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Autore: Terre_del_Nord    15/02/2014    6 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.023 - Doppio Inganno

IV.023


Deidra Sherton

Amesbury, Wiltshire - sab. 15 gennaio 1972

Il rombo del tuono scosse la casa dal profondo, risvegliandomi dal torpore. Ci misi un po’ a capire che si trattava solo del temporale: nei pochi minuti in cui mi ero assopita, la tempesta che incombeva all'orizzonte aveva raggiunto il maniero. Rabbrividii per il freddo e la febbre e con difficoltà mi alzai dalla poltrona, mi sistemai un altro scialle sulle spalle e mi avvicinai alla finestra: le fronde degli alberi ondeggiavano e si piegavano sotto la furia del vento impetuoso, il buio della notte era squarciato dai fulmini che si susseguivano continui, sopra di noi, e si specchiavano nella stanza, sulle superfici dei mobili, sulle pareti, fino ad annullarsi nella bocca rosseggiante del caminetto acceso. Restai lì, inerte, per un po’, ipnotizzata dalla furia degli elementi.
Ero rimasta sconcertata quando c’eravamo Smaterializzati dal capanno e, dopo un viaggio brevissimo, mi ero ritrovata nella nostra casa nel Wiltshire: credevo che una volta riabbracciati Alshain e i bambini, quella lunga giornata di terrore fosse finita, che mi aspettasse una notte fatta di sofferenza ma da passare al sicuro, protetti dagli antichi incantesimi di Salazar Slytherin. Invece… Quando avevo riconosciuto il salone di Amesbury, il primo pensiero era corso ad Abraxas, l’idea che fossimo così vicini alla dimora del “mostro” che mi aveva sottratto i bambini mi faceva inorridire. Sull’orlo di una crisi isterica, avevo preteso una spiegazione dal vecchio Elfo ma Doimòs, invece di rispondermi, era scomparso sotto i miei occhi, terrorizzandomi ancora di più: non capivo cosa stesse accadendo, che intenzioni avesse, dove fosse andato.
Dopo pochi minuti, l’Elfo era riapparso, al seguito di Murchadh Mackendrick, il Medimago personale di Alshain, ancora in pantofole e palandrana da camera: oltre a riprendere a respirare, avevo iniziato a ragionare e mi ero commossa di fronte alla devozione e alla prontezza di quella creatura, che aveva risposto in maniera efficace al mio ordine di fare “tutto ciò che è necessario al tuo padrone”. Doimòs, infatti, al contrario di me, si era mantenuto lucido e aveva ricordato che, senza gli incantesimi di Alshain, capaci di aprire un varco per far entrare un estraneo a Herrengton, non gli sarebbe mai stato possibile portare un Medimago al capezzale del suo padrone, pertanto ci aveva momentaneamente Smaterializzati ad Amesbury, solo per farci ricevere le prime cure.

    «…Uhmmfff…»

Tesi l’orecchio appena sentii un lamento leggero, mi strinsi nello scialle e indietreggiai fino al letto, dove mi chinai a osservare Alshain: non sapevo se avesse cercato di chiamarmi o si fosse solo lamentato provando a muoversi. Le pozioni del Medimago avevano iniziato a fare effetto, ma continuava a soffrire per il dolore alla testa e soprattutto agli occhi, che persisteva benché fossero stati curati e protetti dalle bende: Mackendrick mi aveva suggerito di abbassare le luci ed io avevo spento tutti i candelabri, lasciando mio marito in penombra, illuminato solo dal tenue riverbero delle fiamme del caminetto. Gli scansai delicata i capelli umidi dal volto bollente e tumefatto, gli accostai le lenzuola, leggera, e sospirai più serena, rendendomi conto che il cupo rantolo che mi aveva spaventata a morte, si stava trasformando in un respiro più leggero e regolare.
Alshain, nonostante fosse ottenebrato dalla febbre e dal dolore, si era arrabbiato moltissimo con l’Elfo, per aver permesso che un altro estraneo, oltre a Orion, ci sapesse vivi: Doimòs era corso a punirsi, ma io ero riuscita a fermarlo, gli avevo dimostrato la mia riconoscenza, ricordandogli che il padrone era sconvolto e fuori di sé, ma non era arrabbiato, avrebbe anzi apprezzato l’iniziativa, l’indomani, perché il Medimago doveva visitare anche i bambini. Alla fine, Doimòs si era convinto di aver disubbidito a fin di bene e si era limitato a incastrarsi un dito nel cassetto, appena l’avevo ignorato per tentare di convincere Alshain, insieme a Murchadh, a farsi visitare. Quando poi mio marito aveva preteso che li lasciassi soli, avevo aspettato in anticamera, per minuti interminabili, durante i quali, terrorizzata, avevo sentito le sue urla di dolore invadere tutta la villa.

    «Non posso fare altro, qui, Deidra... dovremmo convincerlo a seguirmi a Inverness... anzi… sarebbe meglio che andaste al San Mungo, al reparto specializzato... Cerca di farlo ragionare… ammesso che la sua idea di tenere tutti all’oscuro abbia un fondamento logico, esistono sistemi per farsi ricoverare senza che nessun altro, oltre a me, debba sapere che si tratta proprio di lui… »
    «Con ferite del genere i Medimaghi non chiamerebbero subito gli Aurors, per raccogliere prove, testimonianze e denuncia? Forse è questo che Alshain vorrebbe evitare… »
    «Tu… stai dicendo che lui sa… ha riconosciuto chi è stato a farvi questo... non è così?»

Avevo abbassato gli occhi, colmi di lacrime, annuendo in modo impercettibile, Murchadh mi aveva messo una mano sull’avambraccio per consolarmi, poi aveva spiegato ad Alshain che se si fosse fatto accompagnare a Inverness da lui, non avrebbe subito le procedure che lo impensierivano. Non c'era stato verso, Alshain si era chiuso in un cupo mutismo ed era rimasto inerte, lì dove l'aveva adagiato Doimòs, appena Materializzati, senza considerare più nessuno. Ero convinta come Mackendrick che la sua ostinazione fosse dovuta al delirio e allo stato di ossessione in cui si trovava, dopo quello che aveva passato, e che probabilmente, al mattino, appena fosse stato più lucido, sarebbe stato più ragionevole, se non per se stesso, almeno per i bambini.
C’era però anche qualcosa d’indefinibile in lui che mi riempiva d’inquietudine, quel suo non ammettere obiezioni, quel suo cercare d’influenzare la volontà e la determinazione di chi lo circondava, lui che, da quando lo conoscevo, aveva sempre fatto del dialogo il perno di ogni rapporto. Fin da quando ero una ragazzina, degli Sherton avevo sentito dire che non avevano scrupoli a far fare agli altri ciò che volevano, con ogni mezzo, per questo la mia famiglia era stata tutt’altro che felice che mi fossi innamorata di lui, temevano mi avesse plagiata e che prima o poi mi sarei ritrovata abbandonata e delusa da quell’uomo. Io però conoscevo un Alshain diverso, un ragazzo che non tentava di forzare la volontà degli altri con la Magia e mi ero fidata di lui; per anni avevo visto quella mia fiducia ben riposta, mai aveva usato qualcosa che non fosse la sua abilità di persuasore per convincermi della bontà delle sue idee. La mia incapacità di prendere il sopravvento contro la sua ostinazione, in quel preciso momento, però, mi faceva temere che, per la prima volta, fosse ricorso a un mezzo illecito per coinvolgermi nella follia intrapresa, perché, per quanto mi sforzassi d’impormi, mi ritrovavo sempre da capo, alle prese con pensieri inutili e inconcludenti.

    Sono io debole e confusa o sto subendo un tuo incantesimo? Che cosa è successo, davvero?

Continuavo a chiedermelo, dopo ore, mentre la notte superava il suo culmine e il temporale si scatenava su di noi; mi sedetti lì, al suo fianco, sul letto, gli accarezzai i capelli e osservai quel volto martoriato, che portava su di sé i tratti che amavo ricercare e ritrovare nei nostri figli. Sentii una stretta al cuore e un sospiro fondo mi si levò dal petto. Gli presi una delle mani fasciate tra le mie, la baciai, delicata. Murchadh aveva praticato le sue cure a lungo, lasciandomi poi dei compiti: guardai il composto odoroso sul comodino, avrei dovuto applicarlo su ogni ferita visibile.

    «Non hanno usato solo la Magia, Deidra... l’hanno picchiato a mani nude, come fanno i Babbani... poi… credo abbiano usato la Magia per rinsaldare… male… le fratture prodotte... »
    «Salazar… ma perché? Che follia è mai questa? Che senso ha?»
    «Per farlo soffrire di più… Non credo ci sia una logica, a parte l’odio e la volontà di compiere uno sfregio… basta guardargli le mani... questo è odio… odio puro… »

Ricordai come avessero straziato le sue mani, quelle mani che cullavano con dolcezza i nostri figli, quelle mani che mi accarezzavano con passione. Mi salirono di nuovo le lacrime agli occhi e cominciai a piangere, senza controllo. Dopo esserci Smaterializzati dal capanno, avevo cercato di trattenermi in ogni modo, ma ormai ero troppo sfinita e turbata per riuscire a resistere ancora.

    «Ce la farà, non è in pericolo di vita, la situazione appare più seria di quanto sia in realtà. Hanno goduto nel farlo soffrire, nel torturarlo, ma nulla di ciò che vedo lo porterebbe alla morte.»
    «Nulla di ciò che vedi? Temi ci sia qualcosa che… qualcosa che sfugge alla vista?»

Murchadh non era riuscito a sostenere il mio sguardo, era andato alla finestra, sospirando, come se dovesse fare chiarezza nei suoi pensieri e trovare le parole migliori per spiegarsi. Avevo iniziato a tremare, l’avevo raggiunto alla finestra, l’avevo costretto a voltarsi e a guardarmi negli occhi.

    «Voglio sapere tutto… temi ci sia qualcosa che non riesci a vedere?»
    «Sì… ed è questo che mi preoccupa... Deidra... tutto questo è troppo strano… sembra solo un gesto dimostrativo… ma che senso ha? Non ho mai visto nessuno in quelle condizioni riuscire a scappare solo con le proprie forze, nemmeno Maghi del Nord… Ti prego… aiutami a convincerlo ad andare… tutti voi dovreste farlo… Sì, Deidra… tu stessa… e soprattutto i bambini!»
    «I bambini? Che cosa vuoi dirmi… ti prego, mi stai spaventando… »

Era rimasto a lungo in silenzio, terrorizzandomi, se possibile, ancora di più.

    «Dove sono stati quando li hanno presi? È stato fatto loro qualche incantesimo? In un certo senso… forse ha ragione Alshain: non dovreste andare a Inverness o al San Mungo, ma chiamare una persona fidata, che conosca bene questo genere di Magia: la Magia Oscura… Sappiamo entrambi, Deidra, chi è l’unico ad avere competenze sufficienti ad affrontare tutto questo... »
    «Io non mi fido di quell’uomo, Murchadh!»
    «Lo so… ma Fear ha messo la sua vita al servizio di Herrengton, ha giurato di sacrificare se stesso per tuo marito e i tuoi figli! Credo sia giunto il momento di vedere di cosa è capace… »

Se n’era andato poco dopo, promettendo di ritornare prima dell’alba, per darmi il tempo di riflettere e di recuperare un poco di energie. Lasciai delicatamente la mano di Alshain sul letto, mi sollevai, aprii il comodino e presi la mia bacchetta, poi, pensierosa, tornai alla finestra. A est, in direzione dell’imponente villa con i giardini pieni di pavoni che erano il vanto di Abraxas, e in cui di certo quel maiale stava riposando, compiaciuto dei favori che avrebbe ottenuto dal Lord per i servizi resi, la coltre di nubi iniziava a rompersi, lasciando intravvedere il cielo buio, intessuto di stelle.

    Che cosa hai fatto ai miei bambini, lurido bastardo?

No, non potevo vivere con quel dubbio, non potevo dare ascolto ad Alshain, fingere che non fosse accaduto nulla e tacere. Dovevo mettere da parte i timori e il disagio che quel vecchio pericoloso mi suscitavano e chiedere il suo aiuto… fare tutto ciò che era in mio potere per i miei figli.

    Che Salazar ci protegga…

Levai la bacchetta e mi concentrai su un ricordo, uno dei più belli della mia vita: la riva del Lago Nero, la trepidazione di due ragazzi che stanno infrangendo le regole, un giovane dai capelli corvini mossi dal vento e dal sorriso radioso, le mie mani tra le sue, le sue labbra sulle mie, le risate per il solletico della sua barba morbida sulla mia pancia. Dalla punta della bacchetta iniziò a formarsi un fascio di luce argentea, che uscendo s’ingrandiva e assumeva le fattezze di un’enorme aquila reale.

    Cerca Fear, per terra e per mare: i miei figli hanno bisogno della sua Magia!

Vidi il fascio di luce levarsi, rotolare su se stesso e diventare una palla argentea che subito sparì, diretta chissà dove. Mi distesi, al fianco di Alshain, esausta, mi accostai a lui, leggera, prendendo la sua mano tra le mie. E finalmente mi abbandonai al sonno, grata, udendo il suo respiro regolare.

***

Rigel Sherton
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972

    «Signor Malfoy... può andare... ci pensiamo noi... »

Avevo ascoltato speranzoso il Preside, quando aveva detto “NOI”, credevo che dietro di lui ci fosse mio padre, a portare un minimo di consolazione a mia sorella e a me, al termine di quella giornata tremenda. Quando, invece di papà, vidi apparire, intabarrato in un mantello nero con il cappuccio che gli celava parte del viso, zio Phelan, il fratello maggiore della mamma, rimasi deluso e, soprattutto, sorpreso: avevamo sempre avuto poco a che fare con lui perché, ai tempi del fidanzamento dei miei genitori, lo zio li aveva osteggiati almeno quanto aveva fatto nonno Donovan, per motivi opposti ma altrettanto stupidi. In seguito, pur rappacificato con la mamma, lo zio aveva provocato più volte mio padre riguardo alla politica, per questo non si erano mai frequentati volentieri. Crescendo, avevo percepito quanto la mamma soffrisse per il comportamento del fratello, così avevo iniziato a prendere in antipatia quell'uomo: certo, per non dare altri dispiaceri a mia madre, avevo cercato di seguire l'esempio di Mirzam, sforzandomi di contenere i miei malumori le rare volte in cui me l'ero trovato di fronte, ma quando mi si era presentata l'occasione di evitarlo o ignorarlo... non me l'ero fatta scappare! Non che lui si sforzasse di fare un passo verso di noi, tutt'altro: oltre l'evidente disprezzo per tutto ciò che rappresentava Herrengton, aveva rifiutato l'invito al ricevimento per il matrimonio di mio fratello. Mirzam non se l'era presa, lo conosceva e, visti i precedenti, addirittura si augurava che non si facesse vedere, mamma e papà, invece, si erano arrabbiati così tanto che immaginavo avessero interrotto ogni rapporto con lui.
Per tutte queste irritanti vicende, zio Phelan era l'ultima persona che immaginavo di trovarmi davanti, quella sera; la mia sorpresa e la mia delusione, però, durarono poco: appena iniziai a riflettere, infatti, compresi che la sua presenza dava un senso, un unico, preciso, mostruoso senso, a quanto era accaduto quel giorno. Come avviene a tutti i pezzi di un puzzle, ogni evento si dispose infine al proprio posto: il mio incidente, le mie visioni, lo svenimento di Meissa, il silenzio teso di amici e professori, l'espressione sordida di Lucius, la misteriosa prima pagina del Daily Prophet... e a completare il tutto, la presenza inaspettata e altrimenti immotivata di uno zio da sempre assente.

    … Tutto questo ha senso solo se...

Poteva esserci un solo motivo se papà e mamma, pur sapendoci feriti, non si presentavano a scuola ma arrivava un nostro parente al loro posto. Nulla, a parte qualcosa di orribile li avrebbe tenuti lontano da Meissa e da me. Il respiro mi si mozzò. Mi aggrappai al lenzuolo così forte da strapparlo.

    L'Erede di Hifrig si manifesta quando il precedente Signore di Herrengton è in fin di vita... ma il signore di Herrengton, stupido che non sono altro, non è mio fratello... è mio padre! Salazar! È successo qualcosa a papà! E la mamma? Perché non è qui almeno lei? Salazar... No... NO!

    «Vi chiedo per cortesia di uscire e lasciare il signor Llywelyn da solo con i nipoti... Horace, per favore, riaccompagna nei sotterranei i tuoi studenti... »

La voce del Preside era lontana, un bisbiglio che appena udii, vidi con la coda dell'occhio Lucius, Narcissa e Slughorn, seguiti dallo stesso Rabastan, appena medicato, uscire dall'infermeria, mesti: erano solo pallide ombre per me, ai cui gesti non sapevo neanche dare un significato, c'era solo buio, ora, nella mia testa, finché, a pioggia, da quell'oscurità confusa, iniziarono ad animarsi immagini terrificanti sulle quali campeggiava il ghigno mostruoso del Mangiamorte di Herrengton.
Qualcosa di caldo e salato mi raggiunse le labbra, stavo piangendo, lacrime silenziose e implacabili. Inarrestabili. Rapido, pieno di vergogna, mi passai la mano sul viso, per cancellare la mia debolezza: l'avevo giurato a me stesso, quella notte, non mi sarei più comportato da bambino, figurarsi in quel momento, alla presenza di uno zio che detestavo e del Preside che non stimavo. Per quanto facessi per controllarmi, però, la schiena continuava a essere scossa da singhiozzi sempre più rapidi e violenti, e la gola si serrava dal dolore. In silenzio, Dumbledore fece il giro delle porte e impose ovunque degli incantesimi non verbali, poi si fermò di fianco al mio letto, zio Phelan intanto si era avvicinato a Meissa e dopo averla osservata, immobile, si era chinato su di lei e le aveva preso le mani tra le sue, sfiorandole con le dita e studiandole a fondo. Sembrava pervaso da interesse genuino e un certo affetto, il che mi parve strano, trattandosi di mio zio, ma ero così confuso e fuori di me da non capire se fosse vero o frutto della mia immaginazione. Quando lo zio parlò all'orecchio del Preside e si avvicinò al mio letto, però, dicendomi di stare tranquillo, l'urgenza di sapere quanto fosse accaduto mi riscosse da quel senso di torpore e stordimento.

    «Perché mia sorella è svenuta? Che cosa sta succedendo? E cosa ci fai tu qui? Dove sono mio padre e mia madre? Perché nessuno di voi mi vuole rispondere?»

Di fronte alla mia agitazione, i due Maghi rimasero enigmatici e muti, lo zio si sedette sul mio letto e mi prese le mani tra le sue; all'inizio pensai che fosse il Sangue a fargli mostrare, infine, un minimo di partecipazione verso di me, ma il suo interesse si concentrò subito solo sulle mie mani: quando provò a togliermi le bende, iniziai a scalciare per sottrarmi alla presa, invano.

    «Lasciami immediatamente, che cosa credi di fare? Voglio sapere la verità! Lasciami!»
    «Tra un momento, Rigel... ora non c'è tempo da perdere... devo curarti... lasciami fare... »
    «COSA? Tu non sei un Medimago! Lasciami! Che cosa fai? Lasciami ti ho detto! NON MI TOCCARE! Tu non sei niente, per me! Non mi sei stato mai nemmeno parente! Vattene! NO! NO! VATTENE! Non ti voglio qui... NOOO! Lasciatemi! NO! NO! LASCIATEMI! NO! NO! NOOO!»

Mi ero ribellato come un gatto selvatico, mentre lo zio imponeva un tocco di bacchetta all'ultimo strato di bende, scoprendo le mie mani prive di ferite; terrorizzato, avevo cercato con lo sguardo l'aiuto del Preside, sapeva quanto fosse importante che nessun estraneo scoprisse la verità ma Dumbledore era tutto concentrato a studiare i movimenti della bacchetta dello zio sulle mie mani e non aveva fatto nulla. Mi ero sentito tradito anche da lui, aveva ragione papà a dire che del Preside Dumbledore non bisognava fidarsi. Avevo stretto i denti e, con le poche forze che avevo ancora, mi ero tirato su e avevo dato uno spintone allo zio, per allontanarlo, ottenendo invece che il Preside lo aiutasse a tenermi fermo. Ora ero solo, indifeso, impaurito, impotente. Avevo lottato come una furia, ma ormai ero stanco, infinitamente stanco: le forze scivolavano via, mio zio mi fissava, preoccupato, borbottando qualcosa a fior di labbra, qualcosa che sembrava, anzi era, gaelico antico.

    Le nostre litanie... i nostri riti… com’è possibile? Lo zio non fa parte della Confraternita...

    «Puoi fare qualcosa per le sue mani?»

Lo zio annuì e tirò fuori da una tasca del mantello una boccetta di vetro e argento che conteneva dell'inchiostro. Respiravo a fatica, avevo la mente confusa, non capivo cosa stesse accadendo, per quale motivo mio zio, che da sempre era in lotta con la Confraternita, aveva con sé una boccetta identica a quelle che i Decani e mio padre usavano per tracciare le Rune. Ero così sconvolto e sfinito che, quando sotto il cappuccio del mantello, i suoi ispidi capelli rossi si fecero neri a ciuffi, la carnagione lentigginosa divenne bruna, velata da una barba leggera, mentre la mano s’ingrandiva e si deformava intorno alla mia, mi convinsi di sognare.

    Sì... Forse... mi sto svegliando... forse quest'incubo sta per finire...
    No... Rigel... ricordi? Che cosa ti ha insegnato la mamma sugli effetti di una Polisucco?

Intorpidito, in testa la voce di papà e il pensiero della mamma, mi feci forza e tentai di tenere aperti gli occhi, lo fissai: quell'uomo non era mio zio, ma io conoscevo quella faccia, sapevo il nome di quell'uomo, l'avevo visto anche di recente... ma non riuscivo a concentrarmi tanto da ricordare.

    «Chi diavolo sei? Che cosa vuoi da me? Che cosa… mi… avete... fatto... Per... ché... »

Tutto diventò nero e fluido attorno a me mentre annaspavo nell'Oblivion silenzioso del Preside.

***

Orion Black
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972

    Se non è corso qui, a Hogwarts... dove diavolo è finito quel cane di Malfoy?

C'era anche questa domanda, ancora priva di risposta, a rendermi intollerabile l'attesa. Uscito dall'ufficio del Preside e tornato in anticamera, mentre Fear e Dumbledore finivano di discutere, ero andato a sedermi e mi ero allentato un po' la cravatta: ero talmente agitato che le mie mani tremavano e un leggero velo di sudore freddo m'imperlava la fronte. Per evitare di sentirmi male, avevo bevuto un sorso della mia pozione medica, la portavo sempre con me, proprio per affrontare situazioni di tensione come quella, poi, in attesa che facesse effetto, avevo cercato di calmarmi in tutti i modi, facendo respiri fondi e provando a non pensare più a nulla. Naturalmente non c'ero riuscito. Un quarto d'ora più tardi, passato io a rimuginare, agitarmi e sospirare, Fear e Dumbledore a discutere, eravamo scesi insieme in infermeria, senza rivolgerci mezza parola, e lì, di nuovo, ero dovuto restare fuori, mentre Fear andava a curare i ragazzi e, soprattutto, verificava la consistenza di tutti quei sospetti su Rigel, di cui io mi ostinavo a non voler sapere nulla.
Non era stato facile farsi da parte: il desiderio di tenersene fuori per il bene della mia famiglia si scontrava con la volontà di aiutare Alshain e i suoi figli, ma anche con la paura della reazione del Signore Oscuro, se non avessi collaborato. Non volevo cedere al panico, scatenato da quest'ultimo aspetto della vicenda, avevo finito perciò con il concentrare i miei pensieri sul perché Fear fosse lì, anche se in breve tempo ero stato travolto da dubbi addirittura peggiori. Da quando avevo sentito per la prima volta il suo nome, sapevo che gravavano tanti sospetti su MacPherson ma Alshain, sostenendo che fossero vecchie dicerie infondate, mi aveva convinto a fidarmi di lui; con il tempo, invece, avevo compreso che il mio migliore amico si sbagliava di grosso su quel dannato Mago e ne avevo avuto una tragica conferma la notte in cui era successo il finimondo a Herrengton, quando avevo visto con i miei occhi quel vecchio pazzo di Fear pronto a sacrificare Rigel.

    No, non avrei dovuto lasciare i ragazzi soli nelle sue mani! Dovevo entrare e controllarlo!

Quanto a Dumbledore, i miei giudizi andavano da “patetico buono a nulla”, a “lurido Babbanofilo traditore”, al più grave “mefistofelico macchinatore” e, al termine di quella giornata orrenda, non ero certo dell'umore più adatto a concedergli il beneficio di un mio ripensamento. Tutt'altro. L'idea assillante dei ragazzi nelle mani di quei due vecchi rincitrulliti mi aveva chiuso lo stomaco e fatto aumentare il senso di oppressione al petto, al punto da convincermi a entrare e vedere con i miei occhi che cosa stesse succedendo, soprattutto quando avevo sentito, seppur attutita, la voce di Rigel che ordinava loro di non toccarlo. Mi ero alzato, avevo messo la mano sulla maniglia, pronto a intervenire, e lì mi ero accorto che la porta era stata bloccata dall’interno e non si apriva più.

    Maledetto traditore Mezzosangue! Dovevo immaginarlo che sarebbe finita così!

Non avevo potuto fare nulla, mi ero messo da solo nelle condizioni di essere una presenza inutile. Per tutto il tempo, sospirai più e più volte, maledicendomi per la mia ingenuità e finendo con il bere, un sorso dopo l'altro, quasi tutta la pozione tranquillante, nel vano tentativo di far sparire le immagini spaventose che la mia fantasia aveva iniziato a creare. Alla fine, tra gli effetti della pozione, la stanchezza e la tensione accumulata, avevo la mente del tutto intorpidita.

    Perfetto! Essere incapace di pensare e reagire prontamente sarò molto indicato, quando sarò alle prese con quel pazzo maniaco assassino di Rodolphus Lestrange!

Nonostante tutto, avrei bevuto volentieri altra pozione, per cercare di non agitarmi ancora di più nel ricordare cosa quel folle avesse fatto a quei dannati Aurors su, in cima alla torre di Herrengton, ma non ne era rimasta più nemmeno una goccia. Mi abbandonai su un divanetto, inerte, sperando che il torpore passasse in fretta. Per fortuna, alla fine, attesi così a lungo lì, da solo, nell'anticamera dell'infermeria, illuminata dalle fiamme dei bracieri, che l'effetto ipnotico della pozione ebbe tutto il tempo di arrivare al suo culmine e iniziare a dissiparsi, prima che Fear uscisse ed io potessi entrare a vedere i ragazzi. Stranito dalla stanchezza e da quella specie di “sbronza medica”, ero convinto di aver trascorso l'intera notte mezzo svenuto su quel vecchio sofà: per riprendermi un poco, a un certo punto, mi ero alzato e mi ero sgranchito, ero andato alla finestra ed ero rimasto a lungo a osservare la nera massa informe della notte che ammantava ogni cosa, ancora più oscura là dove gli alberi innevati si aprivano intorno al Lago Nero, e rossa delle fiamme dei bracieri, via via che si faceva più vicina, sulle alte torri della scuola, sui cortili innevati e sui portici attraversati dal vento. Un Elfo si era presentato un paio di volte per offrirmi cibo e da bere, ma io, preda della nausea, avevo preferito congedarlo senza servirmi. Infine, esauriti gli effetti deprimenti della pozione, mi ero ritrovato privo di forze, ma calmo e lucido, così avevo sfruttato solitudine e silenzio per valutare i ricordi della giornata, alla ricerca di un dettaglio che mi aiutasse a infondere speranza nei ragazzi, come voleva Deidra, senza mancare alla promessa fatta ad Alshain, di non dire loro tutta la verità.
L'unico momento tollerabile della giornata era stato il mio incontro con Narcissa: ero nell'anticamera dell'infermeria, Dumbledore e Fear erano entrati da pochi minuti, quando avevo visto uscire Lucius Malfoy, un damerino anemico, se possibile ancora più borioso e irritante del padre, quell'inquietante disadattato del giovane Lestrange, rimesso a nuovo dalla Pomfrey, seguito e redarguito da Slughorn, e infine la mia meravigliosa nipote. Mi ero intrattenuto con lei, la consideravo la mia sola nipote ormai, così cortese e aggraziata da concedermi, sebbene per pochi minuti, l'illusione che fossi a Hogwarts in visita di cortesia e che tutto quel dannato giorno fosse solo un incubo. Narcissa mi aveva raccontato che Meissa era stata aggredita da quel porco di McNair e che lei e suo cugino, Evan Rosier, avevano prestato le prime cure alla bambina. Le avevo stretto la mano, ringraziandola come padrino dei ragazzi e salutandola come zio, compiaciuto e fiero di lei.

    Dovrò fare qualcosa per rivalermi su McNair e sul Preside per quanto è accaduto oggi ai ragazzi... non sarei un buon tutore, per loro, se non lo facessi!

A quel punto, mentre, come un disco rotto, i pensieri erano tornati a Fear e alla pessima sensazione che mi stesse sfuggendo qualcosa d’importante, il vecchio Mago del Nord era uscito dall'infermeria: lo stomaco mi si era chiuso all’istante, al pensiero di dover entrare e straziare i ragazzi con le mie bugie e, peggio ancora, dover poi tornare a casa ad affrontare Bellatrix e Rodolphus. Ricominciai a sudare freddo, mentre osservavo Fear, scortato da un Elfo fino a uno dei camini: mi passò vicino e rispose a malapena al mio saluto, taciturno e spossato, benché fosse rimasto dentro appena due ore. Mi fece una stranissima impressione, non sembrava neppure lui, il bastardo irritante che, ahimè, avevo imparato a conoscere fin troppo bene. Persino col Preside si comportò in modo strano, si congedò dalla scuola, infatti, senza fare nemmeno una delle sue abituali taglienti battute sul suo ignobile Stato di Sangue. Non lo vidi bene in faccia, si era già calato il cappuccio su buona parte del volto, ebbi, però, la sensazione che la sua altezza fosse eccessiva, sia per Phelan sia per Fear. Forse aveva assunto l'aspetto di qualcun altro, prima di allontanarsi da Hogwarts, e non mi preoccupai più di lui: dopo tutte quelle ore di attesa infinita, infatti, Dumbledore mi stava invitando a entrare.

*

Avanzai tra le due fila di letti, preda di una trepidazione molto potente, simile a quella provata quando avevo fatto visita, mesi addietro, al mio piccolo Sirius, quando l’avevano aggredito. Per prima vidi Meissa, distesa nel lettino più vicino all'ufficio della Pomfrey, a destra: mi accostai, riposava serena, i lunghi capelli corvini che le scendevano come due nastri di seta a incorniciarle il viso, le coperte bene accostate sulle spalle e il respiro leggero, di chi sta dormendo profondamente.

    «A parte lo spavento e un bernoccolo dovuto alla caduta, la bambina sta bene. Madame Pomfrey le ha somministrato una pozione rilassante, si sveglierà domattina... »

Guardai il Preside e annuii: avrei preferito trovarla sveglia, per evitare di dover ripetere le mie menzogne o dover passare un'altra intera notte a cercare le parole giuste per dare loro un dolore inenarrabile, ma mi consolavo nel sapere che almeno lei stesse bene. Dumbledore mi accompagnò quindi al letto del mio figlioccio, in silenzio: anche Rigel riposava, ma il suo sonno era agitato dalla febbre. Vidi le sue mani fasciate e un brivido mi attraversò la schiena: i bambini erano in salute, Meissa aveva solo bisogno di riposo, Mirzam era fuori dai giochi, altrimenti Fear non si sarebbe precipitato a Hogwarts. Avevo fatto di tutto per non sapere, ma la verità era lì, urlata, di fronte a me.

    Rigel è il futuro signore di Herrengton... non ci sono più dubbi, ormai...

Il Preside, vedendomi esitare, iniziò a farmi un lungo discorso che non compresi, in cui mi rammentava che il ragazzino si era perso e ferito nel bosco, poi si chinò su Rigel, gli tolse le bende, e mi mostrò lunghe e profonde ferite sui dorsi e i palmi delle mani, simili a graffi lasciati dagli artigli di un animale selvatico o dalle lunghe e dure spine ricurve dei rovi. Lo guardai stupefatto.

    «Che cosa significa? Mi avevate detto che non aveva ferite! Che cosa sono quelle?»
    «Le ferite c’erano ma sembravano così superficiali da non poter causare la perdita di tanto sangue. Secondo Fear, invece, è come con le Rune: il Maleficio subito dal ragazzo a Herrengton tende a nascondere i segni esteriori delle ferite e, rendendo più difficile comprenderne la gravità e sbagliando l'approccio e le cure, di fatto porta il giovane a indebolirsi sempre più. Per fortuna, con le pozioni che aveva con sé, Fear è riuscito a rilevare le ferite e a curarle; ora la Pozione Rimpolpa-sangue della Pomfrey funzionerà e, grazie agli unguenti, le lesioni si rimargineranno velocemente e bene, così non resteranno neanche le cicatrici. Ti ho fatto preoccupare senza motivo, Orion... mi spiace... »

Annuii, ma non ero convinto, così presi le mani di Rigel e le osservai con attenzione: credevo e temevo che sotto quelle bende non ci fosse nulla, e che quelle che stavo vedendo fossero ferite finte, invece, sia alla vista sia al tatto, mi accorsi che non erano un trucco né l'effetto di un incantesimo.

    Com'è possibile? Ricordo che cosa avvenne ad Alshain quando il padre fu in punto di morte… è normale che la situazione di Rigel sia completamente diversa? O forse è indizio che non si tratta di lui? Chi è allora? L’Erede non è uno dei bambini, né Meissa, resterebbe solo... possibile che sia Mirzam?

Cercai di mascherare il mio turbamento: Alshain, era vivo per miracolo, l'Erede doveva essersi manifestato in qualche modo... era impossibile che non fosse accaduto nulla... a meno che...

    Alshain è già stato male... il giorno del matrimonio... anche in quel momento sembrava più morto che vivo... perché l'Erede non si è manifestato allora?
    Aspetta Orion... Rigel era vittima della Fiamma... e Meissa era sparita... vero... e anche allora... anche allora nessuno di noi è riuscito a vedere Mirzam...

L'unica soluzione logica era che si trattasse proprio di Mirzam ma, a quel punto, la presenza di Fear a Hogwarts non aveva più senso. C'era qualcosa che non mi convinceva. Dovevo riflettere con calma: se fosse stato necessario, avrei messo le mani addosso a Fear e preteso spiegazioni.

    «Gli avete detto che cosa è successo?»
    «No, Fear ha solo valutato e curato le ferite. Il ragazzo non si è mai neanche ripreso... »
    «Mai? L'ho sentito urlare dall’anticamera! Sarei intervenuto se non mi aveste chiuso fuori!»
    «È stato necessario, Orion: la Polisucco stava finendo i suoi effetti e visto quanto era sconvolto, non mi è sembrato il caso che il ragazzo vedesse suo zio tramutarsi in Fear.»
    «Così l'avete sedato! Bene! Ora toccherà a me svegliarlo, affrontare la situazione, mentire!»

Lo osservai, disteso nel lettino, i capelli umidi di sudore, appiccicati al volto reso smunto da troppi giorni di continua sofferenza: tra i figli di Alshain, Rigel era quello che più gli assomigliava, nell’aspetto pareva non aver influito in alcun modo la famiglia della madre. Per quanto riguardava i gesti e il carattere, invece, Rigel era la copia di suo padre solo in apparenza: fin da piccolino, soprattutto quando era solo o pensava a qualcosa molto intensamente, assumeva la stessa espressione riflessiva ed eterea che era uno dei tratti caratteristici di sua madre.
Mi chinai su di lui mentre Dumbledore aveva la decenza di andare alla finestra e mettersi a fissare la notte, mi sentii girare la testa, la memoria mi riportò a un altro capezzale, a un bambino di molti anni più piccolo, ferito gravemente: ricordai commosso quei grandi occhi di luna, cerchiati dalla febbre, che si aprivano improvvisi su di me e le piccole dita che si stringevano attorno alle mie.

    Zio... Orion...

    «Affrontare la situazione e mentire? Bizzarra scelta di parole, Orion… »

La voce del Preside mi riportò, irritante, al presente, mi voltai, alterato e astioso, Dumbledore riusciva sempre a suscitare in me, con i suoi modi insidiosi, tutta l'aggressività repressa che covavo.

    «... Mentire è una scelta personale, nessuno può vietarci di dire la verità... »
    «Non so di cosa state parlando... e non ho tempo per ridicoli indovinelli!»
    «Alshain e Deidra Sherton sono vivi, non è così? Non fingere... Ti sei tradito quando ti sei reso conto che il famigerato Erede non è né Rigel né Meissa... E la presenza di Fear, qui, farebbe pensare che non lo sia neppure Mirzam... dunque potrebbero essere solo i bambini… ma tu sai che non è così, perché li hai visti, insieme ai genitori, ed è per questo che sei rimasto così sconcertato!»
    «Queste farneticazioni non meritano risposta! Non mi presterò a questi stupidi giochetti!»
    «Qui sei tu, Orion, l’unico a giocare. E con le vite di questi ragazzi, dei tuoi figliocci! Qualsiasi promessa tu abbia fatto a Sherton, valuta, mano sulla coscienza, cosa sia giusto fare!»

La parola “promessa” mi fece rabbrividire, cercai di reprimere i dubbi che già mi stavano assalendo: qualcuno mi aveva forse pedinato fino al capanno nel Wiltshire? Ricordai la strana sensazione di “presenza” nel bosco, attorno al capanno, e, peggio ancora, il discorso fatto da Fear su Warrington, al quale pareva avesse ordinato di seguirmi per tutta Londra. E se quello sbruffone mi avesse pedinato fino nel Wiltshire? No, non era possibile! Non c'era nessuno nel bosco... Doveva essere una mia suggestione, dovuta alla stanchezza o a un trucco del Preside: la capacità di Dumbledore di bluffare, mentire, mettere tutti alla prova, non aveva uguali. Ci stava provando ed io, con i nervi tesi che mi ritrovavo, rischiavo di cadere nelle sue trappole, ammettendo e mostrando più del dovuto.

    «Se sono impallidito, come voi dite, Albus, è perché non immaginavo di vedere ferite così brutte. Eppure, lo ammetto: è la prima notizia buona della giornata: sono felice che quella congrega di pazzi del Nord non potrà rovinare l'esistenza di Rigel e Meissa. Sì, ne sono sorpreso e sollevato!»
    «Abile oratore come al solito, Orion... puoi ingannare me, o un estraneo, certo, ma dimmi... riuscirai a ingannare la tua coscienza, quando questi ragazzi ti guarderanno dritto negli occhi?»
    «Sono stanco di voi e delle vostre ciance, Albus! Non ho altro da dirvi! Sappiate solo che non vi permetterò di turbare questi ragazzi con le vostre assurde teorie cervellotiche!»
    «Assurde teorie cervellotiche? Non ti sei chiesto come mai l’Erede non si sia manifestato già la notte dell’agguato a Herrengton? Eppure anche quella notte Alshain è stato in punto di morte! Ebbene... sì... È avvenuto, anche se nessuno se n’è accorto. È da allora che Fear ha capito: l’Erede è Mirzam, per questo il ragazzo non è tornato a casa, mentre tutti lo cercavano... Il vecchio, non fidandosi completamente di lui, ha preso e spostato la Fiamma. Ora, però, pare che il ragazzo sia scappato e deve aver trovato anche la reliquia, perché sia Habarcat sia le carte di Doire sono sparite con lui... Intende usarle per sé? Le darà a Voldemort? Nessuno ha idea dei suoi propositi, ma è facile intuire che cosa accadrà nelle Terre, quando la notizia si spargerà e nessuno dirà la verità su Alshain Sherton: le Terre si divideranno in fazioni, l'hai detto anche tu, nemmeno due ore fa... e tu sarai responsabile della sorte di questi ragazzi, se deciderai di mentire!»
    «Ora basta!»

Gli diedi le spalle, deciso a non sentire altro, mi sedetti vicino a Rigel, tenendogli le mani e continuando a fissare quelle ferite, poi, con un incantesimo, rimisi le garze e le bende al loro posto.

    Dannati scozzesi, che intenzioni avete? Ciò che dice Dumbledore è la verità? Perché Alshain preferisce far soffrire i figli che mostrarsi vivo al mondo? Da chi sta veramente scappando Mirzam? Ed io? Che cosa posso fare? Che cosa devo fare? Assecondare Alshain o rispettare il desiderio di Deidra? Che cosa accadrebbe se azzardassi a fidarmi della maturità di Rigel, confessando almeno a lui quello che so? E se invece questa folle posizione, nonostante tutto, fosse sensata? Se esponessi io i ragazzi a un pericolo reale, qualora rompessi la promessa fatta?

    «Rigel... »

Attesi ma non ci fu alcuna reazione, mi avvicinai col viso al suo orecchio e ritentai.

    «Rigel mi senti?»

Di nuovo nulla, a parte un leggere movimento degli occhi sotto le palpebre, forse stava sognando. Feci una leggera pressione sul suo avambraccio, per favorire il risveglio.

    «Rigel... apri gli occhi... »

Iniziava a percepirmi: corrugò la fronte, come chi lotta per emergere dall'incoscienza. Alla fine aprì gli occhi e mi ritrovai a fissare lo stesso profondo sguardo di mercurio del mio migliore amico. Gli passai rapido la mano sul viso, per scansargli i capelli umidi dalla faccia, poi mi allontanai appena, perché mi vedesse bene, mi riconoscesse e si tranquillizzasse.

    «Eccolo... è cosciente, finalmente! Ora lasciatemi solo con il mio figlioccio, Albus!»

***

Rigel Sherton
Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972
    Non lo permetterò mai più... nessun altro m'ingannerà...

    «Rigel... »

    Non lascerò più che mi trattino da bambino... non di nuovo...

    «Rigel mi senti?»

    Io non sono più un bambino... non verserò più lacrime...

    «Rigel... apri gli occhi... »

Una voce emergeva da quel silenzio, pervaso solo dalle mie parole, dalle mie preghiere, continue, ossessive. Una mano forte prese il mio avambraccio, lo strinse, deciso, senza farmi male. Catturai un profumo intenso, di spezie orientali: lo conoscevo, lo ricordavo, ma non riuscivo a identificarlo.

    È... è il profumo di... il profumo che ho sentito a casa di...

Riemersi dall'oblio e trovai, a pochi centimetri da me, due profondi occhi grigi che mi fissavano.

    Il profumo, gli occhi...

La mente iniziava a reagire, sentii la mano staccarsi dal mio avambraccio e passare rapida sulla mia faccia, per scansarmi un poco i capelli, gli occhi si allontanarono e, finalmente, riuscii a mettere a fuoco il volto serio e impassibile di Orion Black, il mio padrino.

    «Eccolo... è cosciente, finalmente! Ora lasciatemi solo con il mio figlioccio, Albus!»

Il signor Black mi prese le mani tra le sue, restò muto e immobile, finché io non mi ripresi e non sentì i passi leggeri del vecchio allontanarsi e la porta dell'infermeria chiudersi, allora si alzò dalla sedia accanto al mio letto, fece il giro delle porte, lanciando un paio di Muffliato, quindi sistemò uno dei separé, alzò la bacchetta e lanciò un ultimo incantesimo per alterare i suoni. Sentii il cuore accelerare: avevo paura che nemmeno lui fosse chi diceva di essere. Lo osservai, sospettoso.

    «Rigel, come ti senti? Ti fa male qualcosa? Ti va di parlare? Io dovrei dire a te e a tua sorella una cosa importante ma Meissa sta dormendo e... al contrario di te, è ancora troppo piccola... te la senti di ascoltarmi? Se sei stanco, tornerò domani… altrimenti per ora la dirò solo a te... »

Il cuore accelerò ancora di più: dalla serietà con cui mi guadava, compresi che era arrivato il momento decisivo e il “me moccioso”, che cercavo di nascondere dietro la corazza, avrebbe fatto di tutto, in quel frangente, per essere “ancora troppo piccolo per sapere”, proprio come mia sorella.

    Non fare il vigliacco, Rigel!

    «Dunque è vero... è successo qualcosa di brutto ai miei genitori, non è così? Meissa lo deve sapere già... nessuno ha voluto parlarmene, ma credo sia svenuta quando gliel'hanno detto... »

Cercai di mostrare una fermezza che non avevo, Orion tornò a sedersi, stavolta non sulla sedia ma direttamente sulla coperta, al mio fianco, mi posò la mano sulla spalla, stringendola appena, come aveva fatto mio padre, anni addietro, prima di dirmi che Rufus, il mio lupo, era morto, o di darmi qualche altra pessima notizia. Senti il cuore perdere un battito, poi un altro, il respiro mozzarsi. Cercai di trattenere le lacrime, dovetti chinare il capo per alcuni secondi per recuperare un minimo di contegno; quando tornai a fissarlo, vidi Black esitare a sua volta, mordersi addirittura le labbra.

    «Ragazzo... »
    «Per favore... niente bugie... »

La voce mi uscì più stridula e lamentosa di quanto avrei voluto, mi fermai subito, per recuperare il coraggio e dissimulare meglio, poi lo guardai di nuovo, facendo ricorso a tutta la mia rabbia, al mio orgoglio, volevo che capisse che non mi stavo lamentando, ma che ero furioso.

    «... non come il Preside... ha addirittura... permesso che un estraneo entrasse qui e... »

M'interruppi ancora, non potevo parlare dei dubbi che avevo su me e su Herrengton nemmeno al mio padrino, perché non sapevo se valessero ancora le certezze su cui avevo sempre contato.

    Orion Black cos'è? Un amico o un nemico? Ho così tanta paura e tanta confusione dentro di me.

    «... si fingesse mio zio... ma non era lui! Che cosa vogliono tutti da me e da Meissa?»
    «Quell'uomo era Fear, Rigel: mi dispiace che ti abbia turbato, è colpa mia, pensavo che sarebbe bastato che Dumbledore rimanesse qui con voi perché tutto andasse bene... dovevo assicurarmi che tu e tua sorella steste bene. Per questo gli ho chiesto di entrare e “controllarvi”… »
    «Perché? A quale titolo... »
    «Perché tu, i tuoi fratelli e le tue sorelle siete i miei figliocci... e questo già lo sapevi... mesi fa, però, tuo padre mi ha anche nominato vostro tutore legale, perciò, in assenza dei vostri genitori, mi prenderò io cura di voi... non so molto della Confraternita, per lo meno non le cose più segrete e importanti, per questo mi è sembrato saggio chiedere l'aiuto di un uomo come Fear... »

Mi portai le mani bendate sulla faccia, incapace di respirare, il sangue veloce m'imporporava e scaldava il volto. Avevo smesso di ascoltarlo molto prima che parlasse di Fear, quella parola, “tutore legale”, aveva assorbito e annullato tutte le mie residue speranze: non pensavo che l'avrebbe detto così, in maniera pulita, asettica, indiretta. Non sapevo come l'avrebbe detto, ma la verità alla fine era stata svelata. Fu come prendere uno schiaffo in piena faccia. Chinai la testa e strinsi il lenzuolo. Respiravo male, volevo sapere, dovevo sapere, ma non ero forte a sufficienza.

    «Da quanto so... il tutore legale interviene solo quando... allora... papà e mamma... sono... »
    «Significa SOLO... guardami Rigel... significa solo che finché la situazione non sarà chiarita, per tutelarvi da chiunque avanzi pretese, io curerò i vostri interessi... Rigel... Rigel... »

Mi fissavo le mani, pietrificato e ammutolito dalla disperazione.

    «Mi prenderò cura io di voi, come ho promesso ai miei migliori amici, vi tratterò come vi tratterebbero loro, tu e tua sorella non avrete che da chiedere ed io provvederò... qualsiasi cosa... »
    «Qualsiasi cosa… Certo… E mio padre e mia madre? Puoi forse ridarmeli? NO! Nessuno può! O credi forse che m'importi qualcosa di tutto il resto? Che possa bastarmi tutto il resto?»

Mi morsi la lingua, immaginai lo sguardo severo che mi avrebbe rivolto la mamma se fosse stata presente, ma il signor Black, a parte la sorpresa per la mia mancanza di autocontrollo, alla quale di certo non era preparato, non diede cenno di scomporsi o di volermi riprendere, fu anzi comprensivo.

    «Il resto è niente, rispetto ai tuoi genitori, lo so... io ho promesso a tuo padre di fare di tutto per voi... ma non serviva prometterlo o giurarlo o metterlo per iscritto... io VOGLIO fare tutto ciò che posso… tra l'altro intendo capire cosa è successo alla tua famiglia e, se possibile, riportarla a casa... Tu però non dovrai perdere la speranza, Rigel... devi avere fiducia e... sostenere tua sorella!»

Tornai a guardarlo, come si osserva un pazzo visionario, incapace di comprendere le sue parole.

    «Speranza? Quale speranza? Ancora non so nulla, ma mi basta vedere Meissa, ridotta così, e tutti voi, qui, con queste facce, questi silenzi... ed io... IO NON SONO UNO STUPIDO!»
    «No, non lo sei, sei grande e responsabile, Rigel... per questo ti dirò come stanno le cose. Tua sorella è svenuta quando McNair l'ha aggredita tirandole addosso il Daily Prophet, un giornale che si è affrettato a mettere in prima pagina la notizia della morte dei tuoi, incolpandone vostro fratello, senza curarsi di verificarla, solo per vendere più copie. Meissa non ha neppure fatto in tempo a capire, si è talmente spaventata, poverina, per colpa di quel maledetto... Gli altri? Beh loro sono qui, molto lontano da Londra... Che cosa ne sanno, a parte quello che hanno letto su quel giornale d’infimo ordine? Io, invece, Rigel... io c'ero... e posso dirti le cose per come le ho viste e per come le conosco... alle conclusioni ci arriverai da solo: sei sveglio, ragiona con la sua testa!»

Lo osservavo ancora sospettoso, ma mi sistemai bene, seduto nel letto, per fissarlo dritto negli occhi: quella speranza, che intuivo nelle parole e nello sguardo, forse mi avrebbe mandato fuori strada, eppure Black mi aveva affascinato, incuriosito e, soprattutto, convinto, con quell'eloquenza particolare, quella che avevo ammirato tante volte quando battibeccava con papà. Orion era l'unico che riusciva ad avere la meglio, ogni tanto, con mio padre, ed io ridevo perché in quei casi Black si pavoneggiava per la propria arguzia e mio padre, piccato, l'apostrofava con titoli poco lusinghieri.

    «Stamani, dopo aver assistito e testimoniato al processo contro Williamson, tuo padre è venuto da me, è rimasto un po' a parlare poi è tornato da tua madre. Poco più tardi Jarvis Warrington è arrivato a Grimmauld Place, pensando di trovarci ancora Alshain, con la notizia che il Wizengamot aveva scagionato Mirzam. Volevo dare la bella notizia di persona, così siamo andati a Essex Street, dove abbiamo trovato il caos: Babbani feriti per strada, fumo che usciva da casa vostra, i segni di un'esplosione. I Babbani parlavano di “fuga di gas”, ma in cielo c'era il Marchio.»
    «Il Marchio del Signore Oscuro?»
    «Sì. So a cosa stai pensando, Rigel, ed è quello che hanno dedotto subito i giornalisti. Loro, però, non hanno avuto il permesso di entrare in casa, io invece sono stato trascinato a forza dentro al 74 di Essex Street da Alastor Moody, l'Auror: ho visto gli effetti dell'esplosione e del fuoco con i miei occhi, dall'interno e da vicino. Ora... tu sai cosa pensa tuo padre del Signore Oscuro, vero?»
    «Secondo papà è un impostore che vuole farsi passare per l'Erede di Salazar per appropriarsi del potere e assoggettare il Mondo Magico! Visto quanto è accaduto a Herrengton... direi che ha... »
    «Quindi sai che tuo padre in alcun modo sostiene né ha mai sostenuto quel Mago... »
    «Non lo farebbe mai! Ha litigato furiosamente con molti dei suoi amici per convincerli!»
    «Moody mi ha chiesto di riconoscere un corpo trovato in casa, era di un Mangiamorte: credo mi abbia messo alla prova, voleva studiarmi mentre scoprivo il Marchio sul braccio dell'uomo... »
    «Voleva capire dalle tue reazioni se papà o Mirzam fossero Mangiamorte? Non lo sono di certo!»
    «Per questo quando ho visto il marchio su quel braccio mi sono tranquillizzato... »
    «Sì, ma questo cosa prova? Nulla, a parte che ci hanno accusati ingiustamente di esserlo!»
    «Nulla, Rigel? Pensaci... Hanno trovato due Mangiamorte, stecchiti. Due, capisci? Non capita molto spesso: stando alla cronaca nera, di solito, a morire, non solo loro, ma le vittime dei loro agguati. Questo prova, secondo me, che i tuoi genitori non sono stati colti di sorpresa ma hanno combattuto, e ci sono buone possibilità oggettive, non solo vaghe speranze, che siano riusciti a scappare... »
    «Che mamma e papà abbiano combattuto come tigri, ci credo, ma... è impossibile che se lo aspettassero, papà non sarebbero mai rimasto a Londra se l'avesse sospettato... »
    «So che questa è la parte che ha meno senso per te, Rigel, ma tuo padre sapeva bene, da mesi, che il Signore Oscuro avrebbe colpito e che lo avrebbe fatto nella vostra casa meno difendibile, quella di Londra; dopo quanto accaduto a Herrengton e al Ministro Longbottom, era anche chiaro che la situazione sarebbe precipitata presto. No, non sono discorsi da pazzo, i miei. L'ho visto con i miei occhi approntare Passaporte e altre diavolerie per scappare... ha addirittura studiato come sfruttare aggeggi babbani contro gli aggressori: usando la Magia in un locale in cui c'è gas babbano si provoca un'esplosione... quella di Essex Street, come mi ha mostrato Moody, non è stata un'esplosione casuale ma controllata e contenuta, affinché non ci fossero vittime tra i vicini babbani. Sai di Mangiamorte che avrebbero garantito l'incolumità dei tuoi vicini, Rigel?»

Lo fissavo sconcertato, non riuscivo a capacitarmi di quanto mi stava dicendo.

    «I miei sarebbero stati attaccati ma papà l'avrebbe previsto e avrebbe usato l'attacco per contrattaccare? Avrebbe volontariamente messo a rischio la mamma e i miei fratelli per... NO! Non ci credo! Non può aver fatto una follia simile... nessuno riesce ad avere la meglio sul Signore Oscuro! Nemmeno lui! E poi... Dove sarebbero adesso? Perché non sono venuti qua? E Mirzam?»
    «Stando a Fear tuo fratello è in fuga, con Habarcat e non so quali carte... che cosa voglia farne è un mistero per tutti... stamani però c'è stato viavai a casa vostra, tuo padre doveva vedere degli uomini della Confraternita per la piccola Adhara, forse i vicini babbani hanno scambiato uno di loro per tuo fratello. Quanto ai tuoi... il fatto che non si trovino per me è indizio che sono riusciti a scappare: voi siete in salvo, qui, a Hogwarts, ma i vostri fratelli più piccoli devono essere messi al sicuro, no? Possono nascondersi per questo... oppure sono feriti e devono curarsi prima di uscire allo scoperto… o potrebbe essere interesse di tuo padre far credere a tutti, per ora, che per lui sia finita... »

La voce cambiò di tono, pronunciando queste ultime parole. Mi chiesi se l'avesse fatto di proposito. Era successo questo? Mio padre aveva fatto scelte simili? No. Amava troppo la famiglia per mettere a rischio la nostra incolumità nel tentativo di sbarazzarsi di un avversario... quanto poi a lasciare che soffrissimo per una menzogna, solo per nascondersi... no, non ci credevo, non era da lui...

    «O forse sono stati catturati... »
    «Sì... anche questo è possibile, Rigel: ci sono varie possibilità, alcune positive, altre meno, ma io non mi limiterò a pensare alla soluzione più scontata e tragica, solo perché è la più semplice... se non avrò sostegno dalle Autorità nella mia ricerca, indagherò da solo, fidati: fin da subito, appena sarò uscito da qui... te lo prometto... da parte tua, però... voglio che qualsiasi cosa dicano, tu non perda la speranza... non farti prendere dallo sconforto, e stai vicino a Meissa, aiutala, perché... lei... “è cresciuta, in apparenza, ma... resta solo una bambina...” ricordatelo!»

Orion mi stampò addosso il suo sguardo profondo, mentre appoggiava la mano sulla mia spalla: mi percorse un brivido, mi sentii come ipnotizzato, perché sentivo nelle sue parole le parole della mamma e nei suoi gesti, i gesti di papà; mi chiesi se fosse un caso o fosse voluto, lo fissai, interrogativo, carico di speranza, il mio padrino però non disse nulla, si limitò ad annuire, in modo così impercettibile che mi chiesi se fosse solo una mia illusione. Non lo era. Lo compresi quando iniziò a disegnare con la punta delle dita un ghirigoro sulla mia coperta: ero attento, vigile, papà lo faceva con me... e Orion… glielo avevo visto fare mille volte con mio padre, sulle carte che leggevano insieme, o in riva al mare, sulla sabbia, al termine di conversazioni fitte fitte. Di solito, papà cancellava subito i segni di Orion e rispondeva con secche parole antiche, che non capivo. Mirzam diceva che ero ancora piccolo ma un giorno avrei saputo abbastanza gaelico da non farci caso, perché quelle, a meno che non fosse un loro codice segreto, erano parole senza senso. E papà non faceva mai nulla privo di senso. Lo fissai, vidi le sue labbra muoversi con lentezza, mi stava dicendo qualcosa, ma io non sapevo leggere le labbra. Feci no con la testa, allora disegnò con le dita un'aquila e una serie di Rune semplici sulle mie mani bendate. Stavolta compresi.

    “I tuoi genitori e i tuoi fratelli sono vivi, li ho visti... ma per ora deve rimanere un segreto tra me e te...”

Deglutii a stento, poi tornai a guardarlo negli occhi, facendomi delle tacite domande.

    Posso credergli? O anche Orion Black cerca solo di ingannarmi?

    «Ricordi quando solo tu ed io abbiamo capito che per salvare la vita di Sile e Mirzam la barca doveva restare in acqua, nella grotta di Herrengton? Ecco... fidati ancora una volta di me... »

Mi si riempirono gli occhi di lacrime. Annuii, trattenendo il respiro per non scoppiare a piangere. Orion pareva improvvisamente sollevato, come se avesse combattuto a lungo con un dilemma e alla fine, una volta persuasosi a dirmi la verità, si fosse liberato da un macigno sul cuore. Sorridendo incerto, mise due dita nel taschino del panciotto ed estrasse un anello, più che familiare, per me.

    «Questo è della mamma! Come fai ad averlo tu?»
    «L'ho trovato a Essex Street. Devono aver usato un trucco per convincere tua madre a toglierselo volontariamente, occorreva questo per aprire la porta di casa a un estraneo... ma quello che è importante, ora, è... Guarda la pietra! Se tuo padre te ne ha spiegato i poteri, saprai che il diamante di Javanna difende il suo possessore, annerendosi piano piano e assorbendo dentro di sé i malefici che subisce, persino quando anello e portatore sono separati. Quando la pietra si annerisce completamente e si frantuma, il possessore non è più difeso e subisce gli effetti delle maledizioni su di sé, spesso morendo, se nel frattempo non ha trovato un nuovo scudo. Quest’anello, come vedi, è appena un po’ annerito, Rigel, e, rispetto a quando l'ho trovato, si sta addirittura schiarendo... »

Avrei voluto avere le mani libere, per rigirarmelo tra le dita e studiarlo e assicurarmi che fosse vero.

    «Le condizioni di quest’anello e il fatto che l'Erede di Hifrig non si sia palesato, confermano che non sono pazzo a sperare ancora, per questo t’invito ad avere fiducia... »

Mi aveva quasi convinto... Peccato mi avesse ricordato la storia dell'Erede: lui non ne era consapevole, ma io sapevo che l'Erede si era manifestato, e quindi mio padre... Rabbrividii e mi fissai le mani bendate; Orion a sua volta le guardò per la prima volta e le prese tra le sue.

    «So perché hai paura... Hai avuto delle visioni terribili, nel bosco, Rigel... Ti sei perso, sei stato male, ti sei ferito... Dumbledore mi ha raccontato tutto... Mi ha detto che genere di timore hai avuto ed è per questo che abbiamo contattato Fear. Ora ascoltami... Io c'ero, quando “quella cosa” è accaduta a tuo padre: l'ho trovato io, l'ho portato in salvo e siamo diventati amici in quel momento. Nessuno a quei tempi, oltre noi due, Dumbledore e Dippet ha saputo la verità su tuo padre, cosa gli accadde il giorno in cui tuo nonno ebbe il suo primo infarto. Ho trovato tuo padre in un bagno, in un lago di sangue, eppure non aveva segni di alcun tipo, né sulle mani, né altrove... La sua pelle traspirava sangue e vita. Non è il tuo caso, ragazzo! Guardati! Forza… Guardati le mani!»

Con un colpo di bacchetta fece scomparire le bende, mentre io cercavo invano di sottrarmi. Nascosi le mani sotto le coperte, Black le riprese e mi chiese di guardarle: abbassai gli occhi, tremando, vidi che sotto le bende c'era uno strato di garze intrise di sangue, le sollevò e apparvero profondi segni, simili a graffi lasciati dagli artigli di un animale o dai rovi. Non riuscii a nascondere la sorpresa.

    «Ho temuto anch’io che fossi come tuo padre: ero così sconvolto che non sono voluto entrare, non volevo saperlo. Non mi rendevo conto che la verità era già stata svelata a Herrengton.»
    «Che cosa significa “la verità era già stata svelata a Herrengton”
    «Non ora, ora devi riposare... Ne riparleremo domani... Mi raccomando, cerca di recuperare in fretta: ho bisogno di qualcuno che stia vicino a Meissa. L'ultima cosa che voglio è che tua madre possa dirmi, quando tornerà, che sotto le mie cure i suoi figli si sono smagriti, siamo intesi? Io ti porterò presto notizie... »

Annuii, incapace di obiettare: c’erano molte stranezze nel suo racconto, come il riferimento a Herrengton, ero certo che non mi avesse detto tutto. Volevo credergli, però, ne avevo bisogno, volevo pensare che la verità fosse quella e che tutte le brutte cose successe quel giorno fossero scherzi crudeli della mia mente o il frutto della maledizione subita a Herrengton. Avevo sempre apprezzato i modi burberi e dissacranti del mio padrino e goduto del privilegio di essere il suo preferito, tra i miei fratelli, addirittura più di Meissa. Eppure mai, come in quel momento, avevo sentito di volergli bene, profondamente bene. Mi abbandonai alla convinzione di essere al sicuro con lui, di avere di fronte l'unica persona, oltre ai miei genitori, cui potessi affidarmi senza riserve. Avrei voluto che fosse lui il mio vero zio. Ero così frastornato, che persi il controllo e lo abbracciai, cogliendolo di sorpresa.
E quando, a sua volta, il mio padrino mise da parte un po' della sua riservatezza e mi posò la mano sul capo, in una carezza impacciata, mi arresi a un pianto liberatorio.

***

Meissa Sherton
Hogwarts, Highlands - dom. 16 gennaio 1972

Avevo il fiato grosso, come se avessi corso. Mi muovevo nella Foresta Proibita, immersa in una nebbiolina sottile, umida, che mi appiccicava i capelli sul viso. Era freddo: mi portai le mani alle braccia, per scaldarmi, avevo solo il golfino della divisa, nessuna giacca, nessun mantello, benché a terra, davanti a me, ai piedi degli alberi, si ammassasse un leggero strato di neve. Mi girai attorno, cercando di capire dove fossi, finché il profilo alto e severo, massiccio, della Guferia emerse tra i rami spogli degli alberi, sopra di me. Stavo andando lì, avevo una lettera infilata nella tasca della gonna, una lettera da spedire, sul dorso della busta c'era un nome, scritto con la mia calligrafia: Mirzam Sherton. Una lettera per mio fratello, una lettera che sapevo dove mandare, anche se per qualche strano motivo non lo ricordavo già più. La girai e rigirai, cercando di interpretare le Rune, che qua e là apparivano e sparivano, formando il nome di un luogo, che non vidi mai per intero: per quanto m’impegnassi, non riuscii a decifrare cosa avessi scritto.

    Dove sei... Mirzam... Dove... sei... Mir… zam...

Aprii gli occhi lentamente, con il nome di mio fratello sulle labbra. Ero così coinvolta nella mia ricerca di un nome, che ci misi un po' a capire che si trattava solo di un sogno e che ormai mi stavo risvegliando. Stentai ad accettare che non esistesse alcuna lettera, nessun indirizzo, nessuna novità, nessuna certezza. Delusa, m'imposi di richiudere gli occhi, non volevo svegliarmi, avrei potuto...

    Se mi riaddormentassi, ricomincerei a sognare, saprei dov'è e potrei... riabbracciarlo...

La luce del primo mattino, però, s'insinuava insistente sotto le mie palpebre, con dei tenui bagliori rosati, ben diversi dalla luminescenza verde argento cui mi stavo abituando nella mia camera, nei sotterranei degli Slytherins. Sentivo la consapevolezza, sempre più decisa, vincere sul sonno. Aprii completamente gli occhi, senza comprendere subito dove mi trovassi, sopra di me non c'era un baldacchino ma un alto soffitto di pietra, che ricadeva giù, attraverso sottili ricami di conci e slanciate colonne, fino a terra. Attorno a me, gli oggetti emergevano poco alla volta dalle ombre, mentre le pozze di oscurità si ritraevano negli angoli remoti della stanza: ero circondata da due lunghe file di letti separati da piccoli comodini, i separé erano addossati alle pareti e in fondo alla stanza c'era un enorme armadio con le ante vetrate, dietro le quali intravvedevo file e file di pozioni.

    L'Infermeria? Che cosa ci faccio io qui? Quando ci sono finita? Perché...

Non ricordavo di essermi fatta male, non mi sembrava nemmeno di sentire da qualche parte un dolore fisico. Quando però la coscienza si risvegliò del tutto, vincendo l'intorpidimento del sonno, il dolore, quello che ti toglie il respiro e la vista, il dolore vero, quello capace di piegarti con la sua devastante potenza, piombò rapido su di me, travolgendomi come un'onda di piena. Sentii mancarmi il respiro e un peso enorme mi si piazzò sul cuore, quando, davanti ai miei occhi, riapparve il ricordo della prima pagina di un giornale, su cui erano impresse poche lapidarie parole.

STERMINATA L’INTERA FAMIGLIA SHERTON

Nient'altro. Non ricordavo altro, dopo. Il mondo si era interrotto in quell'istante, era svanito all'apparire di quelle parole, come nel sogno svanivano le indicazioni per ritrovare mio fratello... Al contrario delle parole sulla lettera, però, la frase sul giornale era comprensibile.

    E rimarrà impressa nella mia anima.
    Per sempre.


Il dolore mi aveva sopraffatto la sera prima senza che fossi capace di reagire, ora riemergeva, un leone furioso che mi sbranava pezzo a pezzo: io ero una statua, inanimata e fredda, a parte le calde lacrime che mi bagnavano il viso, mi chiudevano il naso, ammorbavano di sale la mia bocca. Serrai forte il lenzuolo con le dita, me lo tirai su, sopra la testa, come se bastasse a isolarmi dal ricordo, mentre le mie labbra, mute, si piegavano nello strazio di un urlo sordo. Poi scoppiai a singhiozzare, singulti sempre più veloci e violenti, morsi il cuscino, graffiai le lenzuola, scalciai, finché restai con il respiro mozzato e dalla mia gola iniziò a emergere solo un uggiolio cupo e ininterrotto.

    «Meissa... »

Sentii pronunciare il mio nome mentre qualcosa, una mano forse, mi toccava la spalla, attraverso il lenzuolo: ricordai il ghigno di McNair, le sue urla, i suoi insulti, la sua spinta per farmi cadere a terra, la soddisfazione con cui mi aveva tirato addosso il giornale. Alla disperazione si aggiunse la paura, cercai di sottrarmi ma mi ero abbozzolata così tanto nel lenzuolo da non riuscire a emergere da quel dannato letto, l'unica cosa che riuscii a fare fu nascondere la faccia nel cuscino.

    «Meissa! Sono io... Sirius... »

Sentii bene “Sirius”, tutto ciò che disse dopo, però, per me restò privo di senso, indefinito. Percepivo solo quella mano, sulla mia spalla, che si attardava su di me in un gesto delicato, circospetto, desiderosa di infondermi calore e coraggio, e al tempo stesso esitante, incerta, su ciò che si dovesse fare in un momento simile. Non sapevo se anche quello fosse un sogno, se fosse un’illusione nata dalla mia mente per confortarmi e poi spingermi di nuovo nella disperazione, ma smisi di piangere e concentrai tutta la mia attenzione lì, su quel ritaglio di lenzuolo che divideva la mia pelle dalla sua. La mia esitazione, oltre a darmi il tempo di riprendere a respirare, sembrò dargli coraggio: lenta, la mano si spostò fino a prendere il lembo del lenzuolo e sollevarlo un poco, sentii l'aria che mi sfiorava il viso, attraverso la cortina di capelli che mi si erano arruffati sulla faccia, misti alle lacrime. Ancora più leggera e titubante, la mano si posò sulla mia testa, in una carezza gentile, di chi sa che è la cosa giusta da fare, per lenire il dolore, ma che ha timore nel farlo, perché non è stato abituato a ricevere conforto. La sentii tornare indietro, scivolare sino alla scapola che spuntava dalle coperte e fermarsi lì, proprio come faceva il mio padrino con papà, quando qualcosa lo preoccupava e voleva incoraggiarlo, ricordandogli che poteva contare sempre sulla sua amicizia.

    «Sirius... »

Era proprio lui, era proprio Sirius, non si trattava di un sogno, di una crudele illusione, lo compresi da quel piccolo gesto, prima ancora di vedere e riconoscere le sue mani. L'educazione ricevuta mi fece vergognare per aver ceduto al dolore di fronte ad altri e immaginai che anche per lui, educato al controllo in maniera molto più ossessiva di me, quella situazione dovesse essere fonte d’imbarazzo. Mi passai la mano sul viso asciugandomi alla meglio le lacrime e scansandomi i capelli, poi, con gli occhi gonfi e la bocca ancora tremante, mi voltai a guardarlo. In piedi, proteso su di me, Sirius mi fissava, tremava un poco anche lui, gli occhi resi quasi neri dalla preoccupazione per me, il volto pallido di chi è stato a lungo in apprensione. Di colpo ricordai, lui ed io, a Herrengton, poche ore prima della partenza per Hogwarts, la trepidazione con cui attendevamo il nostro destino, la paura che mi attanagliava il cuore e lui, Sirius Black, pronto a promettermi la sua eterna amicizia.

    «Promettimi che, qualsiasi cosa succederà domani sera, saremo sempre amici, Sirius... »
    «Te lo prometto!»
    «Anche se sarò un’insulsa Ravenclaw e tu uno Slytherin, d’accordo?»
    «Qualsiasi cosa saremo, saremo sempre Sirius e Meissa, solo questo. Promettilo anche tu!»

    … saremo sempre Sirius e Meissa, solo questo…

Bastò quel solo istante per riscaldare il mio cuore sofferente, per ricordarmi che non avevo di fronte qualcuno di cui temere il giudizio, ma un amico, un vero amico con cui condividevo da tempo comuni affetti, comuni ricordi felici e spensierati. E ora lo stesso dolore. Sirius non aspettò che l'invitassi, si sedette sul mio letto, vicino a me, pronto a prendermi la mano e farci coraggio insieme, io, però, cogliendolo di sorpresa, mi abbandonai tra le sue braccia, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, e riprendendo a piangere, in silenzio. Non poté far altro che sorreggermi e consolarmi.

    «Meissa! Guardami... non piangere... ho tante cose da dirti... »

La mano tornò ad accarezzarmi esitante i capelli, senza ottenere risultati, io restavo immobile, non lo ascoltavo, sprofondata tra quelle braccia che mi reggevano impacciate, finché mi staccò da sé, gentile ma deciso. Lo fissai, interdetta, vedendo che il mio dolore non si specchiava nei suoi occhi, c'era anzi una luce strana, incomprensibile, inadatta.

    Com'è possibile? Anche Sirius ha perso mio padre, in questo orrendo giorno!

    «Meissa, non piangere... ascolta... la storia è un po' lunga ed io mi devo sbrigare ad andarmene, prima che torni papà e che la Pomfrey capisca che ho passato la notte qui, vicino a te...»
    «Tuo padre? Tu? Qui? Come qui?»

Gli apparve per un istante uno di quei sorrisetti sghembi, che assumeva quando ne combinava una delle sue, fece di tutto per nasconderlo, vista la serietà del momento, ma doveva sentirsi molto orgoglioso per averla fatta in barba agli adulti. Lo fissai seria e lui, imbarazzato, riprese il discorso.

    «Ieri sera, quando ho letto il giornale, sono sceso in Infermeria. C'era molta confusione lungo il corridoio, tutti volevano sapere come stava tuo fratello, così sono riuscito a intrufolarmi: quando hanno fatto irruzione, nessuno ha badato a me. Mi sono tenuto tra le retrovie, poi sono scivolato dietro quell'armadio laggiù, ho aspettato che gli altri se ne andassero e che la Pomfrey si chiudesse nel suo studio. A quel punto, ho approfittato della luce scarsa delle candele, per avvicinarmi al letto accanto al tuo e scivolarci sotto.»

Lo vidi esitare, passarsi la mano sugli occhi, sistemarsi i capelli, come faceva sempre quando stava mentendo, poi riprese a fissarmi, serio e amareggiato: aveva capito di non avermi convinto.

    «Ho avuto fortuna... se sono ancora qui è perché non mi ha visto... E restando nascosto... tu non immagini cosa sono venuto a sapere! Quando il Preside, mio padre e tuo “zio” sono entrati... »
    «Aspetta... Mio zio? Vuoi dire Phelan Llywelyn? Qui? Mi stai prendendo in giro, Sirius?»
    «No... Era un uomo che il Preside ha chiamato per tutto il tempo Phelan Llywelyn e che si è preso cura di voi, ha tirato fuori degli intrugli strani e ha salmodiato in gaelico come fa tuo padre durante i riti, poi ha disegnato sulle mani di tuo fratello... e prima ancora... sulle tue... »

Non credevo a mezza parola, non avevano senso: mio zio non andava d'accordo con i miei genitori e non era neppure venuto al matrimonio di Mirzam, non faceva parte della Confraternita, non era un Mago del Nord e si faceva addirittura beffe delle nostre tradizioni. Per convincere Sirius delle assurdità che stava dicendo, sollevai le mani, mettendole bene in luce, perché vedesse che non c'erano nuovi segni. Quasi gridai, quando mi accorsi di tante piccole Rune su dita, dorsi e palmi.

    «Visto? Era di sicuro un Mago della Confraternita. Meissa, ascolta: ho fatto una promessa, quindi, anche se vorrei, una parte di questa storia non posso dirtela... ma devi sapere tutto quello che ti riguarda: una “persona” ha assistito a una discussione tra mio padre e il Preside e quando sono rimasto chiuso qui dentro, ho visto con i miei occhi che quello che mi ha detto è la verità... »

Lo guardai titubante, sapevo che mi stava mentendo ma ero anche presa dalla sua agitazione e dal suo entusiasmo, dovevo capire, quindi decisi di dargli fiducia e scoprire che cosa avesse in mente.

    «Quello che non puoi o non vuoi dirmi è chi li ha spiati? È questo che stai dicendo, giusto?»
    «Sì, ma conoscere quel nome non ti serve. Se vuoi, puoi pensare che a spiarli sono stato io.»

Data la premura nel proteggere l'informatore e dicendo “pensa che a spiarli sono stato io”, mi convinsi che fosse stato Potter, ficcanaso com'era, a scoprire qualcosa che aveva messo tanto in agitazione Sirius. Mi rilassai un poco: potevo capirlo, James stava diventando un amico importante per lui, soprattutto dopo la reazione negativa dei Black al suo Smistamento, e ponendomi nei loro panni, anch'io, se Sirius mi avesse confidato un segreto, l'avrei difeso con le unghie e con i denti. Un po' come avrei fatto per qualsiasi cosa riguardasse Rigel o Mirzam. Lo invitai a continuare.

    «Il Preside ha ricevuto la visita di “tuo zio”, contemporaneamente, è arrivato mio padre, secondo il quale quell'uomo non poteva essere Phelan, a quel punto l'hanno affrontato insieme... Qui c'è un buco nella storia, si son chiusi nell'ufficio del Preside e “la spia” non ha potuto vedere altro... »
    «È avvenuto nell'ufficio del Preside? È impossibile, ho visto quell'ufficio, so com'è fatto il corridoio che porta nell'anticamera! Sirius... No... No, hai ragione, ti ho promesso di non fare domande ma... solo perché sei tu, un pazzo che ha passato la notte sul pavimento per me!»

Mi sorrise e mi prese la mano tra le sue, mentre io, per qualche astruso motivo, nel guardarlo negli occhi, mi sentivo pervasa da una strana trepidazione e dall'assurdo desiderio di essere ottimista.

    «Mentre ero nascosto qui, il Preside è entrato con quest'uomo, intabarrato in un mantello, ha mandato via tutti, ha sigillato la porta, dopodiché tuo “zio” ti ha inciso le Rune. Quando è andato da tuo fratello, ha trafficato sulle sue mani per un paio di ore, se non di più. All'inizio Rigel gli ha urlato contro, poi si è calmato e non si è più svegliato. Vi ha incantati davanti a Dumbledore, il che significa che quell'uomo, quando l'hanno affrontato, deve aver detto qualcosa a mio padre e al Preside tale da essere riconosciuto e considerato da loro degno di fiducia.»
    «D'accordo... vai avanti... »
    «Quando ha finito, l'uomo ha detto a Dumbledore, “ditegli ciò su cui ci siamo accordati, e i ragazzi non avranno problemi...” E “aspettate il segno, prima di agire, perché a breve avrete mie notizie da Herrengton”. Quindi se n'è andato, ed è entrato papà... Mio padre ha parlato con Dumbledore come se lo sconosciuto fosse Fear ma io, Meissa, Fear l'ho visto e quell'uomo, quando la Polisucco ha smesso di funzionare, non era lui. Aveva il cappuccio, vero, l'ho visto da lontano, certo, per pochi istanti e nella penombra, ma era molto più giovane, con la barba e i capelli scuri… ed era anche molto più alto… tra l'altro, che motivo avrebbe avuto di presentarsi Polisuccato?»
    «Rigel una volta mi ha detto che Fear è ricercato, quindi... secondo te chi poteva essere?»
    «Tuo padre, Meissa! Chi altri? Chi deve nascondersi dal Lord Oscuro che gli sta addosso?»

Sirius aveva lo sguardo radioso e un sorriso che non gli vedevo dai giorni passati a Herrengton: all'improvviso capivo il suo entusiasmo, la sua voglia di aspettare tutta la notte sotto il mio letto per parlarmi, e perché il mio dolore non si specchiava sul suo volto. Rimasi attonita, sospesa tra incredulità e speranza. Non sapevo nulla, non avevo idea se le sue parole fossero dettate da una vana supposizione o fosse fondata su fatti certi, ma mi ritrovai ad abbracciarlo per la felicità e nell'abbraccio che ricevetti in cambio, sentii tutta la sicurezza e il conforto di casa. Ero felice.

    «Oh, Sirius... ti prego... dimmi che è la verità, ti prego!»
    «Sull'identità dell'uomo non ho prove, ma c'è molto di più... Papà è entrato, ha osservato prima te, poi ha chiesto a Dumbledore di restare solo con Rigel, ma prima hanno “litigato” ... »
    «Come litigato?»
    «Secondo il Preside, papà ha visto i tuoi ma non voleva dirvelo, così gli ha ricordato che qualsiasi promessa avesse fatto, aveva il dovere morale di dirvi la verità; papà l’ha mandato al diavolo, poi, però è successo qualcosa di strano. Quando Rigel si è svegliato, ha chiuso le porte, ha lanciato i Muffliato e ha messo un paravento, che in parte mi ha ostacolato la visuale ed io non ho sentito né visto bene tutto tutto... Rigel era agitato e scettico, all'inizio, ma quando papà gli ha messo una mano sulla spalla e ha detto di te qualcosa come “sembra cresciuta ma è solo una bambina”... »
    «Salazar! Ha detto proprio così? Quelle sono le parole che dice sempre la mamma... gliele dice per rimproverarlo quando mi dà il tormento... Oh Sirius... Sirius... ti prego... gli ha detto così?»

La bocca ricominciò a tremarmi, mi si riempirono gli occhi di lacrime, e iniziai a vedere tutto appannato, mentre il sorriso di Black diventava sempre più sicuro ed entusiasta.

    «Tuo fratello ha reagito come te... allora papà gli ha scritto con le dita sulla coperta… »
    «Oh Sirius... anche papà lo fa... quando stiamo male... anche papà lo fa... »

Ripresi a singhiozzare, di felicità, e non avrei dovuto, rischiavamo che la Pomfrey ci sentisse.

    «Alla fine tuo fratello lo guardava esterrefatto, felice ma incredulo e mio padre... beh gli ha detto qualcosa sulla barca e la grotta di Herrengton ma non ho capito cosa volesse dire. Tuo fratello già si fidava di lui, quando papà ha tirato fuori qualcosa dalla tasca, un anello credo, Rigel l'ha guardato a lungo, hanno discusso ancora, su qualcosa che preoccupava tuo fratello... allora papà gli ha tolto le bende dalle mani, tuo fratello all'inizio non voleva... alla fine, però pareva sollevato e ha abbracciato mio padre e si è messo a piangere come te. Quando papà è andato via tuo fratello sorrideva, Meissa... TUO FRATELLO A QUEL PUNTO SORRIDEVA! Come faceva a sorridere, a meno che papà non avesse dato ascolto al Preside e non gli avesse detto di averli visti vivi?»
    «Sì... hai ragione, Sirius... non può essere andata che così... O Sirius... grazie... grazie... »

Mi diedi un pizzicotto su un braccio, tanto forte da farmi un livido, temevo fosse solo un sogno. Era vero, invece, io ero sveglia e Sirius era sincero, si capiva da come gli brillavano gli occhi: era felice, credeva con tutto se stesso a quello che aveva visto e sentito.

    No, non è un sogno, Meissa, è la realtà! È il brutto sogno a essere finalmente finito!

Volevo restare abbracciata a Sirius, condividere gioia e speranza, anche se in tutta quella storia sentivo che c'era ancora qualcosa di confuso e lacunoso. Non dubitavo della sincerità di Sirius, ma della sincerità di quanto aveva visto. Non credevo infatti che mio padre fosse arrivato a Hogwarts e ci avesse curato senza farsi riconoscere, non era da lui... ci avrebbe fatto promettere di tenere il segreto, certo, ma se fosse stato lui, si sarebbe fatto riconoscere e ci avrebbe consolato. Non credevo nemmeno che Fear avesse corso il rischio di entrare a Hogwarts solo per noi due, visto che a Herrengton aveva quasi condannato Rigel a morte certa, se non fosse stato per Orion Black... Mi chiedevo chi potesse essere il nostro misterioso guaritore, finché di colpo ebbi un'illuminazione.

    «Salazar! Non era papà... NO! C'è un'altra persona che ha buoni motivi per nascondersi!»
    «Chi?»
    «Mio fratello! Mirzam! Era lui! È tornato! L'ho anche sognato, sai? Ho sognato che gli spedivo una lettera... e lui era qui... davvero! Oh Sirius, ero certa che sarebbe tornato da me!»

Pensavo che Sirius avrebbe condiviso anche quella mia gioia, invece, rapido, si sottrasse al mio abbraccio e abbassò lo sguardo; attesi una spiegazione che non arrivò, non capivo cosa avesse.

    «Spero tu abbia ragione e i miei vengano presto a Hogwarts a dissipare tutti i dubbi. E che questa storia sia dichiarata falsa, sia chiusa e dimenticata. Doveva essere un giorno di festa, Sirius... Ieri è stata riconosciuta l'innocenza di mio fratello! Non vedo l'ora di riabbracciare Mirzam!»

Gli raccontai il mio sogno, con la foga e la speranza che aspettavano da settimane di liberarsi, sicura che il suo silenzio celasse solo il timore che mi sarei fatta del male, sperando e rimanendo delusa.

    «E ora lui è tornato; il Preside mi ha detto tutto, prima che McNair mi aggredisse... Mio fratello è stato scagionato... Nessuno voleva credermi ma io ho sempre saputo che Mirzam era innocente... e lui, appena ha potuto, è tornato da me! Ha mantenuto le promesse, come sempre!»

Sirius si alzò dal letto e si allontanò da me, dandomi le spalle. Lo fissai, interrogativa, lo sguardo che mi rimandò, quando tornò a voltarsi verso di me, mi diede i brividi, tanto era “fiammeggiante”.

    «NO! Mi dispiace, Meissa, ma stavolta ti sbagli!»

S'interruppe, era furibondo, si vedeva da come gli tremavano le spalle ed io non capivo perché. Mi scrutò a lungo, si passò la lingua sulle labbra, cercando di riprendere la calma prima di parlare ancora, forse valutando le conseguenze di quanto stava per dire. Poi abbassò gli occhi.

    «Meissa ascolta… preferivo non dirtelo, ora… però non è giusto... che ti torturi così... il Preside ha detto a papà che Fear… ha scoperto… perché tuo fratello non è venuto da voi, dopo i fatti di Herrengton... stava male... perché... è lui... l'Erede di Hifrig… Fear ha deciso di spostare la Fiamma per evitare che riuscisse a prenderla... Meissa, te lo giuro! Io l'ho visto con i miei occhi... tuo fratello mi ha preso l'anello di tuo padre per darlo a Rodolphus Lestrange! Ora... pare che la Fiamma e certe carte di Doire siano sparite… ed è sparito anche lui… e le darà o le ha già date al Signore Oscuro!»
    «Sono solo calunnie e falsità, Black! Non puoi crederci davvero!»
    «Ragiona... mio padre aveva l'anello di tua madre... solo con quell'anello un estraneo poteva aprire la porta di casa vostra... a chi altri tua madre avrebbe aperto la porta con assoluta fiducia, a Londra? A chi altri avrebbe dato volontariamente il proprio anello, se non a suo figlio?»
    «NO! NON è VERO! TU NON CONOSCI MIO FRATELLO! NON FAREBBE MAI UNA COSA SIMILE, MAI!»
    «SMETTILA DI DIFENDERLO, DI STARE MALE PER LUI, QUELLO NON MERITA IL TUO AFFETTO! NON MERITA L'AMORE DELLA TUA FAMIGLIA! VI HA TRADITO! TUTTI! È LUI CHE HA PORTATO LA FIAMMA AL SIGNORE OSCURO! MILORD ORA PUÒ UCCIDERE TUO PADRE E TUTTI VOI, PERCHÉ IL FUTURO SIGNORE DI HERRENGTON È DALLA SUA PARTE!»

    Schiaff…

    «Che cosa sta succedendo qui?»

Madame Pomfrey, attirata dagli schiamazzi e dalla confusione, era uscita dal suo studiolo proprio mentre mi alzavo in piedi sul letto per dare uno schiaffo a Sirius Black, che mi sibilava contro, a pochi passi da me. Volevo farlo tacere, mettere un freno a quel fiume di parole piene d'odio. E alle mie lacrime, che mi scorrevano incontrollabili sul viso. Non era la prima volta che sentivo qualcuno blaterare cose simili su mio fratello, ma non mi aspettavo che a dirmele con tutta quella cattiveria fosse Sirius. Mi sentivo tradita e incompresa dall'unica persona che, in quella scuola, al pari di Rigel e me, conosceva Mirzam.

    No, non può credere a simili bestemmie...

Capivo chi non l'aveva mai conosciuto, ma Sirius... Sirius e Regulus avevano vissuto con noi a Herrengton, l'avevano visto, frequentato, sapevano che Mirzam era più riservato di Rigel, vero, ma era buono e gentile.

    È tutta colpa di quel dannato Potter… da quando quell’idiota di suo padre ha detto di aver visto mio fratello uccidere un Auror anche Sirius lo considera cattivo… non conta nulla che persino il Wizengamot l’abbia scagionato… NO! Perché il suo Potter gli ha fatto il lavaggio del cervello!

Il dolore per quel tradimento mi rese muta, pietrificò quello che sentivo dentro di me rendendomi incapace di esprimere la delusione, la paura e la desolazione che mi stavano travolgendo... non potevo mettermi nei suoi panni, pentirmi di quel gesto inconsulto e chiedergli scusa. Non ci riuscivo. E non potevo dire nulla di quello che provavo a Sirius, perché, se si considerava amico, doveva capirlo da sé... se non ci riusciva, allora non aveva mai capito nulla nemmeno di me, non solo di Mirzam...
Lo guardavo, delusa, offesa, tradita. E aspettavo.

    Se mi vuole bene, deve bastargli il modo in cui lo sto guardando per comprendere quanto mi ha fatto male, quanto il mio schiaffo sia nulla rispetto a quello che ha fatto lui a me...

Era tutto chiaro, nella mia mente, ma non in quella di Sirius. Si ostinava a restare in silenzio, la mano sulla guancia rossa, fermo nella sua ottusa posizione di unico detentore della verità, incapace di capire. Senza alcuna volontà di capire… preso dal suo orgoglio di Black.

    «Vi ho chiesto che cosa sta succedendo! Signor Black che cosa ci fa qui a quest'ora?»

Restammo in silenzio, a fissarci, io in lacrime, Sirius impietrito, offeso, fermo nella convinzione che il mio gesto fosse immotivato quanto ingiusto. Senza ascoltare le parole della Guaritrice, senza curarsi della punizione che avrebbe rimediato, ancora una volta, ci diede le spalle, muto, continuando a fare no con la testa, con passo sempre più rapido, fino a mettersi a correre tra gli ultimi letti, diretto all'uscita. Lo guardai sparire oltre la porta: non si voltò nemmeno una volta.
Ed io mi ributtai sul letto, scoppiando in lacrime, inconsolabile.

***

Mirzam Sherton
Vysoké Tatry, Cecoslovacchia - dom. 16 gennaio 1972

    «Qual è il messaggio? E non mentire, Fear! So che cosa hanno visto i miei occhi! Conosco quel Patronus! Mia madre non ci contatterebbe mai se non fosse per una ragione molto seria!»

Ero entrato nella tenda, rapido come un temporale estivo, ma non avevo fatto in tempo a udire nulla, il Patronus si era già dissolto nell’aria; Fear mi aveva sentito ma sembrava non volersi curare di me, era rimasto al suo posto, a rimestare il fuoco del braciere, dandomi le spalle: non sapevo se avrebbe continuato a far finta di nulla, per esasperarmi e provocare una mia reazione scomposta, o mi avrebbe accolto con una delle sue solite bugie. In entrambi i casi, ero pronto ai suoi colpi bassi.
Lanciai alcuni Muffliato attorno a noi, quella questione andava risolta in privato, e prima di avvicinarmi e iniziare a pressarlo, guardai fuori, per assicurarmi che fossimo soli, temevo che Margareth fosse già rientrata passando da dietro e fosse pronta a dargli manforte, ma non c'era anima viva neanche all'esterno. Assicurato il perimetro, studiai l’interno: sull'altro lato della tenda rispetto a me, di fronte al braciere posto al centro, c’erano la cassapanca usata come tavolo da lavoro dal vecchio con sopra la pergamena, che mi aveva portato a commettere il mio primo omicidio, e un paio di luci galleggianti che si muovevano a mezz'aria, per mettere a fuoco i geroglifici di Rune. Completava il tutto un paio degli strumenti che avevo visto Fear usare molte volte, un ingranditore sferico e delle lenti simili agli occhiali da vista di mio padre: non avevo mai fatto commenti, in quei giorni, sulla proverbiale vista da falco di Fear, che evidentemente non era più quella di una volta, e non era il caso che iniziassi a farli in quel momento.
Il vecchio continuò a far finta di non avermi sentito, io mi avvicinai cauto, la bacchetta in pugno, in allerta: non lo vedevo in volto e, conoscendolo, immaginavo avesse il solito sordido ghigno e che si preparasse a colpirmi, insultarmi o umiliarmi; sapeva quanto mi mandasse in bestia, quanto gli fosse facile, grazie al mio temperamento impulsivo, farmi cadere nelle sue trappole che miravano a dimostrare quanto fossi inetto, irresponsabile e immaturo. Di motivi per pensarlo, d’altra parte, ne avevo dati parecchi a lui e a tutti quelli che si ostinavano a restarmi vicino, perciò non potevo aspettarmi nulla di diverso.

    «Avvicina quella cassa e siediti, versati un po' di Firewhisky e non fare o dire stronzate!»

La voce era ruvida come al solito, ma non aveva la consueta arroganza, sembrava stanca e provata. Avrei dovuto spaventarmi, la presenza del Patronus prima e ora quei suoi modi “mansueti” non facevano presagire nulla di buono, fui colto invece da una calma inusuale: non provai ad assaltarlo con domande a sproposito ma accolsi il suo invito, mi misi seduto, vigile e pronto, in attesa delle sue risposte. Fear si voltò e il suo sopracciglio rivelò quanto fosse sorpreso di vedermi tanto ubbidiente, ma non disse altro, mi venne incontro, mi superò e si diresse all’ingresso: era pallido e, dal modo in cui stringeva la bacchetta, molto turbato.

    «Aspetta qui... Non siamo soli... »

Un brivido mi percorse, mi alzai di scatto intenzionato a portarmi velocemente nell’altra tenda, quella in cui riposava Sile, per difenderla, ma Fear mi fece cenno di stare calmo, sollevò il tessuto e lasciò entrare un grosso gatto selvatico, che sembrava essere a casa propria: lesto si diresse verso il fuoco e, appena mi fu vicino, si scrollò il nevischio dalla pelliccia tigrata, bagnandomi i piedi.

    «Un gatto? Tutta quest’agitazione solo per un gatto, Fear? Di grazia... »

Infastidito, il gatto saltò sulla cassapanca, dove iniziò a pulirsi, ricompattando via via il pelo con la lingua e fissandomi con espressione impudente, mentre si occupava del sottocoda, davanti a me.

    «Lascia stare il gatto, Sherton! Volevi sapere le novità? Lord Voldemort ha attaccato la tua famiglia a Londra: stando al Daily, la tua famiglia è stata sterminata e a guidare il commando c’eri tu. Nello stesso giornale, in piccolo, si parla dell’archiviazione delle accuse a tuo carico decisa al termine del processo “Williamson”… »

La curiosità per il felino, che avevo iniziato ad accarezzare sulla schiena e dietro alle orecchie - l’amore per i gatti era uno dei principali tratti in comune che avevo con mia sorella - mi abbandonò all'istante, sentii un senso di gelo prendermi allo stomaco e brividi di paura salirmi lungo la schiena. Riuscii, però, a non dare di matto, come avrei fatto appena poche settimane prima, limitandomi a serrare le mani sulla cassapanca, così forte da sentire le unghie conficcarsi nel legno.

    «Che cosa hai detto? Cosa diavolo significa? Che stupido scherzo è mai questo? Fear… »

Il vecchio mi lanciò un’occhiataccia inquietante: il suo ghigno era ancora più orribile quando si compiaceva con me di qualcosa, addirittura peggiore di quando mi disprezzava e in quel momento si vedeva che tratteneva a stento una risata malvagia e soddisfatta. Io mi misi subito sulla difensiva.

    «Questa vita inizia a farti effetto, “mio principe”! Ahahahah… non hai remore a “togliere di mezzo” un problema... certo quando imparerai a farlo in maniera pulita e senza costringere i compagni a occuparsi dei pesi morti, sarà molto meglio… e ora non parti più nemmeno, lancia in resta, come un pazzo esagitato dietro quelle che sono chiaramente stronzate! Sei davvero tu?»
    «Non ammorbarmi con le tue di stronzate, Fear! Conosco quel Patronus, è di mia madre, se è arrivato qua, significa che lei è viva... Spiegami piuttosto che cosa sta succedendo!»
    «I tuoi sono stati attaccati, ieri, a Londra… merito di quel traditore di Emerson! Se la sono vista brutta… ma sono ancora vivi e la tua famiglia è già riunita, sana e salva... dico bene, Jarvis?»

Sotto i miei occhi, il gatto saltò giù dal tavolo e si mise in piedi, riprendendo sembianze umane. Confuso, guardai il nuovo venuto, poi sorrisi come un idiota, un po’ perché le ultime parole di Fear mi avevano tolto il senso di oppressione che mi aveva appena buttato addosso, un po’ perché non ne potevo più di Fear e vedere una faccia diversa, una faccia amica, era piacevole e strano.

    Non avrei mai detto, anni fa, che sarei stato così contento di vedere Warrington…
    Certo… non immaginavo nemmeno che avrei passato la luna di miele facendo campeggio con Fear…


    «Salazar... sei un uomo dalle mille sorprese, Warrington... sei anche Animagus, adesso?»
    «Piano con le conclusioni, Sherton: Jarvis non è un Animagus, è uno dei nostri Animorfi!»
    «E a quest’ora avresti potuto esserlo anche tu, testone di uno Sherton, se non avessi perso tempo dietro alle teorie inqualificabili di certi impostori e di certi “amici” snobbando le cose serie!»
    «No… Sei tu il secchione, pieno di geni Ravenclaw… ma… dimmi… cosa ci fai tu qui? Come sai che… Fear… perché lui dovrebbe sapere dove siamo e come trovarci?»

Jarvis non mi rispose, mi stava studiando, forse valutava quanto fossi dimagrito o mi considerava un cavernicolo, per la barba inselvatichita e i capelli cespugliosi; a guardarlo bene, neanche lui era conciato nel migliore dei modi, non aveva il solito aspetto da dongiovanni gaudente che si dava ai piaceri della vita comoda. Dagli occhi stanchi sospettavo che avesse avuto una giornataccia anche lui e mi chiesi se, senza che io ne sapessi nulla, mio padre avesse affidato una missione anche a lui. Col carattere “morbido” che aveva non potevano avergli chiesto di sporcarsi le mani con il sangue dei nemici ma ci sapeva fare come “diplomatico”, l’avevo visto all’opera, tramando per me e Sile.

    Se davvero ha un compito del genere… non deve essere un lavoro molto più leggero del mio, guarda quelle ombre scure come gli scavano la faccia…

    «Allora? Nessuno mi risponde? Perché Jarvis Warrington sa che ci troviamo qui?»

Li vidi scambiarsi un’occhiata complice, poi, mentre Fear tornava a rimestare il suo dannato fuoco, Jarvis estraeva dal suo mantello una copia di un giornale. Glielo strappai di mano facendogli capire quanto fossi irritato dal loro silenzio.

    «Vi ho portato una copia del Daily, ma le notizie sono incomplete e… ormai vecchie… sono qui per le novità… Il Mondo Magico ora crede che gli Sherton siano morti, in realtà, Doimòs ha portato in salvo tua madre ad Amesbury mentre i bambini sono stati presi da Malfoy e tuo padre dai Mangiamorte… »
    «Che cosa? Merlino santissimo... mi stai dicendo che questa follia è accaduta davvero?»
    «Calmati, Mirzam... è già passata... Ho seguito Black fino ad Amesbury, come mi avevi consigliato tu, Fear… hai ragione, quell’uomo deve essere tenuto d’occhio, Alshain ha commesso una leggerezza confidandogli parecchi, troppi segreti, temo... »
    «Ora non esagerare, Warrington! Non ti allargare! Il fatto che Sherton ti abbia scelto per ricoprire questo ruolo - e secondo me non sei nemmeno la persona più adatta - non ti dà il diritto di sindacare su decisioni che risalgono a prima ancora che tu nascessi… »
    «Si può sapere di cosa diavolo state parlando? Quale ruolo? E cosa vorresti insinuare su Orion Black? Io metterei la mano sul fuoco per quanto riguarda il mio padrino! È molto diverso da tutti gli altri!»
    «Questo è sicuro! Sono anni che mi occupo del frutto della sua “diversità"! Ahahahah… Black? Puah! »
    «BASTA! VOGLIO DELLE RISPOSTE! E tu smettila di dire stronzate su Margareth! O giuro che ti rispedisco a Herrengton calci in culo!»

Mi guardarono interdetti, mentre, stretti i pugni, li battevo sul tavolo e urlavo loro contro, irritato al massimo: mi veniva il voltastomaco alla sola idea dell’amante di Black, più per i casini e i fraintendimenti che quella storia aveva provocato tra mio padre e me che per lo stato di sangue di quella donna, trovavo Margareth insopportabile, ma non avrei permesso oltre che Fear si esprimesse in quel modo su una ragazza che, senza avere alcun debito di riconoscenza nei miei confronti, aveva deciso di mettersi nei guai per aiutarmi a proteggere Sile in quella follia.

    «PARLA… possibilmente dall’inizio… Grazie… »
    «C'è un capanno nel bosco di Amesbury: Doimòs ha portato tua madre lì e dopo un po' si è Materializzato tuo padre con i bambini. Non ho idea di dove li abbia Smaterializzati in seguito… »
    «Stando alle Pietre Veggenti, le porte di Herrengton sono chiuse, quindi non sono lì... »
    «Non volermene, Mirzam… ma non aspettarti decisioni logiche da tuo padre… »
    «Che cosa vorresti dire?»
    «Non posso assicurarvi nulla circa le sue condizioni… mentali… capite cosa intendo? Non credo sia in sé, né che si sia liberato da solo! Nessuno ci sarebbe riuscito, conciato in quel modo!»

Lo fissai, un brivido mi passò lungo la schiena, dimenticai all’istante l’arrabbiatura e tutte le domande che fino a quel momento mi sembravano urgenti e che ora avevano perso di significato: che cosa mi stava dicendo? Che mio padre era impazzito per le torture cui l’avevano sottoposto? O che la sua volontà era stata piegata con un incantesimo? Che cosa gli avevano fatto?

    «Temo potrebbero usarlo come un… Cavallo di Troia… si dice così, Mirzam?»
    «Che cosa diavolo stai dicendo?»

Sul volto di Fear apparve un'espressione disgustata, odiava quando, per esprimere un concetto, ci servivamo di termini babbani, su questo aveva delle discussioni accese con mio padre fin da quando ne era il precettore. Parlare del presunto discendente mezzosangue di Salazar Slytherin, però, lo indisponeva anche di più, perciò non sapevo se, in quel frangente, ce l'avesse con me e Jarvis per le parole usate, per la rampognata di prima o per il fatto che Voldemort respirasse ancora.

    «Ti pare strano, “mio principe”? Devo ricordarti come stanno le cose? Tuo padre sta recitando con tutti la parte di chi ha rinnegato il proprio figlio per far credere che tra di voi ci siano screzi. Un figlio che avrebbe tentato di ucciderlo, anche se ora il Wizengamot ha detto che non è andata così... un figlio che gli ha comunque sottratto la sacra reliquia, mettendolo in ridicolo e sferrando un duro colpo alla sua autorità e credibilità. Il Lord può anche fidarsi della buona fede di tuo padre, pensare che ti odi per tutto questo, ma sa che tu non sei dalla sua parte... e ti conosce. Può averlo attaccato anche per farti uscire allo scoperto e smascherare il doppio gioco di tuo padre.»
    «Anche?»
    «Certo... Che cosa credi, ragazzino? Tuo padre, pur senza Habarcat, è sempre molto più prezioso di te!»

Era la situazione più grave che si fosse verificata da che avessi ricordo, una situazione in cui non avevo ben chiara la maggior parte delle cose che mi succedevano e in cui i miei presunti aiutanti mi tenevano nascoste tante, troppe cose. Eppure, a parte i momenti in cui scattavo contro Fear e la sua volgarità, non sentivo esplodere in me quella furia cieca che mi aveva caratterizzato sempre.

    «Credi che il Lord gli abbia sondato la mente e sappia tutto? Che siamo d'accordo, che tu ed io siamo qui, e soprattutto che cosa stiamo cercando e cosa vorremmo fare, una volta trovata?»
    «Non sarebbe un Mago Oscuro se non avesse almeno tentato, ma dubito ci sia riuscito… »
    «Sicuro? Non voglio offenderti mettendo in dubbio le tue abilità, Fear, ma preferisco essere prudente che preoccuparmi di non ferire il tuo orgoglio! È possibile che abbia scoperto tutto?»
    «Non è vanità affermare che nessuno è mai riuscito a scardinare i miei capolavori di Occlumanzia, Sherton... ma ammetto di non conoscere di persona questo individuo... inoltre... sì… anche in questi casi… c'è sempre una prima volta … »

Chiusi di nuovo la mano a pugno e la battei sulla cassapanca, infuriato, ma soprattutto terrorizzato.

    «Perfetto! Dovremmo agire come se mio padre fosse compromesso? Mandare a monte la missione e nasconderci come ratti? Pensi sia stato il Lord a liberare mio padre, Jarvis? Che sia per questo che è riuscito in poche ore a sfuggirgli con i bambini? Rispondi, per cortesia!»
    «Non lo escluderei, Mirzam... era in condizioni tali da... era impossibile per lui liberarsi e riprendersi anche i figli … di certo non da solo... da quello che ho sentito, però… »
    «Però?»
    «Si comporta come se continuasse a recitare secondo il nostro copione: ha sostenuto che fossi tu il traditore, quando ha parlato con il tuo padrino... non so dirti però se, appunto, stesse recitando, o quello che gli hanno fatto comporta che lui ora ti creda davvero suo nemico… »

Mi allontanai da loro, dal tavolo, con la terribile sensazione che qualcosa m’impedisse di respirare. D’un tratto mi stavano venendo i brividi, al pensiero di cosa il Lord potesse avergli fatto… ma anche con un pensiero che ancora non riuscivo a mettere a fuoco, ma che stava lì, come un tarlo ad aumentare la mia ansia. La missione che ci aveva affidato mio padre aveva la priorità su tutto, era stato chiaro, e quella notte, nonostante fossero accadute cose che avrei preferito dimenticare, avevamo portato a casa importanti risultati. Sapevo dentro di me che nonostante tutto avremmo dovuto rischiare, portando avanti la missione e fare tutto ciò che era in nostro potere per arginare in qualche modo l’avanzata del Lord, ma il pensiero del pericolo ancora maggiore cui avrei sottoposto Sile e mio figlio stava annientando la mia volontà, facendomi accarezzare l’idea di farla finita.

    «So che il problema dell’eventuale compromissione di Sherton è molto importante per le sorti della missione… ma… devo informarvi di un’altra questione, che è il motivo principale per cui mi sono sbrigato a raggiungervi… e che a quanto pare vi sta sfuggendo… »
    «A cosa ti riferisci?»
    «L’Erede si è manifestato… e stavolta, al contrario di quanto accaduto dopo i fatti di Herrengton, non ci sono dubbi sulla sua identità… »
    «Che cosa stai dicendo? Che cosa è accaduto a Herrengton? Quale Erede?»
    «Non essere così presuntuoso, Mirzam, da pensare che, essendo tu il primogenito, la faccenda dell’Erede spetti di diritto a te! Due dei tuoi fratelli stavano male a Herrengton, quando tuo padre è stato sul punto di morire... e oggi la situazione si è ripetuta, in maniera palese!»
    «Basta così, Jarvis… è bene che Mirzam non sappia altro!»
    «Cosa? Certo che lo devo sapere! Non crederete che farei del male ai miei fratelli!»
    «Tu no… ma nessuno di noi porterà addosso quest’informazione… se finissi nelle mani del Lord, potrebbe costringerti a scegliere tra la vita di tuo figlio e quella dei tuoi fratelli... non posso permetterlo… »

Mi alzai in piedi, mi passai la mano sulla faccia, esasperato, ogni volta che pensavo avessimo raggiunto il fondo, sentivo il terreno affondare ancora di più sotto i miei piedi. Avevo sempre immaginato di prendere io, un giorno, le redini di Herrengton, questa notizia, che di colpo mi precludeva ciò che avevo sempre sentito come il mio naturale destino, mi provocava un senso di straniamento. Eppure, di nuovo, il mio cuore era come assopito, un tempo avrei persino reagito rabbiosamente, parlando d’ingiustizia o di errore: in quel momento, invece, riuscivo solo a pensare che uno dei miei fratelli stesse soffrendo, mentre i miei genitori erano nell’impossibilità di soccorrerlo e consolarlo… Ed io, per le mie colpe, per i miei errori, non ero al suo fianco ad aiutarlo. Senza quasi rendermene conto, presi una delle sedie e la lanciai contro la tenda, sfogai la mia rabbia prendendo a calci il tappeto di pelle d’orso e rovesciai a terra, infuriato, pure quelle dannate pergamene, che mi erano costate tanto, quella notte. Ero cieco di rabbia, dolore, impotenza.

    «Che cazzo stai facendo, sei impazzito?»
    «Calmati Mirzam, che cosa hai?»
    «Che cos’ho? Che cos’ho? Come sta? Non dirmi chi è … dimmi almeno come sta!»

Avevo preso Warrington per il bavero e l’avevo tirato su, vedevo il suo volto diventare livido, mentre con le mani cercava di forzare le mie perché mollassi la presa: rabbia, dolore, vergogna, tutto alla fine esplodeva insieme, come fuochi di artificio, mentre immaginavo Meissa nel lettino, che si contorceva nella febbre e negli spasmi di dolore e pronunciava invano il mio nome.

    «Lascialo immediatamente! Hai finito con la scena madre, idiota? Salazar! Ed io che mi ero illuso che il “principino” fosse diventato un uomo!»
    «Ti conviene smetterla, Fear… perché ho talmente tanta voglia di uccidere quel maledetto bastardo, che potrei iniziare ad allenarmi con te e con questo idiota che non mi dice quello che voglio sapere… Sì… lo voglio uccidere… è l’unico modo per tornare a casa, per prendermi cura dei miei fratelli e mettere al sicuro mia moglie e mio figlio… »
    «Calmati Mirzam… Non ci riusciresti… nessuno può… non ci è riuscito neanche tuo padre… moriresti e morirebbero tutti quelli che ami… »
    «Non riesco a sopportare l’idea che Meissa e Rigel stiano soffrendo ed io non sia lì, ad aiutarli in qualche modo… che non possano più fidarsi nemmeno di nostro padre! Vi rendete conto? Se oggi fossero riusciti a uccidere i miei genitori, chi si sarebbe occupato dei miei fratelli? Chi? IO? In questo modo?»

Non riuscivo a sopportare oltre. Fino a quel momento non mi ero reso conto di quanto le mie bislacche decisioni avessero inciso o avrebbero potuto incidere sulla vita della mia famiglia, ma ora… Sile aveva commesso l’errore di innamorarsi di me, ed era caduta nel mio stesso baratro, e con lei, nostro figlio… ma i miei fratelli… i miei fratelli, come mio figlio, non avevano potuto scegliere niente… mi chiedevo se almeno mio padre se ne fosse reso conto, quando aveva messo in piedi tutta quella follia, che ora stava implodendo, soffocandoci tutti.

    «Bene! Hai completamente ragione, Sherton! Dunque che cosa farai? La mammoletta piagnucolona? Il pazzo senza cervello? L’unica cosa che puoi fare per aiutare i tuoi fratelli è continuare quello che stai già facendo: trovare ciò che resta della seconda Fiamma prima che lo faccia il Signore Oscuro, prima che abbia un’arma con cui sopperire al sangue impuro che gli scorre nelle vene e annullare la protezione di Habarcat sulla tua famiglia… Non permettergli di entrare a Herrengton, distruggendovi tutti!»
    «Ascoltate, recuperiamo la calma… quello che è accaduto oggi è grave… ma credo che siamo ancora in vantaggio rispetto al Signore Oscuro… mi sono assunto la responsabilità di… agire, senza informarvi prima, ma non c’era tempo: l’Erede è uno dei ragazzi che si trovano a Hogwarts... perciò la sua “natura” si è resa palese al Preside, prima che a noi… il vecchio ha i suoi difetti, lo sappiamo, ma… perché non puntiamo sul fatto che ha interessi simili ai nostri? Potremmo sfruttarlo come alleato, finché ci farà comodo, non credete? Per questo l’ho coinvolto nel mio tentativo di ingannare il Signore Oscuro... »
    «Che cosa significa?»
    «C'era Black in giro, in quel momento: lui ha visto cosa successe a tuo padre, quindi sa riconoscere i segni… e se, com’è facile immaginare, la sua adorata nipote Lestrange gli farà pressioni per farlo parlare, ho dovuto fare in modo da togliergli ogni certezza… »
    «Che cosa hai fatto, Jarvis?»
    «Ho tatuato le mani di entrambi i ragazzi con le Rune curative… quando se ne accorgeranno, Black, gli insegnanti, gli altri ragazzi penseranno che i malesseri di oggi non c’entrino nulla con l’Erede e con Herrengton… Ho già convinto Black e il diretto interessato, grazie al Preside, che il vero Erede sei tu!»
    «Io?»
    «Certo... è la soluzione migliore... il Lord sarà impegnato a cercare te e si disinteresserà dei due che sono sotto la protezione di Dumbledore: mi pare di aver capito che il nostro adorato pallone gonfiato non se la sente di affrontare il vecchio Preside… »
    «E pensi ci crederà?»
    «Lo spero per i ragazzini… ma tu e Sile … voi dovrete nascondervi meglio di prima… Intanto con le carte ho spostato di nuovo la Fiamma… questa volta ho deciso di sfruttare la vicinanza di un altro luogo, fonte di potente Magia, per confondere i suoi effetti... »
    «Hai fatto un ottimo lavoro, Jarvis... »
    «No… Non ha fatto un ottimo lavoro… Se tutto questo riguardasse solo me… d’accordo… ma in questo modo, gettando ancora di più l’attenzione su di noi… tu hai messo ancora più a rischio la vita di Sile e di mio figlio! E non ne avevi alcun diritto… Come non avevo io il diritto di coinvolgere lei e tutti voi in questa follia!»

Non avevo più neanche la forza di arrabbiarmi. In quei pochi, pochissimi minuti, ero venuto a sapere che tutto quello che poteva andare storto, era andato storto. Sapevo già, dopo lo scontro notturno con Karkaroff e l’omicidio del Mangiamorte, che la nostra situazione, lì, era diventata oltremodo rischiosa, ma ora avevamo un bersaglio sulla schiena che lampeggiava come un faro in una notte senza luna.

    «D’accordo… so quello che devo fare… ma voi dovete giurarmi che Sile sarà al sicuro… me lo dovete giurare… si trattasse di portarla in capo al mondo… perché, ormai, Sile non può più restare con me… avrebbe una specie di bersaglio sulla schiena! Mio padre mi ha spiegato quanto sia importante arrivare fino in fondo in questa missione, quindi io la porterò a termine, cercando di riscattarmi degli errori commessi… e di soffocare il desiderio di andare a Londra e verificare di persona che cosa sta succedendo... vorrei vedere con i miei occhi mio padre e i miei fratelli... »
    «Mirzam… il Signore Oscuro si aspetta proprio questo… tutto fa pensare che voglia attirarti a Londra... lo stesso Patronus di tua madre… potrebbe essere stato mandato a questo scopo… »
    «Inoltre ti ho già spiegato quanto sia importante che tu e Sile non vi separiate per troppo tempo… quindi qualsiasi cosa accadrà, l’unica cosa certa... è che lei dovrà stare dove ti trovi tu... »
    «Non è… possibile… no, questo non posso farlo!»
    «Lo farai… ma hai ragione… ci saranno dei cambiamenti… è il momento di ingannare chi vuole ingannarci, Milord ha sicuramente compromesso tuo padre… e Jarvis in cambio gli ha donato informazioni false sull’Erede… ora noi gli daremo un’altra falsa informazione, gli faremo credere che sei caduto in trappola, che stai correndo dai tuoi per aiutare i tuoi fratelli. Mirzam e Sile si faranno notare a Londra: in questo modo, qualsiasi sospetto tu abbia fatto sorgere nella mente di Karkaroff circa la tua presenza qui, verrà meno. Tu non andrai a Londra con Sile, però, tu resterai qui, ti sostituirai a Barislav ed entrerai a Durmstrang, dove insegnerai Storia della Magia e intanto farai di tutto per trovare la pergamena che ci serve… Sile resterà con te… mi sono informato su Barislav, ha una figlia… che casualmente andrà a fargli visita tra pochi giorni - faremo in modo di farla sparire durante il viaggio che la inviterò a fare - Dovrete muovervi con cautela dentro quel dannato castello di ghiaccio, intesi? Andrò io a Londra, con Margareth... ci fingeremo voi due... attireremo gli inseguitori, mentre tu ti occuperai della missione, di Sile e del bambino...
»
    «Margareth? Non so se… non voglio che corra tutti questi rischi per me… non mi pare giusto metterla sulla linea di fuoco… finché si trattava di stare qui… era folle ma… »
    «Faremo esattamente come ti ho detto… vedo che inizi a renderti conto delle tue responsabilità e che sei più assennato... posso lasciarti da solo a portare avanti la missione.»
    «Più assennato? Se ti sei appena lamentato di me!»
    «Ho appena scoperto di aver sbagliato a giudicarti… ho sempre temuto che il tuo orgoglio e la tua vanità avrebbero potuto portarti contro la famiglia, quando fosse stato palese anche a te che Herrengton… »
    «... Non era destinata a me… dunque tu l’avevi già capito… da quando?»
    «Non posso dirtelo… capiresti chi dei tuoi fratelli è l’Erede…
»
    «Io non voglio saperlo… sono e resteranno sempre, entrambi, i miei fratelli!»
    «Ne sono felice… perché da oggi, se lo vorrai, tu aiuterai me e Jarvis nel compito che Alshain ci ha affidato… prenderci cura di Herrengton e della tua famiglia… e permettere all’Erede di compiere il proprio destino… »
    «... Preservare Herrengton e la sacra reliquia per donarla all’erede di Salazar che abbia le qualità per reclamarla… »
    «Esattamente… »
    «Dunque è questo ciò che sei, Jarvis… hai assunto tu l’incarico di Custode di Herrengton, dopo che Fear ha lasciato la Scozia per venire qui con me… »

Jarvis abbassò lo sguardo e si morse le labbra, poi, però, mi fissò con i grandi occhi azzurri orgogliosi. Allungai la mano pronto a stringere la sua, lasciai che le nostre Rune si sovrapponessero perfettamente. Fear si affrettò a prendere il pugnale e l’inchiostro di erbe sacre. Passò il pugnale tra le nostre mani, inclinandolo da una parte e dall’altra fino a tagliarci e far scorrere il nostro sangue, poi incise anche il proprio palmo e lo appoggiò sui nostri. A quel punto ci disse di ripetere all’unisono.

    «Da questo momento e per sempre, consacro la mia vita al signore di Herrengton… »

***

Deidra Sherton
Amesbury, Wiltshire - dom. 16 gennaio 1972

    Il buio...
    Il freddo...
    La furia del mare...
    Il dolore e la paura...
    Il pianto dei bambini…
    Il ghigno di Riddle...
    La voragine nera...

    Annegavo... La bocca piena di terra e acqua...
    L’acqua salmastra e oscura mi serrava le membra, dolenti per il pestaggio, i vestiti si erano inzuppati d’acqua e mi tiravano giù, annaspavo, nel tentativo di tenermi a galla e, soprattutto, avere la forza per continuare a vedere, cercare, trovare. Il mare s’ingrossava, mi sollevava di nuovo e mi ributtava sulla spiaggia, portai le mani alla testa, per quel poco che ancora riuscivo, per difenderla dalle punte più aguzze degli scogli. Poi un colpo secco, in mezzo alla schiena, un dolore così potente da perdere i sensi… e andare sempre più giù.

Mi risvegliai con il respiro corto: le coperte sembravano soffocarmi, cercai di liberarmene e mettermi seduta ma appena mi mossi, il dolore mi esplose nella testa, accecandomi. Immobile, portai le mani alle tempie, affondai le dita nei capelli, sforzandomi di non urlare. Mackendrick l’aveva detto, finito l’effetto della pozione che mi aveva dato, avrei sentito violenti gli spasmi dovuto al maleficio che avevo subito a Essex Street. Respirai a fondo, raccattai le poche forze che avevo, cercai di regolarizzare il respiro e, lentamente, concentrandomi sugli insegnamenti del vecchio Decano, che mi aveva aiutato a prendere le mie Rune, ripresi in parte il controllo di me. Non riuscivo ancora a muovermi ma poco alla volta gli occhi ritornarono a vedere, scivolarono lungo le coperte e sulle pareti, con l'aiuto della debole luce delle candele, ritrovai attorno a me oggetti che mi erano familiari: la sponda con gli intarsi argentei del letto, le tende verdi del baldacchino, la cassapanca di legno di noce, il soprammobile a forma di Aquila in volo... tutto ciò che emergeva dall'oscurità rossastra di quella stanza, apparteneva alla mia camera da letto.

    Amesbury... Doimòs non ci ha ancora portati a casa…

    «Alshain!»

Provai ad allungarmi con il braccio e la mano sull'altro lato del letto, volevo sentire il calore di Alshain, assicurarmi che fosse al mio fianco, che tutte le atrocità che apparivano e sparivano dalla mia mente, simili a flash, fossero solo i residui di un sogno brutale. Il suo lato del letto, però, era freddo e vuoto.

    Dov'è Alshain? Possibile che sia riuscito ad alzarsi da solo dal letto?

L'agitazione s'impossessò di me, immagini fumose iniziarono a prendere forma e diventare angosciosi ricordi: Kreya stesa a terra, morta, la casa di Londra in fiamme, i bambini rapiti, Abraxas... Alshain trucidato di botte...

    NO!

Mi tirai su di scatto, la paura così forte da farmi dimenticare il dolore... e la fitta inesorabile mi piegò in due, istantanea, mozzandomi il respiro: dovetti sorreggermi al montante del baldacchino per non crollare sulle ginocchia, priva di fiato.

    «Alshain! Alshain!»

Mi trascinai fino alla cameretta dei bambini, attigua alla nostra, già prima di entrare, però, sapevo che non c'era nessuno, pur sentendo il seno tirare per la necessità di allattare Adhara, infatti, non udii mia figlia reclamare per la fame. Mi affacciai, la cameretta era buia, fredda, silenziosa. E c’era qualcosa che non doveva esserci: un giornale… nella culla di Adhara.
Mi trascinai dentro, fino alla culla, presi il giornale. Non era l’Edizione Speciale ma l’edizione del 16 gennaio, con le notizie di Londra date in maniera meno concitata: si parlava della decisione del Wizengamot di scagionare mio figlio, dell’esplosione a Londra della nostra casa, del fatto che i Babbani non erano stati coinvolti dalla prima esplosione, ma solo nella seconda, meno distruttiva. Quello che mi fece gelare il sangue, però, fu la foto cerchiata di un uomo che conoscevo bene, giù in fondo alla pagina: una foto cerchiata col sangue… un titolo che mi fece tremare di paura.

TROVATO IMPICCATO NEL SUO UFFICIO IL NOTO MEDIMAGO MURCHADH MECKENDRICK

Tornai indietro, nella mia stanza, raggiunsi la poltrona: lì avevo intravisto i vestiti di Alshain, ancora zuppi, sporchi di terra e sangue, disfeci il letto e controllai le lenzuola, c’era la forma del suo corpo e alcune tracce che indicavano che quella notte qualcuno, ferito, aveva dormito in quel letto.

    Non si è trattato di un sogno...

Andai al cassetto, l’aprii, non trovai la mia bacchetta, cercai sulla mensola e la trovai accanto alla finestra.

    Anche il Patronus… non è stato solo un sogno….

Tesi il braccio fino alla mensola, per sorreggermi e risollevarmi mentre un capogiro mi prendeva. Lo sguardo scivolò fuori sul parco addormentato della nostra casa nel Wiltshire: amavo quella casa, ma avrei dato qualsiasi cosa per vedere le montagne, che dividevano Herrengton da Hogwarts, che s'illuminavano della prima luce del sole, la neve che perdeva il suo colore livido per ammantarsi di una sfumatura rosata.

    Meissa… Rigel... spero che Orion sia riuscito a preservarvi da questa follia…

Iniziarono a tremarmi le mani, calde lacrime mi scivolarono lungo la faccia.
Abbassai lo sguardo, gli occhi scesero sul giardino innevato. Fu allora che la vidi: simile a uno spettro, ai miei piedi, nel rettangolo chiuso dal porticato, al centro perfetto del cortile di pietra, c'era una figura immobile, in attesa, il volto nascosto dal cappuccio calato del mantello, rivolto verso di me, gli occhi, di cui vedevo, pur da lontano, il fosco bagliore, mi fissavano. Si calò via il mantello e vidi mio marito, con ancora la veste da notte addosso, i capelli scarmigliati e il volto tumefatto, fermo lì a fissarmi. Sembrava un morto che camminava.
I ricordi, tutti i miei ricordi delle ultime ore, esplosero nella mia testa tutti insieme, nitidi, inesorabili, efferati. Ebbi un capogiro, temetti di perdere i sensi, quando riuscii a ritornare lucida, mi sporsi di nuovo a guardare la figura al centro del cortile. Non c'era già più...
Tesi l'orecchio, il sangue mi si fece ghiaccio: i suoi passi rimbombavano lenti e pesanti mentre saliva le scale.


*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, commentato e aggiunto alle liste. Il capitolo è già lungo di suo, perciò un bacione e a presto.
Valeria


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