Rinascita
«Stiamo facendo il
possibile» fu la risposta pragmatica di Eloise e di Megan,
venuta a dare supporto all'amica. Non avevano mai previsto di
ritrovarsi in una situazione del genere. Non con uno dei ragazzi
più esuberanti dell'intera Capitale.
«Nessun mi-» chiese di nuovo Sophia, ma
venne bloccata da Jordan, che le poggiò stancamente la mano
destra sulla bocca. Megan scosse il capo, spazientita. Non era uno dei
compiti che preferiva comunicare la situazione di un malato ai
familiari ed agli amici più prossimi.
«È stabile, principessa. Ma non sappiamo
per quanto. Giorni, forse. Ore, magari» fu la risposta
diretta della dottoressa. Eloise la guardò con sguardo
carico di astio ed irritazione, che la più anziana
ignorò con indifferenza. La situazione era quella. Inutile
mentire.
«Sei impazzita, Megan?! Ti sembra questo il modo
di-» Eloise sbottò subito dopo che Jordan e Sophia
si furono ritirati. Ma ancora una volta Megan non le diede modo di
rispondere, che con tutta la delicatezza di cui era dotata la
sbatté al muro, noncurante delle sue proteste, e le
piantò il famigerato gomito alla gola.
«Sei un brillante medico, Weiss, ma in questo
momento non sei lucida» ringhiò Megan, incrociando
lo sguardo infastidito di Eloise... la capiva, ma non poteva darle
ragione.
«Ma Julian Lord sta morendo, lo sai bene quanto me.
E sai bene quanto me che stiamo cercando di fare il possibile. E sai bene quanto me che quel
possibile non è sufficiente!»
Eloise ricambiò il suo sguardo, e tutta la
stanchezza di quei dieci giorni parve caderle improvvisamente sulle
spalle. Sorretta da Megan si sedette su una lettiga, e
sospirò, torcendosi le mani.
«Hai visto quanto l'infezione si è
spinta in profondità. Non potrebbe sopravvivere neanche se
gli versassimo addosso sangue di vampiro. Abbiamo rimosso tessuto
necrotico, e continua ad aumentare. Non possiamo fare altro... non
lasciandolo umano» terminò Megan, lasciando quindi
Eloise sola. La sentì singhiozzare, e scrollò le
spalle. Non farsi coinvolgere. Questo era il suo mantra. Non rendersi
partecipe delle sofferenze dei pazienti e dei loro parenti.
Perché,
con Eloise ridotta in quelle condizioni, con il giovane Vandemberg e la
piccola Blackmore ridotti all'ombra di se stessi, le era
così maledettamente difficile?
«Ci sta lasciando» ripeté
Sophia per quella che, forse, era la trentesima volta in quel giorno.
Si era rifugiata, assieme a Jordan, in un piccolo stanzino celato della
Misericordia, con compagnia solo qualche scopa e bocce di
disinfettanti. Gli altri parenti, vivi e redivivi, affollavano la sala
d'attesa dell'ospedale, cercando di capire dove i due eredi al trono si
fossero cacciati. Non che i vampiri Blackmore fossero veramente ignari
di dove i due ragazzi si fossero nascosti. Ma avevano semplicemente il
buon gusto e la delicatezza di lasciarli soli, a consolarsi a vicenda,
se mai potevano consolarsi.
«Lo sta facendo. Senza il nostro permesso,
Sophie» affermò Jordan, con voce atonale. Ai primi
attimi di rabbia, panico e tremendo dolore si erano sostituiti una
maschera di glaciale indifferenza. Doveva mostrarsi forte, per la sua
migliore amica, per la sorella del suo migliore amico. Neanche la
vicinanza di Jerome lo faceva sentire meglio. Anzi, la
vitalità che il soldato gli ricordava, con la sua pelle
calda ed il suo cuore pulsante, lo infastidivano.
Lo
infastidivano perché il cuore di Julian batteva al limite
delle sue capacità, mentre le membra si facevano fin troppo
bollenti, divorate dall'interno ed in superficie da un'infezione che
neanche le medicine somministrategli da Eloise e Megan avevano
debellato. Avevano solamente guadagnato tempo. E non ne era
riconoscente. Gli sembrava di avviarsi al patibolo trascinando un
carico che ritardava la sua pena capitale.
«Non credo di poterlo sopportare, Jordan»
mugolò Sophia, lasciandosi andare ad un pianto silenzioso
contro il petto dell'amico. Odiava mostrarsi debole con lui... con loro. Odiava
dare l'idea di debolezza e fragilità, quando invece lei non
lo era affatto. Ma in quel momento, con Julian steso su una lettiga, in
quarantena, con il corpo devastato da chissà quale malattia,
non poteva far altro che piangere. Jordan sospirò, e
sistemandosi meglio a sedere contro il duro e freddo pavimento della
Misericordia, strinse la ragazza contro di sé, carezzandola
distrattamente tra i capelli scuri con la mano sinistra, mentre il
braccio destro le circondava la vita.
Si era sempre immaginato un momento di dolore come quello
accompagnato da pioggia battente e gracchiare di cornacchie, come
presagio. Invece, fuori dalle mura dell'ospedale, il sole stava per
sorgere.
Cain aveva già ceduto, mentre Adrian ed Ashton
riuscivano a sopportare la pressione opprimente del sole grazie alle
pesanti tende nere che Eloise aveva ordinato con sguardo furente di far
sistemare alle finestre della sala d'attesa.
Nessuno dormiva decentemente da qualche giorno. Bryce stesso,
nonostante tutto, sembrava decisamente meno incline a morire. Anche i
gemelli Sinclair, generalmente scherzosi e bonaccioni, non riuscivano
in nessun modo a partorire battute di spirito per cercare di
risollevare l'atmosfera. Neanche avevano voglia di massacrarsi a
vicenda. I pensieri di tutti, o per lo meno quasi tutti, erano rivolti
al ragazzo che combatteva tra la vita e la morte una battaglia che,
lentamente, lo stava portando ad un'inesorabile sconfitta.
«Jordan» gracchiò Sophia con
voce arrochita dopo quelli che parvero almeno decine di minuti,
richiamando l'attenzione di Jordan che, fino a qualche istante prima,
fissava il vuoto, cercando senza successo di scacciare i ricordi dei
brigantaggi e delle bighellonate combinate con Julian e la loro
compagnia di amici.
«Dimmi, Sophie» mormorò il
ragazzo, smettendo di stringerla quando la ragazza si oppose
all'abbraccio fraterno dell'amico. Si alzò, preoccupato,
quando Sophia balzò in piedi, gli occhi chiari sgranati e
cerchiati da vistosissime occhiaie.
«Damian. Nessuno l'ha avvisato. Solo io e te
sapevamo di lui e Julian» disse, rapidamente, la voce agitata
e preoccupata. Jordan rimase a fissarla solo per qualche istante, poi
spalancò di corsa la porta.
«Aspettami qua!» le urlò,
correndo per i corridoi ed evitando pazienti e medici finché
non si ritrovò all'entrata dell'ospedale. Ignorò
i richiami di suo fratello Bryce e di Jerome, per poi correre fuori
dall'edificio. Fermò disperatamente una carrozza, e chiese
implorante un passaggio per il borgo di Valdyer.
Era una corsa contro il tempo, e la morsa che provava allo
stomaco gli stava suggerendo che quel tempo, il tempo di Julian,
era terribilmente vicino all'esaurirsi.
Tump, tump, tump.
Aleggiava nel suo sonno di morte da poco tempo... forse un
paio d'ore. Aveva cacciato, la sera prima, e la sua sete di sangue si
era estinta nel collo di un giovane stupratore. Quantomeno, il suo
sangue era pulito. Aveva detto ad Edward di non disturbarlo, quella
mattina. Voleva riposare, voleva dormire, sognare cosa avrebbe potuto
inventare per trovare Julian, che non vedeva da almeno due settimane.
Tump, tump, tump.
Poi si sentì chiamare, una voce maschile lo stava
strappando con poca grazia dal suo sonno comatoso. Sembrava la voce di
Julian... no, la voce parlava di Julian.
«Maledizione,
Damian, apri questa porta! Jules sta m o r e n d o !!!»
il vampiro spalancò gli occhi a quelle parole, ed il loro
accostarsi non gli piaceva affatto. Julian, morte. No, era un binomio
che decisamente non gli andava a genio.
In meno di un secondo balzò in piedi, correndo a
spalancare il pesante portone del rifugio, indietreggiando
istintivamente quando una lama di luce si bloccò a pochi
centimetri dal suo piede. Era giorno. C'era troppa luce. E lui doveva cercare Julian.
Mentre la mente lavorava frenetica vice Jordan davanti a
sé, gli occhi azzurri incorniciati di aloni nerastri, segno
di lunghe notti in bianco, il cuore che batteva all'impazzata e la
carnagione generalmente chiara, sembrava tinta di un pallore malsano.
Ricambiò il suo sguardo, e gli ci volle meno di qualche
istante per rendersi conto della gravità della situazione.
Si vestì rapidamente, mentre Jordan parlava senza freni,
spiegando al redivivo la condizione critica in cui Julian stava
versando da ormai dieci giorni, ecco
perché non lo aveva mai trovato al Collegio!, e
ascoltò senza davvero troppo interesse le scuse di Jordan
per quella dimenticanza.
Provava rabbia, tremendamente tanta rabbia, che avrebbe
potuto ucciderlo anche solo con lo sguardo, ma sapeva che non era
colpa sua. Era lui, Damian Assange, l'ultimo arrivato. E dall'alto dei
suoi duecentotrentacinque anni sapeva di non poter avere la precedenza
sulla cerchia di amici di Julian.
«Taci, Jordan. Fai accostare il più
possibile la carrozza al portone. Adesso»
ringhiò contro il ragazzo, che stava imbambolato a fissarlo.
Jordan si riscosse, ed annuendo uscì fuori, comunicando al
cocchiere ciò che Damian gli aveva ordinato.
Nel frattempo il vampiro aveva indossato un pensate pastrano
nero, che lo copriva per intero dalla punta dei capelli alla punta dei
piedi. Sembrava un fantasma, ed avrebbe trovato il paragone simpatico,
se la situazione non fosse stata così drammatica.
Con un respiro ed un ringhio infastidito uscì
all'aria aperta, barcollando, ma subito si sentì sorreggere
da qualcuno. Non ebbe neanche il tempo di domandarsi chi fosse, che si
rese immediatamente conto che le braccia che lo aiutavano a camminare
erano quelle di Jordan. Gli avrebbe sorriso, se ne fosse stato capace.
Salì svelto sulla carrozza, e ad un cenno del ragazzo il
cocchiere fece nuovamente partire i cavalli al galoppo. Dal canto suo
Damian comunicò debolmente ai destrieri l'urgenza che
provava, incitandoli a correre più rapidamente che potevano.
Aggiunse una flebile minaccia di morte, del tutto ignorata dai cavalli.
Era basta l'ansia e la preoccupazione che il vampiro aveva impresso in
quel guizzo di pensiero per spronarli a correre come non avevano mai
fatto prima.
«Dov'è?» la voce di Damian
tremava, bassa e roca, mentre cercava di ignorare la morsa delle
braccia di Sophia strette attorno alla vita. Non aveva abbracciato
nessuno se non Cain, suo fratello, e Jordan. Appena aveva visto Damian,
nonostante lo conoscesse da veramente pochi mesi, gli era saltata
addosso, sapendo bene che forse il vampiro era l'unico che, assieme a
lei e Jordan, potesse essere così spaventato all'idea di
perdere Julian.
«Dov'è?» ripeté
ancora una volta, prima che Jordan allontanasse delicatamente Sophia
dal redivivo. «Ultima stanza a destra» fu la
risposta, non di Jordan, ma di Eloise, che comparve nella sala
d'attesa. Aveva dismesso gli abiti da medico, per restare vicino alla
sua famiglia. Era più utile in panni civili, in quel
momento. Si sedette sulle gambe di Ashton, che le rivolse un tenue
sorriso e le carezzò la guancia.
«Non è colpa tua, ragazzina
umana» le mormorò quindi all'orecchio, ed Eloise,
fiera combattente, si limitò a scrollare le spalle. Il loro abbastanza non era
sufficiente, ricordò a se stessa.
Damian si limitò a fissare per qualche istante
Eloise, scorrendo rapidamente lo sguardo su tutti i presenti, prima di
dirigersi con ampie ed incerte falcate verso la camera di Julian.
Avvertiva, adesso, il suo cuore battere debolmente assieme a tutti gli
altri.
Quando Megan lo vide comparire sulla soglia gli si
avvicinò minacciosa. Damian la ignorò, cercando
con lo sguardo Julian, ed ebbe un tuffo al cuore nel vederlo
febbricitante.
Si voltò lentamente verso la ragazza, e senza
curarsi di esser delicato lasciò uscire i canini dai loro
loculi, ed emise un debole ringhio minaccioso. La ragazza, se ebbe
paura, non lo diede a vedere. Si limitò a sistemarsi di lato
per farlo passare, obiettando che voi
vampiri non vi ammalate, passa pure, cane rabbioso.
Damian nuovamente la ignorò, avvicinandosi a
Julian e sedendosi sulla sedia accanto al letto. Fece scorrere le dita
gelide e pallide sulla fronte del ragazzo, imperlata di sudore e
bollente, prima di stringere la sua mano.
«Julian... piccolo Julian, mi senti?»
sussurrò al suo orecchio, la voce instabile, una sfumatura
di pura isteria a renderla più tremolante. Per qualche
secondo non successe niente, finché le dita di Julian si
strinsero leggermente attorno a quelle di Damian. Il vampiro
serrò più forte la mano del ragazzo nella
propria, e ricambiò lo sguardo del ragazzo, che lo guardava
attraverso le palpebre socchiuse.
«Sei... venuto a trovarmi?»
domandò, a fatica. Damian fece per parlare, ma il ragazzo
proseguì, delirando.
«Non puoi... portarmi fuori. È quasi ora
di lezione» mormorò flebilmente, e Damian
avvertì sulle guance qualcosa di bollente rotolar
giù, fino ad impattare sui suoi pantaloni. Lacrime di sangue.
«Non ti porto da nessuna parte, non
preoccuparti» fu la debole risposta del vampiro, che si
poggiò con la fronte alla spalla bollente del ragazzo,
avvertendo nelle narici l'odore pungente del disinfettante coprire
quello nauseabondo della morte e della malattia che stava divorando le
membra di Julian.
«Non c'è nulla da fare,
giusto?» domandò a Megan, che era rimasta
impassibile sulla soglia della camera, fissando quasi commossa la scena
che le si parava davanti. Difficilmente aveva visto un vampiro
piangere, e mai per un paziente umano.
«Non in questa... vita» disse, soppesando
le parole. Damian si voltò lentamente verso di lei, e
ricambiò lo sguardo azzurro della ragazza, di un azzurro
screziato di verde. Si voltò di nuovo verso Julian,
carezzando con le dita pallide ed affusolate i suoi lineamenti marcati.
Congelarlo nel tempo... sarebbe stata la scelta giusta?
«Devo parlare con la sua famiglia» disse
infine, deciso. Megan annuì debolmente. Probabilmente era
l'unica cosa da fare.
Quando Damian finì di parlare, un discorso breve,
conciso, ma diretto, nella sala d'attesa crollò il silenzio.
Sophia era ben stretta tra le braccia di Gabriel, che la
cullava come avrebbe potuto fare con una bambina indifesa. La teneva
saldamente ancorata a sé, facendole nascondere il viso
nell'incavo accogliente della sua spalla, come sempre facevano dopo le
notti più vivaci. Solo che di vivace, quella situazione, non
aveva niente. Avvertiva sulla spalla il calore della lacrime della sua
amata, e ne condivideva il dolore.
Si era affezionato a Julian, anche se mai lo aveva ammesso,
né a lui, né a Sophia. Si limitava a scrutare
entrambi con occhi di gelo quando i due lo prendevano in giro
sull'affetto che aveva iniziato a nutrire per il fratello della sua
amata. Il risultato di tali scherzi erano numerosi lividi sulle spalle
e sugli stinchi del giovane, a seguito di una sessione d'allenamento
particolarmente violenta.
Bryce e Jordan erano rimasti in silenzio, accanto ad Axel,
che fissava Damian con occhi fiammeggianti. Il suo protetto stava
venendo meno. Avrebbe tollerato di vederlo tornare sottoforma di
vampiro? Il più piccolo dei tre Vandemberg aveva trovato
conforto, nonostante il viso pietrificato in una maschera di
serenità, nello stritolare la mano ed il braccio del
fratello maggiore, che guizzava lo sguardo tra il ragazzo e la sua
protetta. Soffriva del vederli così addolorati... non era
forse meglio avere Julian, ancora una volta, seppur immortale? Si
trattava solamente di accettare un nuovo membro redivivo in famiglia...
no?
Dall'altra parte della stanza gli unici a sorridere di tale
proposta erano i fratelli Sinclair. Quale persona migliore di un
vampiro per avviare risse che avrebbero certamente vinto? Quando
provarono a prendere parole ricevettero un'occhiata omicida da parte
dell'intera comitiva, ed optarono per rimanere in silenzio, spalla
contro spalla, seduti a terra.
Eloise, dal canto suo, fissava Megan, senza sapere cosa dire.
Era, in effetti, l'unica soluzione per salvare Julian. Ma quel
salvataggio significava strappare ciò che di umano aveva
caratterizzato il ragazzo, in tutti quegli anni. Erano disposti a
sacrificarlo?
Damian si sedette a terra, incrociando le gambe e chiudendo
gli occhi, noncurante delle scie rosate che ancora macchiavano la sua
pelle. Non aveva asciugato le lacrime. Non se ne preoccupava
minimamente. Sentiva, in fondo alla mente, l'urgenza di prendere una
decisione. E doveva essere presa il prima possibile.
«Fallo» fu la sola parola che venne
pronunciata. Sophia si era alzata e si era allontanata da Gabriel, ed
adesso fronteggiava Damian. Il redivivo tornò in piedi,
abbassando la testa solo per incrociare lo sguardo della ragazza. Vide
il percorso salato delle lacrime incrostarle gli zigomi, le occhiaie
scure a contornarne gli occhi, ed in fondo al suo sguardo vide brillare
un piccolo e quasi impercettibile barlume di speranza.
«Hai la mia benedizione, Damian. Ma, se mio
fratello sopravvivesse al processo, ti reputerò responsabile
di qualsiasi cosa gli accadrà in futuro. E giuro sul mio
sangue e sul trono che mi spetta di diritto, che se mai gli accadesse
qualcosa, verrò da te in prima persona per renderti alla
morte da cui sei scampato due secoli fa» gli disse, con voce
salda e decisa, i pugni stretti.
Il vampiro sorrise della veemenza che colorava le parole
della ragazza, ed annuii. Indietreggiò di un passo, e si
piegò su un ginocchio, chinando la testa.
«Per servirti, mia signora» si
limitò a dire, e di nuovo si erse in tutta la sua altezza,
per poi chinarsi verso la ragazza e poggiare le labbra sulla sua
guancia, mormorandole un tenue ringraziamento che fece sospirare Sophia
e ridacchiare Adrian Blackmore, seduto in disparte assieme a Cain, che
giaceva addormentato tra le sue braccia, i capelli biondi scarmigliati
sul suo petto.
«Fa' quel che devi, Damian»
sussurrò Sophia in risposta, prima di scivolare
all'indietro. Prontamente Gabriel le fu alle spalle, per sorreggerla.
Alzò lo sguardo sul redivivo, fissandolo con occhi di
ghiaccio.
«Hai promesso, vampiro. La malattia mi sta
sottraendo uno dei Cavalieri. Vedi di non sottrarle il
fratello» disse, a voce alta, e di nuovo Damian si
ritrovò ad annuire. Fece scorrere lo sguardo sui presenti,
incrociando poi quello di Jordan, che annuì con un lieve
cenno della testa, mentre ancora stringeva il braccio di Bryce, e
nell'altra mano quella di Jerome, che si limitò a stringere
più forte quella del ragazzo.
«Vi ringrazio» disse Damian, e facendo
dietro-front corse di nuovo nella camera di Julian, dove, per il
ragazzo, il tempo stava per battere gli ultimi rintocchi.
«Sto morendo» fu il sussurro di Julian,
quando vide ricomparire Damian e Megan in camera. La ragazza gli si
avvicinò rapida, intuendo con uno sguardo che non rimanevano
altro che pochi minuti.
«Morirai per sempre, Julian... morirai per sempre
accanto a me, però» fu la risposta di Damian, che
strinse la sua mano, con forza, ignorando il mugolio infastidito del
ragazzo.
«Vuoi... trasformarmi?»
domandò dopo qualche istante di silenzio lo studente, e
Damian annuì.
«Ho chiesto il permesso a tua sorella. Mi ha
minacciato di morte. Dovrò badare a te per
l'eternità, piccolo Julian» disse, cercando di
risultare un po' ironico, e Julian ridacchiò leggermente,
prima di scivolare di nuovo sdraiato, respirando a fatica.
«Tipico... di mia... sorella»
riuscì a mormorare, prima di chiudere gli occhi. Damian lo
tirò rapidamente a sé, ignorando le lamentele di
Megan sui modi bruschi che stava usando, ma al momento la ragazza non
poteva udire il cuore del ragazzo rallentare inesorabilmente. Sulla
soglia vide comparire, con la coda dell'occhio, Adrian ed Ashton, ed
avvertì dopo qualche istante i passi ed i cuori accelerati
di tutte le persone che erano li per il ragazzo che stava stringendo
tra le braccia. Chiuse gli occhi e senza pensarci ancora
affondò i canini nel collo del ragazzo, serrandolo disperato
contro di sé. Ne bevve il sangue, avvertendolo malato ed
indebolito, lasciandone a sufficienza per avviare il processo di
trasformazione.
Quando, dopo un minuto, allontanò le labbra
macchiate di sangue dal collo di Julian, notò sul suo viso
un'espressione di pura tranquillità. Avvertì di
nuovo sulle guance lacrime scarlatte rotolare giù dai suoi
zigomi e cadere sul collo del giovane, sanando e chiudendo i fori che i
suoi canini avevano lasciato, con la speranza di non perdere per sempre
Julian e la sua vitalità.
«Adesso... aspettiamo» furono le parole
pragmatiche di Ashton, che strinse a sé Sophia e Jordan,
come a volerli proteggere dall'inesorabile.
«Aspettiamo... e speriamo» furono le
ultime parole che Damian pronunciò, tornando a stringere il
ragazzo e nascondendo il viso sul suo collo, pregando che Julian
trovasse la forza sufficiente per cogliere l'ultimo richiamo che aveva
potuto lanciargli, conferendogli l'immortalità che lui
stesso aveva tanto agognato due secoli prima.
fine
Note
conclusive
Io ancora non
ci credo di averla conclusa... mi sento... vuoto.
Uccidere, per
modo di dire, il mio piccolo Jules, è stata una sofferenza.
Non so davvero
che dire. Fa strano, scrivere la parola fine, seppur ad una fan fiction.
Ringrazio
tutti coloro che hanno letto e che mi hanno supportato.
Grazie a
Cristina e Luigi, miei fedeli lettori.
Grazie a
Damianne e Rafael Assange per le loro recensioni.
Hymn
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