero
l’amore con una lentezza esasperante: un bacio per chiedere
perdono, una carezza con la guancia per chiedere conforto, un morso
alla clavicola per dare una punizione. Ma nessuno dei due chiuse gli
occhi, forse perché entrambi troppo spaventati di vedere
l’altro sparire improvvisamente. Le mani di Agnes rimasero per
tutto il tempo salde sulle sue spalle, fino a quando Ian non ne prese
una e la portò sul materasso, stringendola sempre di più
mentre i loro respiri si facevano sempre più rotti. E
continuarono a baciarsi senza sosta, fino alla fine e anche dopo e, da
come lei rispondeva ai suoi baci, che da delicati si facevano
improvvisamente profondi e taglienti, Ian seppe che lei aveva capito
davvero.
Erano sul punto di addormentarsi, finalmente in pace, quando i loro occhi si incontrarono di nuovo.
— Non stare male per me,— le bisbigliò allungando la mano sulla sua guancia. Troppo reale, troppo vicina.
Chiuse gli
occhi e, mentre scivolava nel sonno, si convinse che non ci sarebbe
stato un domani. Che tutto sarebbe scivolato via con lui, forse anche
Agnes.
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