Capitolo 30
Johanna
Hailey Price era turbata. Non erano molti i motivi che
riuscivano a smuovere il rinomato cinismo forense, in genere. Gli
avvocati, così come i medici, tendevano a sviluppare una
sorta di egoismo e indifferenza, deformazione professionale purtroppo
necessaria a chi esercitava questo tipo di mestiere. Il disinteresse e
l’imperturbabilità che li caratterizzavano,
servivano a mantenere una mente lucida e focalizzata sugli obiettivi.
Ogni coinvolgimento sentimentale poteva infatti risultare dannoso
perché in grado di intaccare la capacità di
giudizio. Avvocati e medici erano tra coloro che maggiormente
conoscevano e utilizzavano questo principio, spesso anche senza
rendersene conto. Non a caso queste categorie lavorative erano rinomate
per essere alcune tra le più afflitte da casi di separazioni
e divorzi, proprio perché questo modus operandi
alla lunga
si ripercuoteva anche e soprattutto sui familiari.
Per Johanna Price, però, la famiglia era ancora una delle
poche cose che la coinvolgevano a livello sentimentale e riuscivano a
scuoterla dal suo formale cliché di avvocato penalista,
facendola ridiventare umana. Era come se si sdoppiasse in due distinte
figure; austero avvocato da una parte, mamma amorevole e moglie
dall’altra. Philip le invidiava questa capacità,
questo suo riuscire a smettere di essere una cosa per diventarne
un’altra. Lo considerava un dono prettamente femminile, dato
che né lui né tantomeno suo padre erano capaci di
farlo. Loro rimanevano medici sempre e comunque.
La telefonata appena ricevuta dal marito era riuscita a provocarle
apprensione.
Non era il solito bollettino medico sulla salute dei gemelli che Philip
aggiornava ogni volta che poteva. Non era nemmeno
l’interurbana che le faceva sempre quando stava fuori per
lavoro. No. Stavolta Philip le aveva chiesto di raggiungerlo in
ospedale appena possibile perché doveva riferirle cose
importanti che non poteva dire al telefono. Le aveva citato il segreto
professionale, e Jo si era allarmata. Philip l’aveva subito
rassicurata sulla salute dei gemelli, ma aveva insistito
perché la moglie lo raggiungesse. Le aveva anche chiesto di
non farne parola con nessuno, specialmente con suo padre, altro
dettaglio poco rassicurante.
Jo aveva appena finito di parlare al telefono con Philip e stava
massaggiandosi le tempie, cercando di rimanere calma e sfruttare gli
ultimi scampoli di quella turbolenta pausa pranzo, quando uno dei suoi
collaboratori venne ad avvisarla che il Giudice era rientrato in aula
prima del previsto.
-Vince, ho bisogno di conferire in privato con il Giudice Hendricks,
prima di riprendere.
Vincent, il dinoccolato tirocinante che lo studio legale associato di
Jo aveva assunto da qualche mese, scosse la testa.
–Negativo, avvocato. Il Giudice è già
in aula e pare ansioso di concludere alla svelta la seduta pomeridiana.
-Maledizione! – sbottò Johanna. Il suo
collaboratore la osservò, notando solo allora la
preoccupazione che le alterava i lineamenti, sempre curati ed eleganti.
Problemi personali. Vince lo sapeva. Johanna non imprecava mai, se non
quando era stressata o preoccupata. Piccoli segnali che Vincent aveva
imparato a riconoscere lavorando con lei.
Johanna raccolse frettolosa tutti i suoi documenti e li ripose nella
valigetta, ricomponendosi e preparandosi a rientrare in aula.
-Scusami Vince, non intendevo...E adesso sono pure in ritardo!
-Nessun problema, avvocato. Ma sbrighiamoci, al Giudice non piace
aspettare.
Erano già tutti ai loro posti, quando Johanna e Vincent
arrivarono. Colpetti nervosi di tosse e il rumore dei tacchi di Jo
furono gli unici suoni che li accolsero. Giuria, poliziotti e imputato
li osservarono avanzare lungo l’aula e prendere posto oltre
la sbarra, in ossequioso silenzio. Thomas Hendricks, il grasso Pubblico
Ministero, se ne stava appollaiato sul suo scranno e tamburellava con
le dita sui fogli, cercando di non mostrarsi troppo irritato
dall’inusuale ritardo dell’avvocato Price. Sembrava
un Bulldog in toga, con quelle guance flaccide che gli ricadevano ai
lati della faccia e Jo dovette distogliere lo sguardo da lui per non
rischiare di sorridere a quel buffo paragone. Era bizzarro come in
momenti di tensione o sovraccarico emotivo la mente umana registrasse
dettagli marginali come quello, altrimenti trascurabili, trasformandoli
in qualcosa di grottesco o comico.
Derek Mc Clunsky, l’avvocato difensore che avrebbe condotto
il controinterrogatorio, lanciò a Johanna
un’occhiataccia. Non vedeva l’ora di mettersi in
mostra davanti al Giudice, stracciando le accuse formulate in mattinata
dall’avvocato Price, e quella donna osava rubargli la piazza
con quel plateale ritardo. Sperava che almeno il Pubblico Ministero la
riprendesse ma quando questi si limitò ad una battuta
generica sulla puntualità, capì che era meglio
non insistere. Thomas Hendricks era un uomo potente e sapeva essere
pericoloso; era meglio non infastidirlo troppo, specie quando si era
nel clou di un processo per omicidio e toccava a lui controinterrogare.
Doveva giocare bene le sue carte.
Il vecchio Giudice prese la parola.
-Bene, ora che siamo tutti presenti in aula, venga messo a verbale che
l’avvocato Mc Clunsky può cominciare il
controinterrogatorio.
La stenografa aveva finito di battere sui tasti, quando Johanna si
alzò.
-Vostro Onore, chiedo il permesso di conferire con lei. Se
l’avvocato Mc Clunsky qui, è d’accordo.
L’aula di tribunale si fece ancora più silenziosa.
Oltraggiato, Mc Clunsky fece per controbattere ma il Giudice fu
più veloce di lui.
-E’ importante, avvocato Price?
A Johanna non sfuggì la nota di irritazione nella voce del
Pubblico Ministero. In effetti non sfuggì a nessuno dei
presenti, ma per lei era irrilevante in quel momento. Doveva rischiare.
-Si, Vostro Onore, lo è per me. Chiedo il permesso di
avvicinarmi.
La voce di Jo era pacata, ma decisa. Se Derek Mc Clunsky avesse potuto
fulminarla in quel momento, lo avrebbe fatto.
-Ma, Vostro Onore… - tentò infatti di obiettare
l’avvocato difensore, tutto paonazzo in volto, ma Hendricks
non gli diede modo di terminare.
-Avvocati, avvicinatevi.
Stizzito, Mc Clumsky si avvicinò, intenzionato a chiedere
spiegazioni a Johanna sul suo comportamento riprovevole.
-Avvocato Price, che succede?
-Chiedo perdono, Vostro Onore, non è mia intenzione mancare
di rispetto a questa Corte o all’avvocato Mc Clumsky, ma ho
bisogno di chiedere un rinvio.
-Un rinvio? E perché mai, avvocato?
-Ho appena ricevuto una telefonata dall’ospedale, Vostro
Onore, ecco perché sono arrivata in ritardo. Si tratta dei
miei figli. E’ stata richiesta la mia presenza, e ancora non
ne conosco l’esatto motivo. Il Primario non ha potuto
dilungarsi in spiegazioni e temo che con questa preoccupazione in mente
ora non riuscirei a concentrarmi a dovere. Mi bastano poche ore di
permesso, Vostro Onore.
Sia il Giudice Hendricks che Mc Clumsky si ridimensionarono
nell’apprendere quella notizia. C’era bisogno di
tutta la concentrazione possibile da ambedue le parti per raggiungere
un verdetto e non erano ammesse distrazioni di sorta, mentre
l’avvocato Price sembrava avere una grossa distrazione che
rischiava di viziare il processo se il Giudice non avesse deciso di
sospendere l’udienza. Dopo una breve riflessione, il Pubblico
Ministero prese la parola.
-Avvocato Price, esercito questo mestiere da molto, troppo, tempo e mi
rendo conto di quanto simili notizie possano sconvolgere e preoccupare.
Se non riesce ad essere totalmente focalizzata sul suo lavoro, rischio
un processo viziato ed è proprio ciò che vorrei
evitare in questo momento. La stampa e tutti i media ci stanno addosso
come avvoltoi e ci ridurrebbero a pezzi. Inoltre ho bisogno di tutta la
sua competenza per arrivare fino in fondo. Lei ha studiato questo caso
minuziosamente e al punto in cui siamo arrivati non me la sento di
farla sostituire da qualcuno dei suoi associati. Le
concederò un rinvio di 48 ore, spero che basti per risolvere
il suo problema. Avvocato Mc Clumsky per lei va bene?
-Non… non ho obiezioni da sollevare, Vostro Onore.
-Bene. Questa Corte si aggiorna. L’udienza è
rinviata alle dieci di dopodomani.
Thomas Hendricks calò il martelletto e il bang che produsse
mise a tacere il brusio di proteste che si era sollevato.
-La ringrazio, Vostro Onore.
-Cerchi di stare serena e riprendersi per dopodomani, avvocato Price.
Ho bisogno di tutte le sue energie non mi è di nessuna
utilità con la testa altrove.
Era il suo modo burbero di dire ‘prego’, Johanna lo
sapeva. Più di così non sarebbe riuscito a fare.
Hendricks non era uomo che mostrava sentimentalismi, ma sotto la scorza
dura era corretto. Aveva capito la sua preoccupazione, a differenza di
quel presuntuoso di Mc Clumsky, che pensava solo
all’occasione mancata di figurare. Forse anche il Giudice se
n’era accorto. Jo lo guardò mentre raccoglieva i
suoi appunti e li metteva nella cartelletta con gesti stizziti.
Ricambiò per un attimo la sua occhiata, poi prese la giacca
e con passi decisi abbandonò l’aula senza
rivolgere al suo assistito nemmeno una parola.
Vince raggiunse Jo e la aiutò con le scartoffie.
-Avvocati come lui, bah, che pessimi elementi. –
sbottò scuotendo il capo.
Jo sorrise, stanca. –Non mi importa di lui, Vince.
E’ soltanto un arrampicatore e per giunta arrogante. Non
farà mai carriera. Ora voglio pensare solo alla mia
famiglia. 48 ore sono poche, ma meglio di niente.
-Certo, e sono sicuro che lo ha notato pure il Giudice. Vinceremo noi,
ne sono convinto. Tu adesso vai, ti prenoto il volo. Penso io ai
documenti. Le carte e gli appunti li troverai giovedì sulla
scrivania come al solito. E puntuale, mi raccomando.
L’arringa finale è da rivedere in alcuni punti.
-Grazie, Vince. Non so davvero cosa farei senza di te. Diventerai un
bravo avvocato.
-Certo, sto imparando dalla migliore. Adesso vai, tic tac, tic, tac,
tempus fugit!
Johanna sorrise al suo collaboratore e si affrettò ad
abbandonare l’aula dopo aver stretto un’ultima
volta la mano a Hendricks, la mente già rivolta a Philip e a
quella telefonata.
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