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Autore: Hastatus    01/01/2014    3 recensioni
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Asuka Soryou Langley, Shinji Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco la conclusione, che spero vi soddisferà. Con questo mi auguro che anche il resto della storia sia stato di vostro gradimento e vi abbia permesso di passare qualche momento di soddisfazione. Spero che vogliate lasciare un commento anche su quest’ultimo capitolo, perché trovo le vostre opinioni utili ed interessanti.

Grazie!

 

*

 

“Accidenti. Servirà un paio di occhiali”

 

Shinji varcò la soglia, a annusò a fondo l’aria. L’aroma della brezza del mare non l’avrebbe mai convinto: continuava a puzzare. L’odore era lo stesso delle alghe marcescenti sotto al sole, ma molto più attenuato.

Arricciò il naso, si fermò a pensare e infine partì verso la direzione prescelta. Con una mano in tasca e la camicia dentro i pantaloni, passeggiava volgendo lo sguardo ora da un lato, ora dall’altro, a caccia di dettagli che gli permettessero di passare il tempo. Un gabbiano appollaiato su di un tetto gracchiò sonoramente.

 

“Guarda! “

 

Chissà come hanno fatto, pensò Shinji. Lui aveva potuto frugare negli edifici diroccati, attingere acqua da un pozzo arrugginito e costruirsi dei ripari contro il sole e il freddo. Ma i gabbiani? I granchi, poi, neanche a parlarne. Aveva visto un granchio zampettare sulla spiaggia, due giorni prima. Come diamine facevano a sopravvivere in quella brodaglia sanguinolenta e puzzolente?

 

“Che schifo”

 

Mmh?”

 

Un cenno del capo, verso l’orizzonte, e Shinji capì. Se ne era staccato un altro enorme pezzo, che era caduto nell’acqua con un tonfo vibrante. Dovette ammettere che era una scena abbastanza disgustosa, ma per fortuna stavano già provvedendo a farlo rimorchiare a ancorare ancora più al largo e a ricoprirlo di calce.

 

“Ho sentito dire che hanno predisposto un’area circoscritta per portare i pezzi”

 

“Bah. Fosse per me, la brucerei”

 

Eppure cominciava a sprofondare, e non si vedeva più il volto perché, perdendo pezzi, era lentamente ruotata a faccia in giù per lo spostamento del baricentro. Era quindi visibile solo la nuca, che a causa delle dimensioni e dei capelli sembrava un isolotto ricoperto di vegetazione, nonostante la colorazione inconsueta. Ripensare alla visuale precedente lo faceva ancora rabbrividire.

 

“Ehi! Non strappare quei fiori! Sai quanto tempo ci è voluto perché crescessero?”

 

Passavano di fianco a un lotto di terreno rosso recintato con uno steccato di metallo. Il legno era abbastanza raro a causa della carenza di alberi. Cercava di farsi strada con la mano tra un tondino di metallo e l’altro per cogliere un minuto fiore di ginestra. Era una delle poche piante che crescesse spontaneamente in quella terra riarsa. L’uomo al centro del campo stava rivoltando le zolle secche e polverose con una vanga arrugginita. Si fermò, posò la vanga a terra e si chinò su di un grosso sacco alle sue spalle. Ne estrasse una bracciata di sterpi rinsecchite, le gettò sul mucchio di terra e proseguì a rigirarla.

“Guarda quanti sono!”

 

Aveva ragione. Quel lotto di terreno confinava con molti altri, che si susseguivano l’un l’altro come le celle di un alveare. Si arrampicavano lungo il ciglio della montagna e pareva che in ognuno – almeno fino a dove arrivava il suo sguardo – vi fossero persone impegnate nella stessa attività di quell’uomo. In alcuni di essi, al colore rosso di base, si affiancavano delle zone marrone scuro meno estese.

 

“Ci sono tre appezzamenti in più rispetto al mese scorso. A me basta che questi del Programma di Recupero dei Terreni non arrivino a zappare dietro casa”

 

Svoltarono perpendicolarmente alla linea del mare e si immisero in una via in terra battuta. Furono investiti dall’acre odore del toluene e in fondo alla strada videro un veicolo giallo e massiccio che proseguiva lentamente verso di loro.

 

“Che frastuono! Possibile che debbano asfaltare alle nove del mattino?”

 

Giunsero di fronte a una vetrina. La lastra era incrinata sull’angolo superiore destro ed era molto impolverata dal lato esterno. Un uomo sulla quarantina munito di straccio e secchio strofinava il vetro, cercando finanche la polvere nascosta negli angoli.

 

“Buongiorno”

 

“Oh, buongiorno”. L’uomo sorrise loro, lasciò cadere lo straccio dentro il secchio e li invitò ad entrare. Varcata la soglia, infilò un camice bianco recuperato da un appendiabiti a colonna e raggiunse il retro di un bancone.

 

“Prego”

 

“E’ per lei” – rispose Shinji. “Dice di vedere offuscato da lontano”

 

Mmh. Un inizio di miopia. Quanti anni ha?”

 

“Quattro” – disse Asuka. “La prima nata del 2020, non è così?” – aggiunse, sorridendole dall’alto.

 

La bambina annuì e sorrise, scuotendo i suoi lunghi codini castani

  
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