Ecco la conclusione, che spero vi
soddisferà. Con questo mi auguro che anche il resto della storia sia stato di
vostro gradimento e vi abbia permesso di passare qualche momento di
soddisfazione. Spero che vogliate lasciare un commento anche su quest’ultimo
capitolo, perché trovo le vostre opinioni utili ed interessanti.
Grazie!
*
“Accidenti.
Servirà un paio di occhiali”
Shinji varcò la soglia, a annusò a fondo l’aria. L’aroma
della brezza del mare non l’avrebbe mai convinto: continuava a puzzare. L’odore
era lo stesso delle alghe marcescenti sotto al sole, ma molto più attenuato.
Arricciò il
naso, si fermò a pensare e infine partì verso la direzione prescelta. Con una
mano in tasca e la camicia dentro i pantaloni, passeggiava volgendo lo sguardo
ora da un lato, ora dall’altro, a caccia di dettagli che gli permettessero di
passare il tempo. Un gabbiano appollaiato su di un tetto gracchiò sonoramente.
“Guarda! “
Chissà come hanno fatto, pensò Shinji. Lui aveva potuto frugare negli edifici diroccati,
attingere acqua da un pozzo arrugginito e costruirsi dei ripari contro il sole
e il freddo. Ma i gabbiani? I granchi, poi, neanche a parlarne. Aveva visto un
granchio zampettare sulla spiaggia, due giorni prima. Come diamine facevano a
sopravvivere in quella brodaglia sanguinolenta e puzzolente?
“Che schifo”
“Mmh?”
Un cenno del
capo, verso l’orizzonte, e Shinji capì. Se ne era
staccato un altro enorme pezzo, che era caduto nell’acqua con un tonfo
vibrante. Dovette ammettere che era una scena abbastanza disgustosa, ma per
fortuna stavano già provvedendo a farlo rimorchiare a ancorare ancora più al
largo e a ricoprirlo di calce.
“Ho sentito
dire che hanno predisposto un’area circoscritta per portare i pezzi”
“Bah. Fosse
per me, la brucerei”
Eppure cominciava
a sprofondare, e non si vedeva più il volto perché, perdendo pezzi, era
lentamente ruotata a faccia in giù per lo spostamento del baricentro. Era
quindi visibile solo la nuca, che a causa delle dimensioni e dei capelli
sembrava un isolotto ricoperto di vegetazione, nonostante la colorazione
inconsueta. Ripensare alla visuale
precedente lo faceva ancora rabbrividire.
“Ehi! Non
strappare quei fiori! Sai quanto tempo ci è voluto perché crescessero?”
Passavano di
fianco a un lotto di terreno rosso recintato con uno steccato di metallo. Il
legno era abbastanza raro a causa della carenza di alberi. Cercava di farsi
strada con la mano tra un tondino di metallo e l’altro per cogliere un minuto
fiore di ginestra. Era una delle poche piante che crescesse spontaneamente in
quella terra riarsa. L’uomo al centro del campo stava rivoltando le zolle
secche e polverose con una vanga arrugginita. Si fermò, posò la vanga a terra e
si chinò su di un grosso sacco alle sue spalle. Ne estrasse una bracciata di
sterpi rinsecchite, le gettò sul mucchio di terra e proseguì a rigirarla.
“Guarda
quanti sono!”
Aveva
ragione. Quel lotto di terreno confinava con molti altri, che si susseguivano
l’un l’altro come le celle di un alveare. Si arrampicavano lungo il ciglio
della montagna e pareva che in ognuno – almeno fino a dove arrivava il suo
sguardo – vi fossero persone impegnate nella stessa attività di quell’uomo. In
alcuni di essi, al colore rosso di base, si affiancavano delle zone marrone
scuro meno estese.
“Ci sono tre
appezzamenti in più rispetto al mese scorso. A me basta che questi del
Programma di Recupero dei Terreni non arrivino a zappare dietro casa”
Svoltarono
perpendicolarmente alla linea del mare e si immisero in una via in terra
battuta. Furono investiti dall’acre
odore del toluene e in fondo alla strada videro un veicolo giallo e massiccio
che proseguiva lentamente verso di loro.
“Che
frastuono! Possibile che debbano asfaltare alle nove del mattino?”
Giunsero di
fronte a una vetrina. La lastra era incrinata sull’angolo superiore destro ed
era molto impolverata dal lato esterno. Un uomo sulla quarantina munito di straccio
e secchio strofinava il vetro, cercando finanche la polvere nascosta negli
angoli.
“Buongiorno”
“Oh,
buongiorno”. L’uomo sorrise loro, lasciò cadere lo straccio dentro il secchio e
li invitò ad entrare. Varcata la soglia, infilò un camice bianco recuperato da
un appendiabiti a colonna e raggiunse il retro di un bancone.
“Prego”
“E’ per lei”
– rispose Shinji. “Dice di vedere offuscato da
lontano”
“Mmh. Un inizio di miopia. Quanti anni ha?”
“Quattro” –
disse Asuka. “La prima nata del 2020, non è così?” –
aggiunse, sorridendole dall’alto.
La bambina annuì e sorrise, scuotendo i suoi lunghi codini castani