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Autore: AgnesDayle    14/04/2013    4 recensioni
"Era stato al buio per delle ore, a intorbidirsi la mente con quei pensieri e quei ricordi che avevano sempre avuto l’effetto di trascinarlo a fondo. Era uno di quei momenti in cui credeva di riuscire a vedersi davvero per quello che era: troppo debole, troppo inadeguato per quella realtà spinosa in cui era costretto a stare."
Una breve scena che vede come protagonisti Agnes e Ian di Down in a Hole. E l'onnipresente Sutcliffe.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Sutcliffe'
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Sing to me sleep





Bene, non scrivo delle note da quasi un anno e già di mio non ero molto brava, figuriamoci adesso! Non so quante delle lettrici di Down in a hole leggeranno questa piccola OS. Si tratta di uno squarcio del rapporto tra Agnes e Ian che potrebbe collocarsi idealmente tra il capitolo Outside the wall e Down in a Hole, ossia subito dopo il concerto dei 5th Beatle a cui ha partecipato anche la nostra Agnes. Ho sempre voluto scrivere qualcos'altro su Sutcliffe e sugli altri protagonisti di Down in a Hole, ma nonostante quest'anno abbia fatto diversi tentativi solo oggi, ascoltando una stupenda canzone degli Smiths(quella da cui è tratto il titolo), sono riuscita a scrivere qualcosa che magari non ha molto senso, ma che vuole essere un piccolo saluto a tutte quelle persone che per mesi mi hanno riempita d'affetto. C'è sempre la paura di deludervi, però su, al termine di questa storia abbiamo stabilito che dobbiamo mandare via Sutcliffe dalle nostre vite, quindi anche stavolta oserò pubblicarvi questa "cosa".
Buona lettura!




Sing me to sleep




— Cosa fai al buio?

A fatica si sollevò da terra e, solo quando fu all’in piedi, si rese conto di quanto tempo avesse trascorso in quella scomoda posizione. Si stiracchiò, tenendo gli occhi socchiusi. Aveva la mente annebbiata. Dal fumo. Dai pensieri. Dalla musica. E forse anche da qualcosa a cui non sapeva trovare un nome.
Lei era lì, così reale, così vicina. Eppure non poteva cacciare quel senso di distacco che sembrava nato con lui e che si intensificava tutte le volte che provava ad avvicinarsi a lei: era lì, Agnes, fiduciosa, pronta ad abbandonarsi come sempre, a farsi trascinare da qualche parte.
Allungò la mano verso il comodino e, quando finalmente ebbe trovato l’interruttore, una luce gli bruciò gli occhi.

— Ti stavo ascoltando.

Agnes era rimasta tutto il pomeriggio nella sua camera. La mattina avevano discusso per qualche motivo che in quel momento Ian neanche ricordava e avevano finito con l’ignorarsi tutto il giorno. Non litigavano mai apertamente, non alzavano mai la voce: Agnes diceva qualcosa di spiacevole e Ian reagiva di conseguenza, voltandole le spalle e andandosene.

— Credevo fossi uscito,— disse guardandosi intorno.

La osservò passarsi l’indice sul sopracciglio e, come tutte le volte, pensò che avrebbe voluto essere trasparente come lei: sapere che lui era stato lì ad ascoltarla cantare era fonte di fastidio, come se avesse violato qualche regola non scritta del loro rapporto. Assurda Agnes.

— Qualche ora fa sono uscito per quello,— fece un cenno al tavolino dove c’erano i segni inequivocabili di come avesse trascorso le ultime ore.

— Per un momento avevo pensato che avessi pianto,— commentò, fissando gli occhi su quelli di lui, che evidentemente dovevano essere arrossati.
Lei, invece, lo aveva fatto davvero. Gli occhi di Agnes diventavano più grandi, quando piangeva. Diventavano anche rossi e gonfi. Ma erano anche più belli. E Ian si sentiva meschino, perché sapeva che quelle lacrime erano per lui e lui soltanto e che lui e lui soltanto avrebbe potuto farle smettere. Del resto, come tutte le volte, lei era di nuovo lì, davanti a lui, più reale e vicina che mai.
Sospirò, nel tentativo di non distogliere gli occhi.— Agnes…
Cosa si diceva in quei casi? Perdonami, mi dispiace? Erano parole vuote e, se forse a lei avrebbero fatto bene, non erano sufficienti per quello che voleva dirle in quel momento.
Era stato al buio per delle ore, a intorbidirsi la mente con quei pensieri e quei ricordi che avevano sempre avuto l’effetto di trascinarlo a fondo. Era uno di quei momenti in cui credeva di riuscire a vedersi davvero per quello che era: troppo debole, troppo inadeguato per quella realtà spinosa in cui era costretto a stare.
Nel buio e nel silenzio, poi, era arrivata beffarda la voce di quella ragazzina che adesso gli stava di fronte. Forse troppo dolce e incerta, se avesse voluto dare spazio alla sua vena critica. Ma chi voleva prendere in giro? Erano state proprio queste le cose a fargli perdere la testa: Agnes si muoveva per il mondo senza un briciolo di superbia, senza spine che avrebbero potuto ferire chi avesse voluto avvicinarsi.

— Sono stanco.

Per un momento passò un lampo di rabbia negli occhi di Agnes e Ian già immaginava di vederla voltargli le spalle e uscire dalla camera. In qualche modo, però, qualcosa nella sua risposta riuscì a suggerirle che non si stava riferendo né a lei né alla lite.

— Cosa ti succede, Ian?

Dopo quel concerto che sembrava aver decretato il successo del gruppo, dopo un paio di settimane in cui aveva creduto di poter essere anche lui felice grazie ad Agnes, l’illusione si era spezzata. Quella mattina — adesso lo ricordava— avevano litigato perché negli ultimi giorni lei lo aveva sentito distante. “Dove te ne vai, Ian?”, gli aveva chiesto durante la colazione, senza nemmeno sapere quanto lui detestasse quel tipo di domande.

— Non cambierò mai. Voglio che questo ti sia chiaro. Hai ragione, a volte basta una canzone, un ricordo o anche solo un pensiero perché la mente vada altrove. E credimi se ti dico che non vuoi sapere in che direzione mi portano.

— Ne abbiamo già parlato, non ti ho mai chiesto di cambiare. E ti sbagli, voglio sapere tutto di te.
Riuscì solo a scuotere la testa. Non avrebbe parlato di quello. Di Daniel, dei suoi genitori, di quel bambino che non voleva mai abbandonare il suo pianoforte. Né soprattutto sarebbe mai riuscito a raccontarle di Sutcliffe. Voleva solo…

— Okay,— mormorò lei, guardandolo con attenzione,— Non parlarmene, se non vuoi.

Quando aveva fatto quei passi verso di lei? Quand’è che il suo respiro si era fatto così affannoso? E la mano che Agnes aveva appena fatto scivolare sulla sua guancia cosa stava asciugando?

— Ho bisogno di dormire,— bisbigliò, mentre si chinava a baciarle la pelle delicata del collo.

La sentì irrigidirsi. Perché non esistevano parole innocue tra loro?

Per cancellare quella brutta sensazione, cercò la sua bocca e la baciò. E lei era più reale e vicina che mai, tanto da illuderlo per l’ennesima volta che tutta quanta la realtà potesse essere dolce e incerta come lo era lei. Ma non era così, Ian lo sapeva. Ma la baciò e continuò a baciarla, mentre le sue mani cercavano di assorbire tutta quanta la sua dolcezza, spogliandola dei suoi vestiti e degli ultimi dubbi. A un certo punto, lei si scostò con un sorriso imbarazzato. — Non avevi bisogno di dormire?
— Questo mi aiuterà,— le rispose mentre l’aiutava a stendersi sul letto. Si sforzò di sorriderle, ma gli occhi di Agnes nascondevano un’ombra di malinconia, la consapevolezza di aver compreso cosa avesse voluto dire quando le aveva confessato la sua stanchezza.

Fecero l’amore con una lentezza esasperante: un bacio per chiedere perdono, una carezza con la guancia per chiedere conforto, un morso alla clavicola per dare una punizione. Ma nessuno dei due chiuse gli occhi, forse perché entrambi troppo spaventati di vedere l’altro sparire improvvisamente. Le mani di Agnes rimasero per tutto il tempo salde sulle sue spalle, fino a quando Ian non ne prese una e la portò sul materasso, stringendola sempre di più mentre i loro respiri si facevano sempre più rotti. E continuarono a baciarsi senza sosta, fino alla fine e anche dopo e, da come lei rispondeva ai suoi baci, che da delicati si facevano improvvisamente profondi e taglienti, Ian seppe che lei aveva capito davvero.

Erano sul punto di addormentarsi, finalmente in pace, quando i loro occhi si incontrarono di nuovo.

— Non stare male per me,— le bisbigliò allungando la mano sulla sua guancia. Troppo reale, troppo vicina.

Chiuse gli occhi e, mentre scivolava nel sonno, si convinse che non ci sarebbe stato un domani. Che tutto sarebbe scivolato via con lui, forse anche Agnes.
 



 
   
 
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