Only
withRight Person
Il
giorno successivo quando Caren aprì gli occhi si
sentì molto più leggera e tranquilla. Nonostante
il lungo pianto della sera prima aveva riposato perfettamente e adesso
si sentiva pronta a voltare pagina: con la conferenza del giorno
precedente aveva chiuso un doloroso capitolo della sua vita e non aveva
intenzione di riaprirlo mai più.
Lentamente si
alzò dal letto, stirando i muscoli intorpiditi, poi fece una
lunga e rilassante doccia, dopo la quale ordinò
un’abbondante colazione in camera.
L’attesa
durò molto meno di quanto si aspettasse, infatti, nel mentre
i suoi lunghi capelli biondi finivano di essere spazzolati la giovane
sentì due voci battibeccare al di fuori della sua camera,
una delle quali aveva una squillante tonalità fin troppo
familiare.
«Signorina
le ho detto che non può stare qui!» stava
esclamando uno dei dipendenti dell’hotel.
«E
io le ho detto che la mia amica gioca negli Shadows.»
«Ma
questo non l’autorizza a violare un’area
riservata.»
«Detto
così mi fa quasi passare per una delinquente! Lei
è davvero un maleducato sa?!»
Dall’interno
della stanza Caren scosse la testa sorridendo, soltanto una persona
poteva irrompere al Genesis Hotel infischiandosene delle procedure di
sicurezza e mettersi a litigare con la security per far valere i suoi,
auto-inventati, diritti.
«Arianne!»
la salutò la Shadows aprendo la porta.
Sentendo la
sua voce la ragazza dai capelli rossi le gettò entusiasta le
braccia al collo esclamando «Caren!»
«Signorina
Merensi, mi dispiace moltissimo, ho cercato di fermarla,
ma..» si scusò l’impiegato mortificato.
«Non
fa niente, è una mia amica.»
La rossa si
voltò verso l‘uomo facendogli la linguaccia,
poi tornando a dedicare la sua attenzione a Caren
continuò «Quanto tempo!»
«Arianne,
ci siamo viste meno di una settimana fa.»
«Oh,
sul serio?» rispose pensierosa la giovane lasciandola andare.
«A me sembra passata
un’eternità.»
Caren
guardò l’amica compiere una complessa serie di
calcoli mentali portandosi le dita alle labbra per non perdere il conte
e vedendola così concentrata scoppiò a ridere.
Il chiasso
provocato causò l’aprirsi di un’altra
delle porte del quarto piano, dalla quel emerse un assonnato Sinedd che
irritato domandò «Si può sapere cosa
avete da urlare tanto?!»
Arianne
vedendo il ragazzo, con in dosso soltanto un paio di slip, per poco non
svenne e sgranando gli occhi per lo stupore sussurrò
«Ma quello.. È davvero Sinedd?»
Il giovane
alzò un sopracciglio assonnato, mentre Caren
annuì preparandosi all’imminente imbarazzante
commento dell’amica, che puntualmente arrivò
«E’ davvero uno schianto! Come fai a giocare con
uno così e non saltargli addosso?!»
La bionda si
portò una mano al volto contrariata, mentre il ragazzo
sorrise soddisfatto voltandosi poi verso l’impiegato
dell’hotel, al quale si era aggiunto un robot con la
colazione.
«Ah,
mi hanno pure portato la colazione in camera» disse Sinedd.
«Ehi
frena, quella è per me. Ordinatela se la vuoi!»
protestò Caren spingendo l’amica nella stanza e
facendo cenno all’automa di entrare.
«Che
ingrata..» sbuffò il ragazzo.
«Scusa?!»
lo fulminò con lo sguardo lei.
«Me
ne trono a letto» rispose con un cenno Sinedd ritornando
nella sua camera. Poco prima di chiudersi la porta alle spalle
però si fermò e voltandosi nuovamente verso di
lei aggiunse «Sai, dovresti evitare di uscire
così. Sei in una squadra di soli uomini.»
Caren
abbassò lo sguardo sul suo corpo, ricoperto soltanto
dall’accappatoio che aveva indossato una volta uscita dalla
doccia ed arrossì, ma quando fece per rispondere a tono al
compagno lui era già sparito.
«Beh..
Dovrete abituarvi a me» sussurrò poi indispettita
la ragazza chiudendosi a sua volta la porta alle spalle.
Una volta
dentro Caren si voltò verso l’amica sorridendo nel
vederla saltellare stupita da una parte all’altra della
stanza contemplando tutto con i grandi occhi verdi trasognanti.
«Questa
stanza è davvero enorme!» esclamò.
«E ha ogni comodità!»
La bionda
osservò l’amica saltare dalla tv al computer e
alla sofisticatissima doccia sempre più eccitata, poi, come
se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa di estremamente
importante si fermò, voltandosi verso Caren e correndo ad
abbracciarla.
«Arianne»
disse la Shadows ricambiando confusa la stretta della rossa.
«Apprezzo tutto questo tuo affetto, ma a cosa è
dovuto?»
La Ramirer la
liberò dall’abbraccio, poi poggiandole le mani
sulle spalle disse «Ho visto il servizio di Arcadia News e la
conferenza stampa. Mi dispiace.»
Caren fece
spallucce, andando poi a sedersi sul letto dove la sua colazione
l’attendeva. Aveva deciso che non voleva mai più
tirar fuori quell’argomento e così avrebbe fatto,
ma a quanto pareva Arianne non era del suo stesso avviso.
«Come
ti senti?» chiese sedendosi di fronte a lei sul letto.
«Bene.»
«Ne
sei sicura?» insistette la ragazza poggiando la mano sul
ginocchio dell’amica. «Lo sai che con me ti puoi
confidare.»
Caren
osservò le sottili dita di Arianne accuratamente smaltate
sulla sua gamba e sospirando rispose «Sto bene.»
«Caren
non mentirmi, so quanto ti sconvolge parlare di tuo padre, figuriamoci
averlo di fronte..»
«Arianne»
esclamò la bionda interrompendola. «Ho detto che
sto bene.»
«Ma..»
«Senti,
non voglio più parlarne, okay?! Il passato è
passato e come tale deve restare. Adesso devo concentrarmi solo sulla
G.F. Cup, a breve ci saranno gli ottavi di finale e non voglio pensare
ad altro.»
Arianne
annuì abbassando lo sguardo ferita, non le era sfuggito il
tono irritato con cui l’amica le si era rivolta, ma
soprattutto aveva colto perfettamente la fredda e distaccata sfumatura
che la sua voce aveva assunto.
«Okay..
Come vuoi» rispose quindi la rossa.
Caren
alzò gli occhi al cielo, sapeva di averla trattata troppo
bruscamente senza motivo, infondo lei era davvero in pensiero.
«Mi
dispiace.. È solo che.. Parlare di Aarch mi fa male e con la
conferenza stampa di ieri mi sono ripromessa di chiudere quel capitolo
della mia vita. Per sempre.»
Arianne
sospiro giocherellando con le coperte. «Resterà
comunque tuo padre..»
«Che
mi ha abbandonata.»
«Sai
Caren, a volte facciamo cose di cui ci pentiamo e l’unica
cosa che desideriamo è poter avere una seconda
possibilità.»
«E
perché dovrei dargliela?»
«Per
non desiderare in futuro di averlo fatto.»
Caren scosse
la testa, non le importava assolutamente niente del futuro ormai, in
quel momento l’unica cosa che desiderava era concentrarsi sul
presente e nel suo presente Aarch non era previsto.
I giorni
successivi si susseguirono con una monotona regolarità: ogni
mattina la sveglia suonava ad un’ora indecente per prepararli
alla sezione di allenamenti mattutini, ad essi si susseguivano alcune
ore di pausa al termine delle quali Artegor sottoponeva la sua squadra
a nuovi esercizi che si concludevano, per Caren e Sinedd, soltanto dopo
la sessione supplementare che il mister gli aveva imposto, riducendo
così la loro vita sociale al minimo. Se Caren non fosse
stata abituata alle regole ferree che aveva dovuto apprendere vivendo
con i pirati, probabilmente avrebbe trovato insostenibile quel ritmo
frenetico, ma per sua fortuna le tabelle di marci di Artegor non erano
niente in confronto a ciò che Corso le aveva fatto passare.
Con suo grande
piacere, la giovane notò che lentamente lo scalpore che la
notizia dei suoi natali aveva creato stava via via sparendo, facendo
tornare così tutto alla quasi normalità, persino
i rapporti con Sinedd ripresero a essere quelli di prima, meno aspri,
ma pur sempre conflittuali. I due ragazzi infatti, dopo la sera della
conferenza stampa avevano deciso, in un tacito accordo, di non fare
più parola di ciò che era accaduto tra di loro in
quell’ascensore, quasi come fosse un tabù, quasi
come ne temessero le conseguenze; e pur sapendo che lentamente qualcosa
stava cambiando a entrambi stette bene continuare così.
Dal canto suo
Artegor non provò mai soddisfazione più grande
nel vedere che i suoi due pupilli avevano finalmente imparato a
convivere civilmente ed ogni volta che una loro azione finiva con
mandare il pallone in rete non poteva fare altro che ridere soddisfatto
immaginandosi già portare a casa la G.F. Cup.
«Quest’anno
la coppa sarà nostra!» esclamò Artegor
quando l’ennesimo passaggio di Sinedd a Caren finì
in rete. «Per oggi abbiamo finito.»
L’olo-trainer
scomparve facendo fuoriuscire i sette giocatori, i quali stanchi, ma
soddisfatti si concessero il meritato riposo. Gli unici a rimanere,
come di consueto, furono Sinedd e Caren, che dopo aver riprogrammato il
macchinario per la loro ora supplementare vi rientrarono nuovamente.
«Invecchierò
in questo coso» si lamentò Caren quando
l’azzurro cielo dell’olo-trainer comparve
nuovamente intorno a lei. «Non pensi che questo cielo
artificiale sia soffocante? Sarebbe molto meglio allenarsi in un capo
vero che qui.»
«Hai
da lamentarti ancora per molto?» le chiese scocciato il
ragazzo, portandosi a centro campo.
Lei
sbuffò facendogli il verso, poi rassegnata si
portò di fronte al compagno, il quale le fece cenno di
sistemarsi al suo fianco.
«Oggi
cambiamo esercizio» la informò e subito dopo
comparvero di fronte a loro l’intera squadra dei Wambas.
La giovane
osservò perplessa i giocatori di fronte a sé, poi
il suo compagno. «Io e te, contro tutti loro?»
«Esatto.»
«E
come pensi di poter tenere testa ad un intera squadra in
due?» domandò lei, sempre più scettica.
«Tu sei fuori.»
«No,
sono il miglior giocatore della galassia» rispose Sinedd e il
pallone venne lanciato in aria dando il via alla partita.
«Che
presuntuoso..»
Lo Smog
circondò il ragazzo facendolo scomparire e ricomparire fino
a raggiungere la palla, che spedì senza troppe cerimonie a
Caren.
La ragazza,
colta impreparata, perse il lancio permettendo ad uno degli attaccanti
avversi di impossessarsene, con il conseguente urlare di Sinedd.
«Datti
una mossa Caren! Sei si o no una Shadows?! Dimostramelo!»
Lei lo
mandò a quel paese mentalmente ed evocando il suo flusso,
scomparve per raggiungere l’avversario e portargli via la
sfera con più facilità di quanto si sarebbe mai
aspettata. Una volta padrona del gioco iniziò a correre
verso la porta opposta, evitando con abilità gli avversari e
scambiando una serie di passaggi con Sinedd, i quali si conclusero con
una rete magistralmente segnata dal poderoso sinistro del ragazzo.
«Visto?
Non è poi così difficile» la
schernì lui.
«Certo,
perché tutto il lavoro pesante lo faccio io»
rispose la ragazza, facendogli la linguaccia.
Per tutta la
mezz’ora successiva i due Shadows percorsero il campo in
lungo e in largo, cercando di evitare che i loro avversari facessero
rete e provando a segnare il maggior numero di goal possibile. Contro
ogni prognostico la coppia sembrò funzionare meglio del
previsto, dando in certe occasione addirittura del filo da torcere ai
sei giocatori avversari e concludendo la partita: quattro a tre per il
duo Shadows.
«Finalmente!»
esclamò Caren lasciandosi cadere a terra quando gli Wambas
scomparvero dal campo di gioco.
«Guarda
che non abbiamo ancora finito.»
Lei
alzò gli occhi al cielo. «Ma tu non ti stanchi
mai?»
«Con
Artegor come allenatore? Impossibile, nel suo dizionario non esiste la
parola stanchezza. Forza, in piedi.»
La Shadows
obbedì seguendo il suo compagno fino ad una delle due reti,
dove un nuovo esercizio era già pronto.
«Illuminami
maestro.»
Sinedd
roteò gli occhi, quanto le piaceva fare la sarcastica.
«L’esercizio è semplice: dovremo
eseguire una serie di passaggi evitando i vari ostacoli che si
presenteranno sulla nostra via, fino a segnare.»
Lei
annuì e dopo essersi messi in posizione, iniziarono.
I passaggi tra
Sinedd e Caren inizialmente furono piuttosto decentrati e insicuri, ma
mano a mano che i due ripartivano da cima del percorso divennero via
via sempre più precisi e coincisi: ad entrambi bastava
guardare l’altro per capire cosa desiderasse, rendendo il
loro duo una coppia formidabile.
Quasi tutti i
palloni che i ragazzi calciarono in porta finirono in rete, tanto che
il computer per aumentare il livello di difficoltà
inserì due difensori fissi di fronte alla porta, con scarso
miglioramento però.
L’esercizio
si concluse dopo un altro quarto d’ora, lasciando i due senza
fiato e con altri quindici minuti da occupare, minuti che il talentuoso
numero undici aveva già pensato a come impiegare:
l’ultimo esercizio, infatti, prevedeva un uno contro uno con
se stessi.
«Ehi!
Io non sono così presuntuosa» protestò
Caren vedendo comparire il suo clone di fronte a sé.
«E’
il tuo ologramma, è programmato per riprodurre fedelmente
l’originale.»
«Bé
sicuramente il tuo ti rappresenta in pieno» rispose,
indicando il superbo Sinedd virtuale.
«Io
non mi lamento infatti.»
«Io
non mi lamento infatti» sussurrò lei imitando la
sua voce e raggiungendo la sua parte di campo, dove la se stessa
virtuale l’attendeva.
Caren
osservò il suo riflesso fissarla preparandosi alla comparsa
del pallone, che quando avvenne, venne prontamente intercettato
dall’ologramma.
Indispettita
la ragazza evocò il flusso, scomparendo e ricomparendo di
fronte alla sé virtuale, la quale però,
aspettandosi esattamente quella mossa, la scartò andando
dritta in rete.
«Dannazione!»
imprecò la giovane, mentre la sua copia le sorrideva
trionfante. «Quanto mi do sui nervi!»
«Lo
dico sempre io!» le urlò Sinedd
dall’altro lato del campo.
«Sta
zitto tu!»
Per tutto il
tempo che seguì, la Shadows comparve e scomparve per la sua
metà campo cercando di intercettare il suo clone,
riscuotendo però ben pochi successi. Dall’altro
lato neanche Sinedd sembrava cavarsela molto meglio, ma questo non la
consolò minimamente, anzi, se possibile, le fece aumentare
il nervoso.
Era frustrante
vedere quanto se stessa potesse risultare la sua peggior nemica. Con i
pirati aveva imparato che la persona di cui si doveva fidare prima di
tutto era lei stessa e adesso quello stesso insegnamento, che
più di una volta l’aveva tirata fuori dai guai, si
rivelava essere il suo maggiore handicap.
«Accidenti!»
esclamò la giovane calciando più forte che
poté in porta, ma centrando la traversa.
Dopo
quell’ultimo tiro Sinedd sentì un urlo di rabbia
esplodere per tutta l’arena e sconcertato si
voltò: dall’altro lato del campo vide Caren
emanare il suo flusso con un’intensità tale da
renderlo fitto e brillante. Lo Smog intorno a lei prese a circondarla
andando a formare una spirale che si estese via via sempre
più in alto, comportandosi in modo del tutto
anomalo. Il flusso degli Shadows, infatti, aveva una consistenza
più gassosa, mentre quello che stava evocando la ragazza
sembrava quasi elettrico.
Caren
però sembrava non accorgersi di quell’anomalia nel
suo Smog, continuando ad esternarlo in quantità sempre
maggiori, tanto che persino l’egoistico cinismo di Sinedd
venne scosso dalla preoccupazione. Preoccupazione che si
trasformò in vera e propria ansia quando la giovane, invece,
di scomparire e ricomparire a mezz’aria con un lampo di luce,
si trasportò circondata da scariche elettriche di un
blu-viola intenso e con una forza, molto superiore rispetto a quella
che aveva dimostrato fino a quel momento, calciò in rete
trasmettendo il flusso allo stesso pallone, il quale sembrava emanare
campi di forza che scaraventarono a molti metri di distanza la Caren
virtuale, intervenuta per intercettarlo.
«Ma
come accidenti..?» sussurrò il ragazzo, osservando
la compagna di squadra ancora sospesa a mezz’aria.
Poi
esattamente come era comparso, quello strano flusso scomparve lasciando
sprovvista la giovane, la quale tornò a terra come se niente
fosse.
Caren
sentì per un attimo le forza abbandonarla e tutto intorno a
lei iniziò a girare, sospirando chiuse gli occhi
nell’attesa di sentire il contatto con il terreno
gelato, ma niente di ciò avvenne: Sinedd infatti era appena
comparso al suo fianco afferrandola per un braccio ed impedendole di
cadere.
«Si
può sapere che diavolo era quello?»
domandò, lasciando trapelare più inquietudine di
quanto volesse far vedere.
«Smog,
mi sembra ovvio» rispose lei confusa.
Il ragazzo la
fulminò con lo sguardo: ma chi pensava di prendere in giro
quella ragazzina?! Ma quando incrociò i suoi grandi occhi
grigio-azzurri smarriti, lo stupore sostituì la rabbia:
davvero non ne sapeva niente?
«Tu
non ti sei accorta di niente..»
«Di
cosa avrei dovuto accorgermi?»
Sinedd la
guardò sempre più perplesso e per un attimo la
possibilità che se lo fosse solo immaginato gli
sfiorò la mente, eppure gli era sembrato così
reale.
«Evoca
lo Smog» ordinò alla fine.
«Cosa?»
«Scatena
lo Smog.»
«Perché?»
«Tu
fallo!»
«Perché
dovrei?!»
Il ragazzo
alzò gli occhi al cielo e velocemente scomparve
fino a raggiungere il pallone, che con forza calciò in
porta.
Caren lo
fulminò con lo sguardo e prima che potesse pensarci lo Smog
fluì spontaneo dal suo corpo facendola comparire con un
lampo di luce di fronte alla porta, appena in tempo per intercettare il
lancio.
«Si
può sapere che accidenti ti prende?!»
esclamò lei a un Sinedd confuso e frustrato.
Non era
assolutamente possibile che se lo fosse immaginato, eppure il flusso di
Caren era comparso normalmente.
«Allora?!»
insistette la ragazza.
Sinedd le fece
un cenno come a voler scacciare una mosca e lei indispettita fece per
lanciargli contro il pallone, ma poco prima che potesse raggiungere il
giovane l’olo - trainer scomparve riportandoli nella sala
allenamenti dell’hotel.
«Si
può sapere che ti è preso là
dentro?» domandò Caren, venendo però
completamente ignorata dal giovane.
Sinedd,
infatti, uscì dalla stanza continuando a pensare a quello
strano flusso e convincendosi sempre di più di non esserselo
immaginato, ma non riuscendo comunque a darsi una spiegazione.
Caren invece
un senso logico non lo trovava in quell’improvviso strano
comportamento del suo compagno, il quale però non sembrava
intenzionato a dare spiegazioni, era inutile che lei lo chiamasse o gli
urlasse contro, Sinedd non la sentiva neanche, o forse la ignorava
semplicemente, opzione che, conoscendolo, non era da scartare.
«Sinedd!»
urlò alla fine con il tono più disperato che
riuscisse ad assumere.
Il ragazzo si
voltò preoccupato e, vedendola poggiata al muro, in un
attimo fu al suo fianco.
«Che
succede?» le chiese poggiandole una mano sulla spalla.
Caren
alzò il volto e velocemente afferrò il suo polso,
lo trascinò verso il muro, con un colpo secco
l’obbligò a divaricare le gambe, poggiò
le mani sul suo petto e tenendolo fermo contro la parete si
posizionò di fronte a lui.
«Ma
che diavolo..»
«Adesso»
ordinò Caren. «Non ti muovi di qui
finché non mi dici che accidenti ti è preso
là dentro.»
Sinedd la
fulminò con lo sguardo e lei fece altrettanto, sostenendo il
suo sguardo senza problemi. Rimasero in quella posizione per diversi
attimi: gli occhi glaciali di lei in quelli scuri di lui,
così vicini da poter vedere l’uno il proprio
riflesso in quelli dell’altro; così vicini da
poter scrutare a fondo nei loro animi; così vicini da poter
sentire i loro respiri sulla pelle; così vicini da far
accelerare il loro cuore.
«Caren.»
Nel sentir
pronunciare il suo nome la ragazza si voltò, incrociando dei
caldi occhi castani che stupiti la osservavano.
«Razel»
esclamò lei, lasciando andare Sinedd, il quale glaciale
domandò «Che diavolo ci fai tu qui?»
La ragazza
alzò gli occhi al cielo, era mai possibile che dovesse
essere sempre così scortese con tutti?! E indispettita fece
per tirargli una botta, ma prima che la sua mano potesse sfiorarlo lui
le afferrò il polso, intrecciando poi le dita alle sue.
Razel
guardò prima le loro mani, poi loro e quasi ferito chiese
«Ho interrotto qualcosa?»
«Non
sono affari tuoi» rispose Sinedd e prima che Caren potesse
aggiungere altro iniziò a trascinarla via.
«Credo
invece che lo diventeranno presto» rispose il biondo
afferrando lo Shadows per un braccio.
«Io
non credo» rispose lui e la stretta sul polso della ragazza
si fece più ferrea.
Razel rise.
«Sai, credo che da qui in avanti ci vedremo molto
spesso.»
Sinedd
scansò di malo modo la mano del giovane e senza lasciare la
presa sulla compagna di squadra riprese per la sua strada.
«Arrivederci
Caren.»
«Muoviti»
ordinò il ragazzo, impedendole di voltarsi per salutare
l’altro.
In meno di un
minuto i due Shadows raggiunsero la camera di lei e Sinedd strappandole
la chiave magnetica di mano aprì la porta spingendola dentro
la stanza.
«Sinedd?
Sinedd?»
«Che
c’è?!»
«Ti
dispiacerebbe lasciarmi la mano? Mi stai facendo male.»
Il ragazzo
guardò le loro dita intrecciate e velocemente la
lasciò andare, poi senza aggiungere altro tornò
verso l’uscita.
Caren
guardò allibita il compagno andarsene e d’istinto
gli afferrò il polso bloccandolo.
Sinedd di
voltò trovandosi nuovamente faccia a faccia con quei grandi
occhi azzurro-grigio e per l’ennesima volta il respiro gli
mancò.
«Te
lo hanno mai detto che sei strano?»
«E a
te hanno mai detto che non sai sceglierti gli amici?»
«Per
forza, guarda con chi mi trovo a passare buona parte delle mie
giornate..»
Il ragazzo
sorrise appena, poi tornando serio aggiunse «Sta lontana da
Razel.»
«E
questo perché?»
«Perché
non è quello che vuol far credere di essere..»
Caren
inarcò le sopracciglia, senza sapere cosa aggiungere, poi il
giovane fece qualcosa di totalmente inaspettato, che la
lasciò a bocca aperta. Sinedd, infatti, le portò
una mano al volto e delicatamente le sfiorò le labbra con il
pollice, poi come se si fosse pentito del suo gesto la
lasciò andare uscendo dalla stanza.
«Tu
invece sei ciò che fai credere di essere Sinedd?!»
gli urlò lei dietro.
«Solo
con le persone giuste.»
E anche se
probabilmente non glielo avrebbe detto mai, lei era la persona giusta.
..Spazio Autrice..
Ed eccomi qui, di
ritorno dal mondo dei morti dopo mesi e mesi di assenza.. direi che mi
merito un bel "ma va a quel paese!".
Mi scuso davvero tanto
per il ritardo, ma il lavoro mi toglie davvero buona parte delle mie
energie e solitamente quando torno a casa crollo sul letto per poi
risvegliarmi e uscire di casa di nuovo.. Effettivamente casa mia, mi ha
vista davvero poco ultimamente.
Beh, alla fine
l'aggiornamente è arrivato.. non è un gran che
effettivamente, però di meglio non sono riuscita a fare.
Grazie di cuore a tutti
quelli che dedicano cinque minuti della loro giornata a questa storia,
ve ne sono davvero grata.
Al prossimo
aggiornamento!
Raika.
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