That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.023
- Doppio Inganno
Deidra Sherton
Amesbury, Wiltshire - sab. 15 gennaio 1972
Il rombo del tuono scosse la casa dal profondo, risvegliandomi dal
torpore. Ci misi un po’ a capire che si trattava solo del
temporale: nei pochi minuti in cui mi ero assopita, la tempesta che
incombeva all'orizzonte aveva raggiunto il maniero. Rabbrividii per il
freddo e la febbre e con difficoltà mi alzai dalla poltrona,
mi
sistemai un altro scialle sulle spalle e mi avvicinai alla finestra: le
fronde degli alberi ondeggiavano e si piegavano sotto la furia del
vento impetuoso, il buio della notte era squarciato dai fulmini che si
susseguivano continui, sopra di noi, e si specchiavano nella stanza,
sulle superfici dei mobili, sulle pareti, fino ad annullarsi nella
bocca rosseggiante del caminetto acceso. Restai lì, inerte,
per
un po’, ipnotizzata dalla furia degli elementi.
Ero rimasta sconcertata quando c’eravamo Smaterializzati dal
capanno e, dopo un viaggio brevissimo, mi ero ritrovata nella nostra
casa nel Wiltshire: credevo che una volta riabbracciati Alshain e i
bambini, quella lunga giornata di terrore fosse finita, che mi
aspettasse una notte fatta di sofferenza ma da passare al sicuro,
protetti dagli antichi incantesimi di Salazar Slytherin.
Invece…
Quando avevo riconosciuto il salone di Amesbury, il primo pensiero era
corso ad Abraxas, l’idea che fossimo così vicini
alla
dimora del “mostro”
che mi aveva sottratto i bambini mi faceva inorridire.
Sull’orlo
di una crisi isterica, avevo preteso una spiegazione dal vecchio Elfo
ma Doimòs, invece di rispondermi, era scomparso sotto i miei
occhi, terrorizzandomi ancora di più: non capivo cosa stesse
accadendo, che intenzioni avesse, dove fosse andato.
Dopo pochi minuti, l’Elfo era riapparso, al seguito di
Murchadh
Mackendrick, il Medimago personale di Alshain, ancora in pantofole e
palandrana da camera: oltre a riprendere a respirare, avevo iniziato a
ragionare e mi ero commossa di fronte alla devozione e alla prontezza
di quella creatura, che aveva risposto in maniera efficace al mio
ordine di fare
“tutto ciò che è necessario al tuo
padrone”.
Doimòs, infatti, al contrario di me, si era mantenuto lucido
e
aveva ricordato che, senza gli incantesimi di Alshain, capaci di aprire
un varco per far entrare un estraneo a Herrengton, non gli sarebbe mai
stato possibile portare un Medimago al capezzale del suo padrone,
pertanto ci aveva momentaneamente Smaterializzati ad Amesbury, solo per
farci ricevere le prime cure.
«…Uhmmfff…»
Tesi l’orecchio appena sentii un lamento leggero, mi strinsi
nello scialle e indietreggiai fino al letto, dove mi chinai a osservare
Alshain: non sapevo se avesse cercato di chiamarmi o si fosse solo
lamentato provando a muoversi. Le pozioni del Medimago avevano iniziato
a fare effetto, ma continuava a soffrire per il dolore alla testa e
soprattutto agli occhi, che persisteva benché fossero stati
curati e protetti dalle bende: Mackendrick mi aveva suggerito di
abbassare le luci ed io avevo spento tutti i candelabri, lasciando mio
marito in penombra, illuminato solo dal tenue riverbero delle fiamme
del caminetto. Gli scansai delicata i capelli umidi dal volto bollente
e tumefatto, gli accostai le lenzuola, leggera, e sospirai
più
serena, rendendomi conto che il cupo rantolo che mi aveva spaventata a
morte, si stava trasformando in un respiro più leggero e
regolare.
Alshain, nonostante fosse ottenebrato dalla febbre e dal dolore, si era
arrabbiato moltissimo con l’Elfo, per aver permesso che un
altro
estraneo, oltre a Orion, ci sapesse vivi: Doimòs era corso a
punirsi, ma io ero riuscita a fermarlo, gli avevo dimostrato la mia
riconoscenza, ricordandogli che il padrone era sconvolto e fuori di
sé, ma non era arrabbiato, avrebbe anzi apprezzato
l’iniziativa, l’indomani, perché il
Medimago doveva
visitare anche i bambini. Alla fine, Doimòs si era convinto
di
aver disubbidito a fin di bene e si era limitato a incastrarsi un dito
nel cassetto, appena l’avevo ignorato per tentare di
convincere
Alshain, insieme a Murchadh, a farsi visitare. Quando poi mio marito
aveva preteso che li lasciassi soli, avevo aspettato in anticamera, per
minuti interminabili, durante i quali, terrorizzata, avevo sentito le
sue urla di dolore invadere tutta la villa.
«Non
posso
fare altro, qui, Deidra... dovremmo convincerlo a seguirmi a
Inverness... anzi… sarebbe meglio che andaste al San Mungo,
al
reparto specializzato... Cerca di farlo ragionare… ammesso
che
la sua idea di tenere tutti all’oscuro abbia un fondamento
logico, esistono sistemi per farsi ricoverare senza che nessun altro,
oltre a me, debba sapere che si tratta proprio di lui…
»
«Con ferite
del genere i Medimaghi non chiamerebbero subito gli Aurors, per
raccogliere prove, testimonianze e denuncia? Forse è questo
che
Alshain vorrebbe evitare… »
«Tu…
stai dicendo che lui sa… ha riconosciuto chi è
stato a
farvi questo... non è così?»
Avevo abbassato gli occhi, colmi di lacrime, annuendo in modo
impercettibile, Murchadh mi aveva messo una mano
sull’avambraccio
per consolarmi, poi aveva spiegato ad Alshain che se si fosse fatto
accompagnare a Inverness da lui, non avrebbe subito le procedure che lo
impensierivano. Non c'era stato verso, Alshain si era chiuso in un cupo
mutismo ed era rimasto inerte, lì dove l'aveva adagiato
Doimòs, appena Materializzati, senza considerare
più
nessuno. Ero convinta come Mackendrick che la sua ostinazione fosse
dovuta al delirio e allo stato di ossessione in cui si trovava, dopo
quello che aveva passato, e che probabilmente, al mattino, appena fosse
stato più lucido, sarebbe stato più ragionevole,
se non
per se stesso, almeno per i bambini.
C’era però anche qualcosa d’indefinibile
in lui che
mi riempiva d’inquietudine, quel suo non ammettere obiezioni,
quel suo cercare d’influenzare la volontà e la
determinazione di chi lo circondava, lui che, da quando lo conoscevo,
aveva sempre fatto del dialogo il perno di ogni rapporto. Fin da quando
ero una ragazzina, degli Sherton avevo sentito dire che non avevano
scrupoli a far fare agli altri ciò che volevano, con ogni
mezzo,
per questo la mia famiglia era stata tutt’altro che felice
che mi
fossi innamorata di lui, temevano mi avesse plagiata e che prima o poi
mi sarei ritrovata abbandonata e delusa da quell’uomo. Io
però conoscevo un Alshain diverso, un ragazzo che non
tentava di
forzare la volontà degli altri con la Magia e mi ero fidata
di
lui; per anni avevo visto quella mia fiducia ben riposta, mai aveva
usato qualcosa che non fosse la sua abilità di persuasore
per
convincermi della bontà delle sue idee. La mia
incapacità
di prendere il sopravvento contro la sua ostinazione, in quel preciso
momento, però, mi faceva temere che, per la prima volta,
fosse
ricorso a un mezzo illecito per coinvolgermi nella follia intrapresa,
perché, per quanto mi sforzassi d’impormi, mi
ritrovavo
sempre da capo, alle prese con pensieri inutili e inconcludenti.
Sono
io debole e confusa o sto subendo un tuo incantesimo? Che cosa
è successo, davvero?
Continuavo a chiedermelo, dopo ore, mentre la notte superava il suo
culmine e il temporale si scatenava su di noi; mi sedetti
lì, al
suo fianco, sul letto, gli accarezzai i capelli e osservai quel volto
martoriato, che portava su di sé i tratti che amavo
ricercare e
ritrovare nei nostri figli. Sentii una stretta al cuore e un sospiro
fondo mi si levò dal petto. Gli presi una delle mani
fasciate
tra le mie, la baciai, delicata. Murchadh aveva praticato le sue cure a
lungo, lasciandomi poi dei compiti: guardai il composto odoroso sul
comodino, avrei dovuto applicarlo su ogni ferita visibile.
«Non
hanno
usato solo la Magia, Deidra... l’hanno picchiato a mani nude,
come fanno i Babbani... poi… credo abbiano usato la Magia
per
rinsaldare… male… le fratture prodotte...
»
«Salazar… ma perché? Che follia
è mai questa? Che senso ha?»
«Per farlo
soffrire di più… Non credo ci sia una logica, a
parte
l’odio e la volontà di compiere uno
sfregio… basta
guardargli le mani... questo è odio… odio
puro…
»
Ricordai come avessero straziato le sue mani, quelle mani che cullavano
con dolcezza i nostri figli, quelle mani che mi accarezzavano con
passione. Mi salirono di nuovo le lacrime agli occhi e cominciai a
piangere, senza controllo. Dopo esserci Smaterializzati dal capanno,
avevo cercato di trattenermi in ogni modo, ma ormai ero troppo sfinita
e turbata per riuscire a resistere ancora.
«Ce
la
farà, non è in pericolo di vita, la situazione
appare
più seria di quanto sia in realtà. Hanno goduto
nel farlo
soffrire, nel torturarlo, ma nulla di ciò che vedo lo
porterebbe
alla morte.»
«Nulla di ciò che vedi? Temi ci sia qualcosa
che… qualcosa che sfugge alla vista?»
Murchadh non era riuscito a sostenere il mio sguardo, era andato alla
finestra, sospirando, come se dovesse fare chiarezza nei suoi pensieri
e trovare le parole migliori per spiegarsi. Avevo iniziato a tremare,
l’avevo raggiunto alla finestra, l’avevo costretto
a
voltarsi e a guardarmi negli occhi.
«Voglio sapere tutto… temi ci sia qualcosa che non
riesci a vedere?»
«Sì… ed è questo che mi
preoccupa...
Deidra... tutto questo è troppo strano… sembra
solo un
gesto dimostrativo… ma che senso ha? Non ho mai visto
nessuno in
quelle condizioni riuscire a scappare solo con le proprie forze,
nemmeno Maghi del Nord… Ti prego… aiutami a
convincerlo
ad andare… tutti voi dovreste farlo…
Sì,
Deidra… tu stessa… e soprattutto i
bambini!»
«I bambini? Che cosa vuoi dirmi… ti prego, mi stai
spaventando… »
Era rimasto a lungo in silenzio, terrorizzandomi, se possibile, ancora
di più.
«Dove sono
stati quando li hanno presi? È stato fatto loro qualche
incantesimo? In un certo senso… forse ha ragione Alshain:
non
dovreste andare a Inverness o al San Mungo, ma chiamare una persona
fidata, che conosca bene questo genere di Magia: la Magia
Oscura… Sappiamo entrambi, Deidra, chi è
l’unico ad
avere competenze sufficienti ad affrontare tutto questo... »
«Io non mi fido di quell’uomo, Murchadh!»
«Lo
so… ma Fear ha messo la sua vita al servizio di Herrengton,
ha
giurato di sacrificare se stesso per tuo marito e i tuoi figli! Credo
sia giunto il momento di vedere di cosa è capace…
»
Se n’era andato poco dopo, promettendo di ritornare prima
dell’alba, per darmi il tempo di riflettere e di recuperare
un
poco di energie. Lasciai delicatamente la mano di Alshain sul letto, mi
sollevai, aprii il comodino e presi la mia bacchetta, poi, pensierosa,
tornai alla finestra. A est, in direzione dell’imponente
villa
con i giardini pieni di pavoni che erano il vanto di Abraxas, e in cui
di certo quel maiale stava riposando, compiaciuto dei favori che
avrebbe ottenuto dal Lord per i servizi resi, la coltre di nubi
iniziava a rompersi, lasciando intravvedere il cielo buio, intessuto di
stelle.
Che
cosa hai fatto ai miei bambini, lurido bastardo?
No, non potevo vivere con quel dubbio, non potevo dare ascolto ad
Alshain, fingere che non fosse accaduto nulla e tacere. Dovevo mettere
da parte i timori e il disagio che quel vecchio pericoloso mi
suscitavano e chiedere il suo aiuto… fare tutto
ciò che
era in mio potere per i miei figli.
Che
Salazar ci protegga…
Levai la bacchetta e mi concentrai su un ricordo, uno dei
più
belli della mia vita: la riva del Lago Nero, la trepidazione di due
ragazzi che stanno infrangendo le regole, un giovane dai capelli
corvini mossi dal vento e dal sorriso radioso, le mie mani tra le sue,
le sue labbra sulle mie, le risate per il solletico della sua barba
morbida sulla mia pancia. Dalla punta della bacchetta iniziò
a
formarsi un fascio di luce argentea, che uscendo s’ingrandiva
e
assumeva le fattezze di un’enorme aquila reale.
Cerca
Fear, per terra e per mare: i miei figli hanno bisogno della sua Magia!
Vidi il fascio di luce levarsi, rotolare su se stesso e diventare una
palla argentea che subito sparì, diretta chissà
dove. Mi
distesi, al fianco di Alshain, esausta, mi accostai a lui, leggera,
prendendo la sua mano tra le mie. E finalmente mi abbandonai al sonno,
grata, udendo il suo respiro regolare.
***
Rigel Sherton
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972
«Signor Malfoy...
può andare... ci pensiamo noi... »
Avevo ascoltato speranzoso il Preside, quando aveva detto “NOI”,
credevo che dietro di lui ci fosse mio padre, a portare un minimo di
consolazione a mia sorella e a me, al termine di quella giornata
tremenda. Quando, invece di papà, vidi apparire, intabarrato
in
un mantello nero con il cappuccio che gli celava parte del viso, zio
Phelan, il fratello maggiore della mamma, rimasi deluso e, soprattutto,
sorpreso: avevamo sempre avuto poco a che fare con lui
perché,
ai tempi del fidanzamento dei miei genitori, lo zio li aveva osteggiati
almeno quanto aveva fatto nonno Donovan, per motivi opposti ma
altrettanto stupidi. In seguito, pur rappacificato con la mamma, lo zio
aveva provocato più volte mio padre riguardo alla politica,
per
questo non si erano mai frequentati volentieri. Crescendo, avevo
percepito quanto la mamma soffrisse per il comportamento del fratello,
così avevo iniziato a prendere in antipatia quell'uomo:
certo,
per non dare altri dispiaceri a mia madre, avevo cercato di seguire
l'esempio di Mirzam, sforzandomi di contenere i miei malumori le rare
volte in cui me l'ero trovato di fronte, ma quando mi si era presentata
l'occasione di evitarlo o ignorarlo... non me l'ero fatta scappare! Non
che lui si sforzasse di fare un passo verso di noi, tutt'altro: oltre
l'evidente disprezzo per tutto ciò che rappresentava
Herrengton,
aveva rifiutato l'invito al ricevimento per il matrimonio di mio
fratello. Mirzam non se l'era presa, lo conosceva e, visti i
precedenti, addirittura si augurava che non si facesse vedere, mamma e
papà, invece, si erano arrabbiati così tanto che
immaginavo avessero interrotto ogni rapporto con lui.
Per tutte queste irritanti vicende, zio Phelan era l'ultima persona che
immaginavo di trovarmi davanti, quella sera; la mia sorpresa e la mia
delusione, però, durarono poco: appena iniziai a riflettere,
infatti, compresi che la sua presenza dava un senso, un unico, preciso,
mostruoso senso, a quanto era accaduto quel giorno. Come avviene a
tutti i pezzi di un puzzle, ogni evento si dispose infine al proprio
posto: il mio incidente, le mie visioni, lo svenimento di Meissa, il
silenzio teso di amici e professori, l'espressione sordida di Lucius,
la misteriosa prima pagina del Daily Prophet... e a
completare il
tutto, la presenza inaspettata e altrimenti immotivata di uno zio da
sempre assente.
… Tutto questo ha senso solo se...
Poteva esserci un solo motivo se papà e mamma, pur sapendoci
feriti, non si presentavano a scuola ma arrivava un nostro parente al
loro posto. Nulla, a parte qualcosa di orribile li avrebbe tenuti
lontano da Meissa e da me. Il respiro mi si mozzò. Mi
aggrappai
al lenzuolo così forte da strapparlo.
L'Erede
di Hifrig
si manifesta quando il precedente Signore di Herrengton è in
fin
di vita... ma il signore di Herrengton, stupido che non sono altro, non
è mio fratello... è mio padre! Salazar!
È successo
qualcosa a papà! E la mamma? Perché non
è qui
almeno lei? Salazar... No... NO!
«Vi chiedo per cortesia di
uscire e lasciare
il signor Llywelyn da solo con i nipoti... Horace, per favore,
riaccompagna nei sotterranei i tuoi studenti... »
La voce del Preside era lontana, un bisbiglio che appena udii, vidi con
la coda dell'occhio Lucius, Narcissa e Slughorn, seguiti dallo stesso
Rabastan, appena medicato, uscire dall'infermeria, mesti: erano solo
pallide ombre per me, ai cui gesti non sapevo neanche dare un
significato, c'era solo buio, ora, nella mia testa, finché,
a
pioggia, da quell'oscurità confusa, iniziarono ad animarsi
immagini terrificanti sulle quali campeggiava il ghigno mostruoso del
Mangiamorte di Herrengton.
Qualcosa di caldo e salato mi raggiunse le labbra, stavo piangendo,
lacrime silenziose e implacabili. Inarrestabili. Rapido, pieno di
vergogna, mi passai la mano sul viso, per cancellare la mia debolezza:
l'avevo giurato a me stesso, quella notte, non mi sarei più
comportato da bambino, figurarsi in quel momento, alla presenza di uno
zio che detestavo e del Preside che non stimavo. Per quanto facessi per
controllarmi, però, la schiena continuava a essere scossa da
singhiozzi sempre più rapidi e violenti, e la gola si
serrava
dal dolore. In silenzio, Dumbledore fece il giro delle porte e impose
ovunque degli incantesimi non verbali, poi si fermò di
fianco al
mio letto, zio Phelan intanto si era avvicinato a Meissa e dopo averla
osservata, immobile, si era chinato su di lei e le aveva preso le mani
tra le sue, sfiorandole con le dita e studiandole a fondo. Sembrava
pervaso da interesse genuino e un certo affetto, il che mi parve
strano, trattandosi di mio zio, ma ero così confuso e fuori
di
me da non capire se fosse vero o frutto della mia immaginazione. Quando
lo zio parlò all'orecchio del Preside e si
avvicinò al
mio letto, però, dicendomi di stare tranquillo, l'urgenza di
sapere quanto fosse accaduto mi riscosse da quel senso di torpore e
stordimento.
«Perché mia sorella
è svenuta?
Che cosa sta succedendo? E cosa ci fai tu qui? Dove sono mio padre e
mia madre? Perché nessuno di voi mi vuole
rispondere?»
Di fronte alla mia agitazione, i due Maghi rimasero enigmatici e muti,
lo zio si sedette sul mio letto e mi prese le mani tra le sue;
all'inizio pensai che fosse il Sangue a fargli mostrare, infine, un
minimo di partecipazione verso di me, ma il suo interesse si
concentrò subito solo sulle mie mani: quando
provò a
togliermi le bende, iniziai a scalciare per sottrarmi alla presa,
invano.
«Lasciami immediatamente, che
cosa credi di fare? Voglio sapere la verità!
Lasciami!»
«Tra un momento, Rigel... ora
non c'è
tempo da perdere... devo curarti... lasciami fare... »
«COSA? Tu non sei un Medimago!
Lasciami! Che
cosa fai? Lasciami ti ho detto! NON MI TOCCARE! Tu non sei niente, per
me! Non mi sei stato mai nemmeno parente! Vattene! NO! NO! VATTENE! Non
ti voglio qui... NOOO! Lasciatemi! NO! NO! LASCIATEMI! NO! NO!
NOOO!»
Mi ero ribellato come un gatto selvatico, mentre lo zio imponeva un
tocco di bacchetta all'ultimo strato di bende, scoprendo le mie mani
prive di ferite; terrorizzato, avevo cercato con lo sguardo l'aiuto del
Preside, sapeva quanto fosse importante che nessun estraneo scoprisse
la verità ma Dumbledore era tutto concentrato a studiare i
movimenti della bacchetta dello zio sulle mie mani e non aveva fatto
nulla. Mi ero sentito tradito anche da lui, aveva ragione
papà a
dire che del Preside Dumbledore non bisognava fidarsi. Avevo stretto i
denti e, con le poche forze che avevo ancora, mi ero tirato su e avevo
dato uno spintone allo zio, per allontanarlo, ottenendo invece che il
Preside lo aiutasse a tenermi fermo. Ora ero solo, indifeso, impaurito,
impotente. Avevo lottato come una furia, ma ormai ero stanco,
infinitamente stanco: le forze scivolavano via, mio zio mi fissava,
preoccupato, borbottando qualcosa a fior di labbra, qualcosa che
sembrava, anzi era, gaelico antico.
Le nostre litanie... i nostri riti…
com’è possibile? Lo zio non fa parte della
Confraternita...
«Puoi fare qualcosa per le sue
mani?»
Lo zio annuì e tirò fuori da una tasca del
mantello una
boccetta di vetro e argento che conteneva dell'inchiostro. Respiravo a
fatica, avevo la mente confusa, non capivo cosa stesse accadendo, per
quale motivo mio zio, che da sempre era in lotta con la Confraternita,
aveva con sé una boccetta identica a quelle che i Decani e
mio
padre usavano per tracciare le Rune. Ero così sconvolto e
sfinito che, quando sotto il cappuccio del mantello, i suoi ispidi
capelli rossi si fecero neri a ciuffi, la carnagione lentigginosa
divenne bruna, velata da una barba leggera, mentre la mano
s’ingrandiva e si deformava intorno alla mia, mi convinsi di
sognare.
Sì... Forse... mi sto svegliando... forse quest'incubo sta
per finire...
No... Rigel... ricordi? Che cosa ti ha insegnato la mamma sugli effetti
di una Polisucco?
Intorpidito, in testa la voce di papà e il pensiero della
mamma,
mi feci forza e tentai di tenere aperti gli occhi, lo fissai:
quell'uomo non era mio zio, ma io conoscevo quella faccia, sapevo il
nome di quell'uomo, l'avevo visto anche di recente... ma non riuscivo a
concentrarmi tanto da ricordare.
«Chi diavolo sei? Che cosa
vuoi da me? Che
cosa… mi… avete... fatto... Per...
ché... »
Tutto diventò nero e fluido attorno a me mentre annaspavo
nell'Oblivion silenzioso del Preside.
***
Orion Black
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972
Se non è corso qui,
a Hogwarts... dove diavolo è finito quel cane di Malfoy?
C'era anche questa domanda, ancora priva di risposta, a rendermi
intollerabile l'attesa. Uscito dall'ufficio del Preside e tornato in
anticamera, mentre Fear e Dumbledore finivano di discutere, ero andato
a sedermi e mi ero allentato un po' la cravatta: ero talmente agitato
che le mie mani tremavano e un leggero velo di sudore freddo
m'imperlava la fronte. Per evitare di sentirmi male, avevo bevuto un
sorso della mia pozione medica, la portavo sempre con me, proprio per
affrontare situazioni di tensione come quella, poi, in attesa che
facesse effetto, avevo cercato di calmarmi in tutti i modi, facendo
respiri fondi e provando a non pensare più a nulla.
Naturalmente
non c'ero riuscito. Un quarto d'ora più tardi, passato io a
rimuginare, agitarmi e sospirare, Fear e Dumbledore a discutere,
eravamo scesi insieme in infermeria, senza rivolgerci mezza parola, e
lì, di nuovo, ero dovuto restare fuori, mentre Fear andava a
curare i ragazzi e, soprattutto, verificava la consistenza di tutti
quei sospetti su Rigel, di cui io mi ostinavo a non voler sapere nulla.
Non era stato facile farsi da parte: il desiderio di tenersene fuori
per il bene della mia famiglia si scontrava con la volontà
di
aiutare Alshain e i suoi figli, ma anche con la paura della reazione
del Signore Oscuro, se non avessi collaborato. Non volevo cedere al
panico, scatenato da quest'ultimo aspetto della vicenda, avevo finito
perciò con il concentrare i miei pensieri sul
perché Fear
fosse lì, anche se in breve tempo ero stato travolto da
dubbi
addirittura peggiori. Da quando avevo sentito per la prima volta il suo
nome, sapevo che gravavano tanti sospetti su MacPherson ma Alshain,
sostenendo che fossero vecchie dicerie infondate, mi aveva convinto a
fidarmi di lui; con il tempo, invece, avevo compreso che il mio
migliore amico si sbagliava di grosso su quel dannato Mago e ne avevo
avuto una tragica conferma la notte in cui era successo il finimondo a
Herrengton, quando avevo visto con i miei occhi quel vecchio pazzo di
Fear pronto a sacrificare Rigel.
No, non avrei dovuto lasciare i ragazzi soli nelle sue mani! Dovevo
entrare e controllarlo!
Quanto a Dumbledore, i miei giudizi andavano da “patetico buono a
nulla”, a “lurido
Babbanofilo traditore”, al più grave “mefistofelico
macchinatore” e,
al termine di quella giornata orrenda, non ero certo dell'umore
più adatto a concedergli il beneficio di un mio
ripensamento.
Tutt'altro. L'idea assillante dei ragazzi nelle mani di quei due vecchi
rincitrulliti mi aveva chiuso lo stomaco e fatto aumentare il senso di
oppressione al petto, al punto da convincermi a entrare e vedere con i
miei occhi che cosa stesse succedendo, soprattutto quando avevo
sentito, seppur attutita, la voce di Rigel che ordinava loro di non
toccarlo. Mi ero alzato, avevo messo la mano sulla maniglia, pronto a
intervenire, e lì mi ero accorto che la porta era stata
bloccata
dall’interno e non si apriva più.
Maledetto traditore Mezzosangue! Dovevo immaginarlo che sarebbe finita
così!
Non avevo potuto fare nulla, mi ero messo da solo nelle condizioni di
essere una presenza inutile. Per tutto il tempo, sospirai
più e
più volte, maledicendomi per la mia ingenuità e
finendo
con il bere, un sorso dopo l'altro, quasi tutta la pozione
tranquillante, nel vano tentativo di far sparire le immagini spaventose
che la mia fantasia aveva iniziato a creare. Alla fine, tra gli effetti
della pozione, la stanchezza e la tensione accumulata, avevo la mente
del tutto intorpidita.
Perfetto! Essere
incapace di pensare e reagire prontamente sarò molto
indicato,
quando sarò alle prese con quel pazzo maniaco assassino di
Rodolphus Lestrange!
Nonostante tutto, avrei bevuto volentieri altra pozione, per cercare di
non agitarmi ancora di più nel ricordare cosa quel folle
avesse
fatto a quei dannati Aurors su, in cima alla torre di Herrengton, ma
non ne era rimasta più nemmeno una goccia. Mi abbandonai su
un
divanetto, inerte, sperando che il torpore passasse in fretta. Per
fortuna, alla fine, attesi così a lungo lì, da
solo,
nell'anticamera dell'infermeria, illuminata dalle fiamme dei bracieri,
che l'effetto ipnotico della pozione ebbe tutto il tempo di arrivare al
suo culmine e iniziare a dissiparsi, prima che Fear uscisse ed io
potessi entrare a vedere i ragazzi. Stranito dalla stanchezza e da
quella specie di “sbronza
medica”,
ero convinto di aver trascorso l'intera notte mezzo svenuto su quel
vecchio sofà: per riprendermi un poco, a un certo punto, mi
ero
alzato e mi ero sgranchito, ero andato alla finestra ed ero rimasto a
lungo a osservare la nera massa informe della notte che ammantava ogni
cosa, ancora più oscura là dove gli alberi
innevati si
aprivano intorno al Lago Nero, e rossa delle fiamme dei bracieri, via
via che si faceva più vicina, sulle alte torri della scuola,
sui
cortili innevati e sui portici attraversati dal vento. Un Elfo si era
presentato un paio di volte per offrirmi cibo e da bere, ma io, preda
della nausea, avevo preferito congedarlo senza servirmi. Infine,
esauriti gli effetti deprimenti della pozione, mi ero ritrovato privo
di forze, ma calmo e lucido, così avevo sfruttato solitudine
e
silenzio per valutare i ricordi della giornata, alla ricerca di un
dettaglio che mi aiutasse a infondere speranza nei ragazzi, come voleva
Deidra, senza mancare alla promessa fatta ad Alshain, di non dire loro
tutta la verità.
L'unico momento tollerabile della giornata era stato il mio incontro
con Narcissa: ero nell'anticamera dell'infermeria, Dumbledore e Fear
erano entrati da pochi minuti, quando avevo visto uscire Lucius Malfoy,
un damerino anemico, se possibile ancora più borioso e
irritante
del padre, quell'inquietante disadattato del giovane Lestrange, rimesso
a nuovo dalla Pomfrey, seguito e redarguito da Slughorn, e infine la
mia meravigliosa nipote. Mi ero intrattenuto con lei, la consideravo la
mia sola nipote ormai, così cortese e aggraziata da
concedermi,
sebbene per pochi minuti, l'illusione che fossi a Hogwarts in visita di
cortesia e che tutto quel dannato giorno fosse solo un incubo. Narcissa
mi aveva raccontato che Meissa era stata aggredita da quel porco di
McNair e che lei e suo cugino, Evan Rosier, avevano prestato le prime
cure alla bambina. Le avevo stretto la mano, ringraziandola come
padrino dei ragazzi e salutandola come zio, compiaciuto e fiero di lei.
Dovrò
fare
qualcosa per rivalermi su McNair e sul Preside per quanto è
accaduto oggi ai ragazzi... non sarei un buon tutore, per loro, se non
lo facessi!
A quel punto, mentre, come un disco rotto, i pensieri erano tornati a
Fear e alla pessima sensazione che mi stesse sfuggendo qualcosa
d’importante, il vecchio Mago del Nord era uscito
dall'infermeria: lo stomaco mi si era chiuso all’istante, al
pensiero di dover entrare e straziare i ragazzi con le mie bugie e,
peggio ancora, dover poi tornare a casa ad affrontare Bellatrix e
Rodolphus. Ricominciai a sudare freddo, mentre osservavo Fear, scortato
da un Elfo fino a uno dei camini: mi passò vicino e rispose
a
malapena al mio saluto, taciturno e spossato, benché fosse
rimasto dentro appena due ore. Mi fece una stranissima impressione, non
sembrava neppure lui, il bastardo irritante che, ahimè,
avevo
imparato a conoscere fin troppo bene. Persino col Preside si
comportò in modo strano, si congedò dalla scuola,
infatti, senza fare nemmeno una delle sue abituali taglienti battute
sul suo ignobile Stato di Sangue. Non lo vidi bene in faccia, si era
già calato il cappuccio su buona parte del volto, ebbi,
però, la sensazione che la sua altezza fosse eccessiva, sia
per
Phelan sia per Fear. Forse aveva assunto l'aspetto di qualcun altro,
prima di allontanarsi da Hogwarts, e non mi preoccupai più
di
lui: dopo tutte quelle ore di attesa infinita, infatti, Dumbledore mi
stava invitando a entrare.
*
Avanzai tra le due fila di letti, preda di una trepidazione molto
potente, simile a quella provata quando avevo fatto visita, mesi
addietro, al mio piccolo Sirius, quando l’avevano aggredito.
Per
prima vidi Meissa, distesa nel lettino più vicino
all'ufficio
della Pomfrey, a destra: mi accostai, riposava serena, i lunghi capelli
corvini che le scendevano come due nastri di seta a incorniciarle il
viso, le coperte bene accostate sulle spalle e il respiro leggero, di
chi sta dormendo profondamente.
«A parte lo spavento e un
bernoccolo dovuto
alla caduta, la bambina sta bene. Madame Pomfrey le ha somministrato
una pozione rilassante, si sveglierà domattina... »
Guardai il Preside e annuii: avrei preferito trovarla sveglia, per
evitare di dover ripetere le mie menzogne o dover passare un'altra
intera notte a cercare le parole giuste per dare loro un dolore
inenarrabile, ma mi consolavo nel sapere che almeno lei stesse bene.
Dumbledore mi accompagnò quindi al letto del mio figlioccio,
in
silenzio: anche Rigel riposava, ma il suo sonno era agitato dalla
febbre. Vidi le sue mani fasciate e un brivido mi attraversò
la
schiena: i bambini erano in salute, Meissa aveva solo bisogno di
riposo, Mirzam era fuori dai giochi, altrimenti Fear non si sarebbe
precipitato a Hogwarts. Avevo fatto di tutto per non sapere, ma la
verità era lì, urlata, di fronte a me.
Rigel
è il futuro signore di Herrengton... non ci sono
più dubbi, ormai...
Il Preside, vedendomi esitare, iniziò a farmi un lungo
discorso
che non compresi, in cui mi rammentava che il ragazzino si era perso e
ferito nel bosco, poi si chinò su Rigel, gli tolse le bende,
e
mi mostrò lunghe e profonde ferite sui dorsi e i palmi delle
mani, simili a graffi lasciati dagli artigli di un animale selvatico o
dalle lunghe e dure spine ricurve dei rovi. Lo guardai stupefatto.
«Che cosa significa? Mi
avevate detto che non aveva ferite! Che cosa sono quelle?»
«Le ferite c’erano
ma sembravano
così superficiali da non poter causare la perdita di tanto
sangue. Secondo Fear, invece, è come con le Rune: il
Maleficio
subito dal ragazzo a Herrengton tende a nascondere i segni esteriori
delle ferite e, rendendo più difficile comprenderne la
gravità e sbagliando l'approccio e le cure, di fatto porta
il
giovane a indebolirsi sempre più. Per fortuna, con le
pozioni
che aveva con sé, Fear è riuscito a rilevare le
ferite e
a curarle; ora la Pozione Rimpolpa-sangue della Pomfrey
funzionerà e, grazie agli unguenti, le lesioni si
rimargineranno
velocemente e bene, così non resteranno neanche le
cicatrici. Ti
ho fatto preoccupare senza motivo, Orion... mi spiace... »
Annuii, ma non ero convinto, così presi le mani di Rigel e
le
osservai con attenzione: credevo e temevo che sotto quelle bende non ci
fosse nulla, e che quelle che stavo vedendo fossero ferite finte,
invece, sia alla vista sia al tatto, mi accorsi che non erano un trucco
né l'effetto di un incantesimo.
Com'è
possibile? Ricordo che cosa avvenne ad Alshain quando il padre fu in
punto di morte… è normale che la situazione di
Rigel sia
completamente diversa? O forse è indizio che non si tratta
di
lui? Chi è allora? L’Erede non è uno
dei bambini,
né Meissa, resterebbe solo... possibile che sia Mirzam?
Cercai di mascherare il mio turbamento: Alshain, era vivo per miracolo,
l'Erede doveva essersi manifestato in qualche modo... era impossibile
che non fosse accaduto nulla... a meno che...
Alshain è
già stato male... il giorno del matrimonio... anche in quel
momento sembrava più morto che vivo... perché
l'Erede non
si è manifestato allora?
Aspetta Orion...
Rigel era vittima della Fiamma... e Meissa era sparita... vero... e
anche allora... anche allora nessuno di noi è riuscito a
vedere
Mirzam...
L'unica soluzione logica era che si trattasse proprio di Mirzam ma, a
quel punto, la presenza di Fear a Hogwarts non aveva più
senso.
C'era qualcosa che non mi convinceva. Dovevo riflettere con calma: se
fosse stato necessario, avrei messo le mani addosso a Fear e preteso
spiegazioni.
«Gli avete detto che cosa
è successo?»
«No, Fear ha solo valutato e
curato le ferite.
Il ragazzo non si è mai neanche ripreso... »
«Mai? L'ho sentito urlare
dall’anticamera! Sarei intervenuto se non mi aveste chiuso
fuori!»
«È stato
necessario, Orion: la
Polisucco stava finendo i suoi effetti e visto quanto era sconvolto,
non mi è sembrato il caso che il ragazzo vedesse suo zio
tramutarsi in Fear.»
«Così l'avete
sedato! Bene! Ora
toccherà a me svegliarlo, affrontare la situazione,
mentire!»
Lo osservai, disteso nel lettino, i capelli umidi di sudore,
appiccicati al volto reso smunto da troppi giorni di continua
sofferenza: tra i figli di Alshain, Rigel era quello che più
gli
assomigliava, nell’aspetto pareva non aver influito in alcun
modo
la famiglia della madre. Per quanto riguardava i gesti e il carattere,
invece, Rigel era la copia di suo padre solo in apparenza: fin da
piccolino, soprattutto quando era solo o pensava a qualcosa molto
intensamente, assumeva la stessa espressione riflessiva ed eterea che
era uno dei tratti caratteristici di sua madre.
Mi chinai su di lui mentre Dumbledore aveva la decenza di andare alla
finestra e mettersi a fissare la notte, mi sentii girare la testa, la
memoria mi riportò a un altro capezzale, a un bambino di
molti
anni più piccolo, ferito gravemente: ricordai commosso quei
grandi occhi di luna, cerchiati dalla febbre, che si aprivano
improvvisi su di me e le piccole dita che si stringevano attorno alle
mie.
Zio...
Orion...
«Affrontare la situazione e
mentire? Bizzarra scelta di parole, Orion… »
La voce del Preside mi riportò, irritante, al presente, mi
voltai, alterato e astioso, Dumbledore riusciva sempre a suscitare in
me, con i suoi modi insidiosi, tutta l'aggressività repressa
che
covavo.
«... Mentire è una
scelta personale,
nessuno può vietarci di dire la verità...
»
«Non so di cosa state
parlando... e non ho tempo per ridicoli indovinelli!»
«Alshain e Deidra Sherton sono
vivi, non
è così? Non fingere... Ti sei tradito quando ti
sei reso
conto che il famigerato Erede non è né Rigel
né
Meissa... E la presenza di Fear, qui, farebbe pensare che non lo sia
neppure Mirzam... dunque potrebbero essere solo i bambini…
ma tu
sai che non è così, perché li hai
visti, insieme
ai genitori, ed è per questo che sei rimasto così
sconcertato!»
«Queste farneticazioni non
meritano risposta! Non mi presterò a questi stupidi
giochetti!»
«Qui sei tu, Orion,
l’unico a giocare. E
con le vite di questi ragazzi, dei tuoi figliocci! Qualsiasi promessa
tu abbia fatto a Sherton, valuta, mano sulla coscienza, cosa sia giusto
fare!»
La parola “promessa”
mi fece rabbrividire, cercai di reprimere i dubbi che già mi
stavano assalendo: qualcuno mi aveva forse pedinato fino al capanno nel
Wiltshire? Ricordai la strana sensazione di “presenza”
nel bosco, attorno al capanno, e, peggio ancora, il discorso fatto da
Fear su Warrington, al quale pareva avesse ordinato di seguirmi per
tutta Londra. E se quello sbruffone mi avesse pedinato fino nel
Wiltshire? No, non era possibile! Non c'era nessuno nel bosco... Doveva
essere una mia suggestione, dovuta alla stanchezza o a un trucco del
Preside: la capacità di Dumbledore di bluffare, mentire,
mettere
tutti alla prova, non aveva uguali. Ci stava provando ed io, con i
nervi tesi che mi ritrovavo, rischiavo di cadere nelle sue trappole,
ammettendo e mostrando più del dovuto.
«Se sono impallidito, come voi
dite, Albus,
è perché non immaginavo di vedere ferite
così
brutte. Eppure, lo ammetto: è la prima notizia buona della
giornata: sono felice che quella congrega di pazzi del Nord non
potrà rovinare l'esistenza di Rigel e Meissa. Sì,
ne sono
sorpreso e sollevato!»
«Abile oratore come al solito,
Orion... puoi
ingannare me, o un estraneo, certo, ma dimmi... riuscirai a ingannare
la tua coscienza, quando questi ragazzi ti guarderanno dritto negli
occhi?»
«Sono stanco di voi e delle
vostre ciance,
Albus! Non ho altro da dirvi! Sappiate solo che non vi
permetterò di turbare questi ragazzi con le vostre assurde
teorie cervellotiche!»
«Assurde teorie cervellotiche?
Non ti sei
chiesto come mai l’Erede non si sia manifestato
già la
notte dell’agguato a Herrengton? Eppure anche quella notte
Alshain è stato in punto di morte! Ebbene...
sì...
È avvenuto, anche se nessuno se n’è
accorto.
È da allora che Fear ha capito: l’Erede
è Mirzam,
per questo il ragazzo non è tornato a casa, mentre tutti lo
cercavano... Il vecchio, non fidandosi completamente di lui, ha preso e
spostato la Fiamma. Ora, però, pare che il ragazzo sia
scappato
e deve aver trovato anche la reliquia, perché sia Habarcat
sia
le carte di Doire sono sparite con lui... Intende usarle per
sé?
Le darà a Voldemort? Nessuno ha idea dei suoi propositi, ma
è facile intuire che cosa accadrà nelle Terre,
quando la
notizia si spargerà e nessuno dirà la
verità su
Alshain Sherton: le Terre si divideranno in fazioni, l'hai detto anche
tu, nemmeno due ore fa... e tu sarai responsabile della sorte di questi
ragazzi, se deciderai di mentire!»
«Ora basta!»
Gli diedi le spalle, deciso a non sentire altro, mi sedetti vicino a
Rigel, tenendogli le mani e continuando a fissare quelle ferite, poi,
con un incantesimo, rimisi le garze e le bende al loro posto.
Dannati scozzesi,
che intenzioni avete? Ciò che dice Dumbledore è
la
verità? Perché Alshain preferisce far soffrire i
figli
che mostrarsi vivo al mondo? Da chi sta veramente scappando Mirzam? Ed
io? Che cosa posso fare? Che cosa devo fare? Assecondare Alshain o
rispettare il desiderio di Deidra? Che cosa accadrebbe se azzardassi a
fidarmi della maturità di Rigel, confessando almeno a lui
quello
che so? E se invece questa folle posizione, nonostante tutto, fosse
sensata? Se esponessi io i ragazzi a un pericolo reale, qualora
rompessi la promessa fatta?
«Rigel... »
Attesi ma non ci fu alcuna reazione, mi avvicinai col viso al suo
orecchio e ritentai.
«Rigel mi senti?»
Di nuovo nulla, a parte un leggere movimento degli occhi sotto le
palpebre, forse stava sognando. Feci una leggera pressione sul suo
avambraccio, per favorire il risveglio.
«Rigel... apri gli occhi...
»
Iniziava a percepirmi: corrugò la fronte, come chi lotta per
emergere dall'incoscienza. Alla fine aprì gli occhi e mi
ritrovai a fissare lo stesso profondo sguardo di mercurio del mio
migliore amico. Gli passai rapido la mano sul viso, per scansargli i
capelli umidi dalla faccia, poi mi allontanai appena, perché
mi
vedesse bene, mi riconoscesse e si tranquillizzasse.
«Eccolo... è
cosciente, finalmente! Ora lasciatemi solo con il mio figlioccio,
Albus!»
***
Rigel Sherton
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972
Non lo
permetterò mai più... nessun altro
m'ingannerà...
«Rigel... »
Non
lascerò più che mi trattino da bambino... non di
nuovo...
«Rigel mi senti?»
Io non sono più un bambino... non verserò
più lacrime...
«Rigel... apri gli occhi...
»
Una voce emergeva da quel silenzio, pervaso solo dalle mie parole,
dalle mie preghiere, continue, ossessive. Una mano forte prese il mio
avambraccio, lo strinse, deciso, senza farmi male. Catturai un profumo
intenso, di spezie orientali: lo conoscevo, lo ricordavo, ma non
riuscivo a identificarlo.
È... è il profumo
di... il profumo che ho sentito a casa di...
Riemersi dall'oblio e trovai, a pochi centimetri da me, due profondi
occhi grigi che mi fissavano.
Il profumo, gli occhi...
La mente iniziava a reagire, sentii la mano staccarsi dal mio
avambraccio e passare rapida sulla mia faccia, per scansarmi un poco i
capelli, gli occhi si allontanarono e, finalmente, riuscii a mettere a
fuoco il volto serio e impassibile di Orion Black, il mio padrino.
«Eccolo... è
cosciente, finalmente! Ora lasciatemi solo con il mio figlioccio,
Albus!»
Il signor Black mi prese le mani tra le sue, restò muto e
immobile, finché io non mi ripresi e non sentì i
passi
leggeri del vecchio allontanarsi e la porta dell'infermeria chiudersi,
allora si alzò dalla sedia accanto al mio letto, fece il
giro
delle porte, lanciando un paio di Muffliato, quindi sistemò
uno
dei separé, alzò la bacchetta e lanciò
un ultimo
incantesimo per alterare i suoni. Sentii il cuore accelerare: avevo
paura che nemmeno lui fosse chi diceva di essere. Lo osservai,
sospettoso.
«Rigel, come ti senti? Ti fa
male qualcosa? Ti
va di parlare? Io dovrei dire a te e a tua sorella una cosa importante
ma Meissa sta dormendo e... al contrario di te, è ancora
troppo
piccola... te la senti di ascoltarmi? Se sei stanco, tornerò
domani… altrimenti per ora la dirò solo a te...
»
Il cuore accelerò ancora di più: dalla
serietà con
cui mi guadava, compresi che era arrivato il momento decisivo e il “me moccioso”,
che cercavo di nascondere dietro la corazza, avrebbe fatto di tutto, in
quel frangente, per essere “ancora
troppo piccolo per sapere”, proprio come mia
sorella.
Non
fare il vigliacco, Rigel!
«Dunque è vero...
è successo
qualcosa di brutto ai miei genitori, non è così?
Meissa
lo deve sapere già... nessuno ha voluto parlarmene, ma credo
sia
svenuta quando gliel'hanno detto... »
Cercai di mostrare una fermezza che non avevo, Orion tornò a
sedersi, stavolta non sulla sedia ma direttamente sulla coperta, al mio
fianco, mi posò la mano sulla spalla, stringendola appena,
come
aveva fatto mio padre, anni addietro, prima di dirmi che Rufus, il mio
lupo, era morto, o di darmi qualche altra pessima notizia. Senti il
cuore perdere un battito, poi un altro, il respiro mozzarsi. Cercai di
trattenere le lacrime, dovetti chinare il capo per alcuni secondi per
recuperare un minimo di contegno; quando tornai a fissarlo, vidi Black
esitare a sua volta, mordersi addirittura le labbra.
«Ragazzo... »
«Per favore... niente bugie...
»
La voce mi uscì più stridula e lamentosa di
quanto avrei
voluto, mi fermai subito, per recuperare il coraggio e dissimulare
meglio, poi lo guardai di nuovo, facendo ricorso a tutta la mia rabbia,
al mio orgoglio, volevo che capisse che non mi stavo lamentando, ma che
ero furioso.
«... non come il Preside... ha
addirittura... permesso che un estraneo entrasse qui e... »
M'interruppi ancora, non potevo parlare dei dubbi che avevo su me e su
Herrengton nemmeno al mio padrino, perché non sapevo se
valessero ancora le certezze su cui avevo sempre contato.
Orion Black cos'è? Un amico o un nemico? Ho così
tanta paura e tanta confusione dentro di me.
«... si fingesse mio zio... ma
non era lui! Che cosa vogliono tutti da me e da Meissa?»
«Quell'uomo era Fear, Rigel:
mi dispiace che
ti abbia turbato, è colpa mia, pensavo che sarebbe bastato
che
Dumbledore rimanesse qui con voi perché tutto andasse
bene...
dovevo assicurarmi che tu e tua sorella steste bene. Per questo gli ho
chiesto di entrare e “controllarvi”…
»
«Perché? A quale
titolo... »
«Perché tu, i tuoi
fratelli e le tue
sorelle siete i miei figliocci... e questo già lo sapevi...
mesi
fa, però, tuo padre mi ha anche nominato vostro tutore
legale,
perciò, in assenza dei vostri genitori, mi
prenderò io
cura di voi... non so molto della Confraternita, per lo meno non le
cose più segrete e importanti, per questo mi è
sembrato
saggio chiedere l'aiuto di un uomo come Fear... »
Mi portai le mani bendate sulla faccia, incapace di respirare, il
sangue veloce m'imporporava e scaldava il volto. Avevo smesso di
ascoltarlo molto prima che parlasse di Fear, quella parola, “tutore
legale”,
aveva assorbito e annullato tutte le mie residue speranze: non pensavo
che l'avrebbe detto così, in maniera pulita, asettica,
indiretta. Non sapevo come l'avrebbe detto, ma la verità
alla
fine era stata svelata. Fu come prendere uno schiaffo in piena faccia.
Chinai la testa e strinsi il lenzuolo. Respiravo male, volevo sapere,
dovevo sapere, ma non ero forte a sufficienza.
«Da quanto so... il tutore
legale interviene
solo quando... allora... papà e mamma... sono... »
«Significa SOLO... guardami
Rigel... significa
solo che finché la situazione non sarà chiarita,
per
tutelarvi da chiunque avanzi pretese, io curerò i vostri
interessi... Rigel... Rigel... »
Mi fissavo le mani, pietrificato e ammutolito dalla disperazione.
«Mi prenderò cura
io di voi, come ho
promesso ai miei migliori amici, vi tratterò come vi
tratterebbero loro, tu e tua sorella non avrete che da chiedere ed io
provvederò... qualsiasi cosa... »
«Qualsiasi cosa…
Certo… E mio
padre e mia madre? Puoi forse ridarmeli? NO! Nessuno può! O
credi forse che m'importi qualcosa di tutto il resto? Che possa
bastarmi tutto il resto?»
Mi morsi la lingua, immaginai lo sguardo severo che mi avrebbe rivolto
la mamma se fosse stata presente, ma il signor Black, a parte la
sorpresa per la mia mancanza di autocontrollo, alla quale di certo non
era preparato, non diede cenno di scomporsi o di volermi riprendere, fu
anzi comprensivo.
«Il resto è niente,
rispetto ai tuoi
genitori, lo so... io ho promesso a tuo padre di fare di tutto per
voi... ma non serviva prometterlo o giurarlo o metterlo per iscritto...
io VOGLIO fare tutto ciò che posso… tra l'altro
intendo
capire cosa è successo alla tua famiglia e, se possibile,
riportarla a casa... Tu però non dovrai perdere la speranza,
Rigel... devi avere fiducia e... sostenere tua sorella!»
Tornai a guardarlo, come si osserva un pazzo visionario, incapace di
comprendere le sue parole.
«Speranza? Quale speranza?
Ancora non so
nulla, ma mi basta vedere Meissa, ridotta così, e tutti voi,
qui, con queste facce, questi silenzi... ed io... IO NON SONO UNO
STUPIDO!»
«No, non lo sei, sei grande e
responsabile,
Rigel... per questo ti dirò come stanno le cose. Tua sorella
è svenuta quando McNair l'ha aggredita tirandole addosso il
Daily Prophet, un giornale che si è affrettato a mettere in
prima pagina la notizia della morte dei tuoi, incolpandone vostro
fratello, senza curarsi di verificarla, solo per vendere più
copie. Meissa non ha neppure fatto in tempo a capire, si è
talmente spaventata, poverina, per colpa di quel maledetto... Gli
altri? Beh loro sono qui, molto lontano da Londra... Che cosa ne sanno,
a parte quello che hanno letto su quel giornale d’infimo
ordine?
Io, invece, Rigel... io c'ero... e posso dirti le cose per come le ho
viste e per come le conosco... alle conclusioni ci arriverai da solo:
sei sveglio, ragiona con la sua testa!»
Lo osservavo ancora sospettoso, ma mi sistemai bene, seduto nel letto,
per fissarlo dritto negli occhi: quella speranza, che intuivo nelle
parole e nello sguardo, forse mi avrebbe mandato fuori strada, eppure
Black mi aveva affascinato, incuriosito e, soprattutto, convinto, con
quell'eloquenza particolare, quella che avevo ammirato tante volte
quando battibeccava con papà. Orion era l'unico che riusciva
ad
avere la meglio, ogni tanto, con mio padre, ed io ridevo
perché
in quei casi Black si pavoneggiava per la propria arguzia e mio padre,
piccato, l'apostrofava con titoli poco lusinghieri.
«Stamani, dopo aver assistito
e testimoniato
al processo contro Williamson, tuo padre è venuto da me,
è rimasto un po' a parlare poi è tornato da tua
madre.
Poco più tardi Jarvis Warrington è arrivato a
Grimmauld
Place, pensando di trovarci ancora Alshain, con la notizia che il
Wizengamot aveva scagionato Mirzam. Volevo dare la bella notizia di
persona, così siamo andati a Essex Street, dove abbiamo
trovato
il caos: Babbani feriti per strada, fumo che usciva da casa vostra, i
segni di un'esplosione. I Babbani parlavano di “fuga di gas”,
ma in cielo c'era il Marchio.»
«Il Marchio del Signore
Oscuro?»
«Sì. So a cosa stai
pensando, Rigel, ed
è quello che hanno dedotto subito i giornalisti. Loro,
però, non hanno avuto il permesso di entrare in casa, io
invece
sono stato trascinato a forza dentro al 74 di Essex Street da Alastor
Moody, l'Auror:
ho visto gli
effetti dell'esplosione e del fuoco con i miei occhi, dall'interno e da
vicino. Ora... tu sai cosa pensa tuo padre del Signore
Oscuro,
vero?»
«Secondo papà
è un impostore che
vuole farsi passare per l'Erede di Salazar per appropriarsi del potere
e assoggettare il Mondo Magico! Visto quanto è accaduto a
Herrengton... direi che ha... »
«Quindi sai che tuo padre in
alcun modo sostiene né ha mai sostenuto quel Mago...
»
«Non lo farebbe mai! Ha
litigato furiosamente con molti dei suoi amici per
convincerli!»
«Moody mi ha chiesto di
riconoscere un corpo
trovato in casa, era di un Mangiamorte: credo mi abbia messo alla
prova, voleva studiarmi mentre scoprivo il Marchio sul braccio
dell'uomo... »
«Voleva capire dalle tue
reazioni se
papà o Mirzam fossero Mangiamorte? Non lo sono di
certo!»
«Per questo quando ho visto il
marchio su quel braccio mi sono tranquillizzato... »
«Sì, ma questo cosa
prova? Nulla, a parte che ci hanno accusati ingiustamente di
esserlo!»
«Nulla, Rigel? Pensaci...
Hanno trovato due
Mangiamorte, stecchiti. Due, capisci? Non capita molto spesso: stando
alla cronaca nera, di solito, a morire, non solo loro, ma le vittime
dei loro agguati. Questo prova, secondo me, che i tuoi genitori non
sono stati colti di sorpresa ma hanno combattuto, e ci sono buone
possibilità oggettive, non solo vaghe speranze, che siano
riusciti a scappare... »
«Che mamma e papà
abbiano combattuto
come tigri, ci credo, ma... è impossibile che se lo
aspettassero, papà non sarebbero mai rimasto a Londra se
l'avesse sospettato... »
«So che questa è la
parte che ha meno
senso per te, Rigel, ma tuo padre sapeva bene, da mesi, che il Signore
Oscuro avrebbe colpito e che lo avrebbe fatto nella vostra casa meno
difendibile, quella di Londra; dopo quanto accaduto a Herrengton e al
Ministro Longbottom, era anche chiaro che la situazione sarebbe
precipitata presto. No, non sono discorsi da pazzo, i miei. L'ho visto
con i miei occhi approntare Passaporte e altre diavolerie per
scappare... ha addirittura studiato come sfruttare aggeggi babbani
contro gli aggressori: usando la Magia in un locale in cui
c'è
gas babbano si provoca un'esplosione... quella di Essex Street, come mi
ha mostrato Moody, non è stata un'esplosione casuale ma
controllata e contenuta, affinché non ci fossero vittime tra
i
vicini babbani. Sai di Mangiamorte che avrebbero garantito
l'incolumità dei tuoi vicini, Rigel?»
Lo fissavo sconcertato, non riuscivo a capacitarmi di quanto mi stava
dicendo.
«I miei sarebbero stati
attaccati ma
papà l'avrebbe previsto e avrebbe usato l'attacco per
contrattaccare? Avrebbe volontariamente messo a rischio la mamma e i
miei fratelli per... NO! Non ci credo! Non può aver fatto
una
follia simile... nessuno riesce ad avere la meglio sul Signore Oscuro!
Nemmeno lui! E poi... Dove sarebbero adesso?
Perché non
sono venuti qua? E Mirzam?»
«Stando a Fear tuo fratello
è in fuga,
con Habarcat e non so quali carte... che cosa voglia farne è
un
mistero per tutti... stamani però c'è stato
viavai a casa
vostra, tuo padre doveva vedere degli uomini della Confraternita per la
piccola Adhara, forse i vicini babbani hanno scambiato uno di loro per
tuo fratello. Quanto ai tuoi... il fatto che non si trovino per me
è indizio che sono riusciti a scappare: voi siete in salvo,
qui,
a Hogwarts, ma i vostri fratelli più piccoli devono essere
messi
al sicuro, no? Possono nascondersi per questo... oppure sono feriti e
devono curarsi prima di uscire allo scoperto… o potrebbe
essere
interesse di tuo padre far credere a tutti, per ora, che per lui sia
finita... »
La voce cambiò di tono, pronunciando queste ultime parole.
Mi
chiesi se l'avesse fatto di proposito. Era successo questo? Mio padre
aveva fatto scelte simili? No. Amava troppo la famiglia per mettere a
rischio la nostra incolumità nel tentativo di sbarazzarsi di
un
avversario... quanto poi a lasciare che soffrissimo per una menzogna,
solo per nascondersi... no, non ci credevo, non era da lui...
«O forse sono stati
catturati... »
«Sì... anche questo
è possibile,
Rigel: ci sono varie possibilità, alcune positive, altre
meno,
ma io non mi limiterò a pensare alla soluzione
più
scontata e tragica, solo perché è la
più
semplice... se non avrò sostegno dalle Autorità
nella mia
ricerca, indagherò da solo, fidati: fin da subito, appena
sarò uscito da qui... te lo prometto... da parte tua,
però... voglio che qualsiasi cosa dicano, tu non perda la
speranza... non farti prendere dallo sconforto, e stai vicino a Meissa,
aiutala, perché... lei... “è
cresciuta, in apparenza, ma... resta solo una bambina...”
ricordatelo!»
Orion mi stampò addosso il suo sguardo profondo, mentre
appoggiava la mano sulla mia spalla: mi percorse un brivido, mi sentii
come ipnotizzato, perché sentivo nelle sue parole le parole
della mamma e nei suoi gesti, i gesti di papà; mi chiesi se
fosse un caso o fosse voluto, lo fissai, interrogativo, carico di
speranza, il mio padrino però non disse nulla, si
limitò
ad annuire, in modo così impercettibile che mi chiesi se
fosse
solo una mia illusione. Non lo era. Lo compresi quando
iniziò a
disegnare con la punta delle dita un ghirigoro sulla mia coperta: ero
attento, vigile, papà lo faceva con me... e
Orion… glielo
avevo visto fare mille volte con mio padre, sulle carte che leggevano
insieme, o in riva al mare, sulla sabbia, al termine di conversazioni
fitte fitte. Di solito, papà cancellava subito i segni di
Orion
e rispondeva con secche parole antiche, che non capivo. Mirzam diceva
che ero ancora piccolo ma un giorno avrei saputo abbastanza gaelico da
non farci caso, perché quelle, a meno che non fosse un loro
codice segreto, erano parole senza senso. E papà non faceva
mai
nulla privo di senso. Lo fissai, vidi le sue labbra muoversi con
lentezza, mi stava dicendo qualcosa, ma io non sapevo leggere le
labbra. Feci no con la testa, allora disegnò con le dita
un'aquila e una serie di Rune semplici sulle mie mani bendate. Stavolta
compresi.
“I
tuoi genitori e i tuoi fratelli sono vivi, li ho visti... ma per ora
deve rimanere un segreto tra me e te...”
Deglutii a stento, poi tornai a guardarlo negli occhi, facendomi delle
tacite domande.
Posso credergli? O anche Orion Black cerca solo di ingannarmi?
«Ricordi quando solo tu ed io
abbiamo capito
che per salvare la vita di Sile e Mirzam la barca doveva restare in
acqua, nella grotta di Herrengton? Ecco... fidati ancora una volta di
me... »
Mi si riempirono gli occhi di lacrime. Annuii, trattenendo il respiro
per non scoppiare a piangere. Orion pareva improvvisamente sollevato,
come se avesse combattuto a lungo con un dilemma e alla fine, una volta
persuasosi a dirmi la verità, si fosse liberato da un
macigno
sul cuore. Sorridendo incerto, mise due dita nel taschino del panciotto
ed estrasse un anello, più che familiare, per me.
«Questo è della
mamma! Come fai ad averlo tu?»
«L'ho trovato a Essex Street.
Devono aver
usato un trucco per convincere tua madre a toglierselo volontariamente,
occorreva questo per aprire la porta di casa a un estraneo... ma quello
che è importante, ora, è... Guarda la pietra! Se
tuo
padre te ne ha spiegato i poteri, saprai che il diamante di Javanna
difende il suo possessore, annerendosi piano piano e assorbendo dentro
di sé i malefici che subisce, persino quando anello e
portatore
sono separati. Quando la pietra si annerisce completamente e si
frantuma, il possessore non è più difeso e
subisce gli
effetti delle maledizioni su di sé, spesso morendo, se nel
frattempo non ha trovato un nuovo scudo. Quest’anello, come
vedi,
è appena un po’ annerito, Rigel, e, rispetto a
quando l'ho
trovato, si sta addirittura schiarendo... »
Avrei voluto avere le mani libere, per rigirarmelo tra le dita e
studiarlo e assicurarmi che fosse vero.
«Le condizioni di
quest’anello e il
fatto che l'Erede di Hifrig non si sia palesato, confermano che non
sono pazzo a sperare ancora, per questo t’invito ad avere
fiducia... »
Mi aveva quasi convinto... Peccato mi avesse ricordato la storia
dell'Erede: lui non ne era consapevole, ma io sapevo che l'Erede si era
manifestato, e quindi mio padre... Rabbrividii e mi fissai le mani
bendate; Orion a sua volta le guardò per la prima volta e le
prese tra le sue.
«So perché hai
paura... Hai avuto delle
visioni terribili, nel bosco, Rigel... Ti sei perso, sei stato male, ti
sei ferito... Dumbledore mi ha raccontato tutto... Mi ha
detto
che genere di timore hai avuto ed è per questo che abbiamo
contattato Fear. Ora ascoltami... Io c'ero, quando “quella cosa”
è accaduta a tuo padre: l'ho trovato io, l'ho portato in
salvo e
siamo diventati amici in quel momento. Nessuno a quei tempi, oltre noi
due, Dumbledore e Dippet ha saputo la verità su tuo padre,
cosa
gli accadde il giorno in cui tuo nonno ebbe il suo primo infarto. Ho
trovato tuo padre in un bagno, in un lago di sangue, eppure non aveva
segni di alcun tipo, né sulle mani, né altrove...
La sua
pelle traspirava sangue e vita. Non è il tuo caso, ragazzo!
Guardati! Forza… Guardati le mani!»
Con un colpo di bacchetta fece scomparire le bende, mentre io cercavo
invano di sottrarmi. Nascosi le mani sotto le coperte, Black le riprese
e mi chiese di guardarle: abbassai gli occhi, tremando, vidi che sotto
le bende c'era uno strato di garze intrise di sangue, le
sollevò
e apparvero profondi segni, simili a graffi lasciati dagli artigli di
un animale o dai rovi. Non riuscii a nascondere la sorpresa.
«Ho temuto anch’io
che fossi come tuo
padre: ero così sconvolto che non sono voluto entrare, non
volevo saperlo. Non mi rendevo conto che la verità era
già stata svelata a Herrengton.»
«Che cosa significa “la verità
era già stata svelata a Herrengton”?»
«Non ora, ora devi riposare...
Ne riparleremo
domani... Mi raccomando, cerca di recuperare in fretta: ho bisogno di
qualcuno che stia vicino a Meissa. L'ultima cosa che voglio
è
che tua madre possa dirmi, quando tornerà, che sotto le mie
cure
i suoi figli si sono smagriti, siamo intesi? Io ti porterò
presto notizie... »
Annuii, incapace di obiettare: c’erano molte stranezze nel
suo
racconto, come il riferimento a Herrengton, ero certo che non mi avesse
detto tutto. Volevo credergli, però, ne avevo bisogno,
volevo
pensare che la verità fosse quella e che tutte le brutte
cose
successe quel giorno fossero scherzi crudeli della mia mente o il
frutto della maledizione subita a Herrengton. Avevo sempre apprezzato i
modi burberi e dissacranti del mio padrino e goduto del privilegio di
essere il suo preferito, tra i miei fratelli, addirittura
più di
Meissa. Eppure mai, come in quel momento, avevo sentito di volergli
bene, profondamente bene. Mi abbandonai alla convinzione di essere al
sicuro con lui, di avere di fronte l'unica persona, oltre ai miei
genitori, cui potessi affidarmi senza riserve. Avrei voluto che fosse
lui il mio vero zio. Ero così frastornato, che persi il
controllo e lo abbracciai, cogliendolo di sorpresa.
E quando, a sua volta, il mio padrino mise da parte un po' della sua
riservatezza e mi posò la mano sul capo, in una carezza
impacciata, mi arresi a un pianto liberatorio.
***
Meissa Sherton
Hogwarts, Highlands - dom. 16 gennaio 1972
Avevo il fiato grosso,
come se avessi
corso. Mi muovevo nella Foresta Proibita, immersa in una nebbiolina
sottile, umida, che mi appiccicava i capelli sul viso. Era freddo: mi
portai le mani alle braccia, per scaldarmi, avevo solo il golfino della
divisa, nessuna giacca, nessun mantello, benché a terra,
davanti
a me, ai piedi degli alberi, si ammassasse un leggero strato di neve.
Mi girai attorno, cercando di capire dove fossi, finché il
profilo alto e severo, massiccio, della Guferia emerse tra i rami
spogli degli alberi, sopra di me. Stavo andando lì, avevo
una
lettera infilata nella tasca della gonna, una lettera da spedire, sul
dorso della busta c'era un nome, scritto con la mia calligrafia: Mirzam
Sherton. Una lettera per mio fratello, una lettera che sapevo dove
mandare, anche se per qualche strano motivo non lo ricordavo
già
più. La girai e rigirai, cercando di interpretare le Rune,
che
qua e là apparivano e sparivano, formando il nome di un
luogo,
che non vidi mai per intero: per quanto m’impegnassi, non
riuscii
a decifrare cosa avessi scritto.
Dove sei... Mirzam... Dove... sei... Mir… zam...
Aprii gli occhi lentamente, con il nome di mio fratello sulle labbra.
Ero così coinvolta nella mia ricerca di un nome, che ci misi
un
po' a capire che si trattava solo di un sogno e che ormai mi stavo
risvegliando. Stentai ad accettare che non esistesse alcuna lettera,
nessun indirizzo, nessuna novità, nessuna certezza. Delusa,
m'imposi di richiudere gli occhi, non volevo svegliarmi, avrei potuto...
Se mi riaddormentassi, ricomincerei a sognare, saprei dov'è
e potrei... riabbracciarlo...
La luce del primo mattino, però, s'insinuava insistente
sotto le
mie palpebre, con dei tenui bagliori rosati, ben diversi dalla
luminescenza verde argento cui mi stavo abituando nella mia camera, nei
sotterranei degli Slytherins. Sentivo la consapevolezza, sempre
più decisa, vincere sul sonno. Aprii completamente gli
occhi,
senza comprendere subito dove mi trovassi, sopra di me non c'era un
baldacchino ma un alto soffitto di pietra, che ricadeva giù,
attraverso sottili ricami di conci e slanciate colonne, fino a terra.
Attorno a me, gli oggetti emergevano poco alla volta dalle ombre,
mentre le pozze di oscurità si ritraevano negli angoli
remoti
della stanza: ero circondata da due lunghe file di letti separati da
piccoli comodini, i separé erano addossati alle pareti e in
fondo alla stanza c'era un enorme armadio con le ante vetrate, dietro
le quali intravvedevo file e file di pozioni.
L'Infermeria? Che cosa ci faccio io qui? Quando ci sono finita?
Perché...
Non ricordavo di essermi fatta male, non mi sembrava nemmeno di sentire
da qualche parte un dolore fisico. Quando però la coscienza
si
risvegliò del tutto, vincendo l'intorpidimento del sonno, il
dolore, quello che ti toglie il respiro e la vista, il dolore vero,
quello capace di piegarti con la sua devastante potenza,
piombò
rapido su di me, travolgendomi come un'onda di piena. Sentii mancarmi
il respiro e un peso enorme mi si piazzò sul cuore, quando,
davanti ai miei occhi, riapparve il ricordo della prima pagina di un
giornale, su cui erano impresse poche lapidarie parole.
STERMINATA
L’INTERA FAMIGLIA SHERTON
Nient'altro. Non ricordavo altro, dopo. Il mondo si era interrotto in
quell'istante, era svanito all'apparire di quelle parole, come nel
sogno svanivano le indicazioni per ritrovare mio fratello... Al
contrario delle parole sulla lettera, però, la frase sul
giornale era comprensibile.
E rimarrà impressa nella mia anima.
Per sempre.
Il dolore mi aveva sopraffatto la sera prima senza che fossi capace di
reagire, ora riemergeva, un leone furioso che mi sbranava pezzo a
pezzo: io ero una statua, inanimata e fredda, a parte le calde lacrime
che mi bagnavano il viso, mi chiudevano il naso, ammorbavano di sale la
mia bocca. Serrai forte il lenzuolo con le dita, me lo tirai su, sopra
la testa, come se bastasse a isolarmi dal ricordo, mentre le mie
labbra, mute, si piegavano nello strazio di un urlo sordo. Poi scoppiai
a singhiozzare, singulti sempre più veloci e violenti, morsi
il
cuscino, graffiai le lenzuola, scalciai, finché restai con
il
respiro mozzato e dalla mia gola iniziò a emergere solo un
uggiolio cupo e ininterrotto.
«Meissa... »
Sentii pronunciare il mio nome mentre qualcosa, una mano forse, mi
toccava la spalla, attraverso il lenzuolo: ricordai il ghigno di
McNair, le sue urla, i suoi insulti, la sua spinta per farmi cadere a
terra, la soddisfazione con cui mi aveva tirato addosso il giornale.
Alla disperazione si aggiunse la paura, cercai di sottrarmi ma mi ero
abbozzolata così tanto nel lenzuolo da non riuscire a
emergere
da quel dannato letto, l'unica cosa che riuscii a fare fu nascondere la
faccia nel cuscino.
«Meissa! Sono io... Sirius...
»
Sentii bene “Sirius”,
tutto ciò che disse dopo, però, per me
restò privo
di senso, indefinito. Percepivo solo quella mano, sulla mia spalla, che
si attardava su di me in un gesto delicato, circospetto, desiderosa di
infondermi calore e coraggio, e al tempo stesso esitante, incerta, su
ciò che si dovesse fare in un momento simile. Non sapevo se
anche quello fosse un sogno, se fosse un’illusione nata dalla
mia
mente per confortarmi e poi spingermi di nuovo nella disperazione, ma
smisi di piangere e concentrai tutta la mia attenzione lì,
su
quel ritaglio di lenzuolo che divideva la mia pelle dalla sua. La mia
esitazione, oltre a darmi il tempo di riprendere a respirare,
sembrò dargli coraggio: lenta, la mano si spostò
fino a
prendere il lembo del lenzuolo e sollevarlo un poco, sentii l'aria che
mi sfiorava il viso, attraverso la cortina di capelli che mi si erano
arruffati sulla faccia, misti alle lacrime. Ancora più
leggera e
titubante, la mano si posò sulla mia testa, in una carezza
gentile, di chi sa che è la cosa giusta da fare, per lenire
il
dolore, ma che ha timore nel farlo, perché non è
stato
abituato a ricevere conforto. La sentii tornare indietro, scivolare
sino alla scapola che spuntava dalle coperte e fermarsi lì,
proprio come faceva il mio padrino con papà, quando qualcosa
lo
preoccupava e voleva incoraggiarlo, ricordandogli che poteva contare
sempre sulla sua amicizia.
«Sirius... »
Era proprio lui, era proprio Sirius, non si trattava di un sogno, di
una crudele illusione, lo compresi da quel piccolo gesto, prima ancora
di vedere e riconoscere le sue mani. L'educazione ricevuta mi fece
vergognare per aver ceduto al dolore di fronte ad altri e immaginai che
anche per lui, educato al controllo in maniera molto più
ossessiva di me, quella situazione dovesse essere fonte
d’imbarazzo. Mi passai la mano sul viso
asciugandomi alla
meglio le lacrime e scansandomi i capelli, poi, con gli occhi gonfi e
la bocca ancora tremante, mi voltai a guardarlo. In piedi, proteso su
di me, Sirius mi fissava, tremava un poco anche lui, gli occhi resi
quasi neri dalla preoccupazione per me, il volto pallido di chi
è stato a lungo in apprensione. Di colpo ricordai, lui ed
io, a
Herrengton, poche ore prima della partenza per Hogwarts, la
trepidazione con cui attendevamo il nostro destino, la paura che mi
attanagliava il cuore e lui, Sirius Black, pronto a promettermi la sua
eterna amicizia.
«Promettimi che, qualsiasi cosa succederà domani
sera, saremo sempre amici, Sirius... »
«Te lo prometto!»
«Anche se sarò un’insulsa Ravenclaw e tu
uno Slytherin, d’accordo?»
«Qualsiasi cosa saremo, saremo sempre Sirius e Meissa, solo
questo. Promettilo anche tu!»
… saremo sempre Sirius e Meissa, solo questo…
Bastò quel solo istante per riscaldare il mio cuore
sofferente,
per ricordarmi che non avevo di fronte qualcuno di cui temere il
giudizio, ma un amico, un vero amico con cui condividevo da tempo
comuni affetti, comuni ricordi felici e spensierati. E ora lo stesso
dolore. Sirius non aspettò che l'invitassi, si sedette sul
mio
letto, vicino a me, pronto a prendermi la mano e farci coraggio
insieme, io, però, cogliendolo di sorpresa, mi abbandonai
tra le
sue braccia, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, e
riprendendo a piangere, in silenzio. Non poté far altro che
sorreggermi e consolarmi.
«Meissa! Guardami... non
piangere... ho tante cose da dirti... »
La mano tornò ad accarezzarmi esitante i capelli, senza
ottenere
risultati, io restavo immobile, non lo ascoltavo, sprofondata tra
quelle braccia che mi reggevano impacciate, finché mi
staccò da sé, gentile ma deciso. Lo fissai,
interdetta,
vedendo che il mio dolore non si specchiava nei suoi occhi, c'era anzi
una luce strana, incomprensibile, inadatta.
Com'è
possibile? Anche Sirius ha perso mio padre, in questo orrendo giorno!
«Meissa, non piangere...
ascolta... la storia
è un po' lunga ed io mi devo sbrigare ad andarmene, prima
che
torni papà e che la Pomfrey capisca che ho passato la notte
qui,
vicino a te...»
«Tuo padre? Tu? Qui? Come
qui?»
Gli apparve per un istante uno di quei sorrisetti sghembi, che assumeva
quando ne combinava una delle sue, fece di tutto per nasconderlo, vista
la serietà del momento, ma doveva sentirsi molto orgoglioso
per
averla fatta in barba agli adulti. Lo fissai seria e lui, imbarazzato,
riprese il discorso.
«Ieri sera, quando ho letto il
giornale, sono
sceso in Infermeria. C'era molta confusione lungo il corridoio, tutti
volevano sapere come stava tuo fratello, così sono riuscito
a
intrufolarmi: quando hanno fatto irruzione, nessuno ha badato a me. Mi
sono tenuto tra le retrovie, poi sono scivolato dietro quell'armadio
laggiù, ho aspettato che gli altri se ne andassero e che la
Pomfrey si chiudesse nel suo studio. A quel punto, ho approfittato
della luce scarsa delle candele, per avvicinarmi al letto accanto al
tuo e scivolarci sotto.»
Lo vidi esitare, passarsi la mano sugli occhi, sistemarsi i capelli,
come faceva sempre quando stava mentendo, poi riprese a fissarmi, serio
e amareggiato: aveva capito di non avermi convinto.
«Ho avuto fortuna... se sono
ancora qui
è perché non mi ha visto... E restando
nascosto... tu non
immagini cosa sono venuto a sapere! Quando il Preside, mio padre e tuo “zio”
sono entrati... »
«Aspetta... Mio zio? Vuoi dire
Phelan Llywelyn? Qui? Mi stai prendendo in giro, Sirius?»
«No... Era un uomo che il
Preside ha chiamato
per tutto il tempo Phelan Llywelyn e che si è preso cura di
voi,
ha tirato fuori degli intrugli strani e ha salmodiato in gaelico come
fa tuo padre durante i riti, poi ha disegnato sulle mani di tuo
fratello... e prima ancora... sulle tue... »
Non credevo a mezza parola, non avevano senso: mio zio non andava
d'accordo con i miei genitori e non era neppure venuto al matrimonio di
Mirzam, non faceva parte della Confraternita, non era un Mago del Nord
e si faceva addirittura beffe delle nostre tradizioni. Per convincere
Sirius delle assurdità che stava dicendo, sollevai le mani,
mettendole bene in luce, perché vedesse che non c'erano
nuovi
segni. Quasi gridai, quando mi accorsi di tante piccole Rune su dita,
dorsi e palmi.
«Visto? Era di sicuro un Mago
della
Confraternita. Meissa, ascolta: ho fatto una promessa, quindi, anche se
vorrei, una parte di questa storia non posso dirtela... ma devi sapere
tutto quello che ti riguarda: una
“persona”
ha assistito a una discussione tra mio padre e il Preside e quando sono
rimasto chiuso qui dentro, ho visto con i miei occhi che quello che mi
ha detto è la verità... »
Lo guardai titubante, sapevo che mi stava mentendo ma ero anche presa
dalla sua agitazione e dal suo entusiasmo, dovevo capire, quindi decisi
di dargli fiducia e scoprire che cosa avesse in mente.
«Quello che non puoi o non
vuoi dirmi è
chi li ha spiati? È questo che stai dicendo,
giusto?»
«Sì, ma conoscere
quel nome non ti
serve. Se vuoi, puoi pensare che a spiarli sono stato io.»
Data la premura nel proteggere l'informatore e dicendo “pensa che a spiarli
sono stato io”,
mi convinsi che fosse stato Potter, ficcanaso com'era, a scoprire
qualcosa che aveva messo tanto in agitazione Sirius. Mi rilassai un
poco: potevo capirlo, James stava diventando un amico importante per
lui, soprattutto dopo la reazione negativa dei Black al suo
Smistamento, e ponendomi nei loro panni, anch'io, se Sirius mi avesse
confidato un segreto, l'avrei difeso con le unghie e con i denti. Un
po' come avrei fatto per qualsiasi cosa riguardasse Rigel o Mirzam. Lo
invitai a continuare.
«Il Preside ha ricevuto la
visita di “tuo
zio”,
contemporaneamente, è arrivato mio padre, secondo il quale
quell'uomo non poteva essere Phelan, a quel punto l'hanno affrontato
insieme... Qui c'è un buco nella storia, si son chiusi
nell'ufficio del Preside e “la
spia” non ha potuto vedere altro... »
«È avvenuto
nell'ufficio del Preside?
È impossibile, ho visto quell'ufficio, so com'è
fatto il
corridoio che porta nell'anticamera! Sirius... No... No, hai ragione,
ti ho promesso di non fare domande ma... solo perché sei tu,
un
pazzo che ha passato la notte sul pavimento per me!»
Mi sorrise e mi prese la mano tra le sue, mentre io, per qualche
astruso motivo, nel guardarlo negli occhi, mi sentivo pervasa da una
strana trepidazione e dall'assurdo desiderio di essere ottimista.
«Mentre ero nascosto qui, il
Preside è
entrato con quest'uomo, intabarrato in un mantello, ha mandato via
tutti, ha sigillato la porta, dopodiché tuo “zio”
ti ha inciso le Rune. Quando è andato da tuo fratello, ha
trafficato sulle sue mani per un paio di ore, se non di più.
All'inizio Rigel gli ha urlato contro, poi si è calmato e
non si
è più svegliato. Vi ha incantati davanti a
Dumbledore, il
che significa che quell'uomo, quando l'hanno affrontato, deve aver
detto qualcosa a mio padre e al Preside tale da essere riconosciuto e
considerato da loro degno di fiducia.»
«D'accordo... vai avanti...
»
«Quando ha finito, l'uomo ha
detto a Dumbledore, “ditegli
ciò su cui ci siamo accordati, e i ragazzi non avranno
problemi...” E “aspettate il segno,
prima di agire, perché a breve avrete mie notizie da
Herrengton”.
Quindi se n'è andato, ed è entrato
papà... Mio
padre ha parlato con Dumbledore come se lo sconosciuto fosse Fear ma
io, Meissa, Fear l'ho visto e quell'uomo, quando la Polisucco ha smesso
di funzionare, non era lui. Aveva il cappuccio, vero, l'ho visto da
lontano, certo, per pochi istanti e nella penombra, ma era molto
più giovane, con la barba e i capelli scuri… ed
era anche
molto più alto… tra l'altro, che motivo avrebbe
avuto di
presentarsi Polisuccato?»
«Rigel una volta mi ha detto
che Fear è
ricercato, quindi... secondo te chi poteva essere?»
«Tuo padre, Meissa! Chi altri?
Chi deve nascondersi dal Lord Oscuro che gli sta addosso?»
Sirius aveva lo sguardo radioso e un sorriso che non gli vedevo dai
giorni passati a Herrengton: all'improvviso capivo il suo entusiasmo,
la sua voglia di aspettare tutta la notte sotto il mio letto per
parlarmi, e perché il mio dolore non si specchiava sul suo
volto. Rimasi attonita, sospesa tra incredulità e speranza.
Non
sapevo nulla, non avevo idea se le sue parole fossero dettate da una
vana supposizione o fosse fondata su fatti certi, ma mi ritrovai ad
abbracciarlo per la felicità e nell'abbraccio che ricevetti
in
cambio, sentii tutta la sicurezza e il conforto di casa. Ero felice.
«Oh, Sirius... ti prego...
dimmi che è la verità, ti prego!»
«Sull'identità
dell'uomo non ho prove,
ma c'è molto di più... Papà
è entrato, ha
osservato prima te, poi ha chiesto a Dumbledore di restare solo con
Rigel, ma prima hanno “litigato”
... »
«Come litigato?»
«Secondo il Preside,
papà ha visto i
tuoi ma non voleva dirvelo, così gli ha ricordato che
qualsiasi
promessa avesse fatto, aveva il dovere morale di dirvi la
verità; papà l’ha mandato al diavolo,
poi,
però è successo qualcosa di strano. Quando Rigel
si
è svegliato, ha chiuso le porte, ha lanciato i Muffliato e
ha
messo un paravento, che in parte mi ha ostacolato la visuale ed io non
ho sentito né visto bene tutto tutto... Rigel era agitato e
scettico, all'inizio, ma quando papà gli ha messo una mano
sulla
spalla e ha detto di te qualcosa come “sembra cresciuta ma
è solo una bambina”... »
«Salazar! Ha detto proprio
così? Quelle
sono le parole che dice sempre la mamma... gliele dice per
rimproverarlo quando mi dà il tormento... Oh Sirius...
Sirius...
ti prego... gli ha detto così?»
La bocca ricominciò a tremarmi, mi si riempirono gli occhi
di
lacrime, e iniziai a vedere tutto appannato, mentre il sorriso di Black
diventava sempre più sicuro ed entusiasta.
«Tuo fratello ha reagito come
te... allora
papà gli ha scritto con le dita sulla coperta…
»
«Oh Sirius... anche
papà lo fa... quando stiamo male... anche papà lo
fa... »
Ripresi a singhiozzare, di felicità, e non avrei dovuto,
rischiavamo che la Pomfrey ci sentisse.
«Alla fine tuo fratello lo
guardava
esterrefatto, felice ma incredulo e mio padre... beh gli ha detto
qualcosa sulla barca e la grotta di Herrengton ma non ho capito cosa
volesse dire. Tuo fratello già si fidava di lui, quando
papà ha tirato fuori qualcosa dalla tasca, un anello credo,
Rigel l'ha guardato a lungo, hanno discusso ancora, su qualcosa che
preoccupava tuo fratello... allora papà gli ha tolto le
bende
dalle mani, tuo fratello all'inizio non voleva... alla fine,
però pareva sollevato e ha abbracciato mio padre e si
è
messo a piangere come te. Quando papà è andato
via tuo
fratello sorrideva, Meissa... TUO FRATELLO A QUEL PUNTO SORRIDEVA! Come
faceva a sorridere, a meno che papà non avesse dato ascolto
al
Preside e non gli avesse detto di averli visti vivi?»
«Sì... hai ragione,
Sirius... non
può essere andata che così... O Sirius...
grazie...
grazie... »
Mi diedi un pizzicotto su un braccio, tanto forte da farmi un livido,
temevo fosse solo un sogno. Era vero, invece, io ero sveglia e Sirius
era sincero, si capiva da come gli brillavano gli occhi: era felice,
credeva con tutto se stesso a quello che aveva visto e sentito.
No,
non è un sogno, Meissa, è la realtà!
È il brutto sogno a essere finalmente finito!
Volevo restare abbracciata a Sirius, condividere gioia e speranza,
anche se in tutta quella storia sentivo che c'era ancora qualcosa di
confuso e lacunoso. Non dubitavo della sincerità di Sirius,
ma
della sincerità di quanto aveva visto. Non credevo infatti
che
mio padre fosse arrivato a Hogwarts e ci avesse curato senza farsi
riconoscere, non era da lui... ci avrebbe fatto promettere di tenere il
segreto, certo, ma se fosse stato lui, si sarebbe fatto riconoscere e
ci avrebbe consolato. Non credevo nemmeno che Fear avesse corso il
rischio di entrare a Hogwarts solo per noi due, visto che a Herrengton
aveva quasi condannato Rigel a morte certa, se non fosse stato per
Orion Black... Mi chiedevo chi potesse essere il nostro misterioso
guaritore, finché di colpo ebbi un'illuminazione.
«Salazar! Non era
papà... NO!
C'è un'altra persona che ha buoni motivi per
nascondersi!»
«Chi?»
«Mio fratello! Mirzam! Era
lui! È
tornato! L'ho anche sognato, sai? Ho sognato che gli spedivo una
lettera... e lui era qui... davvero! Oh Sirius, ero certa che sarebbe
tornato da me!»
Pensavo che Sirius avrebbe condiviso anche quella mia gioia, invece,
rapido, si sottrasse al mio abbraccio e abbassò lo sguardo;
attesi una spiegazione che non arrivò, non capivo cosa
avesse.
«Spero tu abbia ragione e i
miei vengano
presto a Hogwarts a dissipare tutti i dubbi. E che questa storia sia
dichiarata falsa, sia chiusa e dimenticata. Doveva essere un giorno di
festa, Sirius... Ieri è stata riconosciuta l'innocenza di
mio
fratello! Non vedo l'ora di riabbracciare Mirzam!»
Gli raccontai il mio sogno, con la foga e la speranza che aspettavano
da settimane di liberarsi, sicura che il suo silenzio celasse solo il
timore che mi sarei fatta del male, sperando e rimanendo delusa.
«E ora lui è
tornato; il Preside mi ha
detto tutto, prima che McNair mi aggredisse... Mio fratello
è
stato scagionato... Nessuno voleva credermi ma io ho sempre saputo che
Mirzam era innocente... e lui, appena ha potuto, è tornato
da
me! Ha mantenuto le promesse, come sempre!»
Sirius si alzò dal letto e si allontanò da me,
dandomi le
spalle. Lo fissai, interrogativa, lo sguardo che mi rimandò,
quando tornò a voltarsi verso di me, mi diede i brividi,
tanto
era “fiammeggiante”.
«NO! Mi dispiace, Meissa, ma
stavolta ti sbagli!»
S'interruppe, era furibondo, si vedeva da come gli tremavano le spalle
ed io non capivo perché. Mi scrutò a lungo, si
passò la lingua sulle labbra, cercando di riprendere la
calma
prima di parlare ancora, forse valutando le conseguenze di quanto stava
per dire. Poi abbassò gli occhi.
«Meissa ascolta…
preferivo non dirtelo,
ora… però non è giusto... che ti
torturi
così... il Preside ha detto a papà che
Fear… ha
scoperto… perché tuo fratello non è
venuto da voi,
dopo i fatti di Herrengton... stava male...
perché...
è lui... l'Erede di Hifrig… Fear ha deciso di
spostare la
Fiamma per evitare che riuscisse a prenderla... Meissa, te lo giuro! Io
l'ho visto con i miei occhi... tuo fratello mi ha preso l'anello di tuo
padre per darlo a Rodolphus Lestrange! Ora... pare che la Fiamma e
certe carte di Doire siano sparite… ed è sparito
anche
lui… e le darà o le ha già date al
Signore
Oscuro!»
«Sono solo calunnie e
falsità, Black! Non puoi crederci davvero!»
«Ragiona... mio padre aveva
l'anello di tua
madre... solo con quell'anello un estraneo poteva aprire la porta di
casa vostra... a chi altri tua madre avrebbe aperto la porta con
assoluta fiducia, a Londra? A chi altri avrebbe dato volontariamente il
proprio anello, se non a suo figlio?»
«NO! NON è VERO! TU
NON CONOSCI MIO FRATELLO! NON FAREBBE MAI UNA COSA SIMILE,
MAI!»
«SMETTILA DI DIFENDERLO, DI
STARE MALE PER
LUI, QUELLO NON MERITA IL TUO AFFETTO! NON MERITA L'AMORE DELLA TUA
FAMIGLIA! VI HA TRADITO! TUTTI! È LUI CHE HA PORTATO LA
FIAMMA
AL SIGNORE OSCURO! MILORD ORA PUÒ UCCIDERE TUO PADRE E TUTTI
VOI, PERCHÉ IL FUTURO SIGNORE DI HERRENGTON È
DALLA SUA
PARTE!»
Schiaff…
«Che cosa sta succedendo
qui?»
Madame Pomfrey, attirata dagli schiamazzi e dalla confusione, era
uscita dal suo studiolo proprio mentre mi alzavo in piedi sul letto per
dare uno schiaffo a Sirius Black, che mi sibilava contro, a pochi passi
da me. Volevo farlo tacere, mettere un freno a quel fiume di parole
piene d'odio. E alle mie lacrime, che mi scorrevano incontrollabili sul
viso. Non era la prima volta che sentivo qualcuno blaterare cose simili
su mio fratello, ma non mi aspettavo che a dirmele con tutta quella
cattiveria fosse Sirius. Mi sentivo tradita e incompresa dall'unica
persona che, in quella scuola, al pari di Rigel e me, conosceva Mirzam.
No, non può credere a simili bestemmie...
Capivo chi non l'aveva mai conosciuto, ma Sirius... Sirius e Regulus
avevano vissuto con noi a Herrengton, l'avevano visto, frequentato,
sapevano che Mirzam era più riservato di Rigel, vero, ma era
buono e gentile.
È tutta
colpa di quel dannato Potter… da quando
quell’idiota di
suo padre ha detto di aver visto mio fratello uccidere un Auror anche
Sirius lo considera cattivo… non conta nulla che persino il
Wizengamot l’abbia scagionato… NO!
Perché il suo
Potter gli ha fatto il lavaggio del cervello!
Il dolore per quel tradimento mi rese muta, pietrificò
quello
che sentivo dentro di me rendendomi incapace di esprimere la delusione,
la paura e la desolazione che mi stavano travolgendo... non potevo
mettermi nei suoi panni, pentirmi di quel gesto inconsulto e chiedergli
scusa. Non ci riuscivo. E non potevo dire nulla di quello che provavo a
Sirius, perché, se si considerava amico, doveva capirlo da
sé... se non ci riusciva, allora non aveva mai capito nulla
nemmeno di me, non solo di Mirzam...
Lo guardavo, delusa, offesa, tradita. E aspettavo.
Se
mi vuole bene,
deve bastargli il modo in cui lo sto guardando per comprendere quanto
mi ha fatto male, quanto il mio schiaffo sia nulla rispetto a quello
che ha fatto lui a me...
Era tutto chiaro, nella mia mente, ma non in quella di Sirius. Si
ostinava a restare in silenzio, la mano sulla guancia rossa, fermo
nella sua ottusa posizione di unico detentore della verità,
incapace di capire. Senza alcuna volontà di
capire… preso
dal suo orgoglio di Black.
«Vi ho chiesto che cosa sta
succedendo! Signor Black che cosa ci fa qui a quest'ora?»
Restammo in silenzio, a fissarci, io in lacrime, Sirius impietrito,
offeso, fermo nella convinzione che il mio gesto fosse immotivato
quanto ingiusto. Senza ascoltare le parole della Guaritrice, senza
curarsi della punizione che avrebbe rimediato, ancora una volta, ci
diede le spalle, muto, continuando a fare no con la testa, con passo
sempre più rapido, fino a mettersi a correre tra gli ultimi
letti, diretto all'uscita. Lo guardai sparire oltre la porta: non si
voltò nemmeno una volta.
Ed io mi ributtai sul letto, scoppiando in lacrime, inconsolabile.
***
Mirzam Sherton
Vysoké Tatry,
Cecoslovacchia - dom. 16 gennaio 1972
«Qual è il messaggio? E non mentire, Fear! So che
cosa hanno visto i miei occhi! Conosco quel Patronus! Mia madre non ci
contatterebbe mai se non fosse per una ragione molto seria!»
Ero entrato nella tenda, rapido come un temporale estivo, ma non avevo
fatto in tempo a udire nulla, il Patronus si era già
dissolto nell’aria; Fear mi aveva sentito ma sembrava non
volersi curare di me, era rimasto al suo posto, a rimestare il fuoco
del braciere, dandomi le spalle: non sapevo se avrebbe continuato a far
finta di nulla, per esasperarmi e provocare una mia reazione scomposta,
o mi avrebbe accolto con una delle sue solite bugie. In entrambi i
casi, ero pronto ai suoi colpi bassi.
Lanciai alcuni Muffliato attorno a noi, quella questione andava risolta
in privato, e prima di avvicinarmi e iniziare a pressarlo, guardai
fuori, per assicurarmi che fossimo soli, temevo che Margareth fosse
già rientrata passando da dietro e fosse pronta a dargli
manforte, ma non c'era anima viva neanche all'esterno. Assicurato il
perimetro, studiai l’interno: sull'altro lato della tenda
rispetto a me, di fronte al braciere posto al centro, c’erano
la cassapanca usata come tavolo da lavoro dal vecchio con sopra la
pergamena, che mi aveva portato a commettere il mio primo omicidio, e
un paio di luci galleggianti che si muovevano a mezz'aria, per mettere
a fuoco i geroglifici di Rune. Completava il tutto un paio degli
strumenti che avevo visto Fear usare molte volte, un ingranditore
sferico e delle lenti simili agli occhiali da vista di mio padre: non
avevo mai fatto commenti, in quei giorni, sulla proverbiale vista da
falco di Fear, che evidentemente non era più quella di una
volta, e non era il caso che iniziassi a farli in quel momento.
Il vecchio continuò a far finta di non avermi sentito, io mi
avvicinai cauto, la bacchetta in pugno, in allerta: non lo vedevo in
volto e, conoscendolo, immaginavo avesse il solito sordido ghigno e che
si preparasse a colpirmi, insultarmi o umiliarmi; sapeva quanto mi
mandasse in bestia, quanto gli fosse facile, grazie al mio temperamento
impulsivo, farmi cadere nelle sue trappole che miravano a dimostrare
quanto fossi inetto, irresponsabile e immaturo. Di motivi per pensarlo,
d’altra parte, ne avevo dati parecchi a lui e a tutti quelli
che si ostinavano a restarmi vicino, perciò non potevo
aspettarmi nulla di diverso.
«Avvicina quella cassa e
siediti, versati un po' di Firewhisky e non fare o dire
stronzate!»
La voce era ruvida come al solito, ma non aveva la consueta arroganza,
sembrava stanca e provata. Avrei dovuto spaventarmi, la presenza del
Patronus prima e ora quei suoi modi “mansueti”
non facevano presagire nulla di buono, fui colto invece da una calma
inusuale: non provai ad assaltarlo con domande a sproposito ma accolsi
il suo invito, mi misi seduto, vigile e pronto, in attesa delle sue
risposte. Fear si voltò e il suo sopracciglio
rivelò quanto fosse sorpreso di vedermi tanto ubbidiente, ma
non disse altro, mi venne incontro, mi superò e si diresse
all’ingresso: era pallido e, dal modo in cui stringeva la
bacchetta, molto turbato.
«Aspetta qui... Non siamo
soli... »
Un brivido mi percorse, mi alzai di scatto intenzionato a portarmi
velocemente nell’altra tenda, quella in cui riposava Sile,
per difenderla, ma Fear mi fece cenno di stare calmo,
sollevò il tessuto e lasciò entrare un grosso
gatto selvatico, che sembrava essere a casa propria: lesto si diresse
verso il fuoco e, appena mi fu vicino, si scrollò il
nevischio dalla pelliccia tigrata, bagnandomi i piedi.
«Un gatto? Tutta
quest’agitazione solo per un gatto, Fear? Di grazia...
»
Infastidito, il gatto saltò sulla cassapanca, dove
iniziò a pulirsi, ricompattando via via il pelo con la
lingua e fissandomi con espressione impudente, mentre si occupava del
sottocoda, davanti a me.
«Lascia stare il gatto,
Sherton! Volevi sapere le novità? Lord Voldemort ha
attaccato la tua famiglia a Londra: stando al Daily, la tua famiglia
è stata sterminata e a guidare il commando c’eri
tu. Nello stesso giornale, in piccolo, si parla
dell’archiviazione delle accuse a tuo carico decisa al
termine del processo “Williamson”…
»
La curiosità per il felino, che avevo iniziato ad
accarezzare sulla schiena e dietro alle orecchie - l’amore
per i gatti era uno dei principali tratti in comune che avevo con mia
sorella - mi abbandonò all'istante, sentii un senso di gelo
prendermi allo stomaco e brividi di paura salirmi lungo la schiena.
Riuscii, però, a non dare di matto, come avrei fatto appena
poche settimane prima, limitandomi a serrare le mani sulla cassapanca,
così forte da sentire le unghie conficcarsi nel legno.
«Che cosa hai detto? Cosa
diavolo significa? Che stupido scherzo è mai questo?
Fear… »
Il vecchio mi lanciò un’occhiataccia inquietante:
il suo ghigno era ancora più orribile quando si compiaceva
con me di qualcosa, addirittura peggiore di quando mi disprezzava e in
quel momento si vedeva che tratteneva a stento una risata malvagia e
soddisfatta. Io mi misi subito sulla difensiva.
«Questa vita inizia a farti
effetto, “mio
principe”! Ahahahah… non hai remore a
“togliere di
mezzo” un problema... certo quando imparerai a
farlo in maniera pulita e senza costringere i compagni a occuparsi dei
pesi morti, sarà molto meglio… e ora non parti
più nemmeno, lancia in resta, come un pazzo esagitato dietro
quelle che sono chiaramente stronzate! Sei davvero tu?»
«Non ammorbarmi con le tue di
stronzate, Fear! Conosco quel Patronus, è di mia madre, se
è arrivato qua, significa che lei è viva...
Spiegami piuttosto che cosa sta succedendo!»
«I tuoi sono stati attaccati,
ieri, a Londra… merito di quel traditore di Emerson! Se la
sono vista brutta… ma sono ancora vivi e la tua famiglia
è già riunita, sana e salva... dico bene,
Jarvis?»
Sotto i miei occhi, il gatto saltò giù dal tavolo
e si mise in piedi, riprendendo sembianze umane. Confuso, guardai il
nuovo venuto, poi sorrisi come un idiota, un po’
perché le ultime parole di Fear mi avevano tolto il senso di
oppressione che mi aveva appena buttato addosso, un po’
perché non ne potevo più di Fear e vedere una
faccia diversa, una faccia amica, era piacevole e strano.
Non avrei mai detto, anni fa, che sarei stato così contento
di vedere Warrington…
Certo… non immaginavo nemmeno
che avrei passato la luna di miele facendo campeggio con
Fear…
«Salazar... sei un uomo dalle
mille sorprese, Warrington... sei anche Animagus, adesso?»
«Piano con le conclusioni,
Sherton: Jarvis non è un Animagus, è uno dei
nostri Animorfi!»
«E a quest’ora
avresti potuto esserlo anche tu, testone di uno Sherton, se non avessi
perso tempo dietro alle teorie inqualificabili di certi impostori e di
certi “amici”
snobbando le cose serie!»
«No… Sei tu il
secchione, pieno di geni Ravenclaw… ma…
dimmi… cosa ci fai tu qui? Come sai che…
Fear… perché lui dovrebbe sapere dove siamo e
come trovarci?»
Jarvis non mi rispose, mi stava studiando, forse valutava quanto fossi
dimagrito o mi considerava un cavernicolo, per la barba inselvatichita
e i capelli cespugliosi; a guardarlo bene, neanche lui era conciato nel
migliore dei modi, non aveva il solito aspetto da dongiovanni gaudente
che si dava ai piaceri della vita comoda. Dagli occhi stanchi
sospettavo che avesse avuto una giornataccia anche lui e mi chiesi se,
senza che io ne sapessi nulla, mio padre avesse affidato una missione
anche a lui. Col carattere “morbido”
che aveva non potevano avergli chiesto di sporcarsi le mani con il
sangue dei nemici ma ci sapeva fare come “diplomatico”,
l’avevo visto all’opera, tramando per me e Sile.
Se
davvero ha un compito del genere… non deve essere un lavoro
molto più leggero del mio, guarda quelle ombre scure come
gli scavano la faccia…
«Allora? Nessuno mi risponde?
Perché Jarvis Warrington sa che ci troviamo qui?»
Li vidi scambiarsi un’occhiata complice, poi, mentre Fear
tornava a rimestare il suo dannato fuoco, Jarvis estraeva dal suo
mantello una copia di un giornale. Glielo strappai di mano facendogli
capire quanto fossi irritato dal loro silenzio.
«Vi ho portato una copia del
Daily, ma le notizie sono incomplete e… ormai
vecchie… sono qui per le novità… Il
Mondo Magico ora crede che gli Sherton siano morti, in
realtà, Doimòs ha portato in salvo tua madre ad
Amesbury mentre i bambini sono stati presi da Malfoy e tuo padre dai
Mangiamorte… »
«Che cosa? Merlino
santissimo... mi stai dicendo che questa follia è accaduta
davvero?»
«Calmati, Mirzam...
è già passata... Ho seguito Black fino ad
Amesbury, come mi avevi consigliato tu, Fear… hai ragione,
quell’uomo deve essere tenuto d’occhio, Alshain ha
commesso una leggerezza confidandogli parecchi, troppi segreti, temo...
»
«Ora non esagerare,
Warrington! Non ti allargare! Il fatto che Sherton ti abbia scelto per
ricoprire questo ruolo - e secondo me non sei nemmeno la persona
più adatta - non ti dà il diritto di sindacare su
decisioni che risalgono a prima ancora che tu nascessi…
»
«Si può sapere di
cosa diavolo state parlando? Quale ruolo? E cosa vorresti insinuare su
Orion Black? Io metterei la mano sul fuoco per quanto riguarda il mio
padrino! È molto diverso da tutti gli altri!»
«Questo è sicuro!
Sono anni che mi occupo del frutto della sua “diversità"!
Ahahahah… Black? Puah! »
«BASTA! VOGLIO DELLE RISPOSTE!
E tu smettila di dire stronzate su Margareth! O giuro che ti rispedisco
a Herrengton calci in culo!»
Mi guardarono interdetti, mentre, stretti i pugni, li battevo sul
tavolo e urlavo loro contro, irritato al massimo: mi veniva il
voltastomaco alla sola idea dell’amante di Black,
più per i casini e i fraintendimenti che quella storia aveva
provocato tra mio padre e me che per lo stato di sangue di quella
donna, trovavo Margareth insopportabile, ma non avrei permesso oltre
che Fear si esprimesse in quel modo su una ragazza che, senza avere
alcun debito di riconoscenza nei miei confronti, aveva deciso di
mettersi nei guai per aiutarmi a proteggere Sile in quella follia.
«PARLA…
possibilmente dall’inizio… Grazie…
»
«C'è un capanno nel
bosco di Amesbury: Doimòs ha portato tua madre lì
e dopo un po' si è Materializzato tuo padre con i bambini.
Non ho idea di dove li abbia Smaterializzati in seguito…
»
«Stando alle Pietre Veggenti,
le porte di Herrengton sono chiuse, quindi non sono lì...
»
«Non volermene,
Mirzam… ma non aspettarti decisioni logiche da tuo
padre… »
«Che cosa vorresti
dire?»
«Non posso assicurarvi nulla
circa le sue condizioni… mentali… capite cosa
intendo? Non credo sia in sé, né che si sia
liberato da solo! Nessuno ci sarebbe riuscito, conciato in quel
modo!»
Lo fissai, un brivido mi passò lungo la schiena, dimenticai
all’istante l’arrabbiatura e tutte le domande che
fino a quel momento mi sembravano urgenti e che ora avevano perso di
significato: che cosa mi stava dicendo? Che mio padre era impazzito per
le torture cui l’avevano sottoposto? O che la sua
volontà era stata piegata con un incantesimo? Che cosa gli
avevano fatto?
«Temo potrebbero usarlo come
un… Cavallo
di Troia… si dice così,
Mirzam?»
«Che cosa diavolo stai
dicendo?»
Sul volto di Fear apparve un'espressione disgustata, odiava quando, per
esprimere un concetto, ci servivamo di termini babbani, su questo aveva
delle discussioni accese con mio padre fin da quando ne era il
precettore. Parlare del presunto discendente mezzosangue di Salazar
Slytherin, però, lo indisponeva anche di più,
perciò non sapevo se, in quel frangente, ce l'avesse con me
e Jarvis per le parole usate, per la rampognata di prima o per il fatto
che Voldemort respirasse ancora.
«Ti pare strano, “mio
principe”? Devo ricordarti come stanno le cose?
Tuo padre sta recitando con tutti la parte di chi ha rinnegato il
proprio figlio per far credere che tra di voi ci siano screzi. Un
figlio che avrebbe tentato di ucciderlo, anche se ora il Wizengamot ha
detto che non è andata così... un figlio che gli
ha comunque sottratto la sacra reliquia, mettendolo in ridicolo e
sferrando un duro colpo alla sua autorità e
credibilità. Il Lord può anche fidarsi della
buona fede di tuo padre, pensare che ti odi per tutto questo, ma sa che
tu non sei dalla sua parte... e ti conosce. Può averlo
attaccato anche per farti uscire allo scoperto e smascherare il doppio
gioco di tuo padre.»
«Anche?»
«Certo... Che cosa credi,
ragazzino? Tuo padre, pur senza Habarcat, è sempre molto
più prezioso di te!»
Era la situazione più grave che si fosse verificata da che
avessi ricordo, una situazione in cui non avevo ben chiara la maggior
parte delle cose che mi succedevano e in cui i miei presunti aiutanti
mi tenevano nascoste tante, troppe cose. Eppure, a parte i momenti in
cui scattavo contro Fear e la sua volgarità, non sentivo
esplodere in me quella furia cieca che mi aveva caratterizzato sempre.
«Credi che il Lord gli abbia
sondato la mente e sappia tutto? Che siamo d'accordo, che tu ed io
siamo qui, e soprattutto che cosa stiamo cercando e cosa vorremmo fare,
una volta trovata?»
«Non sarebbe un Mago Oscuro se
non avesse almeno tentato, ma dubito ci sia riuscito…
»
«Sicuro? Non voglio offenderti
mettendo in dubbio le tue abilità, Fear, ma preferisco
essere prudente che preoccuparmi di non ferire il tuo orgoglio!
È possibile che abbia scoperto tutto?»
«Non è
vanità affermare che nessuno è mai riuscito a
scardinare i miei
capolavori di Occlumanzia, Sherton... ma ammetto di non
conoscere di persona questo individuo... inoltre...
sì… anche in questi casi…
c'è sempre una prima volta … »
Chiusi di nuovo la mano a pugno e la battei sulla cassapanca,
infuriato, ma soprattutto terrorizzato.
«Perfetto! Dovremmo agire come
se mio padre fosse compromesso? Mandare a monte la missione e
nasconderci come ratti? Pensi sia stato il Lord a liberare mio padre,
Jarvis? Che sia per questo che è riuscito in poche ore a
sfuggirgli con i bambini? Rispondi, per cortesia!»
«Non lo escluderei, Mirzam...
era in condizioni tali da... era impossibile per lui liberarsi e
riprendersi anche i figli … di certo non da solo... da
quello che ho sentito, però… »
«Però?»
«Si comporta come se
continuasse a recitare secondo il nostro copione: ha sostenuto che
fossi tu il traditore, quando ha parlato con il tuo padrino... non so
dirti però se, appunto, stesse recitando, o quello che gli
hanno fatto comporta che lui ora ti creda davvero suo
nemico… »
Mi allontanai da loro, dal tavolo, con la terribile sensazione che
qualcosa m’impedisse di respirare. D’un tratto mi
stavano venendo i brividi, al pensiero di cosa il Lord potesse avergli
fatto… ma anche con un pensiero che ancora non riuscivo a
mettere a fuoco, ma che stava lì, come un tarlo ad aumentare
la mia ansia. La missione che ci aveva affidato mio padre aveva la
priorità su tutto, era stato chiaro, e quella notte,
nonostante fossero accadute cose che avrei preferito dimenticare,
avevamo portato a casa importanti risultati. Sapevo dentro di me che
nonostante tutto avremmo dovuto rischiare, portando avanti la missione
e fare tutto ciò che era in nostro potere per arginare in
qualche modo l’avanzata del Lord, ma il pensiero del pericolo
ancora maggiore cui avrei sottoposto Sile e mio figlio stava
annientando la mia volontà, facendomi accarezzare
l’idea di farla finita.
«So che il problema
dell’eventuale compromissione di Sherton è molto
importante per le sorti della missione… ma… devo
informarvi di un’altra questione, che è il motivo
principale per cui mi sono sbrigato a raggiungervi… e che a
quanto pare vi sta sfuggendo… »
«A cosa ti
riferisci?»
«L’Erede si
è manifestato… e stavolta, al contrario di quanto
accaduto dopo i fatti di Herrengton, non ci sono dubbi sulla sua
identità… »
«Che cosa stai dicendo? Che
cosa è accaduto a Herrengton? Quale Erede?»
«Non essere così
presuntuoso, Mirzam, da pensare che, essendo tu il primogenito, la
faccenda dell’Erede spetti di diritto a te! Due dei tuoi
fratelli stavano male a Herrengton, quando tuo padre è stato
sul punto di morire... e oggi la situazione si è ripetuta,
in maniera palese!»
«Basta così,
Jarvis… è bene che Mirzam non sappia
altro!»
«Cosa? Certo che lo devo
sapere! Non crederete che farei del male ai miei fratelli!»
«Tu no… ma nessuno
di noi porterà addosso
quest’informazione… se finissi nelle mani del
Lord, potrebbe costringerti a scegliere tra la vita di tuo figlio e
quella dei tuoi fratelli... non posso permetterlo…
»
Mi alzai in piedi, mi passai la mano sulla faccia, esasperato, ogni
volta che pensavo avessimo raggiunto il fondo, sentivo il terreno
affondare ancora di più sotto i miei piedi. Avevo sempre
immaginato di prendere io, un giorno, le redini di Herrengton, questa
notizia, che di colpo mi precludeva ciò che avevo sempre
sentito come il mio naturale destino, mi provocava un senso di
straniamento. Eppure, di nuovo, il mio cuore era come assopito, un
tempo avrei persino reagito rabbiosamente, parlando
d’ingiustizia o di errore: in quel momento, invece, riuscivo
solo a pensare che uno dei miei fratelli stesse soffrendo, mentre i
miei genitori erano nell’impossibilità di
soccorrerlo e consolarlo… Ed io, per le mie colpe, per i
miei errori, non ero al suo fianco ad aiutarlo. Senza quasi rendermene
conto, presi una delle sedie e la lanciai contro la tenda, sfogai la
mia rabbia prendendo a calci il tappeto di pelle d’orso e
rovesciai a terra, infuriato, pure quelle dannate pergamene, che mi
erano costate tanto, quella notte. Ero cieco di rabbia, dolore,
impotenza.
«Che cazzo stai facendo, sei
impazzito?»
«Calmati Mirzam, che cosa
hai?»
«Che cos’ho? Che
cos’ho? Come sta? Non dirmi chi è …
dimmi almeno come sta!»
Avevo preso Warrington per il bavero e l’avevo tirato su,
vedevo il suo volto diventare livido, mentre con le mani cercava di
forzare le mie perché mollassi la presa: rabbia, dolore,
vergogna, tutto alla fine esplodeva insieme, come fuochi di artificio,
mentre immaginavo Meissa nel lettino, che si contorceva nella febbre e
negli spasmi di dolore e pronunciava invano il mio nome.
«Lascialo immediatamente! Hai
finito con la scena madre, idiota? Salazar! Ed io che mi ero illuso che
il “principino”
fosse diventato un uomo!»
«Ti conviene smetterla,
Fear… perché ho talmente tanta voglia di uccidere
quel maledetto bastardo, che potrei iniziare ad allenarmi con te e con
questo idiota che non mi dice quello che voglio sapere…
Sì… lo voglio uccidere… è
l’unico modo per tornare a casa, per prendermi cura dei miei
fratelli e mettere al sicuro mia moglie e mio figlio…
»
«Calmati Mirzam…
Non ci riusciresti… nessuno può… non
ci è riuscito neanche tuo padre… moriresti e
morirebbero tutti quelli che ami… »
«Non riesco a sopportare
l’idea che Meissa e Rigel stiano soffrendo ed io non sia
lì, ad aiutarli in qualche modo… che non possano
più fidarsi nemmeno di nostro padre! Vi rendete conto? Se
oggi fossero riusciti a uccidere i miei genitori, chi si sarebbe
occupato dei miei fratelli? Chi? IO? In questo modo?»
Non riuscivo a sopportare oltre. Fino a quel momento non mi ero reso
conto di quanto le mie bislacche decisioni avessero inciso o avrebbero
potuto incidere sulla vita della mia famiglia, ma ora… Sile
aveva commesso l’errore di innamorarsi di me, ed era caduta
nel mio stesso baratro, e con lei, nostro figlio… ma i miei
fratelli… i miei fratelli, come mio figlio, non avevano
potuto scegliere niente… mi chiedevo se almeno mio padre se
ne fosse reso conto, quando aveva messo in piedi tutta quella follia,
che ora stava implodendo, soffocandoci tutti.
«Bene! Hai completamente
ragione, Sherton! Dunque che cosa farai? La mammoletta piagnucolona? Il
pazzo senza cervello? L’unica cosa che puoi fare per aiutare
i tuoi fratelli è continuare quello che stai già
facendo: trovare ciò che resta della seconda Fiamma prima
che lo faccia il Signore Oscuro, prima che abbia un’arma con
cui sopperire al sangue impuro che gli scorre nelle vene e annullare la
protezione di Habarcat sulla tua famiglia… Non permettergli
di entrare a Herrengton, distruggendovi tutti!»
«Ascoltate, recuperiamo la
calma… quello che è accaduto oggi è
grave… ma credo che siamo ancora in vantaggio rispetto al
Signore Oscuro… mi sono assunto la responsabilità
di… agire, senza informarvi prima, ma non c’era
tempo: l’Erede è uno dei ragazzi che si trovano a
Hogwarts... perciò la sua
“natura” si è resa palese
al Preside, prima che a noi… il vecchio ha i suoi difetti,
lo sappiamo, ma… perché non puntiamo sul fatto
che ha interessi simili ai nostri? Potremmo sfruttarlo come alleato,
finché ci farà comodo, non credete? Per questo
l’ho coinvolto nel mio tentativo di ingannare il Signore
Oscuro... »
«Che cosa significa?»
«C'era Black in giro, in quel
momento: lui ha visto cosa successe a tuo padre, quindi sa riconoscere
i segni… e se, com’è facile immaginare,
la sua adorata nipote Lestrange gli farà pressioni per farlo
parlare, ho dovuto fare in modo da togliergli ogni certezza…
»
«Che cosa hai fatto,
Jarvis?»
«Ho tatuato le mani di
entrambi i ragazzi con le Rune curative… quando se ne
accorgeranno, Black, gli insegnanti, gli altri ragazzi penseranno che i
malesseri di oggi non c’entrino nulla con l’Erede e
con Herrengton… Ho già convinto Black e il
diretto interessato, grazie al Preside, che il vero Erede sei
tu!»
«Io?»
«Certo... è la
soluzione migliore... il Lord sarà impegnato a cercare te e
si disinteresserà dei due che sono sotto la protezione di
Dumbledore: mi pare di aver capito che il nostro adorato pallone gonfiato
non se la sente di affrontare il vecchio Preside…
»
«E pensi ci
crederà?»
«Lo spero per i
ragazzini… ma tu e Sile … voi dovrete nascondervi
meglio di prima… Intanto con le carte ho spostato di nuovo
la Fiamma… questa volta ho deciso di sfruttare la vicinanza
di un altro luogo, fonte di potente Magia, per confondere i suoi
effetti... »
«Hai fatto un ottimo lavoro,
Jarvis... »
«No… Non ha fatto
un ottimo lavoro… Se tutto questo riguardasse solo
me… d’accordo… ma in questo modo,
gettando ancora di più l’attenzione su di
noi… tu hai messo ancora più a rischio la vita di
Sile e di mio figlio! E non ne avevi alcun diritto… Come non
avevo io il diritto di coinvolgere lei e tutti voi in questa
follia!»
Non avevo più neanche la forza di arrabbiarmi. In quei
pochi, pochissimi minuti, ero venuto a sapere che tutto quello che
poteva andare storto, era andato storto. Sapevo già, dopo lo
scontro notturno con Karkaroff e l’omicidio del Mangiamorte,
che la nostra situazione, lì, era diventata oltremodo
rischiosa, ma ora avevamo un bersaglio sulla schiena che lampeggiava
come un faro in una notte senza luna.
«D’accordo… so quello che devo
fare… ma voi dovete giurarmi che Sile sarà al
sicuro… me lo dovete giurare… si trattasse di
portarla in capo al mondo… perché, ormai, Sile
non può più restare con me… avrebbe
una specie di bersaglio sulla schiena! Mio padre mi ha spiegato quanto
sia importante arrivare fino in fondo in questa missione, quindi io la
porterò a termine, cercando di riscattarmi degli errori
commessi… e di soffocare il desiderio di andare a Londra e
verificare di persona che cosa sta succedendo... vorrei vedere con i
miei occhi mio padre e i miei fratelli... »
«Mirzam… il Signore
Oscuro si aspetta proprio questo… tutto fa pensare che
voglia attirarti a Londra... lo stesso Patronus di tua
madre… potrebbe essere stato mandato a questo
scopo… »
«Inoltre ti ho già
spiegato quanto sia importante che tu e Sile non vi separiate per
troppo tempo… quindi qualsiasi cosa accadrà,
l’unica cosa certa... è che lei dovrà
stare dove ti trovi tu... »
«Non è…
possibile… no, questo non posso farlo!»
«Lo farai… ma hai
ragione… ci saranno dei cambiamenti… è
il momento di ingannare chi vuole ingannarci, Milord ha sicuramente
compromesso tuo padre… e Jarvis in cambio gli ha donato
informazioni false sull’Erede… ora noi gli daremo
un’altra falsa informazione, gli faremo credere che sei
caduto in trappola, che stai correndo dai tuoi per aiutare i tuoi
fratelli. Mirzam e Sile si faranno notare a Londra: in questo modo,
qualsiasi sospetto tu abbia fatto sorgere nella mente di Karkaroff
circa la tua presenza qui, verrà meno. Tu non
andrai a Londra con Sile, però, tu resterai qui, ti
sostituirai a Barislav ed entrerai a Durmstrang, dove insegnerai Storia
della Magia e intanto farai di tutto per trovare la pergamena che ci
serve… Sile resterà con te… mi sono
informato su Barislav, ha una figlia… che casualmente
andrà a fargli visita tra pochi giorni - faremo in modo di
farla sparire durante il viaggio che la inviterò a fare -
Dovrete muovervi con cautela dentro quel dannato castello di ghiaccio,
intesi? Andrò io a Londra, con Margareth... ci fingeremo voi
due... attireremo gli inseguitori, mentre tu ti occuperai della
missione, di Sile e del bambino... »
«Margareth? Non so se… non voglio che corra tutti
questi rischi per me… non mi pare giusto metterla sulla
linea di fuoco… finché si trattava di stare
qui… era folle ma… »
«Faremo esattamente come ti ho
detto… vedo che inizi a renderti conto delle tue
responsabilità e che sei più assennato... posso
lasciarti da solo a portare avanti la missione.»
«Più assennato? Se
ti sei appena lamentato di me!»
«Ho appena scoperto di aver
sbagliato a giudicarti… ho sempre temuto che il tuo orgoglio
e la tua vanità avrebbero potuto portarti contro la
famiglia, quando fosse stato palese anche a te che
Herrengton… »
«... Non era destinata a
me… dunque tu l’avevi già
capito… da quando?»
«Non posso dirtelo…
capiresti chi dei tuoi fratelli è
l’Erede… »
«Io non voglio saperlo… sono e resteranno sempre,
entrambi, i miei fratelli!»
«Ne sono felice…
perché da oggi, se lo vorrai, tu aiuterai me e Jarvis nel
compito che Alshain ci ha affidato… prenderci cura di
Herrengton e della tua famiglia… e permettere
all’Erede di compiere il proprio destino…
»
«... Preservare Herrengton e
la sacra reliquia per donarla all’erede di Salazar che abbia
le qualità per reclamarla… »
«Esattamente…
»
«Dunque è questo
ciò che sei, Jarvis… hai assunto tu
l’incarico di Custode di Herrengton, dopo che Fear ha
lasciato la Scozia per venire qui con me… »
Jarvis abbassò lo sguardo e si morse le labbra, poi,
però, mi fissò con i grandi occhi azzurri
orgogliosi. Allungai la mano pronto a stringere la sua, lasciai che le
nostre Rune si sovrapponessero perfettamente. Fear si
affrettò a prendere il pugnale e l’inchiostro di
erbe sacre. Passò il pugnale tra le nostre mani,
inclinandolo da una parte e dall’altra fino a tagliarci e far
scorrere il nostro sangue, poi incise anche il proprio palmo e lo
appoggiò sui nostri. A quel punto ci disse di ripetere
all’unisono.
«Da questo momento e per
sempre, consacro la mia vita al signore di Herrengton…
»
***
Deidra Sherton
Amesbury, Wiltshire - dom. 16 gennaio 1972
Il
buio...
Il
freddo...
La
furia del mare...
Il
dolore e la paura...
Il
pianto dei bambini…
Il
ghigno di Riddle...
La
voragine nera...
Annegavo...
La bocca piena di terra e acqua...
L’acqua
salmastra e oscura mi serrava le membra, dolenti per il pestaggio, i
vestiti si erano inzuppati d’acqua e mi tiravano
giù, annaspavo, nel tentativo di tenermi a galla e,
soprattutto, avere la forza per continuare a vedere, cercare, trovare.
Il mare s’ingrossava, mi sollevava di nuovo e mi ributtava
sulla spiaggia, portai le mani alla testa, per quel poco che ancora
riuscivo, per difenderla dalle punte più aguzze degli
scogli. Poi un colpo secco, in mezzo alla schiena, un dolore
così potente da perdere i sensi… e andare sempre
più giù.
Mi
risvegliai con il respiro corto: le coperte sembravano soffocarmi,
cercai di liberarmene e mettermi seduta ma appena mi mossi, il dolore
mi esplose nella testa, accecandomi. Immobile, portai le mani alle
tempie, affondai le dita nei capelli, sforzandomi di non urlare.
Mackendrick l’aveva detto, finito l’effetto della
pozione che mi aveva dato, avrei sentito violenti gli spasmi dovuto al
maleficio che avevo subito a Essex Street. Respirai a fondo, raccattai
le poche forze che avevo, cercai di regolarizzare il respiro e,
lentamente, concentrandomi sugli insegnamenti del vecchio Decano, che
mi aveva aiutato a prendere le mie Rune, ripresi in parte il controllo
di me. Non riuscivo ancora a muovermi ma poco alla volta gli occhi
ritornarono a vedere, scivolarono lungo le coperte e sulle pareti, con
l'aiuto della debole luce delle candele, ritrovai attorno a me oggetti
che mi erano familiari: la sponda con gli intarsi argentei del letto,
le tende verdi del baldacchino, la cassapanca di legno di noce, il
soprammobile a forma di Aquila in volo... tutto ciò che
emergeva dall'oscurità rossastra di quella stanza,
apparteneva alla mia camera da letto.
Amesbury... Doimòs
non ci ha ancora portati a casa…
«Alshain!»
Provai
ad allungarmi con il braccio e la mano sull'altro lato del letto,
volevo sentire il calore di Alshain, assicurarmi che fosse al mio
fianco, che tutte le atrocità che apparivano e sparivano
dalla mia mente, simili a flash, fossero solo i residui di un sogno
brutale. Il suo lato del letto, però, era freddo e vuoto.
Dov'è
Alshain? Possibile che sia riuscito ad alzarsi da solo dal letto?
L'agitazione
s'impossessò di me, immagini fumose iniziarono a prendere
forma e diventare angosciosi ricordi: Kreya stesa a terra, morta, la
casa di Londra in fiamme, i bambini rapiti, Abraxas... Alshain
trucidato di botte...
NO!
Mi
tirai su di scatto, la paura così forte da farmi dimenticare
il dolore... e la fitta inesorabile mi piegò in due,
istantanea, mozzandomi il respiro: dovetti sorreggermi al montante del
baldacchino per non crollare sulle ginocchia, priva di fiato.
«Alshain! Alshain!»
Mi
trascinai fino alla cameretta dei bambini, attigua alla nostra,
già prima di entrare, però, sapevo che non c'era
nessuno, pur sentendo il seno tirare per la necessità di
allattare Adhara, infatti, non udii mia figlia reclamare per la fame.
Mi affacciai, la cameretta era buia, fredda, silenziosa. E
c’era qualcosa che non doveva esserci: un
giornale… nella culla di Adhara.
Mi
trascinai dentro, fino alla culla, presi il giornale. Non era
l’Edizione Speciale ma l’edizione del 16 gennaio,
con le notizie di Londra date in maniera meno concitata: si parlava
della decisione del Wizengamot di scagionare mio figlio,
dell’esplosione a Londra della nostra casa, del fatto che i
Babbani non erano stati coinvolti dalla prima esplosione, ma solo nella
seconda, meno distruttiva. Quello che mi fece gelare il sangue,
però, fu la foto cerchiata di un uomo che conoscevo bene,
giù in fondo alla pagina: una foto cerchiata col
sangue… un titolo che mi fece tremare di paura.
TROVATO
IMPICCATO NEL SUO UFFICIO IL NOTO MEDIMAGO MURCHADH MECKENDRICK
Tornai
indietro, nella mia stanza, raggiunsi la poltrona: lì avevo
intravisto i vestiti di Alshain, ancora zuppi, sporchi di terra e
sangue, disfeci il letto e controllai le lenzuola, c’era la
forma del suo corpo e alcune tracce che indicavano che quella notte
qualcuno, ferito, aveva dormito in quel letto.
Non si
è trattato di un sogno...
Andai
al cassetto, l’aprii, non trovai la mia bacchetta, cercai
sulla mensola e la trovai accanto alla finestra.
Anche il
Patronus… non è stato solo un sogno….
Tesi
il braccio fino alla mensola, per sorreggermi e risollevarmi mentre un
capogiro mi prendeva. Lo sguardo scivolò fuori sul parco
addormentato della nostra casa nel Wiltshire: amavo quella casa, ma
avrei dato qualsiasi cosa per vedere le montagne, che dividevano
Herrengton da Hogwarts, che s'illuminavano della prima luce del sole,
la neve che perdeva il suo colore livido per ammantarsi di una
sfumatura rosata.
Meissa… Rigel...
spero che Orion sia riuscito a preservarvi da questa follia…
Iniziarono
a tremarmi le mani, calde lacrime mi scivolarono lungo la faccia.
Abbassai
lo sguardo, gli occhi scesero sul giardino innevato. Fu allora che la
vidi: simile a uno spettro, ai miei piedi, nel rettangolo chiuso dal
porticato, al centro perfetto del cortile di pietra, c'era una figura
immobile, in attesa, il volto nascosto dal cappuccio calato del
mantello, rivolto verso di me, gli occhi, di cui vedevo, pur da
lontano, il fosco bagliore, mi fissavano. Si calò via il
mantello e vidi mio marito, con ancora la veste da notte addosso, i
capelli scarmigliati e il volto tumefatto, fermo lì a
fissarmi. Sembrava un morto che camminava.
I
ricordi, tutti i miei ricordi delle ultime ore, esplosero nella mia
testa tutti insieme, nitidi, inesorabili, efferati. Ebbi un capogiro,
temetti di perdere i sensi, quando riuscii a ritornare lucida, mi
sporsi di nuovo a guardare la figura al centro del cortile. Non c'era
già più...
Tesi
l'orecchio, il sangue mi si fece ghiaccio: i suoi passi rimbombavano
lenti e pesanti mentre saliva le scale.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti
hanno letto, commentato e aggiunto alle liste. Il capitolo è
già lungo di suo, perciò un bacione e a
presto.
Valeria
Scheda
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